Titolo: The ones who taught you how to live (they know no more than you)
Fandom: RPF Basket
Personaggi/Pairing: Dejan Bodiroga/Juan Carlos Navarro/Sarunas Jasikevicius
Rating: R
Conteggio Parole: 1044 (
fidipu)
Avvertimenti: slash, threesome, pwp, lievissimo age difference
Prompt: "More than anything I want to see you, Take a glorious bite out of the whole world." (Snow Patrol, You could be happy) @
p0rnfest #6 di
fanfic_italia.
- freddo/NSFW @ Zodiaco di
fiumidiparole.
- "Spin me 'round just to pin me down / on the cover of this strange bed" @
diecielode.
Note: Me la suono, me la canto, me la applaudo... I'm not even sorry, solo piena di complessi perché ugh non è quello che volevo e ugh mi sento Def per come ho chiuso il porno e ugh ugh ugh, le solite cose. Juanca patrimonio dell'umanità.
Disclaimer: Non mi appartiene nulla; è tutta fantasia; nessuno mi paga un centesimo.
~ The ones who taught you how to live
(they know no more than you)
Juan Carlos si sta allacciando le scarpe a bordocampo, e Dejan, di sette anni più vecchio e con più ori di quanti ne possa contare già sotto la cintura, va a sederglisi accanto.
«Ti ho visto esordire,» gli dice, nel suo spagnolo che è sempre un po’ appeso all’italiano. Juan Carlos solleva la testa, lo guarda, ha un po’ l’aria di un cucciolo che aspetta un biscotto. «Contro il Granada, no? Quanto avevi, sedici anni?»
«Diciassette,» dice Juan Carlos, dopo un momento; è come se non riuscisse a capacitarsi del fatto che, cinque anni dopo, qualcuno ancora venga a parlargli di quella partita, e a Dejan viene da ridere, perché lui era a Madrid, all’epoca, ma anche fosse stato oltre il Circolo Polare Artico, probabilmente avrebbe comunque sentito parlare del ragazzino prodigio dalla cantera, che solo per essersi alzato dalla panchina già aveva l’intero Palau a cantare il suo nome.
Quel mucchietto d’ossa pallide tenute insieme da una casacca blugranata ora è cresciuto, ma neanche di tanto; per Dejan ritrovarselo in squadra è strano - perché ripensa ai propri esordi, ripensa a Milano, e nell’espressione seria seria di Juan Carlos ritrova la stessa passione che vede quando si guarda allo specchio, - ed è interessante - perché Juan Carlos non ha neanche iniziato ad impennare mentre Dejan già teme di vedere avvicinarsi il fondo, e gli piace il contrasto dei loro momenti, delle loro carriere messe vicine, - e, soprattutto, ha già cominciato a risvegliargli una voglia incredibile di fare, e fare bene, fare il meglio possibile, perché Juan Carlos è lì, Juan Carlos che è un ragazzo e un tifoso e si allena e gioca come se ne dipendesse la sua stessa vita; Dejan già vuole vincere tutto per dargli tutte le finali che merita solo per la sua devozione.
«Una bella partita,» gli dice, alla fine; Juan Carlos abbozza un sorriso e fa per rispondere qualcosa. Lo distrae, però, l’arrivo di Saras, che si butta anche lui sulla panca e sbuffa stancamente, anche se gli allenamenti del giorno non sono nemmeno cominciati.
«Pranzi con me?» domanda, stringendo un braccio intorno alla vita di Juan Carlos. Il ragazzo annuisce, e non gli toglie gli occhi di dosso. Saras fa una smorfia soddisfatta, e poi lancia a Dejan una brevissima occhiata, che non è nemmeno minacciosa, giusto un briciolo pigra, forse vagamente algida, ma potrebbe essere solo colpa del colore ghiacciato del suo sguardo.
Dejan sorride tra sé e decide che, ora, ha capito davvero tutto l’essenziale per sopravvivere nella sua nuova squadra. Ha capito che sono tutti sinceramente felici di averlo, ma che più finge di non aver mai vestito il bianco del Real Madrid e meglio è; ha capito che girare per la città in auto è un suicidio; e ha capito che Sarunas Jasikevicius è la persona più territoriale del mondo.
