[RPF] Are you awake? Yeah I'm right here

Nov 03, 2012 00:47

Titolo: Are you awake? (Yeah, I'm right here) ovvero, Di infortunii e pessime idee
Fandom: RPF Calcio
Personaggi/Pairing: Marco Borriello/Daniele De Rossi, Fabio Borriello
Rating: PG14
Conteggio Parole: 1395 (fidipu)
Avvertimenti: slash, fluff
Prompt: #02 - And I am like you, all alone and confused / But you know it's not forever @ diecielode. [tabella]
Note: NON SCRIVO DA UNA VITA MA IL DDRRLL È PIU' FORTE DI TUTTO E VI VOGLIO BENE. Sbowwi si è fatto male provvidenzialmente durante Roma-Genoa, starà fuori fino a dicembre e questo è il mio headcanon. Ciao DDRRLL, ciao.
- Titolo da About Today dei The National, che è una delle canzoni più DDRRLL-iche ever (ciao Ali grazie ♥), e per una volta ve la porto insiema a qualcosa che non è angst. Yay me.
Disclaimer: Non mi appartiene nulla; è tutta fantasia; nessuno mi paga un centesimo.

~ Are you awake? (Yeah, I'm right here).

Ci sono un centinaio di altri posti in cui Marco dovrebbe essere in questo momento, ma non è a quello che sta pensando, lui, ora. Fabio tamburella coi pollici sul volante, e ogni tanto si piega un po’ per spiare fuori dal finestrino.

«Sicuro che è una buona idea?» domanda, preoccupato.

Marco si sistema gli occhiali da sole sul naso, si passa una mano tra i capelli.

«Per niente,» sorride, poi si sporge a dare un rapido bacio sulla guancia al fratello. «Ci vediamo. O non ci vediamo, se le cose vanno bene.»

«Se vuoi ti posso accompagnare,» insiste Fabio, squadrando con palese ansia la caviglia infortunata di Marco.

Marco scuote la testa, e si sta già arrampicando giù dalla macchina. «Ce la faccio, fratelli’.»

«Perlomeno fammi sapere se ti devo veni’ a piglia’,» gli urla dietro Fabio, e lui gli concede un cenno di assenso distratto prima di sbattere la portiera e fargli ciao-ciao attraverso il finestrino.

Il lungomare di Ostia è giustamente deserto, un po’ per l’ora infame e un po’ per la stagione che s’avvia al freddo vero. Marco s’aggiusta la giacca di pelle sulle spalle, e va a bussare a casa di Daniele.

*

(A volte, Marco s’annoia. E allora telefona.

«Ehilà, capitano.»

«Capitano Futuro,» lo corregge Daniele, la voce arrochita dal sonno perché sono le otto e un quarto del mattino. Marco sorride e, con la mano che non regge il cellulare, traccia il contorno del tavolo.

«Come te pare. Dormito bene?»

«Finché nun m’hai svegliato stavo ’na favola, grazie.»

Marco ride. «È sempre un piacere.»

Daniele grugnisce qualcosa, e Marco lo ascolta ciabattare fuori dalla camera da letto, giù per le scale, fino in cucina.

«Spetta ’n attimo, me servono due mani,» dice Daniele, e appoggia il cellulare da qualche parte e se Marco chiude gli occhi, gli pare di star seduto sul ripiano di marmo della cucina di Daniele, a tentare di tirargli giù i pantaloni con i piedi mentre lui ravana nello stipetto dei cereali.)

*

Quello che Marco non ha detto a Fabio, è che non si tratta di un’improvvisata in piena regola. Non è abbastanza coraggioso per fare una cosa del genere, no.

Quindi, Daniele è sveglio perché si aspettava una sua visita, ed è possibile che sia anche tendenzialmente felice di vedere Marco, perché ha avuto modo di fare i conti con il pensiero di riaverlo tra i piedi, e che ne sai, magari a un certo punto avrà pure cominciato ad aspettarlo con impazienza.

Non si può mai sapere, con Daniele e le reazioni a lungo termine. Dagli abbastanza tempo per macerare nel suo brodo, ed è capace di sorprenderti nei modi più assurdi. Certe volte è una sorpresa brutta, tipo un orrendo tatuaggio sul polpaccio di pericolo tackle, e certe volte può pure essere una sorpresa piacevole; il fatto che non sia mai capitato non significa che sia automaticamente impossibile.

Marco prende un bel respiro e, quando Daniele gli apre il portoncino senza nemmeno chiedere chi è, si fa coraggio ed entra.

Daniele lo aspetta sulla porta della villetta, ha addosso il pantalone nero di una tuta e una magliettina bianca sottile come carta velina, e sta palesemente per crepare di freddo. In mezzo alla barba, però, s’intuisce che gli angoli delle sue labbra sono curvati all’insù, e Marco gli si avvicina a passo un pochino più svelto.

«Ciao Danie’, guarda, forse in settimana sono a Roma,» lo sfotte Daniele, facendo il verso al messaggio in segreteria che Marco gli ha lasciato un paio di giorni fa per avvisarlo. «Magari ti passo a trovare?»

Marco si costringe a metter su una smorfia semi-offesa, quando l’unica cosa di cui gl’importi al momento è la pelle d’oca sulle braccia di Daniele e i milleuno modi in cui potrebbe farla andar via.

