[RPS] Still Standing (J-Ax/Grido)

Jun 23, 2009 22:42

titolo Still Standing
beta namidayume *amore a secchiate*
fandom RPS
personaggi Grido, Irene Viboras, J-Ax, Thema, Strano nominée altri
pairing Ax/Grido e Grido/ragazze random, hints (Irene/)Grido/Irene, Thema/Strano, Ax/Lainie, altri
rating R
conteggio parole 5300 e spiccioli-spiccioli
note *ride e muore*
; Ce- ce l'ho fatta *_*". Alla fine, dopo tanto penare! XD Questo è il regalo di compleanno per sunset_noise! Finalmente, lo so. Spero tu gradisca, sis! L'amore Aleotticestoso mi parve l'unico modo di celebrare degnamente, ja. Buona lettura <3
; *ama il banner in maniera indecente*
; Il titolo è quello di una canzone dei The Rasmus (~ Still Standing).
; La canzone che vedete citata (un po' ad cazzum, lo riconosco) è È più forte di me, di Ligabue.
disclaimer Non mi appartengono, non esistono, ma tutto ciò non è mai accaduto, non ci guadagno.
~ I commenti sono l'amore. I lurker sono il male.



~ Still Standing.

Superata la soglia dei trent’anni suonati, Luca Aleotti, in arte Grido, conserva ben poche certezze - tra queste, la mamma, i barboni di cui si circonda e che ama chiamare amici, e che giocare a strip-poker ha un senso solo se in giro ci sono belle ragazze tettone pronte a denudarsi. E poi, il fatto che se Ale promette di chiamare entro una certa ora, sicuramente il telefono comincerà a suonare istericamente giusto un millesimo di secondo prima del momento stabilito.
E che se questo non succede, allora Ale sta facendo sesso.

Luca afferra il cellulare e no, nei quattro secondi che sono trascorsi dall’ultima volta che ha controllato, non ha ricevuto nessuna chiamata. Alessandro aveva detto ti chiamo alle undici, è mezzanotte meno un quarto, quindi qualcosa sta succedendo tra le coperte dell’Aleotti Maior, e, uhm, questo pensiero è abbastanza orribile e sconfortante.

È stupido, Luca lo sa perfettamente, essere gelosi di una moglie. Meglio ancora, è stato stupido, per prima cosa, innamorarsi di Ale, anzi: è stata davvero la cazzata peggiore che potesse combinare - e lui è uno che di cazzate, modestia a parte, se ne intende.

“Vabbè, vaffanculo,” borbotta, e con un colpo di reni si tira a sedere sul letto. Tutta questa atmosfera da Ciò che poteva essere gli sta davvero strappando di gola la voglia di vivere.

Getta via, nervosamente, il cellulare, e si mette a cercare le pantofole. Le inforca, poi si dirige in cucina, attento a non far troppo rumore perché ha già svegliato mamma nel cuore della notte un paio di volte, questa settimana, e d’accordo, lei ha una pazienza infinita, ma la vita gli ha insegnato che pure la corda più solida, a furia di tirare, finisce per spezzarsi. Dio, le metafore.

Il frigo è pieno di roba invitante, ma l’immagine mentale di Alessandro e Lainie che fanno porcate gli ha settato lo stomaco in modalità rigetto, perciò Luca opta per un (mica tanto) innocuo caffè con canna, e poi magari chiamare Thema, che tanto è sempre sveglio e pure se dorme non gli dispiace mai di essere invitato a qualche sessione di movida antidepressiva.

Il caffè è già pronto, ancora caldo nel thermos che mamma, infinitamente premurosa, lascia sempre in mezzo al tavolo, come un centrino di cattivo gusto e un po’ troppo regolare per essere stato ricamato a mano. Luca si riempie una tazza da cereali e, sbracato alla meno peggio su una sedia, sorseggia, contemplando Milano che è silenziosa e buia, al di là della porta finestra che dà sul balcone. Si stufa presto del panorama, però, e accende la tv. Abbassa il volume più che può e comincia a fare zapping senza neanche troppa convinzione - più che altro, spera di riuscire ad intercettare un porno o qualcosa di simile. Rimane a corto di fiato e preghiere di ringraziamento quando, tra una televendita di tappeti e l’ennesima replica di Nip/Tuck, riesce a beccare Fast and Furious.

Il film è quasi a metà del primo tempo, ma figurarsi se Luca perde tempo a disperarsi - tanto più che la saga è tra le sue preferite, e potrebbe citare ogni singola battuta a memoria.
Per un’oretta, rimane a guardare bolidi incredibili sfrecciare sulle statali americane a velocità ridicole, e la quantità di testosterone che ogni singola inquadratura degl’immensi bicipiti di Vin Diesel gli inietta in vena è tale che, quando partono i titoli di coda, Luca non riesce nemmeno più a richiamare il motivo per cui era così poco felice della vita, prima.

