Titolo: It takes one to know me, and I guess you are the one (C'è un amore che mi ha chiesto un dolore uguale al mio; a un amore così intero non vorrei mai dire addio)
Fandom: RPF Azzurri
Personaggi/Pairing: Riccardo Montolivo/Giampaolo Pazzini/Daniele De Rossi, Alberto Gilardino, menzioni di Gilardino/Stevan Jovetic e Montolivo/Cristina De Pin
Rating: PG14
Conteggio Parole: 4147 (OOo)
Prompt: Segreti @
bingo_italia [
cartellina]
Avvertimenti: slash, fangirling, threesome sentimentale, menzioni di het, Daniele De Rossi che è l'uomo perfetto (._.)
Note: Il titolo è rubato a Johnny Cash (~ It takes one to know me); il sottotitolo e le citazioni al principio della fic le ho prese, invece, da Cristiano & Fabrizio de André (~ Cose che dimentico, che è una delle, boh, canzoni più belle di sempre).
- Salve a tutti and please meet my OT4! Tutto questo accade durante il ritiro pre-Mondiale, quando gli Azzurri sono a Cortina e non hanno di meglio da fare se non andare in giro in appuntamenti a quattro e farsi fotografare. Sinceramente penso che riutilizzerò questa traccia, "i quattro dell'Apocalisse in giro per Cortina", possibilmente in universi non introspettivi quanto la storia che vi preparate a sciropparvi. Perché, sì, è molto introspettiva. Eh, lo so! Non la volevo scrivere neppure io *ride*, ma ho pensato che prima o poi l'avrei dovuto scrivere, qualcosa di semiserio, quindi togliamoci il dente, no? Sono palesemente una capra.
- Ci ho pensato a lungo, e alla fine, anche se non sono sicura incontri pienamente i suoi gusti (c'è Derossolivo, nomino Cristina, è una storia a tratti così tanto innamorata di DDR che me ne vergogno), penso che valga la pena di dedicare questa cosa alla
chia25 , per tutta una serie di ragioni, che vanno innanzitutto dal bene dell'anima che le voglio al fatto che c'è la Viola e tutti i suoi giocatori - presenti, passati e futuri - le appartengono al fatto, ancora, che l'ho scritta basilarmente pensando a lei, anche se poi è diventata tutt'altro dalla Pazzolivo fluffosa che avrei voluto regalarle. Quindi, nulla; tesoro, (purtroppo) è tua :*
Disclaimer: Non mi appartiene nulla; è tutta fantasia; nessuno mi paga un centesimo, e vorrei ben vedere.
~ It takes one to know me,
and I guess you are the one.
C'è un amore che mi ha chiesto un dolore uguale al mio;
a un amore così intero non vorrei mai dire addio.
C'è un amore nella sabbia,
un amore che vorrei,
un amore che non cerco
perché poi lo perderei.
C'è un amore alla finestra,
tra le stelle e il marciapiede:
non è in cerca di promesse
e ti dà quello che chiede.
C'è un amore che si incendia
quando appena lo conosci,
un'identica fortuna
da gridare a due voci.
Cristiano & Fabrizio De André - Cose che dimentico
«Usciamo,» si è detto, perciò si esce.
L’idea è stata di Giampaolo, naturalmente, perché tutte le idee potenzialmente disastrose sono sempre di Giampaolo: ha cominciato a lagnarsi durante l’allenamento mattutino che la clausura del ritiro è veramente esagerata, che non è che uno arriva a Cortina e si rassegna di vedere giusto le quattro pareti della sua stanza e quel poco di campo in cui si spezza le ossa. Ha detto che di questo passo sarebbe impazzito nel giro di un paio di giorni, che avrebbe potuto diventare violento o, peggio, trasformarsi in un Lippi in miniatura, ed è stato a quel punto che vi ha avuti in pugno, perché Alberto si è arreso e ha tirato su le mani, quasi annuendo, e quando si arrende Alberto è veramente finita.
Perciò, si esce.
Non fa neppure tanto caldo perché il sole, da queste parti, non arriva mai come dovrebbe, dunque ti costringi a riesumare dalla valigia una giacca a vento, o meglio, un affare che sembra una giacca a vento e speri sia termicamente isolato come una giacca a vento, ma che, ad ogni modo, non sei proprio sicuro che sia una giacca a vento. Giampaolo è tutto contento e quasi fischietta mentre va incontro a Daniele e Alberto, che vi aspettano oltre le porte a vetri dell’albergo.
