Nei miei tuoi stessi occhi stanchi [and London burn]
Apr 10, 2012 23:15
Commentus rapido [che lo schema non lo farò proprio] Titolo da "Londra brucia" dei Negramaro, perchè la Danna aveva richiesto qualcosa sul tema a Natale. Ci ho messo un po', però... Si parla di bombardamenti londinesi, perchè sono una vecchia becera monotematica e non ho un briciolo di fantasia. Che non s'era notato? XD
Nei miei tuoi stessi occhi stanchi [and London burn]
Se l’incendio che divampa dal palazzo di fronte non le avesse completamente prosciugate, insieme alla buona dose di liquidi stipati nelle cellule della sua pelle e a una serie infinite di secchi stracolmi che mani tremanti si passano senza tregua, Inghilterra ha la certezza che starebbe piangendo lacrime assai amare.
Invece resta lì, le ginocchia infossate in un manto di polvere e detriti delle più disparate forme e dimensioni, e guarda la sua città che brucia, urla e collassa su sé stessa. Guarda le donne che corrono per le strade trascinandosi dietro bambini spaventati. Guarda gli anziani che strascicano i loro corpi raggrinziti e stanchi verso dove c’è più bisogno. Guarda la sua gente che cerca ancora la forza per rialzarsi, ricominciare ed andare avanti e capisce, sa che non ce la farà. Dove diamine la può trovare, una simile energia? Ha già rivoltato ogni anfratto, ha già cercato ovunque, ha smosso ogni sasso e anima su cui potesse far presa, ed è talmente spossato che non riesce nemmeno a tirarsi propriamente in ginocchio.
Ondeggia, sfibrato, cercando di non cadere lungo e disteso, perché sarebbe davvero troppo, troppo, e smette di ascoltare, di sentire, di vedere. Lascia che il silenzio del nulla lo inglobi piano, senza fretta, accogliendo il sapore della sconfitta.
Almeno finchè nella sua visuale opaca e sgranata non entra un sasso, sformato, in fase di sbriciolamento, da cui spunta addirittura una scheggia di vetro -o di metallo, non sa dirlo.
-Dove lo metto questo? - si lamenta una voce ben nota. Rotta, spezzata, acuta, la sua.
Inghilterra alza la testa, si scrolla della polvere dal viso e dai capelli, e fissa perplesso il volto incerottato di Francia, un braccio bendato appeso al collo, l’altro teso verso di lui, le dita graffiate e sbucciate strette attorno a quel poco di terra compressa. Ci sono circa un centinaio di cose che vorrebbe rispondergli, ma non riesce a dirne nemmeno una; e Francis prosegue, probabilmente nemmeno attento alle sue reazioni.
-Guarda te che disastro… e tu stai pure lì imbambolato! Tutta questa roba da sistemare e riparare! Vuoi darti una mossa? Non posso mica pensarci io!-
Eh no, non può pensarci lui, perché lui deve già pensare a ritornare a casa, a rimetterla insieme, a soffiare un po’ di vita in quei maledetti polmoni stanchi, a stare in piedi da solo e a non dover sempre cercare le sue spalle, che America già sfotte e lo sguardo di Canada vale più di trenta coltellate. Non può pensarci Francia perché Francia ha già perso tutto e non può permettersi di perdere anche lui, quindi deve alzarsi e rimboccarsi le maniche, prima si libera della rana, dei crucchi e dei cosacchi meglio è per il suo stomaco.
-Taci, vecchia ciabatta, e togliti dai piedi. Ho una guerra da vincere-
Inghilterra allunga un braccio, stringe la mano attorno a quel semplice sasso e alle dita di Francia inglobandoli in una stretta salda e sicura, punta i piedi nella polvere e si solleva in un unico, fluido movimento. Francis aspetta, controbilanciando la spinta fino a frapporre la spalla alla sua, e poi lascia andare il masso per rassettargli, come può, la divisa inzaccherata.
-Allora sarà meglio se ti sbrighi, teppistello. Non ho intenzione di aspettarti-
E Inghilterra sorride, un’ombra che scivola sulle labbra e che si riflette in due occhi che ancora non hanno perso la fiducia, e si affretta verso il crocchio di folla più vicino, pronto a dare una mano. C’è così tanto da fare, e poco tempo per farlo, e pensare non è nemmeno un’opzione. Francia sospira, massaggiandosi piano la spalla, e si avvia lemme a seguirlo.
Grazie. Non c’è di che, forse te lo dovevo. Forse, rana, forse.