Il suo cervello, tanto gioiosamente affogato di ormoni maschili ed endorfine felici, glissa accuratamente l’argomento Alessandro, e l’unica cosa che Luca ricordi è che voleva chiamare Thema per farsi un giretto: per questa ragione ciabatta fino in camera e recupera il cellulare. Un paio di neuroni registrano la totale assenza di chiamate o messaggi, ma la notizia non risuona oltre e Luca, serenamente, digita il numero di Emanuele e poi aspetta.

“Ehi, bello, che succede?” risponde la voce inequivocabilmente ubriaca di Thema, “non dirmi che ti serve un passaggio a casa, perché non sono esattamente in condizione di venirti a prendere… ovunquetusia.”

A Luca sfugge un sorriso mentre aspetta che Thema smetta di ridere.

“In realtà, zio, volevo chiederti se ti andava di uscire e farci un giro! Ma mi sa che sono arrivato tardi.”
“Cazzo, sì, Luca, sono fuori da oggi alle sei, sai?”
“Buono a sapersi. Dove sei? Ti raggiungo.”

Thema ride di nuovo, stavolta suona perplesso.

“Cazzo, bimbo,” e Luca ha un brivido, perché, a parte qualche zia che non vede da decenni, ormai solo Alessandro e Thema ubriaco lo chiamano così, “non ne ho la più pallida idea.”
“Come non lo sai?!” insorge lui, scandalizzato, poi si ricorda che, okay, è di Ema fatto di alcool che stiamo parlando. “E chiedi a qualcuno, no?”
“Eh, buona idea, bello, buona idea. Aspetta, chiedo a questo bel culo qui che- oh, ciao, Strà, ci sei anche tu, che bello!”

Luca ridacchia, e sente la voce di Strano affermare che, beh, sì, è ovvio che ci sia anche lui, visto che sono arrivati insieme, lui e Thema.

“Dove?” domanda Ema.
“Dove cosa?”
“Dov’è che siamo arrivati, Fra? Voglio dire, dov’è che siamo? Questo posto…”
“Locale,” suggerisce Luca.
“Locale, grazie. Questo locale, dico, ha un nome?”
“Ma chi c’è a telefono?” chiede Strano, e Luca sorride del suo tono sospettoso.
“Luca, zio, è il piccolo Grido. Dai, digli dov’è che siamo così ci raggiunge.”

E questo punto Thema deve aver mollato il cellulare a Strano, perché è la sua voce che comunica a Luca il nome di un bar della Milano bene.

“Okay, arrivo. Certo che avete scelto un posto di merda, eh!”

Strano ride, suggerendo a Grido che preoccuparsi della street credibility a l’una e mezzo di notte, con dieci anni di carriera nel pop alle spalle, è abbastanza ridicolo. Grido gli ricorda che gli anni sono undici, e poi chiude la conversazione, quasi ridendo, e domandandosi cosa mai potrà indossare, stanotte, per portare un po’ di gioia alle ladies.

L'una e mezzo e non mi passa
l'una e mezzo e adesso esco
sono cotto catturato
sono come mi hai conciato

Luca lascia la macchina al centro direzionale e s’incammina a piedi: questa è la sua città, non è che abbia paura di scarpinare nel buio.
Pur essendo giugno inoltrato - ed è, davvero, il giugno più caldo che Luca ricordi di aver mai vissuto, - Milano di notte è avvolta da una simpatica cappa di gelo, - dov’è il riscaldamento globale, quando serve? - perciò il nostro eroe è parecchio contento di aver riesumato la giacca dei TRL Awards, tanto più che mamma l’ha lavata e quindi la signorina ha anche un buon odore.

Grido fa del proprio meglio per nascondere il viso dietro il colletto e sotto il cappello quando si trova a passare davanti ad un locale affollato: l’ultima cosa di cui ha bisogno è essere riconosciuto da fan urlanti a quest’ora della notte, davvero, come se i Carabinieri non avessero già abbastanza motivi per non amarlo.

Affretta il passo quando raggiunge il primo viale illuminato praticamente a giorno, e gli sfugge un sorriso quando arriva in vista di corso Como. Ora comincia la parte difficile della missione Raggiungiamo Thema e Strano, ovvero destreggiarsi in mezzo alla mostruosa folla di giovani truzzi e giovani fighette, evitando di farsi riconoscere e conseguentemente linciare dai cacciatori di souvenir.

Grido raddrizza le spalle ed il cappellino, fa schioccare i tendini del collo e poi imbocca la strada.

