Titolo: Only happy when it rains
Fandom: RPF Calcio
Personaggi/Pairing: Borini/Pjanic
Rating: PG14
Conteggio Parole: 893 (
fidipu)
Avvertimenti: slash, angst, ugh, fluff (da carie 8"D), SAN LORENZO IO LO SO PERCHE' TANTO DI STELLE etc. etc.
Prompt: Un'estate fa @
Zodiaco!challenge di
fiumidiparole.
- Nottebianca #6 @
maridichallenge, Pjanini, fluff.
Note: BUON COMPLEANNO MARTAAAAAAA. \O/ Questo installment della raccoltina è tutto per te, perfection!bot dei nostri cuori <3 In realtà anche il prossimo suppongo che ti interesserà/potrebbe essere un buon regalo, ma non l'ho ancora scritto quindi jahgdgfjssgafgsj soRy, sono le palle ;O; spero di non averli snaturati troppo e che ti piaccia! ;//;
Disclaimer: Non mi appartiene nulla; è tutta fantasia; nessuno mi paga un centesimo.
The Greek word for “return” is nostos. Algos means “suffering”.
So nostalgia is the suffering caused by an unappeased
yearning to return.
Milan Kundera, Ignorance
~ Only happy when it rains.
How sad and bad and mad and sweet, #02
Ha assolutamente senso trascorrere la notte del dieci agosto con gli occhi incollati al cielo e il cellulare appeso ad un orecchio, non importa quando Miralem continui a ridacchiare e ripetere che è un’assurdità.
«Guarda, non mi offendo solo perché sei tu,» dice Fabio, grattandosi la nuca e stiracchiando un po’ le gambe. «Però non ti posso promettere che l’amnistia durerà in eterno.»
Dall’altra parte della telefonata, e millesettecento chilometri più giù, Miralem ride sul serio, stavolta.
«Non dire sciocchezze,» dice, quando ha recuperato un po’ di fiato. «Certo che dura in eterno.»
Fabio sospira e scopre che non è affatto facile fingersi esasperato mentre sta tentando di non farsi venire un infarto, e invece quel cretino testardo del suo cuore ci tiene proprio tanto a fare un triplo salto mortale all’indietro.
«Vabbè, ma non ti distrarre,» recupera Fabio, senza la minima traccia d’imbarazzo, davvero. «Sicuro che non si vede ancora niente?»
«Ancora niente,» ridacchia Miralem, e se Fabio fosse un briciolo più smaliziato, potrebbe sospettare che in realtà Mire gli sta spudoratamente mentendo al solo scopo di prolungare la telefonata.
Il pensiero non gli sfiora neanche l’anticamera del cervello, però, perché Fabio si è messo al sicuro da più o meno qualsiasi lampo di genio il giorno in cui ha deciso di tatuarsi il proprio nome in cirillico su una gamba.
Dunque, Fabio si agita un po’ perché il prato su cui è sdraiato non è esattamente comodo, e fa una smorfia.
«Nuvole il dieci di agosto,» dice, come se non si fosse lagnato della maleducazione del cielo inglese già cinquemila volte. «Dico io, ma ti sembra corrett-»
«Oh, Fabio, ne ho vista una!» esclama Miralem, con una vocina entusiasta e assolutamente ridicola perché chi è che non si trasforma in un iperattivo bambino di tre anni, quando le stelle cominciano a piovere? «Esprimi un desiderio! No, aspetta, ce n’è un’altra! E un’altra!»
E a quel punto Fabio lo perde, perché Miralem comincia a ridere e dire cose in bosniaco e Fabio, con tutta la buona volontà di questo mondo, non va molto al di là di pochi convenevoli e qualche insulto.
Non che a Fabio dispiaccia, comunque, sentire la voce di Miralem anche senza capirci nulla, - è un po’ come essere tornati a un anno fa, in fondo, - e soprattutto ascoltarlo ridere e ridere e ridere; è uno schiacciasassi che gli passeggia tutto allegro sullo stomaco, certo, avanti e indietro inesorabilmente, mozzandogli il fiato e facendogli quasi incrociare gli occhi per la voglia che ha di essere lì e non qui, e di premere la fronte contro il petto di Mire per sentire la sua risata vibrargli addosso, ma, ehi, son cose che capitano.
Succede, la nostalgia.
Può succedere di sentire la mancanza di un amico che, ridendo, in un inglese stentato gli spieghi che non basta fare la erre moscia e agitare una mano col mignolo teso e arricciare il naso e tirarsela finché non si spezza per parlare francese; può succedere di sentire la mancanza dell’aria appiccicosa di Trigoria, di quell’afa soffocante buona solo ad incollare i pensieri l’uno all’altro e poi tutti alla schiena di Miralem.
Può succedere di voler vedere il caldo sgocciolare via, e di voler sentire l’italiano di Miralem farsi ogni giorno meno traballante, e di voler arrossire come un idiota se Miralem mette piede in spogliatoio, o lo guarda, o gli parla, o fa una smorfia dietro la schiena di Francesco, o ride e gli dice che il suo bosniaco, con quella cadenza bolognese, è davvero carino.
Può succedere.
È normale, proprio come il fatto che il cielo inglese sia gioiosamente ammantato di nuvole, e, come Fabio è assolutamente in pace con il fatto che lui è a Liverpool e Miralem a Roma, - come è convinto, davvero, davvero convinto che la distanza incolmabile tra le loro mani, in questo momento, sia solo un trascurabilissimo dettaglio, - così è rassegnato anche all’idea che non vedrà uno straccio di stella cadente, stanotte.
Non è un problema, in fondo, perché non è che Fabio abbia chissà quanti desideri da esprimere. Ha avuto già il suo primo gol in maglia rossa - non porpora e oro, adesso il suo colore è rosso e basta, - e l’ovazione dello stadio più vivo d’Europa, e la sua scorta di tortellini è ancora praticamente intonsa.
«Mira,» mugugna, e poi si morde la lingua; Mire, si dice, ma non si abituerà mai. (È messo male abbastanza che gli manca persino sentirsi un completo cretino dopo aver chiamato Miralem Mira per mesi interi, per poi scoprire che è Mire il diminutivo giusto, il dimunitivo che tutto il mondo usa dal giorno in cui Miralem è venuto al mondo, il diminutivo al quale Miralem risponde alzando di scatto la testa e inclinandola un pochino di lato, come un cucciolo che aspetta un ordine o un biscotto o una carezza.)
«Fabio?»
Fabio si strofina una mano tra i capelli, vagamente nervoso.
«Non ti offendere,» dice, sottovoce. «Ma sono così disperato che se potessi, mi annoderei alla coda di una stella cadente.»
Miralem ridacchia.
«Per piovermi addosso?» domanda, la voce morbida, e Fabio resiste a stento all’impulso di rotolarsi sul prato. «Fabio, un aereo magari è più pratico.»
«Lo so, ma le stelle cadenti sono lì ora,» si lagna lui. «Ha assolutamente senso.»
«Ha assolutamente senso,» concorda Miralem; e poi, magari è solo il suo cervello che si diverte a torturarlo, ma Fabio vede una scintilla giallo pallido precipitare in un arco larghissimo giù per la curva del cielo.