Dunque, si esce davvero.
«Ehi,» saluta Daniele, e intuisci, più che vederlo, il suo sorriso, in mezzo a tutta quella barba. Gli fai un cenno col capo e speri non s’incazzi, ma stai morendo d’imbarazzo e ci vorrà un po’ prima che tu sia in grado di spiccicare parola; Giampaolo, al contrario, si fa avanti con tutta la sicurezza del mondo: saluta Alberto con un abbraccio veloce, come se non si fossero visti cinque minuti fa in corridoio, e poi assesta a Daniele un’amichevole pugno sul braccio, che fa un tonfo sordo e comico scontrandosi contro il suo cappotto imbottito. Ridono tutti e due, le teste vicine, come amici di vecchia data, e ti si stringe il cuore.
«Dove stiamo andando?» chiede Alberto, dopo un po’ che camminate per le strade strette di Cortina, Giampaolo e Daniele davanti, le spalle che si toccano di tanto in tanto e una conversazione piuttosto appassionata sul cinema muto in cui tu di tanto in tanto t’inserisci, un po’ pigramente, e Alberto che cammina un paio di passi dietro di voi, guardandosi attorno, distrattamente, le mani nelle tasche e l’espressione un po’ più imbronciata del solito.
Giampaolo si volta a guardarlo e sogghigna; rallenta il passo, quasi si ferma, in modo da affiancarlo e potergli piazzare un braccio attorno alle spalle, così tu rimani accanto a Daniele, e sorridi quando Alberto scocca a Giampaolo un’occhiataccia di cui lui non si cura.
«Da nessuna parte, Albi,» dice, solennemente, e sei piuttosto sicuro che gli abbia dato un paio di schiaffi sulla nuca, giusto per essere sicuro di avere la sua attenzione. «Quindi, piantala di fare il difficile e goditi la passeggiata. Anche voi,» continua, voltandosi a guardare te e Daniele, che è così vicino che senti il suo odore buono e un po’ dolce. «Non vi fermate come le palle che siete in mezzo alla strada, che la gente deve passare.» Accenna vagamente ai passanti che vi camminano attorno, e tu soltanto così te ne accorgi: come se finora fossi stato terribilmente miope e Giampaolo ti avesse messo un paio d’occhiali sul naso, vedi che tutti deviano un po’ il loro percorso per potervi passare accanto, per potervi circumnavigare senza avvicinarsi troppo, senza disturbare, e vedi pure che non c’è nessuno che non vi abbia guardato almeno per un attimo, chi sorridendo con una specie d’orgoglio, chi diventando subito dopo viola d’imbarazzo e chi con un’espressione incerta e un po’ incredula.
«Va bene, va bene,» ridacchia Daniele, e ti guarda con un sorriso che proprio non riesci a non ricambiare.
«Andiamo,» annuisci, voltandoti e riprendendo a camminare in una direzione a caso. Daniele si adegua subito al tuo passo, senti Giampaolo torturare Alberto con uno dei suoi discorsi senza né capo né coda ed è divertente il modo in cui i proprietari dei negozietti si affacciano dalle vetrine oppure si buttano meno discretamente in strada, giusto per dare un’occhiata.
«Non capisco come mai non ci abbiano già assaliti,» commenta Daniele, sottovoce, e poi lo vedi sorridere distrattamente ad una signora che si è fermata un passo alla sua sinistra e lo fissava come se avesse visto Gesù Cristo scendere dalla croce e offrirle un tè coi biscotti. «Non che mi dispiaccia, anzi, però è insolito.»
«Credo che Lippi li abbia minacciati di non convocare i loro figli in Nazionale se ci avessero dato fastidio,» dici, e Daniele ride e Giampaolo, dietro di voi, si lamenta ad alta voce, perché dice di voler ridere pure lui. «Non è niente,» lo rabbonisci, con un sorrisetto che gli fa sollevare entrambe le sopracciglia. «Poi ti dico.»
Giampaolo ti scruta ancora un po’ e poi fa un ghigno obliquo prima di voltarsi ancora verso Alberto.
