[Bleach] Orihime Inoue/Yylfort Grantz, "è dal giorno del tuo matrimonio che desidero farlo"

Jan 16, 2011 02:00


Nome: Killing Loneliness
Prompt: Orihime Inoue/ Yylfort Grantz, “è dal giorno del tuo matrimonio che desidero farlo”
Rating: rosso V.M 18
Genere: introspettivo, erotico, drammatico
Avvertimenti: AU, oneshot, lemon
Note: allora, questa oneshot si allaccia al mio universo di Raining Stones, subito dopo gli eventi narrati in “malizia”. Tuttavia la potete leggere anche senza aver letto le precedenti storie.
È stata scritta per il “p0rn fest” indetto da fanfic Italia, il pairing è OrihimeYylfort ma conserva una buona parte di GrimmHime. Credo anche di aver scritto la storia meno “porn” di tutte quelle scritto fino ad ora per il festival, ma ho preferito impuntarmi più sulla situazione angst che sul lato prettamente erotico. Per il resto spero facciate una buona lettura! E ditemi cosa ne pensate ^^


“Grimmjow... Mi dispiace...”

Le labbra si mossero lente e con fare mortificato, nel pronunciare a bassa voce scuse che non le appartenevano in nessun modo.

Sconsolata, la donna passò ripetutamente le dita sulle candide sbarre della prigione - scrostate di una antica ruggine - tenendo lo sguardo basso e osservando le grigie e anonime piastrelle sotto i suoi piedi, con la speranza che lui le rivolgesse la parola.

Orihime Inoue - al tempo che fu la signora Jaggerjack - tentava invano di comunicare con il suo quasi ex marito, posto dietro le sbarre di quella cella provvisoria e rigorosamente di spalle a lei su di una brandina tutt'altro che immacolata.

Ad ogni sua richiesta di scusa mormorata, Grimmjow digrignava i denti in silenzio continuando a guardare il muro dinnanzi a lui.

Se ne restava sdraiato sul sottile materasso senza prestarle minimamente attenzione, dandole costantemente le spalle. E non lo avrebbe fatto neanche quella sera, come per le restanti sei che si era fatto in quella fogna. La donna già lo sapeva ma sperava sempre che gli occhi celesti del compagno si posassero su di lei, rinunciando così al suo consueto orgoglio.

La sua fu una settimana di galera dentro la prigione del distretto di polizia per cui lui lavorava, come punizione all'ultima bravata fatta. Che come se non bastasse manco era colpa sua...

Grimmjow sapeva di essere un poliziotto che faceva molto di testa sua.

Sapeva anche che questo suo caratteraccio andava a far incazzare i suoi superiori, portandoli anche a degradarlo da tenente a poliziotto comune per un periodo “breve” che non era ancora finito.

Ma non voleva ammettere di essere lui stesso la causa della fine del matrimonio con Orihime.

Tale pensiero lo portò a digrignare i denti con più ferocia, non riuscendo comunque ad incazzarsi con lei a sufficienza.

Per sei sere consecutive Inoue era andata a trovarlo in quel semi interrato squallido che puzzava di candeggina, non riuscendo mai comunque a estrapolargli qualche parola e trovarsi così a scusarsi lei per lui.

Lei che non ne aveva nessunissima colpa, chiedeva scusa per le sue malefatte portandolo ad irritarsi senza mai sfociare nell'odio.

L'unica colpa era di Kurosaki padre e figlio, che rispettivamente occupavano altre due delle quattro celle presenti, ed erano di spalle ad Orihime.

Era loro che odiava veramente.

Era per colpa loro se lui si trovava lì e con la sua (ex) moglie intenta a chiedere scusa mortificata.

La sua ultima litigata con Ichigo Kurosaki gli era costata una settimana di galera e aveva per giunta coinvolto quel coglione del padre di Ichigo. Ossia Isshin Kurosaki.

Ma il come e il perchè fossero arrivati tutti e tre alle mani, a Grimmjow non interessava ricordarsene. Quello era il male minore - se così si poteva definire - e i suoi problemi erano ben altri.

Ed erano gli stessi di Orihime.

“Mi spiace per quello che è successo... Io...”

“Non è colpa tua Inoue, ok? Stai tranquilla...”

una forte scossa di indignazione mista ad adrenalina, attraversò per un attimo il corpo del poliziotto apparentemente assopito come una scossa, nel sentire la voce di pel di carota confortare la sua donna.

Strinse il lenzuolo sotto di lui con una mano, tentando di trattenersi nel dare scenate.

