Hay, en la espera,
un rumor a lila rompiéndose.
A.P.
Ho addosso un'inquietudine strana, in questi giorni. Non saprei spiegare da dove arrivi o dove confluisca - la sento scorrere addosso senza ragione. Come qualcosa che si avvoltola intorno ai nervi. Filo di ferro, filo di rame.
Mi lascia un po’ indolenzita e proiettata verso l'esterno. Anche se fuori il cielo è di nuovo grigio, e c'è umidofreddo e di uscire non ho nessuna voglia. (Tanto per cambiare).
Ieri ho ripreso in mano le poesie di Alejandra.
Non c'è una ragione precisa - un po’ le volevo guardare per trovare qualche citazione, un po’ speravo di imbattermi in qualche verso adatto ad essere messo in firma. Il problema è che come sempre di scegliere sono incapace.
Ma forse non è neanche quello. Forse è che Alejandra arriva in questi momenti, come una ferita che non si è rimarginata davvero. Lei è la que ama al viento, in fondo. Lei è la paura, il terrore, la notte. Soles negros. E Parigi sottostante, che forse le dà la stessa inquietudine di Rowan.
La stessa innocenza crudele di Ash. Hermosura. E insensatezza assassina.
Solo che è anche donna. Oltre a tutto questo.
E forse è per questo che la vedo come uno specchio di quel che non sono - di quel che ho perso. Mai avuto.
(Che poi. Si tratta del dolore. Niente che si possa mai desiderare.)
A Ispanoamericano abbiamo letto Lejana, di Cortázar. Non so perché Alina mi abbia ricordato lei così tanto. Non c'era una vera ragione.
Se non che c'è l'Argentina.
Se non che Cortázar la conosceva.
Se non che entrambe hanno passeggiato per la mia testa.
È strana la lingua degli argentini, comunque. Che lingua non è, non propriamente, perché in realtà si tratta di spagnolo e basta, lo so. Ma io lo spagnolo riesco a leggerlo in traduzione. Riesco ad amarlo.
I narratori argentini hanno spessore solo se letti in originale, invece. O almeno, questo è quel che sto notando. Ad ogni nuova immersione.
Il problema è che vorrei fare troppe cose, forse. E puntualmente ogni volta che voglio fare troppe cose il mio cervello va in stand-by, come reazione.
Avrei da studiare_la_roba_per_gli_esami_che_non_voglio_dare.
Avrei da studiare quella per gli esami che non vedo l'ora di preparare.
Vorrei esplorare il Postmoderno. Voci dai margini, frammentazione dell'Io. Vorrei riprendere Cernuda, riprendere Lorca, versi e teoria. Studiare Foucault, e devo leggere Marcuse. Devo aspettare il 31 perché mi arrivi la Millett.
Ho qualche miliardo di cose da scrivere.
Il
Manifiesto por mi diferencia da tradurre.
Almeno quattro romanzi iniziati e abbandonati in giro per la stanza, due o tre saggi a scelta, il pensiero fisso della tesi. La voglia di scappare.
Di guardarmi negli occhi.
E invece ho passato la mattina su DeviantArt a cercare fotografie di fiori viola. *rolling-eyes* E invece, sono qui a scrivere cose da niente. E invece, mi limito a spostare gli occhi fuori dalla finestra. A fissarli nel cielo.
Grigio.
Chiaro.
Come dicevo, il cervello si inceppa. *rolling-eyes*
E si rinuncia anche a trovare una chiusura. *rolling-eyes*
[Poi però apri la raccolta della Pizarnik.
Pagina a caso, una delle tante segnate dall'orecchia.
El viento y la lluvia me borraron
como a un fuego, como a un poema
escrito en un muro
(Il vento e la pioggia mi cancellarono
come se fossi un fuoco, una poesia
scritta sul muro)
E tutto torna a posto. In parte.
Anche senza spiegazione.]