«Vedi, Albi,» dice, con aria da gran cospiratore ma la voce alta abbastanza da farsi sentire anche da te. «È così che si comincia, con i ‘non è niente’ e i ‘poi ti dico’. E alla fine ti ritrovi il divano foderato con una tremenda copertura a righe verdi e rosa.» Gli lanci un’occhiata oltraggiata al di sopra della spalla, adori quel copridivano, e lui ti fa un occhiolino rapidissimo prima di tornare a guardare Alberto. «Perciò fai attenzione se pure Stevan comincia a minimizzare così, va bene? Ascolta i saggi consigli di uno che c’è già passato.»
Alberto diventa di una molto intensa sfumatura di rosso porpora e, completamente in panne per l’imbarazzo e il cieco furore, gli tira un pugno nel fianco. Daniele scoppia a ridere, tu scoppi a ridere, Giampaolo, invece, si lamenta un po’ per il cazzotto ma decide di tener su la recita.
«Guarda che sono serio,» insiste, annuendo con aria grave, e Alberto avvampa ancora. «È veramente ora che cominci a preoccuparti di certe cose.»
«Taci,» ringhia Alberto, minacciandolo ancora con il pugno e tu, anche se stai ancora ridendo, sei un po’ preoccupato perché, di questo passo, finirà per azzannargli un orecchio. Anche Giampaolo deve essersi accorto del pericoloso lampeggiare di rabbia negli occhi di Alberto, però, perché finalmente ride anche lui e china il capo.
«Vabbè, come non detto,» si arrende, e sai che si sta mordendo la lingua per costringersi a non tirare ancora la corda. «Godiamoci il panorama.»
E ve lo godete davvero, il panorama di viuzze striminzite e basoli annegati nell’asfalto. Tra i palazzi s’intravede, di tanto in tanto, persino il cielo, ancora azzurro, nonostante la maggior parte dei negozi abbia già acceso le luci nelle vetrine, e a un certo punto, in mezzo al chiacchiericcio piacevole di Giampaolo, i brevissimi grugniti di Alberto e Daniele che canticchia felice al tuo fianco, ti accorgi che sta per venire a piovere: da dietro un camino sbuca un nuvolone scurissimo che vi viene incontro veloce, e allora ti aggrappi al polso di Daniele e glielo indichi con un cenno del mento. Lui s’acciglia.
«Oh che palle,» brontola, e ridi quando ti volti verso Giampaolo e Alberto:
«Piove,» dici, e subito entrambi si concentrano su di te. Beh, Giampaolo più in fretta. «Ci andiamo a chiudere in un bar?»
«Purché non lo scelga tu,» replica Alberto, con un’alzata di spalle, e Giampaolo sghignazza quando tu gli fai una linguaccia. Prendi Daniele sottobraccio, chissà da dove hai tirato fuori tutta questa spina dorsale, e te lo trascini dietro accelerando: lui ride e asseconda la tua corsa, poi comincia a piovere, pian piano diventa un diluvio, e in qualche modo confuso vi ritrovate con la schiena appiccicata ad un portone che a stento vi copre tutti e quattro.
Hai Daniele a destra e dall’altro lato Giampaolo, oltre a lui Alberto, e anche se vi guadagnate da vivere trebbiando chilometri d’erba avete tutti il fiato grosso, forse perché non siete abituati a correre e tentare di mantenervi in equilibrio sulle pietre scivolose della strada e ridere e insieme a tutto questo anche cercare un riparo qualsiasi. Giampaolo addirittura si piega sulle ginocchia, fa fatica a calmare un accesso di risatine che finisce per contagiare di nuovo anche te e poi Daniele. Solo Alberto si ricompone in tempi umani, e lo guardate scrutare accigliato il cielo ora di piombo.
«Dai, Gila, è solo un po’ di pioggia,» lo riprende Daniele, sfilandosi quella specie di cappello che si porta in giro dal primo giorno di ritiro e strizzandolo un po’ per asciugarlo. Alberto non dà segno di averlo sentito e Giampaolo sbuffa ancora una mezza risata divertita.