Come osava il piccolo Kurosaki - proprio lui che aveva iniziato ad alzare le mani per primo nella loro ultima discussione - confortare Inoue e dirle che andava tutto bene? Tra l'altro con un tono tranquillo e premuroso?

Lui non aveva nessunissima giurisdizione in quel posto. Men che meno con sua moglie! Preoccuparsi di lei era compito di suo marito... E vaffanculo gli “ex”.

“Kurosaki, ti ringrazio”

Inoue non riuscì a fare altro che sorridergli timidamente, nell'atto di voltarsi verso il giovane che l'aveva confortata stanco di vederla in pena per un emerito idiota.

Idiota che se ne stava disteso sulla branda ignorando totalmente una moglie affranta - Ichigo lo vedeva chiaramente Grimmjow, col fatto che aveva la sua cella davanti a quella che occupava era inevitabile - a differenza sua che aveva avuto premura di preoccuparsi di lei.

“Ti ringrazio. Ma io...”

“Non hai motivo di sentirti così. Abbiamo fatto... Tutto da soli. Tu non c'entri”

la seconda consolazione portò la donna a sorridere tristemente e arrossire. Gesto che le fece abbassare il capo lievemente imbarazzata per essersi mostrata come una ragazzina in cerca di conforto, invece che essere la donna saggia qual era diventata.

Ichigo era un ragazzo che aveva sempre ammirato profondamente e per cui, al tempo che fu, aveva nutrito sentimenti romantici a dir poco veri poi affievolitesi con il tempo; gli eventi; e ovviamente Grimmjow.

Decisamente altri tempi. E se ora i sentimenti romantici se ne erano ormai andati, rimaneva sempre una grande ammirazione per quel ragazzo straordinario.

Calò poi un silenzio teso e colmo di imbarazzo quando i due non ebbero altro da aggiungere. Una sensazione decisamente strana, forse dettata anche dal fatto che essere in una prigione non era buona cosa lasciarsi scappare battute sul pestaggio avvenuto.

Ichigo abbassò lo sguardo a disagio e Orihime evitò di far cadere la vista sugli ematomi ancora evidenti su quel giovane volto - aveva un livido in via di guarigione attorno all'occhio sinistro e dei punti sul setto nasale - andando a voltare lo sguardo altrove.

E fu in quel momento composto da pochi secondi, che Isshin Kurosaki si fece sentire dalla cella accanto a quella del figlio, con un flebile filo di voce.

“Dispiace molto anche a m...”

“Sta zittoo!! Sta zitto lurido deficiente!! Guai a te se parli o sfondo il muro che ci separaa!!”

Orihime avvertì un moto di paura improvvisa quando il volto rilassato di Kurosaki si contrasse in una smorfia di puro odio - voltandosi in direzione del genitore non in vista - sciorinando parole altrettanto aspre e quasi irriconoscibili per il ragazzo visto prima.

Addirittura, aveva urlato tutto d'un fiato arrivando persino a diventare quasi cianotico.

Uno sguardo sconvolto il suo, che portò immediatamente Ichigo a deglutire per aver dato prova di avere nervi a fior di pelle verso quello scellerato del padre.

“Ehm... Io...”

“Non preoccuparti - ora toccò a lei rincuorarlo con un triste sorriso - ora comunque si è fatto tardi... Meglio che vada...”

Si era fatto decisamente tardi e suo figlio era ospitato dai vicini di casa che abitavano nel suo stesso condominio, per questo non le piaceva farlo aspettare troppo. Persone per bene ovviamente, che in caso di necessità tenevano loro la creatura della giovane coppia in procinto di separarsi.

Ma per quanto Matsumoto Rangiku - e marito - fosse sempre stata felice di tenersi quella piccola peste in casa, ad Inoue non le piaceva approfittare troppo della loro ospitalità.

Chinando il capo mortificata - leggermente imitata da un Ichigo cupamente in imbarazzo - la donna si decise ad uscire da quel seminterrato, indirizzando un ultimo sguardo al marito dentro la cella che occupava, in cerca dei suoi occhi azzurri.

E di consueto, come per i restanti sei giorni e che l'avevano portata a sospirare interiormente, lui non la calcolò affatto.

[…]

C'era l'incomprensione e l'orgoglio alla base della distruzione della pazienza di Orihime.

Inizialmente ci aveva pure sperato di riuscire a cambiarlo... Sin dal loro fidanzamento - se così si poteva definire tale visto che lui non amava le formalità - e nei primi anni del matrimonio poi.

Ma con Grimmjow, più le cose andavano male - in primis sul lavoro e sul mutuo della casa pagato a fatica - e più il suo orgoglio smisurato cresceva.