Non appena la calda bolgia di corpi sudati e motori rombanti lo accoglie, - e, davvero, l’atmosfera generale è così tanto Fast and Furious che per un attimo Luca teme di stare sognando - si sente affogare: l’aria è rarefatta di profumi costosi ed esalazioni alcoliche, le chiacchiere futili e i tentativi di abbordaggio si fondono in un brusio terribilmente irritante e gli scoppi di risa di quelle che un giorno saranno Veline, Letterine o Cadavere Senza Nome di CSI urterebbero persino la pazienza del Dalai Lama.

Luca, però, si fa forza, e prosegue facendosi strada con spallate e strusciate laddove necessario.

Ovviamente attira su di sé gli sguardi di parecchia gente, ma è agile abbastanza da riuscire a sgusciare via prima che il suo faccino conosciuto lo tradisca. Un paio di ragazze gli danno l’assalto, quando lui è circa a metà strada, e davvero, come si fa a resistere a tre paia di tette sode e dorate, a stento nascoste da un accenno di magliettina?

No, si impone Luca, quando la sua mano sinistra - furba bastarda! - sta già strisciando sui fianchi della ragazza più vicina. No, bisogna raggiungere Thema e Strano.
E si costringe ad allontanarsi dal trio di sirene, che mugolano, insoddisfatte, nonostante non l’abbiano riconosciuto, prima di gettarsi alla ricerca della prossima vittima.

Mentre si fa spazio tra una Kawasaki ed un’Escalade - ma certi mostri possono davvero girare per il centro di Milano? - per raggiungere l’ingresso del locale dove - teoricamente - i suoi due compagni di band lo stanno attendendo, Luca sente una tasca della giacca che comincia a vibrare insistentemente.

Senza pensarci troppo, ne tira fuori il cellulare e - meraviglia delle meraviglie! Alessandro lo sta chiamando. Questo lo riporta a nemmeno due ore fa, quando attendeva, senza speranza di vedere soddisfatto il proprio bisogno, una chiamata del fratellone.

Luca s’acciglia e poi, seccato, scaraventa il pollice destro sul pulsante d’accensione. Il cellulare smette di vibrare ed essere luminoso un minuto dopo, e lui, soddisfatto, si avvicina al buttafuori.

l'una e mezzo ed è un tormento
sei là fuori e sei qui dentro
sei dovunque sei comunque al centro

Dentro il locale non si sta affatto meglio che in mezzo alla strada, anzi. La cosa positiva, però, è che il locale prevede un servizio di ristorazione che invece, fuori, hai voglia a sognartelo, perciò Luca sospira, e si rassegna a trascorrere quel che resta della serata come un tamarro milanese qualsiasi.

“Ehi, bimbo!” lo saluta Thema, piombandogli sulle spalle con un Martini in una mano e un Alexander nell’altra. “Ce l’hai fatta, finalmente. Dai, ti procuro un po’ di compagnia, aspetta.”

Grido si volta e sorride innocentemente alla biondona che sta tallonando Ema.

“Mi raccomando, che sia buona quanto la tua, eh.”
“Bimbo, spiegami, quando mai ti ho passato i miei scarti?”

Luca potrebbe citare, così, su due piedi, perlomeno cinquantasei occasioni, negli ultimi tre mesi, in cui Emanuele Busnaghi ha cercato di appioppargli qualche sua ex, ma non è esattamente il momento per sollevare la questione: all’orizzonte è comparso Strano, non ha una faccia serena, Grido suppone di sapere perché, e chissà come mai gli nasce un improvviso bisogno di farsi una grassa risata.

“Ciao, Luca,” lo saluta Francesco, e correda le parole con un abbraccio fracassa-costole.
“Ciao, bello, come butta?”
“Ti ho preso un Black Russian.”
“Ehi, zio, grazie!”

Luca accetta con gioia il drink e con un sorso ne scola metà: non è che abbia voglia di ubriacarsi, eh.
Strano lo fissa, evidentemente perplesso - quel sopracciglio sollevato fino a livelli inumani non può voler dire altro.

“Che c’è?”
“Niente, siamo di buon umore, eh?”
Luca scuote le spalle.
“Buono o cattivo che sia, qualunque umore è ideale per un’ubriacatura da record.”
“Oh, aspetta,” ride Strano, “fammi prendere appunti, questa la faccio incidere sulla mia lapide.”

Luca gli concede un sorriso smagliante e svuota il bicchiere, poi si guarda attorno per individuare con esattezza l’angolo bar.

“È al piano di sopra,” rivela la biondona che, si accorge Luca, è rimasta lì accanto a lui per tutto il tempo. “Se vuoi, ti accompagno.”
“Uh, magari aspettiamo che torni Thema e…”
“Thema vado a cercarlo io,” interviene Strano, “poi ci vediamo tutti al bar.”

