[RPF Basket] So for as long as you have the strength to, say yes (Jasikevarro)

Dec 23, 2012 21:19

Titolo: So for as long as you have the strength to, say yes
Fandom: RPF Basket
Personaggi/Pairing: Sarunas Jasikevicius/Juan Carlos Navarro (Sua Maestà/Il Re; Jasikevarro), hints Navarro/Pau Gasol
Rating: PG14
Conteggio Parole: 1176 (fidipu)
Avvertimenti: slash, fluff, lievissima age difference
Prompt: "Arrenditi" @ Nottebianca Maya di maridichallenge.
- 227. Fame di affetto @ 500themes_ita.
- "When you were young I was not old" @ diecielode.
Note: Ciattutti, questo è il mio attuale OTP dentro il Barcellona perché sì, Pau arrangiati, Saras è tornato a casa prima di te e quindi si becca cose gratis con Juanca. Oh. Altre care cose random: la Lituania è famosa sia per la sua birra che per la vodka, il Roberto che vedete nominato è chiaramente Roberto Dueñas, Saras si è trasferito diciassettenne in America, e dopo aver finito lì il liceo ha frequentato l'Università del Maryland. È inoltre un uomo bellissimo e, come chiunque provenga dai Balcani, fisicamente impossibilitato ad invecchiare, o a sorridere senza sembrare un lupo famelico. Il titolo è rubato a una frase detta da Stephen Colbert, invece, che nella sua interezza fa Saying yes is how things grow. Saying yes leads to knowledge. “Yes” is for young people. So for as long as you have the strength to, say yes, e adesso capite cosa c'entra con il tema generale della fic.
Disclaimer: Non mi appartiene nulla; è tutta fantasia; nessuno mi paga un centesimo.

~ So for as long as you have the strength to, say yes.

Barcellona è un posto meno impossibile da affrontare di quanto Saras avesse immaginato. La città è grande e vivissima, è un intruglio di strade infinite e palazzi altissimi, ma è anche piena di angoli tranquilli, dimessi, in cui fermarsi a riprendere fiato; nella miriade di colori che la infestano, non è difficile incontrarne continuamente qualcuno che sia intonato al suo umore.

Saras non ha più molta familiarità con il concetto di casa; la Lituania è il paese gelido a cui appartiene, ma è una relazione univoca; Saras, di lei, conserva poco più che ricordi, la maggior parte d’infanzia, bruciati agli angoli e imbruniti dal tempo, e una devozione che ha poco a che vedere col cuore, e più con il passaporto. Kaunas è il posto dove è nato ed è il posto dove torna, d’estate, perché la sua famiglia è lì; da Vilnius è scappato dopo appena una stagione e, se proprio dovesse trovarsi una patria, è al Maryland dei suoi vent’anni che penserebbe.

E adesso c’è Barcellona, e Saras si trova abituato a lei nel giro di un niente.

Un pomeriggio, durante una partitella di allenamento, Roberto si trova solo sotto canestro e Juan Carlos, praticamente da metà campo, gli spara un lob tanto preciso che avrebbe potuto essere un tiro; lo ha calibrato male, però, per gambe e braccia diverse, e Roberto a malapena sfiora il fondo del pallone, che sbatte contro il bordo del tabellone e rimbalza al di là del canestro.

Juan Carlos si mette entrambe le mani nei capelli, neanche avesse mancato la tripla decisiva in una finale.

«Scusami,» dice a Roberto, con una smorfia contrita; Saras non è stupido, qualcuno arriverà a dire che ha un Pentium 4 al posto del cervello, e conosce quell’espressione. Mentre senza troppa voglia ripiegano in difesa, e dopo che Roberto ha stropicciato la testa di Juan Carlos per rassicurarlo che non è niente, Saras si affianca al ragazzo e gli dà uno schiaffetto su un fianco.

«Birra, dopo.»

Juan Carlos non sembra del tutto a proprio agio con il concetto di bere birra a casa di un compagno di squadra, e Saras ci prova a non trovarlo adorabile, ma capitola nell’istante in cui si accorge delle mani del ragazzino, ermeticamente serrate attorno alla cinghia del borsone.

«Uhm,» dice Juan Carlos, e Saras ridacchia e gli indica il divano.

«Mettiti comodo.»

Sarebbe maleducato restare impalato sulla porta, perciò Juan Carlos reagisce in fretta, e a passi piccoli e misurati attraversa il soggiorno, si ferma davanti al divano, si sfila il borsone dal collo e si siede, composto, la schiena dritta e le labbra arricciate da un lato.

Saras inarca le sopracciglia, curioso, e Juan Carlos arrossisce.

«È solo che non mi sembra una buona idea,» ammette, alla fine, tentando contemporaneamente di scusarsi per quello che sta blaterando. «Intendo la birra. Non è proprio l’ideale, siamo- uhm, siamo atleti.»

Saras apre la bocca per chiedergli, mi stai dicendo che non bevi birra? Hai vent’anni, e non bevi birra?, ma si trattiene all’ultimo secondo e gli fa un sorriso lupesco che, se possibile, serve a terrorizzare Juan Carlos ancora un po’.