Non le piaceva dargli la colpa di come le cose fossero andate dopo così pochi anni di matrimonio, però dopo un anno di trattativa per un divorzio che non arrivava mai, i nervi di Inoue - così come la sua speranza - si stavano facendo sempre più fragili.

In una parola, era talmente sconfortata da non poterne davvero più.

Addirittura - e qui un po' si sentiva davvero in colpa - iniziava a dubitare dei sentimenti che aveva sempre nutrito per lui. Era brutto dirlo così, però non sapeva come altro spiegare il fatto che stava iniziando a dubitare di amarlo ancora.

“Buona sera, signora Jaggerjack...”

appena fuori la centrale di polizia, proprio sui gradini che portavano all'ingresso principale, una voce maschile la portò a sussultare in silenzio risvegliandola così da tristi pensieri.

Ignorando il rado via vai di gente sulle scale, Orihime voltò il capo verso la propria destra per vedere un giovanotto elegantemente vestito di bianco, intento a fumarsi una sigaretta all'ombra di una delle due colonne che reggevano l'edicola del vecchio edificio.

“Oh... Ehm... Yylfort! Puoi chiamarmi per nome, lo sai...”

gli sorrise timidamente dopo avergli risposto con una voce lievemente tremolante. Ma l'uomo tuttavia, parve soddisfatto di quella sua reazione spontanea e spaventata, buttando una sigaretta ormai finita sui gradini di cemento e procurando così delle piccole scintille rosse.

“Hm... Scusa, Orihime. È che non sono ancora abituato a dare del tu alla moglie del capo”

Yylfort Grantz, da quel che Inoue sapeva, era discendente di una delle più antiche - quanto ricche - famiglie della città. Una famiglia composta da medici e scienziati, per quel che ne sapeva dato il suo studio da infermiera - all'ospedale in cui lavorava comunque, non ne aveva mai visto uno. Ma il fatto che uno di loro avesse intrapreso la carriera di poliziotto nella squadra antidroga - ecco spiegato perchè se ne andasse in giro in borghese come Grimmjow - doveva farlo apparire come una specie di “pecora nera” infame.

A parte questo, era un individuo che conosceva relativamente poco.

Sapeva che faceva parte della squadra consolidata di suo marito - avevano partecipato al loro matrimonio e ci aveva un po' parlato con quel gruppetto, lui compreso - ma non è che si vedessero tutti i sabato pomeriggio per prendere un caffè.

Quindi di lui non è che ne sapeva molto, anche se nell'ultimo periodo si erano visti spesso. Complice il caratteraccio del compagno e il suo cacciarsi nei guai come in quell'ultima settimana, oltre che per il divorzio in sé, spesso e volentieri le loro strade si incrociavano. Veniva quasi da dire che per colpa di quelle dannate pratiche lei e Grimmjow si vedevano più in centrale che dall'avvocato.

Il loro, comunque, era solo un saluto, o al massimo un paio di chiacchiere. Yylfort aveva pure provato ad invitarla al bar di fianco alla centrale per bere un aperitivo e distrarsi un po', ma lei aveva sempre rifiutato cortesemente.

Tuttavia...

“Non sono più sua moglie, Yylfort...”

Fu strano - e Orihime stessa se ne sorprese dopo averle pronunciate quasi in un sospiro - ma nel dire quelle parole così lapidarie non avvertì proprio nulla.

Nulla che la portasse a vergognarsi di aver detto una cosa simile - seppur sulla carta dannatamente vera - ma solo un incommensurabile vuoto dentro il cuore e riempito, a controsenso, da una stanca tristezza.

Parole così nitide che portarono lo stesso Yylfort ad inarcare un sopracciglio e - stranamente - ad allungare un sorrisetto apparentemente interessato sulla questione.

“Capisco... - si passò una mano tra i lunghi capelli biondi, facendo scorrere un silenzio quasi interminabile - E ora suppongo che tu debba tornare a casa... Tutta da sola per giunta”

“Si... Ho il bambino a casa dei vicini. E da qui fino a casa mia devo prendere la metropolitana e...”

“... Ed è un po' troppo pericoloso a quest'ora per una donna sola. Ti accompagno io a casa”

una innocente proposta che lasciò Orihime decisamente di stucco.

Gli occhi le si sgranarono dalla sorpresa e, ancor prima che una strana sensazione imbarazzata si impadronisse delle sue membra, decise di reclinare l'offerta con una lieve scossa del capo.

“Ah... N-non posso accettare! Insomma, stai lavorando”

Il biondo in risposta abbassò lo sguardo divertito, allungando il sorriso in modo palpabile.