«Puoi chiedere, sai,» soffia Saras, seguendo con la punta della lingua la curva lieve del collo di Juan Carlos, risalendo dal vuoto in cui incontra la clavicola verso l’angolo sensibile dietro l’orecchio. «Qualsiasi cosa, Juanqui.»
Juan Carlos, gli occhi serrati e le labbra schiuse intorno a un sospiro tanto bollente che a trattenerlo ancora l’avrebbe incenerito dall’interno, neanche ci pensa a rispondergli; è troppo distratto, perso nel ritmo lentissimo delle spinte di Dejan, alle quali risponde altalenando il proprio peso tra le mani e le ginocchia mentre, contemporaneamente, tenta di tenere traccia delle dita fredde di Saras, che gli mappano la pelle come se non ne conoscessero già ogni centimetro.
Juan Carlos è accaldato, confuso e stanco; non gli sembra nemmeno di essere vero, sospeso com’è nel piacere doppio e doppiamente frastornante di avere Dejan a stringergli i fianchi con abbastanza forza da lasciargli il segno - Dejan che lo tortura prendendolo quasi pigramente, controllando persino il proprio respiro, come se, più che il proprio piacere, gl’interessasse studiare i minuscoli scatti della schiena di Juan Carlos, il modo in cui le sue cosce si contraggono, e tutti i suoni che gli sfuggono dalle labbra, - e Saras, davanti, vicino, che lo bacia e gli morde il lobo di un orecchio e poi si mette a mormorare in lituano cose che suonano a un tempo dolcissime e indecenti.
Dejan affonda con un po’ più di convinzione, e Juan Carlos trattiene il fiato, sgranando gli occhi; Saras gli circonda il viso con le mani.
«Può bastare, Dejan.»
Juan Carlos mugola di fastidio quando Dejan si ritrae, ma si lascia risospingere all’indietro, la schiena contro il suo petto e Saras che con naturalezza gli schiude le gambe per premerglisi addosso, e poi addosso strusciarglisi, e Juan Carlos si sente avvampare ancora al primo contatto tra i loro bacini. Le mani grandissime di Dejan scivolano a stringergli le cosce, Saras gli pizzica un capezzolo e Juan Carlos inarca la schiena, vagamente disperato.
«Saras,» mugugna, tentando di angolarsi il meglio possibile contro di lui; Dejan lo distrae sfiorandolo tra le gambe, e poi sta baciando Saras, cercandolo al di sopra della spalla di Juan Carlos.
Juan Carlos li guarda, ma si riscuote non appena Dejan si sporge con più convinzione, premendogli addosso; stringe tra due dita il mento di Saras, allora, attirandolo a sé, e rimarcando il possesso della sua bocca.
Per un attimo, le labbra di Saras s’increspano in un sorrisetto asimmetrico, che finisce bruciato nel bacio urgente, quasi febbrile di Juan Carlos, che è al tempo stesso certo, incerto e una preghiera. (sei mio. Sei mio? Sii mio.)
Dejan si lecca le labbra.
«Saras, e io che pensavo fossi tu quello geloso,» mormora, perdendosi un momento a mordere una spalla rotonda del ragazzino.
Saras ride piano, Juan Carlos dà un mugugno imbarazzato e nasconde il viso contro il suo collo.
«Shhh,» lo rabbonisce Saras, e gli accarezza la nuca. «Vieni qui. Tranquillo.»
Scivola di lato e Juan Carlos, per un tratto, si piega, seguendo il suo movimento - Dejan si accorge del segno rosso sul collo di Saras, ed è chiaro che non aveva capito niente. Allunga un braccio a cingergli la vita, allora, e Saras si sistema tra le sue gambe ma non smette di toccare Juan Carlos; anzi, sposta quella carezza distratta più disperatamente in basso, gli solleva i fianchi; Juan Carlos si inarca e scopre la gola e quando Saras si spinge dentro lui, ancora aperto e arreso com’era per Dejan, Dejan cerca in punta di dita l’apertura di Saras.