«Lascialo perdere, mi sa che non gli dovevo nominare Stevan,» dice, raddrizzandosi ancora, e quando si volta a guardare Daniele in realtà vede te, e sorride. «Ciao, Ricky,» mormora, sollevando una mano per accarezzarti una guancia, e tu quasi chiudi gli occhi e ti rilassi. La pioggia che cade sulla corta tettoia d’alluminio in cima al portone fa il rumore di una cascata sbattuta sul tettuccio di una macchina, e ti sembra che, tra il rumore e il tocco gentile di Giampaolo, il mondo sia un posto pieno di cose belle e nessuna ingiustizia.
La sensazione di pace dura pochissimo, però, perché poi Giampaolo si sporge a baciarti - veramente voleva solo raccogliere una goccia d’acqua che ti rotolava sulla guancia, ma all’ultimo momento quella ha cambiato strada e s’è avvicinata all’angolo delle tue labbra, - e smetti proprio di esistere in questo mondo. Sospiri, quando si allontana un pochino, e aprendo un po’ gli occhi la prima cosa che vedi è il suo sorriso compiaciuto, tutto per te.
«Ciao,» sbuffi, imbarazzato, e lui ride - di te, con te, - baciandoti ancora, stavolta davvero sulla guancia e con uno schiocco che avranno sentito fino a Firenze. Prova anche a scompigliarti i capelli ma lo schivi con grande talento, sbattendo piano contro la spalla di Daniele. Ti volti a guardarlo, Daniele, e vedi che ti sta sorridendo con tenerezza: fa un male cane, se ci pensi, e fa ancora più male pensare che non sarebbe neppure necessario essere te per cogliere ogni singola sfumatura del suo sorriso.
Basta passarvi davanti, a tutti e quattro, per capire.
Magari te e Giampaolo no, non vi si riesce a spiegare solo guardandovi, ma è perché siete un enigma su gambe anche per chi vi conosce, persino per voi stessi; di certo, però, non ci vuol nulla per intuire la complicità, la simbiosi, la dipendenza tra di voi, tant’è che Pazzolivo è nato da sé, e magari sarebbe una cosa ridicola, se non fosse così vera. Pazzolivo. Tu e Giampaolo, semplicemente, separati non esistete, e questo si capisce, a guardarvi: lui è come nato per starti vicino - fisicamente, soprattutto, e poi per essere il primo tra le tue chiamate rapide, il compagno di stanza per eccellenza, l’unico numero civico che tu abbia mai imparato a memoria. Non è una cosa strettamente definibile, Pazzolivo, perché Giampaolo è il tuo migliore amico ma lo ami come si ama il grande amore ma lo ami di un amore naturale e ovvio, un po’ come se stessi amando te stesso, perché sai di averlo sotto la pelle e dentro le ossa, sai che è quello il suo posto, e allora non ti fa male saperlo lontano perché non è mai lontano davvero - però senti la sua mancanza, quella sì, senti la mancanza delle sue mani e della sua bocca, spesso, e non capisci, non ha senso, ma è Pazzolivo, è Giampaolo, è il bisogno che hai di trovare te stesso sul suo corpo che è come fosse tuo, quindi va bene. Osservarvi, te e Giampaolo, basta a capire - a vedere, a leggere i suoi sorrisi e il modo imbarazzato con cui cerchi i suoi occhi.
Però basta guardare Alberto che fissa il vuoto e glielo si legge in faccia che, per quel che lo riguarda, potrebbe anche stare attraversando a nuoto il Pacifico: lui non è mai veramente dov’è, ma sta sempre, sempre seguendo Stevan, fosse anche solo con una briciola di sé. Alberto non ha mai la testa inchiodata alle spalle, dove dovrebbe essere, ma la lascia dovunque abbia lasciato Stevan, basta guardarlo. Alberto che non sorride mai, perché la sua testa funziona così, lui non sorride; però sorride, se pensa che Stevan, nei suoi panni, sorriderebbe. Alberto non è per niente un mistero, non lo è mai stato - non gli interessa, è contento, è tranquillo così.