Luca valuta la situazione: la bionda è bella, sorride, e il suo scopo è inequivocabilmente quello di farsi il numero maggiore di Gemelli DiVersi nel minor tempo possibile.

“Okay, andiamo,” conclude in fretta Grido, e porge un braccio alla ragazza perché lo scorti a fare incetta di alcolici.

è più forte di me questo gioco d'amore
si può solo guardare come va a finire
è più forte di me questo gioco d'amore
questa gabbia di nervi e gusto e buon odore

Alessandro, che, in mutande sul balcone, si gode la frescura notturna e le gioie di una canna con brandy, si domanda perché mai quel (bellissimo) deficiente di suo fratello abbia spento il cellulare. Avevano programmato un appuntamento di sesso telefonico, per stanotte, quindi per quale Cristo di motivo imperscrutabile l’utente da lei chiamato non è al momento raggiungibile, la preghiamo di riprovare più tardi?

D’accordo, forse è un poco in ritardo sulla tabella di marcia - e di questo Ale si duole immensamente, ma Gesù, è una settimana che fa la trottola su e giù per l’Italia per la promozione di quel cazzo di nuovo album, firmando autografi ad un ritmo forsennato, neanche fosse un automa, perciò non è che sia esattamente degno di biasimo se, appena tornato a casa, dopo essersi sorbito la depressione di Space per tre interminabili ore, è crollato come una pera cotta sul letto ed è rimasto a dormire per tipo mezza giornata, - ma Luca non ha mai odiato aspettare, quindi non si spiega un bel nulla.

L’ipotesi più plausibile che Alessandro riesca a dipingere nella propria mente è che qualcosa di interessante - Irene, forse, o forse quel cazzone di Thema (e, quant’è vero Iddio, giungerà il giorno in cui Alessandro Aleotti, nonostante l’infinito bene che nutra per tutti gli amici suoi e di suo fratello, si macchierà del sangue di quella baldracca bionda) - abbia distratto Grido dai suoi, uhm, doveri di amante.

E no, sapere di esser stato messo da parte per una donna o per Thema non è esattamente un’idea confortante.

Alessandro sbuffa, il ritratto della frustrazione, e ingurgita un altro sorso di brandy.

Lainie è fuori, a casa di qualche amica a concertare chissà che gran piano di super-spie in gonnella, ed è davvero incredibilmente insopportabile essere depressi e non avere nessuno intorno.

quattro e mezzo e suda il vetro
cosa ci disegno sopra?

Il locale è, senza dubbio, parte del circolo della Milano-bene, e se non bastasse la clientela a testimoniarlo, beh, ci sono queste maniglie di ottone cesellato sulle porte del bagno che, davvero, non lasciano un gran margine di dubbio.

La bionda non perde tempo e si fa spingere sulla prima superficie orizzontale disponibile - il ripiano di marmo dei lavandini, per la cronaca. Grido affonda la testa tra i suoi capelli - boccoli al profumo di vaniglia, sembra passata una vita dall’ultima volta che ha annusato qualcosa di così femminile - e non è difficile farla gemere, con le donne non è mai difficile: gli basta intrufolare una mano sotto il vestito e cercare e stringere un seno, poi giocare distrattamente con l’orlo delle mutandine e, quando con un dito si fa spazio tra le sue cosce, probabilmente lei è già venuta un paio di volte.

“Oh, Luca, sì,” ansima la ragazza, e così, con le labbra lucide e le guance in fiamme, non è più una biondona figa, diventa quasi carina, nel senso più innocente del termine. E Grido le sorride.

“Allora mi avevi riconosciuto, lady,” sussurra, perché, d’accordo, non va a letto con una donna da un po’, ma certe attitudini, certi modi di fare sono ricamati nel suo DNA. Lei si lascia sfuggire una risatina e poi torna a sospirare contro la sua spalla.

Luca impiega un attimo a convincerla - con infinita galanteria, ovvero senza che lei si renda conto delle sue pressioni psicologiche - che ha avuto abbastanza orgasmi, per il momento, e che magari è il caso che si prenda cura di lui; inverte le loro posizioni e ora è lui che siede sul marmo, le gambe divaricate per permettere a lei di chinarsi anche abbastanza comodamente sulla chiusura dei suoi jeans.

La lady è una che ci sa fare, indubbiamente, e Grido si ritrova a sorriderle e carezzarle i capelli mentre la sua bocca è lì che succhia e stringe.