«Oh, Marco, scusa sai ma sono troppo impegnato e figo per degnarti di una telefonata! Però guarda, nella mia infinita generosità ti mando un messaggio,» dice, fingendo esageratamente di digitare un sms su un immaginario telefono grande quanto tutta la sua mano.

Daniele non ride, non esattamente, ma ogni singola linea del suo corpo diventa d’improvviso morbidissima, e Marco, per impedirsi di combinare un disastro, deve mordersi le labbra e ripetersi cento volte che sono ancora praticamente in mezzo alla strada.

In sua assenza, comunque, non è che Daniele sia diventato meno stronzo. Insiste a star lì fermo sulla porta, a guardare Marco dall’alto dei due gradini che li separano e i suoi dannatissimi occhi azzurri sono così tersi e luminosi da costituire un crimine di per sé stessi.

Marco si avvicina, prega febbrilmente di non essere nell’obiettivo di nessun paparazzo perché Ibra certi scandali se li può permettere ma lui preferirebbe di no, e piazza una mano sullo stomaco di Daniele, spostandola un po’ verso il fianco e stringendoci attorno le dita.

Daniele lo guarda, quel mezzo sorriso immobile sulle labbra, come se non fosse successo niente.

«Vòi entra’?» dice, pianissimo, e Marco fa una smorfia come a dire, sto bene anche qua, veramente. Daniele si schioda dalla porta, allora, e fa un passo indietro. Gli fa segno di accomodarsi.

*

(A volte, Daniele si sente così solo che, a guardarlo, diresti che qualcuno ha fatto fuori tutto il resto del genere umano. E allora va a correre.

Il più delle volte, comunque, non fa in tempo a fare duecento metri che Marco lo chiama. E allora Daniele è quell’ultimo uomo sulla Terra che siede da solo in una stanza e sente bussare alla porta. È terrificato uguale, e curioso uguale, e rincuorato uguale.

È pure scemo, sempre, e, quando si tratta di Marco, sempre uguale.)

*

«Sicuro che hai fatto bene a veni’?» chiede Daniele, aggrottando la fronte, e si siede sul divano accanto a Marco e gli porge la borsa del ghiaccio. Nella sua voce c’è la stessa inflessione vagamente ansiosa che aveva quella di Fabio, e Marco, chino a slacciarsi la scarpa, sorride.

«Non proprio,» dice, lanciandogli un’occhiatina furba, e poi solleva la gamba, appoggia sul tavolino il piede scalzo - ha su i calzini grigi e arancioni più belli della storia, è inutile che Daniele faccia le smorfie, - e sistema il ghiaccio sulla caviglia. «Ma non per via dell’infortunio.»

Daniele quasi chiede, e per via de che, allora? Però ci riflette, e richiude la bocca. Marco gli tira il lobo di un orecchio per ricompensarlo della giusta pensata.

«Te l’ho detto che potevi veni’ quanno te pare,» mugugna Daniele, giocherellando con l’orlo della maglietta. Fa caldo, in casa, il riscaldamento dev’essere acceso almeno da qualche ora, e Marco s’è tolto la giacca non appena è entrato, e adesso vorrebbe sfilarsi anche la maglietta, ma con calma, si dice. Prima evitiamo di sputtanarci piede e carriera.

«Me l’hai scritto,» osserva, allora, petulante, e sorride dell’occhiataccia che Daniele gli punta addosso. «Scusa, ma sei stronzo e non è che te lo posso far dimenticare.»

Daniele boccheggia per un attimo, probabilmente alla ricerca dell’insulto peggiore, ma alla fine rinuncia, e si limita a sbuffare e voltarsi verso il televisore.

«Accendo?» chiede, ma non ne ha la minima voglia, e Marco è toccato dal fatto che abbia comunque posto la domanda.

«No, non c’ho voglia di cartoni,» dice, e Daniele dà un grugnito concorde.

Rimangono lì in silenzio per un po’, Marco che si punzecchia la caviglia per assicurarsi che vada tutto bene e Daniele che più di tanto neanche tenta di nascondere il fatto che lo sta fissando. Si annoia di star lì a guardare e basta, a un certo punto, e allora allunga una mano per agguantare la nuca di Marco, gli va incontro, e lo bacia con una delicatezza inaudita perché ancora non gli ha detto bentornato.

Marco gli sorride addosso, si lecca le labbra e poi si dimentica del ghiaccio e dell’infortunio e di tutto, perché l’unico pensiero che gli cresce a dismisura nella testa è che ha bisogno di piazzarsi in braccio a Daniele, e finché non si ritrova seduto sulle sue gambe non è contento.

Daniele deve piegare un po’ la testa all’indietro per guardarlo, e gli tiene le mani sui fianchi.

«Sicuro che è una buona idea?» domanda, in un soffio, gettando alla borsa del ghiaccio un’occhiata rapidissima perché Marco, sopra di lui, ha preso a dondolarsi piano.

«È tutto apposto, Dani,» promette Marco, con un sorriso felino, e siccome, poi, Daniele si ritrova molto preso dalla sua bocca, non ci pensa nemmeno a non credergli.

*

(A volte, Marco pensa che, Dio, non può funzionare.

A volte, Daniele si guarda allo specchio e si chiede, Cristo, ma che sto facendo, ed è sicuro, proprio sicurissimo, che non funzionerà mai.

Si sbagliano, tutti e due, grandiosamente.)

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