Para hacer de mi voz

Mar 24, 2010 12:42



«Nel momento in cui termino di scrivere questo prologo, leggo sui quotidiani che un giovane gay è stato assassinato in una piccola cittadina del Wyoming, negli Stati Uniti. Fu torturato dai suoi aggressori e abbandonato, moribondo, appeso ad una staccionata di fil di ferro. Aveva ventidue anni. Si chiamava Matthew Shepard. So benissimo che negli Stati Uniti non è l’unico omosessuale ad essere andato incontro ad una sorte tragica negli ultimi anni. So altrettanto bene che in molti paesi i gay, le lesbiche, i bisessuali e i transessuali sono regolarmente e sistematicamente vittime di simili violenze. Un recente rapporto di Amnesty International ne ha fornito una lista terrificante e sicuramente incompleta. Ma io ho la foto di Matthew Shepard, oggi, a davanti agli occhi, insieme al resoconto di quel che ha sofferto. Come non pensare a lui, mentre mi accingo a pubblicare questo libro? Come non chiedere al lettore di non dimenticare mai, nel leggerlo, che non sono solamente problemi teorici ad essere in gioco?»
(Didier Eribon, Réflexions sur la question gay, París, 1999. Traduzione mia dalla traduzione spagnola. *rolling-eyes*)



Questa è la nota che chiude il prologo di Reflexiones sobre la cuestión gay, uno dei libri che sto leggendo per cercare di costruire un panorama teorico in cui inquadrare la tesi.
Non so precisamente perché ho sentito il bisogno di riportarla. Forse perché non sto bene e ho voglia di piangere, e quando ho voglia di piangere diventa tutto troppo grande e difficile da gestire.
Forse perché non puoi non piangere, mentre pensi a certe cose.
Forse perché si parla di Matthew Shepard. E il mio primo incontro con Matthew Shepard è avvenuto sulla copertina del primo romanzo a tematica gay che abbia consapevolmente comprato - prima di avere la minima idea di chi fosse quel ragazzino angelico. E perché la tristezza malinconica del suo volto fosse così drammaticamente in contrasto con la violenza della sua storia. Della sua fine.
Forse perché non c’è altra scelta.
E quella sua foto, in fondo, non ha neanche bisogno di parole.

valentías, tesi

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