Lui getta indietro la testa, rapito dal ritmo, e appoggia la fronte allo specchio. È inquietante e simpatico guardare il tuo riflesso sottosopra mentre hai qualcuno che ti fa un pompino dentro il bagno di un localaccio milanese, - a proposito, uno di loro due è stato abbastanza intelligente da chiudere la porta oppure no? - e Grido ne sorride. Aveva bisogno di questo - di mettersi un po’ da parte, di concedersi una sveltina con una bella donna, di ansimare e appannare col fiato uno specchio senza necessariamente dover pensare.

“Lainie?”
Luca ha quasi un infarto quando riconosce la silhouette della cognata, appollaiata sulla spalliera di uno dei divanetti del locale. Lainie sobbalza e, per un attimo, gli fissa in viso due occhi da cerbiatta terrorizzata.

“Oh, Dio, Luca, sei tu, mi hai spaventata,” soffia, poi le sfugge una risata mentre si alza e va a salutare il giovanotto.
“Duh, scusami, non volevo,” mormora lui, quasi soffocato dal caloroso abbraccio in cui lei lo coinvolge.
“Come va?”
“Bah, bene. Sei con Ale?”
“Ale? No, in realtà sono con… uh, in effetti non so se vi-”
“Ehi, bambola,” si leva la voce - inconfondibile - di Irene Viboras, e Luca per un attimo s’acciglia - bambola? - poi le sorride - o meglio, sorride alla macchia scura immersa nella penombra che immagina sia Irene.
“Ciao, Eerie,” la saluta, si piega in avanti e viene presto accolto dalla stretta d’acciaio di Irene, che lo attrae giù sul divanetto, con buona pace della biondona amica di Thema.

In qualche modo - e no, non ci tiene a sapere i dettagli, e comunque non c’è niente di strano perché, andiamo, si tratta di Irene, - Grido si ritrova totalmente sdraiato, le gambe spalancate e Irene un po’ ovunque sopra di lui.

Com’è che finiamo sempre così, io e te?

Il ghigno con cui lei gli risponde è infinitamente più eccitante di qualunque paio di tette abbronzate che Luca abbia visto questa sera, e c’è qualcosa di malato, in questo. Ovviamente.

“È perché sei un pervertito,” osserva Irene, sedendosi a cavalcioni sulle sue cosce. Con la coda dell’occhio, Grido nota Lainie e la bionda che, immerse nella diabolica penombra del locale, stanno facendo amabilmente conversazione.

“Ehi, bambola, vedi di tenere a mente le tue priorità,” lo richiama, ancora, Irene, e se non lo bacia è solo perché Grido si scherma la bocca con il terzo Black Russian della serata.

“Scusa, dai, ma ero impegnato con lei,” gesticola vanamente lui, indicando persone a caso alla loro sinistra.
“Lainie?”
“La bionda, Eerie. La bionda. Lainie era con te.”
“Lo so che Lai era con me, cazzo, è venuta a prendermi lei,” borbotta Irene, poi si strofina una mano sul naso e si decide a scostarsi dal cavallo dei pantaloni di Grido - cosa per cui, per inciso, lui le è molto grato. “Perché sei con una bionda? Che non è neanche Ema, tra l’altro,” domanda ancora, e a Luca va di traverso l’ennesimo sorso del drink.
“Cos’è questa fissazione che avete tutti per me e Ema, ultimamente?”

Lei si stringe nelle spalle e gli dà una mano a tirarsi a sedere come una persona civile.

“Personalmente, è perché ci vedo. Gli altri, non so.”
“Ci vedi? Ma che cazzo di… oh, vabbè. Comunque, non lo so perché non sono con Ale. Cioè, io… beh, sì. Non lo so.”

Irene gli scocca uno sguardo imperscrutabile ed è a questo punto che Luca vorrebbe un coltello con cui aprirsi la gola e farla finita, amen, una volta per tutte. Non è possibile che Ale lo abbia ridotto a piagnucolare sul grembo di una donna che, per quanto ne sa lui, è quanto di più allergico ai sentimenti esista al mondo.

“Dai, stasera almeno hai un rimpiazzo niente male,” tenta - fallendo miserabilmente, ma la direzione apprezza il tentativo, grazie - di consolarlo lei, e poi aggiunge: “Com’è che si chiama?”
“Non ne ho idea. Un generico lady dovrebbe funzionare ugualmente bene.”
“Lady?” ripete Irene, pare schifata. “Credevo che aveste smesso di usare quella parola, dopo Fuego!”
“Stai scherzando, vero? Dopo like e che stile, è l’interiezione più utile che io abbia mai incontrato in vita mia, lady.”

Quando le nocche di Irene si scontrano dolorosamente con la sua guancia destra, Grido capisce che, probabilmente, questa corda qui è un po’ meno resistente di quanto sembri.