«Hai ragione,» annuisce. «Vodka, allora.»

E aspetta un istante, prima di dirigersi allo scaffale degli alcolici, perché Juan Carlos letteralmente boccheggia, gli occhi scuri sgranati e le labbra screpolate dal freddo, ed è un’espressione spettacolare che Saras non si sarebbe perso per niente al mondo.

«È normale,» mormora Saras, col quarto cicchetto che gli scalda lo stomaco e comincia a fargli sentire la testa un po’ leggera. Juan Carlos è tutto arrossato, le guance le labbra le mani la punta del naso - Saras è un po’ curioso di scoprire se è di quel colore delizioso proprio ovunque.

«No che non è normale,» mugugna il ragazzino, che più beve e più tenta di farsi piccolo, stringendo le gambe e le spalle e nascondendosi le mani dentro la felpa. Saras gli è scivolato vicino, sul divano, e Juan Carlos l’ha lasciato fare, e di tanto in tanto gli si preme contro, ma ogni volta si riscuote subito, - e ogni volta un po’ meno in fretta, - e si ripiega su se stesso. «Sono quattro mesi, Jasi.»

«Šaras,» lo corregge lui, pigramente. Juan Carlos tira su la testa, lo guarda, gli occhi liquidi e le labbra troppo rosse sulla pelle pallida. Saras gli traccia con un pollice ampi cerchi sui capelli corti e morbidi proprio sopra la nuca, e solleva piano le sopracciglia per incoraggiarlo.

Juan Carlos prende fiato.

«Saras,» mormora, la voce che gli trema appena. Saras sorride, soddisfatto persino della pronuncia sbagliata, e allarga la carezza a tutta la nuca di Juan Carlos, con tutta la mano.

«È normale,» gli ripete, con gentilezza. «È tuo amico, ti manca.»

Juan Carlos fa una smorfia. «Voglio che smetta.»

«Prima o poi,» dice Saras, l’ombra di una risata nella voce. «Arrenditi, Juan Carlos, non è una cosa che succede a comando.»

«Tu come fai, Jas- Saras? Come fai quando ti manca - non lo so, casa tua?» domanda Juan Carlos, la lingua sciolta dalla vodka e il cuore accelerato da Dio solo sa quante cose. Mentre Saras pensa a cosa rispondergli, poi, aggiunge, pianissimo, «Juanqui va bene.»

Saras non trattiene una mezza risata piacevolmente sorpresa, e decide in fretta che neppure vale più la pena di resistere all’invito fin troppo sfrontato della bocca rossa di Juan Carlos.

«Juanqui,» dice, praticamente sulle sue labbra; si tira indietro un istante prima di averlo pienamente baciato, e gli piace da impazzire che Juan Carlos sembri in egual misura sollevato e frustrato e poi, più di tutto, sul punto di sciogliersi dall’imbarazzo.

Saras potrebbe divorarlo.

«Prima o poi passa,» gli promette, piuttosto; Juan Carlos avvampa ancora, ma ha smesso di torcersi le mani.

«Suppongo sia una saggezza che viene con l’età.»

Si guadagna uno schiaffetto sulla nuca, e ha persino la faccia tosta - o la giusta percentuale alcolica nel sangue - di ridacchiarne.

«Non sono così vecchio, vaikas,» dice Saras, e il sorriso allegro di Juan Carlos si assottiglia in un’espressione pensierosa. «Cosa c’è?»

Juan Carlos si stringe nelle spalle.

«Sono più vecchio io,» mormora, e poi si indica maldestramente il petto. «Dentro.»

Saras sbatte le palpebre un paio di volte, e non sa cosa dirgli; lascia perdere tutto, allora, e lo bacia, assaggiando sulla sua lingua quel che rimane della vodka e, con più curiosità, il sapore nuovo e caldo che è tutto Juan Carlos. Saras lo bacia lentamente, seguendo con le dita il profilo liscio della sua mandibola, del suo collo, della sua gola, e poi stringendolo ai fianchi e intrappolandoselo contro quando lo sente tremare.

Si fa indietro, proprio quando a Juan Carlos sfugge un gemito morbido, e non appena il ragazzino riapre gli occhi e quelli si fanno subito enormi, spauriti, Saras sorride.

«Vecchio,» dice, chiudendogli sulle labbra un bacio breve e asciutto. Con un ginocchio tra lo schienale del divano e il fianco di Juan Carlos, lo convince a voltarsi un po’ e lasciarsi spingere giù.

Saras lo bacia ancora, ancora più lentamente, e stavolta Juan Carlos gli va incontro, non appena accenna a ritrarsi per prendere fiato.

«Non vecchio,» decide Saras, arricciando di nuovo le labbra in un sorriso da lupo. Juan Carlos dà un mugugno incerto, però poi si sporge a baciarlo.

A/N.
‘Vaikas’ è la traduzione che mi dà Google per ‘kid’; è da notare poi che ‘ragazzo’ nel senso di ‘boyfriend’ in lituano si dice ‘vaikinas’.

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