E poi Daniele. Daniele che lo guardi ed è ovvio, è proprio ovvio che è innamorato di te: non è niente di sorprendente, per carità, innamorarsi di te è facile come versarsi addosso un bicchiere d’acqua. A tutti quanti, prima o poi, capita - è un dato di fatto, è parte del modo in cui stai al mondo: c’è la gente che ha sempre la battuta pronta, c’è quello che sa fare i giochi di prestigio, c’è Alberto che è fatto per stringersi contro Stevan e poi ci sei tu, Riccardo, quello di cui tutti quanti, chi più e chi meno, prima o poi, si innamorano. Non è neppure colpa tua, non è che fai chissà cosa per rubare cuori in giro; è iniziata alle elementari, ricordi, quando ogni giorno regalavi metà della tua merenda alla ragazzina più carina della classe, quella che anche i bambini più grandi corteggiavano e che non aveva nessuna amica per via dei suoi enormi occhi verdi e delle maestre che l’adoravano. E non è mai migliorato niente, neppure alle medie, quando l’acne ti si mangiava vivo e la pubertà ti aveva allungato braccia e gambe a dismisura, o al liceo, quando t’interessava solo studiare e tira calci al pallone, o dopo, o adesso, che di te s’è innamorata una città intera. E, certo, magari c’è chi t’invidia, ma pure le malelingue, prima o poi, finiscono intrappolate dallo stesso odio che sbandierano in giro e s’innamorano, perché di te s’innamorano tutti, tutti quanti.
Quindi non è strano e non è insolito che anche Daniele sia innamorato di te, e che si capisca solo a guardarlo. Quello che non si può intendere, quello che non sai neppure tu, è che non è solo per via del fatto che di te s’innamorano tutti; Daniele, infatti, ci ha messo del suo, perché a lui, ecco, piace la sensazione di essere innamorato. Gli piace sentire lo stomaco fare l’acrobata, gli piace andare in panico ed emozionarsi come neppure un quattordicenne alle prese col suo primo film porno; gli piace arrossire e rendersi ridicolo, gli piace. Ci sono persone che amano l’alcol, persone che si divertono terribilmente a saltare giù dai ponti appese ad una corda elastica, e a Daniele, oltre che correre dietro ad una palla per chilometri e chilometri, piace essere innamorato - e si è riscoperto innamorato di te, innamorato perso, innamorato nel senso che riesce a malapena a staccarti gli occhi di dosso per seguire i movimenti degli altri ragazzi, in campo, e basta guardarlo.
Daniele è innamorato di te. Basta guardarlo e si vede, nel suo sorriso dolcissimo, l’amarezza di sapere che nel sangue hai Giampaolo - ma non è soltanto questo, infatti tu, dal canto tuo, di Daniele sei innamorato. Basta guardarlo, piuttosto, e si vede che vorrebbe soltanto che le cose potessero essere semplici - d’altra parte, Daniele è innamorato di te e tu sei innamorato di Daniele. Sposatevi e vivete per sempre felici, sarebbe semplice, come no, lineare come una passeggiata sui ponti di Königsberg.
Un’altra cosa che non sai è che Daniele è preoccupato dal fatto che tu sia innamorato di lui: nessuno, a memoria d’uomo, nessuno s’innamora mai di Daniele. Daniele è troppo musone, troppo serio, troppo onesto, troppo irreprensibile e integerrimo, ecco, perché qualcuno possa innamorarsi di lui. È un santo, un supereroe senza macchia e senza paura, e certi personaggi sono belli solo nei fumetti, d’accordo? Vanno bene finché rimangono bidimensionali, fatti di poco più che carta e inchiostro, ma uno scontro diretto con uno così, con uno di quelli che non hanno mai fatto neanche un singolo sgarro nella propria esistenza, Dio, no, non si regge. Nella vita reale, nessuno s’innamora di Topolino. Nella vita reale, Topolino è il sapientino che, con quella sua santità intoccabile, sta sulle balle un po’ a tutti, non importa quante volte salvi la città dall’annichilimento, e Daniele è un po’ così, quel pilastro incorruttibile e pieno di barba piantato nel centrocampo di una squadra di lupi affamati.
Senza considerare, poi, che a lui la vita l’ha sempre preso grandiosamente per il culo - questo lo sai, perché questo sì che lo si capisce guardandolo. Capitano Futuro, dai, uno come lui, che si spacca la schiena anche solo per cucinare una frittata e si aspetta niente di meno del risultato migliore. Che senso dell’umorismo del cazzo. Chi è che s’innamora di uno che è tutta la vita che si sente ripetere “forse”, “un giorno”, “abbi pazienza”, “non ancora, ma quasi”?