“Dai, che scherzavo.”
“Non usare mai più quella parola in mia presenza.”
“Dai, Eerie. Cazzo faccio a chiamare la biondona, se non posso darle del lady?”
“Non. Ripeterla. Mai. Più.”
“Daaaaai, Iiiiiiiiiiiireeeeeeeeeee…”

Irene si preme con forza le tempie per sopprimere l’istinto di fargli del male - Ale non la perdonerebbe mai, - e, contemporaneamente, anche quello, ben più basso e piacevole, di inchiodarlo contro il primo muro e fargli di tutto - davvero, quando fa quella vocina e si fa tremare le labbra e sbatte in quel modo le ciglia c’è davvero l’istinto di prenderlo a botte finché non diventa sufficientemente poco - santiddio! - carino.

“Vabbè, cazzo, basta, esco,” decide Ale, dopo che una maratona di Nip/Tuck gli ha ridotto il morale a livelli ridicolmente pessimi.
Si riveste - era ancora in mutande, ovviamente, - lascia da mangiare per i gatti e poi, prima di inforcare la porta e il pianerottolo, lancia un’occhiata all’orologio. Se ne pente istantaneamente, perché sono quasi le cinque del mattino e uscire a quest’ora lo fa sentire un muratore, e probabilmente non esiste un modo peggiore per cominciare la giornata.
Con uno sbuffo, sopprime qualunque esitazione e si trascina nel mondo dei vivi.

Luca ha quasi voglia di prendere a testate qualunque muro gli capiti a tiro quando il simpaticissimo dj del locale - che no, non è lo stesso in cui si è fatto la bionda amica di Thema, ne hanno cambiati tipo mezza dozzina, dopo di quello - decide di mettere un remix un po’ random di Freedrink.

Primo: probabilmente l’uomo, chiunque lui sia, sta violando una quantità tale di leggi e diritti di copyright che per contarle non basterebbero le dita di tutte le persone presenti in pista.
Secondo: cos’è, uno scherzo di pessimo gusto?
Terzo: no, davvero, siamo su Scherzi a Parte? Candid Camera? Punk’d? Boiling Point? Insomma, Cristo, dov’è la telecamera e il presentatore sfigato che annuncia che si tratta solo di una barzelletta mediatica architettata apposta per l’occasione?

No, davvero.

“Dio, sto per avere una crisi di nervi.”

Alessandro s’infila nel primo locale con parcheggio; non paga, insomma, lui è Alessandro Aleotti in arte J-Ax, non è che può star lì a perdere tempo dietro a cose triviali tipo pagare l’ingresso ai pub, cerchiamo di non essere ridicoli.

Prima di entrare, carica l’espressione dell’uomo totalmente intenzionato ad incollarsi al bancone dei superalcolici e andare incontro all’amico coma etilico il più in fretta possibile: questo dovrebbe bastare a tenere alla larga qualunque ninfomane o cacciatore d’autografi, e a stimolare i barman a lavorare più in fretta - ai limiti della velocità della luce, per dire.

S’incammina verso il miraggio blu elettrico del bar e, per qualche grazioso ammiccamento divino, riesce a spuntarla persino quando si mette in testa che attraversare la pista da ballo è il modo più rapido di raggiungere la meta. Magari questa non è la sua serata, sentimentalmente parlando, ma non è nemmeno l’ultima della sua vita, e già questo è positivo.

Oh, ’fanculo, se Luca non vuole parlargli o preferisce la compagnia di Thema o - santiddio! - di una donna alla sua, col cazzo che c’è qualcosa di positivo, nel mondo.

Luca, intanto, darebbe in beneficenza qualunque organo non strettamente necessario alla sua sopravvivenza, pur di riuscire ad addormentarsi. Stravaccato in un divanetto basso, la testa reclinata all’indietro e la giacca di Irene come lenzuolo, probabilmente ha consumato le scorte di camomilla di questo buco di locale; sul tavolino che ha il grande onore di ospitare la suola dei suoi scarponi, giacciono, drammaticamente vuote, una ventina tra tazze e bottiglie di birra, ma né il sonno da relax né lo svenimento da abuso di alcol sembrano voler correre in suo soccorso.

La verità è che sta morendo di noia.

La serata poteva anche andare, finché c’era quella bionda - e poi una moretta, un’altra bionda e una manciata di fan siciliane - a tenergli compagnia come solo una donna di quel tipo è capace, ma - dannazione - sono passate le quattro - forse anche le cinque - del mattino e tutta la figa si è dileguata, peggio di un Lupin all’arrivo di Zenigata, tipo. Il che è tragedia.