“Qual è il problema? Io il mio turno l'ho finito da un pezzo... Poi è mio dovere assicurare la sicurezza di un cittadino, senza contare che Grimmjow mi ammazzerebbe se ti lasciassi andare da sola...”

Stranamente in quella voce che si faceva sempre più ambigua ad ogni parola detta, parve ad Orihime dannatamente convincente per un motivo che lei stessa non sapeva giustificarsi.

Solo una lieve perplessità le accarezzò il volto, poi subito seguita da un gesto di imbarazzo come il scostare lo sguardo da quello intenso del poliziotto e annuire timidamente alla sua proposta.

[…]

“Le cose vanno davvero male, eh?!”

A bordo dell'auto sportiva del Grantz, il silenzio apparentemente teso di Inoue si colmava con un vuoto di difficile interpretazione.

Per tutto il viaggio di andata, non aveva spiccicato praticamente nessuna parola, limitandosi a restarsene ferma sul sedile come una statua. Un comportamento apparentemente da persona maleducata - Orihime se ne rendeva, purtroppo, conto - ma ciò non distolse Yylfort da comunicare con lei.

Era come se quel ragazzo non avesse freni emotivi apparenti, risultando spesso irriverente e irritante per chi gli stava attorno. Incurante quasi, delle azioni che spesso compiva ai danni del prossimo.

“Hm... Così pare...”

La poca loquacità di Inoue non fermava in nessun modo il giovane uomo, che letteralmente sfrecciava per quelle strade semi deserte, spronandolo senza volerlo a parlarle maggiormente.

“Mi spiace davvero... Però pensa che Grimmjow non menziona mai questa cosa al lavoro. È un individuo molto riservato... Lo ammiro molto. Tutti noi lo ammiriamo”

era in parte confortante sapere della descrizione del compagno e nel sapere che il suo orgoglio serviva anche a “proteggerla” da certi pettegolezzi.

Inevitabilmente, se ora la notizia era trapelata, la colpa non poteva essere che di Inoue stessa e per il suo voler dare un taglio alla vicenda.

Oh, ma perchè autocommiserarsi così? Non serviva proprio a nulla.

Indispettita da quel flebile pensiero, si strinse in un abbraccio personale desiderosa - in modo che avrebbe detto infantile - che anche solo per un attimo tutta questa vicenda se ne andasse relativamente via.

Che scivolasse fuori dall'abitacolo dell'auto in corsa e finisse la sua avventura sul gelido asfalto della notte.

Ma purtroppo, tutto ciò che riuscì a fare fu di abbassare lo sguardo sotto gli occhi sorridenti di un Yylfort apparentemente soddisfatto.

“Comunque, eccoci arrivati Orihime. Quello è il tuo condominio, giusto?!”

Senza neppure essersene resa conto, era già arrivata a casa sana e salva e quello di fianco a lei era la palazzina in cui per quasi quattro anni aveva vissuto in compagnia di Grimmjow.

Ora ci tornava relativamente di rado se non per accompagnare il bambino dal padre, oppure per “approfittare” di Rangiku e della sua ospitalità nel tenerle il piccolo come in quel caso di bisogno.

Ma quelli erano comunque pensieri da lasciare da parte. E spalancando gli occhi dalla sorpresa, sorrise impacciata all'uomo che per tutto il tempo non si era offeso per la poca loquacità del passeggero.

“Ah... Si! Scusami s-se non ti ho praticamente rivolto la parola! Sono un po' in sovra pensiero per...”

“... Provare a distrarsi?!”

era inevitabile con una conclusione del genere, rimanere quantomeno indignati per la sfacciataggine mostrata da Yylfort.

Un uomo che - senza tener conto della breve espressione di sorpresa di Inoue - diceva di tenere molto al proprio capo ma che, tuttavia, ci stava spudoratamente provando con la sua donna senza neanche essere vago e malizioso. Ma che forse stava buttando le mani avanti per il probabile campo libero ottenuto, oppure per approfittare di una donna disorientata e sola, non è che avesse poi molta importanza.

Andava detta così, perchè effettivamente Orihime - che era tornata ad uno sguardo velato di tristezza - con la solitudine ci stava avendo a che fare giorno dopo giorno, senza trovare un rimedio che la portasse a migliorare tutto e tutti. Non sorprendendosi infine più di tanto delle ultime parole pronunciate in quell'abitacolo.

“Allora... Vuoi salire per un caffè?”

[…]

Non era un problema di distrazione. Era un monte di problemi che si accavallavano tutti tra loro.

Era l'incertezza di non amare più Grimmjow come un tempo. Era una voglia materiale di essere felice una volta tanto dopo un anno di inferno.