Tu, naturalmente. E non rendi niente più facile, proprio niente, tu e il fatto che non capisci te stesso e Giampaolo ma sai di essere innamorato di Daniele. Non rendi niente più facile, quando perdi un battito per la tristezza di Daniele e vorresti abbracciarlo, ma hai sui fianchi le mani di Giampaolo e non vuoi veramente allontanarlo. Non rendi niente più facile se pensi che di Daniele sei innamorato, di Daniele vuoi essere innamorato, di Daniele sei felice di essere innamorato perché Daniele è meraviglioso. Non ti spaventa il fatto che sia irreprensibile, che il modo in cui ti ama andrebbe messo sotto vetro e mostrato al mondo perché è esemplare, è una favola, è tutto quello che un amore dovrebbe essere.
Non rendi niente più facile se pensi che Daniele non pretende nulla - vuole, naturalmente, glielo leggi negli occhi, ma aspetta, Daniele ti aspetta, e non aspetta neppure mettendoti addosso l’ansia, non ti tartassa, come magari dovrebbe, non ti assilla, non ti danna l’anima perché vuole una risposta: Daniele si piazza lì, ai margini del tuo mondo, e aspetta che tu sia un po’ libero per lui. Aspetta che tu abbia bisogno di lui. Aspetta, e neppure quando scappi tra le sue braccia - tutte le volte in cui Giampaolo è troppo lontano, troppo impegnato, troppo Giampaolo - ti fa pesare l’attesa che riempie le sue giornate. Che tu hai Cristina, tu hai Giampaolo, e lui ha soltanto una casa vuota, una ex-moglie con cui non vuole più avere niente a che fare e una figlia che, invece, non vede mai abbastanza.
Daniele, semplicemente, vuole esserci. È un uomo talmente perfetto che vuole solo poterti stare vicino mentre trasporti in giro il peso della tua vita. È un uomo talmente perfetto che gli basta una telefonata ogni tanto - e non lo sai, non lo immagini, ma ci sono dei giorni in cui col cazzo che gli basta; sono quei giorni in cui lo chiami e non risponde: sono quei giorni in cui, se ti vedesse, ti rapirebbe e ti chiuderebbe in casa propria, sono quei giorni in cui non ce la fa a sopportare il pensiero di non averti tutto, sono quei giorni in cui compra un biglietto del treno per Firenze e poi, alla sera, lo infila in un portacarte in cucina. Sono quei giorni in cui, se lo vedessi, se tu potessi capirlo, probabilmente cominceresti ad odiarti, ma tu non lo sai. Per te Daniele è al di sopra di qualsiasi definizione di grandiosità, e così dev’essere - e, d’altra parte, è proprio nascondendo con cura ogni debolezza sotto la sabbia che Daniele è riuscito a costruirsi l’armatura scintillante con cui va in giro.
Giampaolo, invece, se ci pensi, deve esserci. È necessario che ci sia, come ossigeno per una fiamma. Non saresti Riccardo, senza Giampaolo - e Giampaolo non sarebbe Giampaolo, senza Riccardo, - perciò siete inscindibili, come una persona sola, e necessariamente lo ami - necessariamente lo vuoi vicino, in qualsiasi modo. Giampaolo che ti offre tutti i suoi difetti - la sua testa calda, l’intermittenza d’attenzione, le battute da scaricatore di porto e i doppisensi, l’insonnia, - si prende i tuoi e te li rende meno pesanti: tu puoi solo sperare di riuscire a fare lo stesso per lui, ed è comunque impensabile l’idea di non vivere l’uno la vita dell’altro, fosse anche solo attraverso racconti abbozzati durante una telefonata notturna.
Giampaolo, se ci pensi, prende e dà senza chiedere, entra ed esce senza bussare, e, in un modo un po’ più educato, un po’ meno plateale, tu, con lui, fai lo stesso: è questa la familiarità che avete l’uno con l’altro - l’uno col corpo dell’altro, - e non ci rinunceresti mai, ma il suo affetto rumoroso e appassionato ti fa in qualche modo tremare di piacere al pensiero dei sorrisi gentili di Daniele, al pensiero delle sue carezze discrete e dei suoi baci quasi segreti. È più intimo, l’amore per Daniele, pensi; è più adolescente e luccicante, quello per Giampaolo, e non sei sicuro che uno dei due debba essere meno sincero - il che non aiuta, non aiuta per niente.