Perciò lui vuole - diamine - solo dormire. È l’unica speranza che ha di riuscire a non aprirsi la pancia contro lo spigolo del tavolo prima di mezzogiorno, anche perché - vogliamo ricordarlo? - da una manciata di anni non si può più nemmeno fumare nei locali, quindi, santiddio, non si può nemmeno aggrappare ad una canna!

“Voglio morire,” borbotta, premendosi le mani sugli occhi che bruciano per dieci ragioni diverse: il pub affumicato, l’alcol, Ale che lo ha appeso per oltre tre ore, l’emicrania e sei porcospini che gli passeggiano sulle retine.
“Fatti fare un whisky e margarita,” suggerisce Irene, sghignazzando, e questo suo subdolo ironizzare sulle loro vecchie canzoni comincia ad essere snervante. Luca sbuffa, irritato, però si alza. Lei è cattiva e stronza, d’accordo, però, quando un’idea è buona, c’è poco da discutere.

Slalom tra i tavolini invasi di punkabbestia, sorridere a chi ti saluta, ignorare Thema che si struscia contro una colonna: Grido bestemmia mentalmente, perché è davvero indecente che raggiungere un bar richieda tanto sforzo da parte sua.

Si accascia contro il ripiano di marmo - gelido e appiccicoso e fluorescente - e domanda qualcosa che gli scaldi le guance. Il barista - Gesù, è un meraviglioso criminale! - gli serve un secchio di whiskey con mezzo sorriso. Grido ringrazia sottovoce, gli passa una banconota a casaccio e riprende a bestemmiare mentalmente perché, oddio, adesso deve portare questo bicchiere enorme e pesantissimo fino al tavolo?

E poi trasale.
Perché ha sentito la voce di Ale.
E gli amplificatori e il dj sadico non c’entrano un cazzo.

“Ehi, bella merda, dallo anche a me un pitale di alcol di quelle dimensioni! …yu-huu? Mi hai sentitoooo?”

È proprio Ale, Ale quasi ubriaco che si raschia la gola lanciando insulti al barista. Ale, Ale che si lascia marcire nello stesso locale in cui Luca e compagnia hanno deciso di lasciarsi marcire. Ale, Ale da solo alle cinque del mattino nell’unico Cristo di posto in cui Luca non si sarebbe mai aspettato di vederlo.
E se non è culo questo, allora i Gemelli non hanno all’attivo quattro dischi di platino.

E probabilmente nulla, nell’ultimo mese, è stato piacevole quanto caracollare fino ad Ale, sfiorargli la schiena finché non si volta e allora appoggiargli una carezza sul viso.

“Pezzo di merda, chi cazzo sei, ma sei scemo?!” ringhia Alessandro, ansimando, per poi sistemarsi, in un gemito, il setto nasale dolorante.

Okay, magari Luca lo ha effettivamente strattonato per una spalla per assestargli un cazzotto sul naso.

“Luca?”
“Ciao, A.”
“Che… cazzo, Lu, sei scemo? Mi hai quasi ammazzato!”
“Quante storie per un pugno di bentrovato,” borbotta Luca, improvvisamente distratto da qualche cosa al margine del suo campo visivo.

Alessandro sbarra gli occhi e lo fissa: si indica, scandalizzato, il naso in fiamme, però rinuncia presto a sottolineare l’entità del danno, e si limita a sollevare le braccia per stringere un pochino il fratello.

“Sei ubriaco,” osserva, sentendo la puzza di alcol e finalmente focalizzando il bicchiere di whiskey (mezzo vuoto) (mezzo pieno) (insomma, quello) che Luca ha ancora in mano.
“Pure tu.”
“E hai spento il cellulare,” continua, ignorandolo, e si mette alla ricerca del dannato apparecchio. Lo trova sepolto in una tasca della giacca - “Dio, Luca, ma non muori di caldo?” “Un po’” “E ci credo, Gesuccristo, spogliati!” “Non qua, deficiente! Piantala!” - e lo accende - “Qual è il PIN?” “Col cazzo che te lo dico!” “Che c’è, devi nascondermi le smessaggiate con la fidanzatina?” “Farti un carretto di cazzi tuoi, ogni tanto?” “Eddai, bimbo, tanto lo sai che tempo dieci minuti e me lo sono già scordato”: - tutto questo, perché il suo cervello non lavora alla velocità usuale - dannati ingranaggi che s’inceppano con l’alcol, - e Ale non ha ancora capito perché Luca sia così di cattivo umore. E quindi non sa come comportarsi.

“Oddio, bimbo,” soffia poi, come illuminato, “ti sei incazzato perché non ti ho chiamato.”

Luca gonfia le guance, posa il bicchiere sul bancone del bar e agita le mani in aria.