Era anche un carattere andato in pezzi e la volontà di lasciarsi andare anche solo per un momento.

Il caffè nel suo appartamento non venne minimamente toccato dal suo ospite improvviso.

Le labbra di Yylfort non si posarono su una tazzina di ceramica, ma si attaccarono alle sue come una ventosa e indisposto a lasciarla andare.

Quasi non aspettò che Inoue si chiudesse le porte di casa alle spalle, che la ghermì attirandola a se con una certa cattiveria iniziando fin da subito a sedurla.

Come smarrita, il primo contatto con lui fu capace di portarle l'anima in fiamme e le membra a sciogliersi, conscia che quel contatto era con un altro uomo e per questo accolse il tutto con una punta di paura istintiva.

Paura che soppresse ben presto lasciando, al suo posto e per suo malgrado, una sensazione di disagio istintivo che l'avrebbe accompagnata per molto a lungo in quella lunga nottata.

Tentò di scacciare quell'infima sensazione, circondando il collo del biondo con ambo le braccia e lasciando che le loro rispettive lingue giocassero con un certo trasporto.

Soddisfatto, Yylfort sogghignò estasiato. Felice ed euforico come non mai, nel sentire come il petto prosperoso di lei aderisse al suo.

Per questo, con un gesto di totale impazienza conficcò ambo le mani nelle natiche della donna, riuscendo così a sollevarla da terra.

Orihime si lasciò scappare un grido strozzato nel non sentire più i piedi sul pavimento di casa, subito conscia di dover allacciare le gambe attorno alla vita di lui senza troppe storie.

Avvertì chiaramente la gonna sollevarsi fino all'altezza della vita, esponendo per intero le sue gambe al tiepido calore della casa. Ma poco le importava ormai, bastava semplicemente tenere gli occhi chiusi e non farsi troppe... “Pippe” mentali come le avrebbe chiamate il suo ex compagno. Per quanto dannatamente semplice sulla carta, doveva crederci.

E con le palpebre abbassate - nel mentre che si saziava dei suoi baci - avvertì Yylfort mettersi in movimento in cerca - con tutta probabilità - di un luogo più comodo per deliziarsi della piacevole compagnia.

Sorpresa delle sorprese, il maggiore dei fratelli Grantz non faticò a trovare la camera da letto dei due ex coniugi. E con un sogghigno ci si buttò sopra quasi di peso, facendo così prendere paura alla stessa Inoue per il tocco su quel materasso tutt'altro che leggero.

“Ahh... Ma lo sai che... - si staccò dalle labbra della donna per osservarla soddisfatto in quella pesante penombra - è dal giorno del tuo matrimonio che desidero farlo?”

Era una battuta arrogante e sfacciata.

Una frase detta da chi, per quanto ammirasse il proprio capo, tratteneva dentro di se un desiderio così a lungo celato da buttare l'esca appena possibile.

Un concetto pesante e squallido che avrebbe sicuramente portato altro sconforto ad Inoue, se non avesse subito preso le redini del gioco per cacciare via quei pensieri molesti.

Per questo lo aiutò a spogliarsi. A togliersi la candida giacca e la camicia di costosa seta nera stando attenta che nella troppa foga di lui non si rovinasse. Desiderandolo ancora come una concubina angosciata di essere lasciata sola, attirandoselo a sé in un forte abbraccio.

E il biondo se la rise in modo sottile nel vederla così desiderosa di lui abbracciandolo come disperata, strappandole di dosso i collant - che con il loro rumore riempirono la stanza con un suono sottile e fastidioso - e allo stesso modo il resto del vestiario.

Spingendola quasi con malagrazia contro il materasso - strappandole con soddisfazione un gemito frustrato - e li infine possederla.

Non era come farlo con Grimmjow.

Suo marito nel possederla aveva un modo tutto suo, che spesso la travolgeva e bastava anche solo quello per farle capire quanto l'amava.

Letteralmente la inchiodava al materasso. E arso dalla passione la schiacciava contro di sé, contro il proprio corpo dai muscoli tesi e duri come la roccia, spingendosi dentro di lei con colpi secchi e decisi. Quasi rudi si potrebbe dire.

Ma con Yylfort era diverso. Lui le scivolava dentro così fluido e profondo da lasciare interdetti.

Orihime decisamente, notò una profonda differenza, tanto da avvertire quasi la nausea.

Non erano colpi secchi e decisi, ne tanto mento una ardente passione come quella del marito che l'amava - e che affogava il volto tra i suoi capelli castani ogni volta - quanto quella di un amante vero e proprio non mosso dai sentimenti dell'animo, quanto quelli puri della carne.