Non che pensi di poter essere in grado di rinunciare ad uno dei due, in ogni caso, perché hai bisogno di entrambi - di Giampaolo che vi trascina per Cortina e ti bacia davanti al mondo sotto la pioggia, e di Daniele che ti osserva con un sorriso spezzato e dolcissimo, tenendoti discretamente una mano alla base della schiena, come a cullarti, come a volerti proteggere senza dar nell’occhio.
Hai bisogno - sostanzialmente, tu sei uno che ha bisogno. Hai bisogno di tutto. Hai bisogno di un’amicizia mozzafiato che sconfini nell’amore da favola, quello in cui tutto è perfetto semplicemente perché sì, e per quello c’è Giampaolo; hai bisogno di dolcezza e attenzioni e di farti corteggiare, di nottate sotto una coperta sul divano a guardare film del cazzo e commentarli ridendo, e per quello c’è Daniele. Hai bisogno di normalità, di stabilità, di una routine di cui non vergognarti e di un sorriso materno, e hai Cristina. Hai bisogno di sudare, di spezzarti la schiena, di stare infinitamente male e bene insieme - hai bisogno di piangere e un minuto dopo ridere, e in ogni momento sentirti amato, e per questo hai la Fiorentina.
E Giampaolo e Daniele, di tutti quelli e tutte quelle che si sono innamorati di te, l’hanno capito davvero, com’è che sei fatto. Non si offendono, neppure se la prendono al pensiero che, così come hai bisogno di loro, hai bisogno pure degli sbuffi annoiati di Alberto, del suo broncio insofferente e del modo che ha di distrarsi ogni volta che vede qualcuno coi ricci. Hai bisogno anche della sua presenza, della sua vicinanza, di saperlo lì pronto a bocciare con un’occhiata indolente qualsiasi proposta di Giampaolo e poi seguirlo comunque, hai bisogno di vederlo guardar male Daniele tutto il tempo, e poi essere il primo a gettarglisi addosso quando si tratta di festeggiare qualcosa in campo.
Neppure ci pensi, la maggior parte del tempo, a quanto sei fortunato; perché se ci pensassi, se ci pensassi davvero, al peso di quello che significa, avere Giampaolo e Daniele e Alberto e tutto sommato essere Riccardo Montolivo, chissà se reggeresti. Chissà se riusciresti a sorridere, quando Giampaolo si sporge a baciarti e poi ti spinge nell’abbraccio di Daniele - dicendogli, con lo sguardo, senza che tu possa vederlo, “va bene così, se va bene per te,” - e ti scompiglia i capelli. Chissà se riusciresti a fargli una linguaccia, mentre Daniele ride proprio accanto al tuo orecchio - e guarda Giampaolo da sopra la tua spalla e il suo sorriso significa “va bene, per me,” e “mi dispiace”.
«Se avete finito,» brontola Alberto, e si affaccia appena oltre la schiena di Giampaolo per guardarti. «Ha anche smesso di piovere.»
«Magnifico!» salta su, subito, Giampaolo, e dopo un decimo di secondo è già a correre in mezzo alla strada, fregandosene del marciapiede bagnato e scivoloso e della gente che ricomincia a sbucare da tutte le parti. «Chi arriva ultimo in piazza paga da bere!»
Vi guardate, voi tre - Alberto ha sul viso quella che, nella sua generale inespressività, supponi possa essere catalogata come una smorfia molto perplessa; Daniele sembra colpito e divertito, potresti pensare che stia cominciando ad innamorarsi di Giampaolo ma è una cosa assurda anche solo da immaginare, e tu, dal canto tuo, fai fatica anche solo a dare un senso al colore del cielo.
Poi l’espressione di Alberto si frantuma in un ghigno e lui scatta in avanti; un secondo dopo Daniele lo segue, ridendo, e allora tu non hai motivo di rimanere inchiodato come un deficiente sotto un portone mentre loro sono così ansiosi di rompersi l’osso del collo, perciò gli stai già correndo dietro.