“Ooooooh! Il genio è tra noi!”
“Dio. Diodiodiodiodiodiodio, bimbo, davvero è per quello?”
“No, Ale. Certo che non mi sono incazzato perché mi hai mollato ad aspettare per tre ore una tua telefonata che ti sei magicamente dimenticato di fare.”
“Sarò pure ubriaco, amore, ma il sarcasmo lo percepisco ancora, eh.”
“Evidentemente non sei ubriaco abbastanza.”
“No, evidentemente no. Amore, Dio. Sono… stavo dormendo.”

Per un minuto, Luca gli crede - e gli crede non per la serie “oh, ok, vabbè, ti credo, così la finiamo di litigare e andiamo a trombarci con gioia da qualche parte”; no, gli crede nel senso che ogni singola cellula del suo corpo strepita “cazzo, Ale, ti credo”. Per un minuto: il tempo sufficiente ad afferrarlo per un gomito e trascinarlo in direzione della porta.

Quando arrivano fuori, nella nebbia fredda dell’alba milanese, Luca ha smesso di credergli, e ha nella testa tutta una serie di risate isteriche e sarcastiche, ma ormai Ale è in piedi. E quindi? E quindi, può attirarlo in un abbraccio spaccaossa senza temere di capitombolare giù da uno sgabello. E quindi può resistere più facilmente ai tentativi del fratellino offeso di liberarsi. E quindi può nascondersi contro il suo collo e strusciarsi piano piano e toccargli la schiena là dove a Luca piace tanto.

E quindi, quindi, quindi, può anche prenderlo per mano e infilarlo a forza in macchina - perché lui è Alessandro Aleotti e può parcheggiare in corso Como senza essere un truzzo.

“Ci avrà visti mezza Milano,” borbotta Luca, imbronciato, mentre si accoccola contro il suo sportello come se desiderasse davvero intensamente di mettere un paio di tram tra sé e il fratellone.
“Hai cominciato tu,” replica Alessandro, e perché questa frase lo riporta indietro di vent’anni?
“Non so quante cazzo di volte mi hai detto una cosa del genere,” ride Luca, e si strofina la fronte, e Alessandro controlla cinque o sei volte il tachimetro per essere sicuro di non aver superato la velocità della luce ed essere tornato davvero indietro nel tempo.

“Ale. Davvero dormivi?”
“Cristo, bimbo, te l’ho detto. Sì. Sono, tipo, crollato verso le sei, le sette. E Lainie non era in casa, e probabilmente la sveglia ha pure suonato, ma io, diavolo, lo sai quant’è che non mi facevo una dormita come Cristo comanda.”
“Lo so.”

Mi dispiace è una cosa così fottutamente difficile, da dire.

Alessandro si volta verso il suo - il suo, cazzo, ché lo ama più dell’aria e dell’acqua e delle canne e della musica stessa - fratellino e lo vede che fissa distratto il cielo - insomma, quel che resta del cielo seviziato dai palazzoni. Solleva una mano ad accarezzargli una guancia e Luca, naturalmente, si rilassa contro il suo tocco e chiude gli occhi.

“Oi, non ti abbioccare, bimbo, non ti porto a casa per dormire.”

Luca sorride e gli morde un dito.

“Stronzo. Per stare appresso alla tua narcolessia, Bella Addormentata del cazzo, io sono in piedi da ieri a quest’ora, lo sai?”
“E, beh, allora un’ora in più, un’ora in meno, non ti fa differenza. Stai su, stai su, bimbo, devo farmi perdonare,” insiste, e lo schiaffeggia con gentilezza e un po’ troppa violenza.

Luca, troppo stanco per reagire diversamente, gli concede un sorriso e torna ad appoggiarsi contro il finestrino, ma adesso, chissà perché, spalanca le gambe e spinge in avanti il bacino. Da sotto la giacca fa capolino un fianco - bianco, ossuto, definitivamente maschile, - e questa è davvero la loro nottata, perché nonostante Alessandro non stia affatto prestando attenzione alla guida, non c’è nessun impatto mortale con nessun ostacolo di alcun tipo.

“Stai guidando, fesso,” gli ricorda Luca, e Alessandro ci mette un po’ a processare l’informazione, poi si ricorda, sobbalza e torna a piantare saldamente le due mani sul volante.

“Non provocarmi in quel modo, stronzo. Che poi ci andiamo a schiantare da qualche parte e io non voglio lamentele.”

Luca ride e, casualmente, nel farlo solleva i fianchi, e, ancor più casualmente, accade che i pantaloni scivolino giù fino ad attorcigliarsi in un groviglio di denim attorno alle sue caviglie.

“Ops,” sghignazza lui, ed è davvero ammirevole che Alessandro si conceda di saltargli addosso solo quando incappano in un semaforo rosso.

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