Non è che Inoue sentisse male fisicamente - anzi, tutt'altro - ma era in tutto il resto che non le piaceva.

Yylfort la stava possedendo in modo materiale - cosa che poi quantomeno si aspettava anche se non così - sprofondando in lei con gesti fluidi e precisi atti a donarle più piacere possibile e poco sentimento.

Desideroso di fissarla negli occhi - tenuti a fatica costantemente chiusi ormai - come se godesse più in quello che in qualunque altra cosa.

“Sei adorabile... Orihime”

mugugnando tali parole, che portarono l'interpellata a sussultare in un misto di piacere e disagio, si passò la lingua sui denti affamato di averne ancora di più. Artigliandole i fianchi umidi di caldo sudore, “costringendola” così ad allacciare ancora una volta le gambe attorno alla sua vita per permettergli di andare più a fondo.

Con occhi socchiusi Inoue lo osservava a fatica, notando la sua pelle diafana intrisa di sudore quanto lo era la sua mescolarsi e affondare in lei insaziabile e malevolo, osservandone i muscoli degli addominali tendersi ad ogni suo movimento carico di lussuria.

Incapace di sfuggire a quel suo sguardo così intenso, da avere solo la forza di mugugnare una parola indecifrabile e allungare le mani tra quei lunghi capelli biondi.

Catturandone così la cute per poi spingere la sua testa contro di se, contro un seno umido e un cuore che batteva all'impazzata, venendo accontentata immediatamente da un amante soddisfatto.

E chiudendo ancora gli occhi, conscia dell'abisso che distanziava i due uomini e dall'errore fatto.

[…]

“Uhh... Quanta schiuma Orihime cara, non stai esagerando?!”

Matsumoto Rangiku - vicina di pianerottolo di Inoue e moglie del proprietario di tutto il condominio - se ne stava comodamente seduta ad una sedia nella cucina della giovane amica, scrutandone la schiena con una punta di preoccupazione.

Orihime le dava le spalle, intenta a lavare dei piatti ammucchiati nel lavello da quasi una settimana, con così tanta schiuma che a momenti non trasbordava a terra. E dopo poche parole nell'accoglierla in casa, non le aveva praticamente più detto nulla. Limitandosi a chiedere scusa se la sera scorsa non era andata a prendere il bambino, lasciandolo così a dormire da Rangiku.

Non che alla prosperosa bionda dispiacesse tenere la creatura con sé, a discapito del marito lei lo trovava adorabile, però era nella curiosità mista a preoccupazione che continuava a restare li e a non alzare i tacchi dopo aver riconsegnato il marmocchio.

“Hm... Non preoccuparti. Devo... Devo insaponarli molto perchè sono da una settimana che sono sporchi”

La voce di Orihime aveva una cadenza al solito dolce ma con una punta non velata di stanchezza. Rangiku sorrise tra se e se, consapevole che l'ospite che aveva intravisto ieri sera - notato attraverso le tende delle finestre in soggiorno - e che era salito in casa con lei, non doveva essersi semplicemente fermato a prendere un caffè.

Da un lato le dispiaceva che tra lei e Grimmjow non funzionasse più come una volta... Ma dall'altra le interessava anche sapere che Inoue stesse “reagendo” alla cosa così da rifarsi una vita.

Per quanto dolorosamente difficile era pur sempre un tentativo, no?

A tale pensiero la bionda sorrise, provando a comunicare con l'amica puntandosi sull'indiscrezione del pettegolezzo.

“Quel tuo amico di ieri sera era proprio carino...”

Non era una battuta malevola - non era nello stile di Rangiku - quanto una insinuazione un po' piccante che spesso le piaceva adoperare con chi le stava particolarmente a cuore. Come nel caso di Orihime.

Ma la reazione della giovane donna la lasciò particolarmente di stucco.

Inoue si voltò verso di lei quasi di scatto, con il volto arrossato e con un sorriso tremolante, in procinto di mettersi a piangere da un momento all'altro. Portando questa volta, per davvero, a far cadere la schiuma sul candido pavimento della cucina.

“Io... Io credo di aver combinato un bel casino... Ci-cioè, è colpa mia se stiamo divorziando - tentò di ridere ma invano - s-sono io che ho voluto mettere fine al tutto! E poi ieri sera io... Non ho preso mio figlio e l'ho lasciato da te come se nulla fosse... Io ho...”

Quello che stava cogliendo Orihime con tanto trasporto - e la donna li presente lo sapeva bene - era un attacco d'ansia vero e proprio.

Un respiro accelerato, un continuo sospiro e le parole che si mangiano tra loro il tutto misto da un tremore malcelato, erano sintomi riconoscibilissimi. Rangiku conosceva fin troppo bene quei sintomi tanto sofferti in gioventù, e sapeva bene cosa li causava.

Per questo non ci pensò due volte ad alzarsi dalla sedia di vimini piuttosto velocemente e abbracciare in un abbraccio forte - e forse pure un po' burbero - una Inoue in lacrime.

“Orihime, calmati! Non è colpa tua! E se sei giunta... A tanto, vuol dire che Grimmjow la sua sana dose di colpe ce le ha eccome!”

forse il suo tono era un po' severo - anche senza il forse - ma ci teneva a non vederla ridotta così. Ci teneva che avesse più fiducia in se stessa.

Accogliendola in un abbraccio che in principio la lasciò sorpresa al punto giusto, prima di comprendere buona parte delle sue parole e rilassarsi.

Ma comunque, come non poteva non sentirsi in colpa? Tra le altre cose, vi era il disagio non indifferente che quella stessa mattina si era svegliata da sola nel letto coniugale.

Lui - Yylfort Grantz - non c'era. Volatilizzato via come se fosse stato un fantasma senza neppure lasciarle un bigliettino, o svegliarla dolcemente per avvisarla che andava via. Quindi come si poteva non sentirsi frustrate a questo?

Da che avesse memoria, Grimmjow ad ogni suo risveglio era sempre stato presente accanto a lei.

Con il suo russare cupo e profondo, o con l'odore della colazione che le preparava ogni qual volta si svegliasse per primo. Per quanto lasciasse davvero a desiderare come colazione, era il pensiero che la scaldava.

Come poteva non considerarsi un po' la causa di tutto? Eppure Matsumoto non aveva tutti i torti...

Non ce li aveva a partire dal principio stesso dell'esasperazione di Orihime. Del fatto che il suo compagno gonfio d'orgoglio l'avesse trascurata e avesse tralasciato cose più importanti, con il fatto che tanto “si sarebbero aggiustate comunque”.

Lui era li con lei ma allo stesso tempo era assente. Lasciandola sola in un mare di problemi che a fatica riusciva a domare, se non grazie ad una grande forza d'animo.

Orihime si perse ancora un po' nel forte abbraccio dell'amica, mettendo mentalmente su ciascun piatto della bilancia i pro e i contro della situazione, notando che comunque la soluzione stava in un mezzo bilanciato.

Questo almeno dal suo punto di vista.

Si riscosse dal torpore offerto dal formoso corpo della bionda, quando uno squillo seccato e rabbioso non le fece sussultare entrambe dallo spavento.

“Ah! Ma chi cazzo...?!”

“Il t-telefono!”

le due sciolsero immediatamente il silenzioso abbraccio che le aveva coinvolte, per sobbalzare tra il sorpreso e lo spaventato per gli squilli incessanti di un telefono presente nel corridoio.

Di tutta fretta, prima che potesse sopraggiungere suo figlio - che era in camera sua a giocare - e rispondere ad un perfetto sconosciuto, Inoue si apprestò a raggiungere l'apparecchio seguita a ruota da una curiosa Rangiku, e rispondere a chi la cercava con tanta insistenza.

“Ehm... Pronto?”

non aveva un telefono di quelli moderni con display che mostrava il numero, per questo fu con titubanza che rispose all'apparecchio.

“Ehi, ciao Orihime”

Le ci volle circa qualche secondo per intuire chi ci fosse dall'altro capo della linea. E quando lo capì, quasi le venne un colpo. Tramutando il suo volto ancora arrossato da un'ansia disperata, alla più “sfacciata” delle sorprese. Dettaglio di cui persino Rangiku se ne accorse, avvicinando di più l'orecchio verso la cornetta in mano ad Inoue per capire con chi stesse parlando.

“Ah... Yylfort. io...”

“No, scusami tu per stamattina. Sono andato via senza dire nulla”

“A-avrai avuto le tue motivazioni...” la voce di Orihime si fece quasi un bisbiglio mentre una mano iniziò a giocherellare con il filo grigio del telefono.

Accanto a lei intanto, una bionda amica pareva molto interessata alla conversazione.

“Lavoro, sai com'è - tagliò corto lui con una solita voce ambigua - mi sono preso la libertà di prendere il tuo numero di casa. Non avendo il tuo di cellulare, spero che mi perdonerai”

In verità, non ci aveva pensato - e francamente manco ci sperava per davvero - che lui potesse in qualche modo interessarsi a lei nuovamente, dopo la serata passata.

In principio ci aveva davvero sperato che lui non si facesse davvero più sentire, con la convinzione che questo le avrebbe portato del sollievo. Eppure in quel momento si sentiva si sollevata. Ma perchè lui l'aveva contattata chiedendole addirittura scusa, non perchè era totalmente uscito dalla sua vita.

Deglutì a fatica a quei pensieri contorti e generati più dall'istinto che da altro, ignorando l'amica di fianco e continuando la telefonata.

“Comunque - proseguì il biondo con tono soddisfatto - che ne dici se stasera ti porto in un bel posto? Hai presente Las Noches vero?!”

Il modo neutrale con cui aveva pronunciato il lussuoso albergo - completo di ristorante per riccastri e terme - lasciò di stucco Orihime e a bocca aperta Matsumoto.

“Oh.. Ah, ok.. V-va bene Yylfort...”

la voce della donna tremò dalla sorpresa e la bionda accanto a lei si portò una mano davanti alla bocca per il “colpaccio” fatto dall'amica. Aveva fatto colpo su un riccone a quanto pare.

Per quanto in testa ad Orihime balzò istintivamente un “no” a quella sua sfacciata proposta, stranamente per un motivo che comprendeva ancora in modo fievole, aveva annuito all'invito.

“Hm, perfetto allora. Naturalmente è invitato anche tuo figlio alla serata. Sempre che tu lo voglia si intende”

Il tiro che stava alzando era sempre più alto. Il fatto che avesse coinvolto anche il bambino pareva che volesse fare le cose in grande. Magari troppo in grande per uno come lui.

Ma da quella sua voce ambigua e quasi seducente mentre le parlava - oltre che una punta strafottente per fare un'altra bastardata simile al suo sire - non comprese altro se non una reale intenzione a vederla di nuovo.

A Orihime quindi, anche sotto uno sguardo di Rangiku che pareva speranzoso che l'uomo fosse quello giusto, decise di accontentare Yylfort e di accettare il suo invito a cena.

E qualunque pensiero che riguardasse Grimmjow in quel momento, per una strana ragione venne accantonato nella sua testa.

[…]

Una mano volò per l'ambiente della cella, andando subito dopo a posarsi con poca grazia dietro un collo muscoloso e rigido dalla tensione.

Un suono secco, identico a quello di una sberla su di una guancia, si propagò per il seminterrato di modeste dimensioni della centrale di polizia senza essere accolto con interesse dai presenti.

“Maledizione... Stupide zanzare!”

mugugnando irritato per una strana sensazione alla base del collo, Grimmjow Jaggerjack si mosse annoiato sulla brandina su cui era sdraiato massaggiandosi la nuca appena colpita.

Di fronte a lui intanto, un Ichigo seduto in modo annoiato sulla propria branda lo scrutò con una punta di rimprovero.

“Non è stagione di zanzare questa, Grimmjow”

Sospirando annoiato, il giovane universitario dalla chioma ramata si portò ambo le mani dietro la testa appoggiandosi alle sbarre che componevano la spalliera della branda.

Una precisazione la sua, che portò l'amico a ringhiargli contro con fare indisponente.

“No guarda, è un brutto presentimento che ho... Ma perchè non ti fai un po' i cazzi tuoi, eh Kurosaki?!”

la rispostaccia arrogante e sprezzante del poliziotto semi sdraiato, venne accolta con un gesto annoiato della mano di Ichigo che altro non volle aggiungere. Roteando gli occhi come se avesse di fronte una causa persa, tornandosene a contare le pecore in silenzio come stava facendo il suo vecchio dall'altra parte della sua cella.

Ad ogni modo, nell'ironia velenosa di Grimmjow c'era una punta non troppo velata di verità.

Nella sua battuta atta a mettere a tacere un pedante vicino di cella, c'era la verità di una sensazione che da più di una settimana si portava dietro. Cioè da quando - dal suo primo giorno di prigione - sua moglie Orihime lo avesse scorto per la prima volta con occhi diversi. Come se la cosa tra loro due fosse ormai perduta per sempre.

Quello che lo aveva colpito dietro il collo, non era il prurito di una puntura, quanto il brivido di una sensazione che non gli piaceva neanche un po'.

Scosso e quasi innervosito con se stesso per quella piccola paura che lo aveva colto dal profondo, scosse la testa negando a se stesso quell'infausto pensiero.

Rannicchiandosi ancora di più su quelle lenzuola sgualcite, tornando pure lui al silenzioso gioco di contare le pecore e stemperando in tutti i modi il suo pensiero rivolto ad Inoue.

Perchè assieme, ancora una volta, avrebbero superato anche quell'ostacolo.

v.m 18, fanfiction, bleach

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