L’attesa è una cosa strana, e non credo di essere molto brava a gestirla.
Funziono finché ci sono date precise: quando posso calcolare i giorni e mettere la questione in un angolo, riesumarla soltanto quando il tempo sta per scadere. Quando i tempi sono vaghi - tipo, ‘intorno alla metà di marzo’, o un più generico ‘la gestazione dura due mesi’ - mancano i parametri e non riesco a lasciar andare il pensiero neanche quando siamo ancora lontanissimi.
Il primo conto alla rovescia è scaduto giovedì e ha avuto come unico risultato quello di spostare tutta la mia attenzione sull’altro evento atteso. Probabilmente si tratta di una difesa perché non ho ancora voglia di pensarci, ma resta il fatto che è tre giorni che non penso ad altro che ai cuccioli in arrivo.
Praticamente è l’unica cosa di cui parlo, sia alla gatta che in famiglia. Sto riorganizzando la mia settimana per stare fuori casa il meno possibile - potessi saltare le lezioni di linguistica probabilmente non esiterei, ma trattandosi di corsi fondamentali mi accontento di rinunciare forse perennemente a seguire le lingue. Che tanto non servono a molto, che tanto mi fanno perdere solo tempo, che tanto ho già iniziato a procurarmi i libri per non frequentanti, e poi comunque ho saltato ormai già qualche lezione e perso il filo e stiamo diventando troppo pochi eccetera. La verità è che voglio essere con la micina quando partorirà. Non solo per starle vicino, ma perché ne ho bisogno io.
In una maniera anche difficile da spiegare.
Oggi ho passato la mattinata a cercare una foto sufficientemente bianca da servire per header al nuovo layout bianco che mi è preso compulsivamente di creare. Ho scartato tantissima roba angosciosa o troppo poco fredda e sono rimasta con questi capelli neri e questo sfumare nel niente.
Non so quanto durerà né perché avessi così tanto bisogno di cambiare il viola precedente con qualcosa del genere. Non ho spiegazioni per la maggior parte degli impulsi degli ultimi tempi: posso solo scegliere quali accontentare e quali rifiutare seccamente. A volte mi chiedo se non sia quello che faccio sempre, in fondo, ma a un livello più nascosto.
Che la ragione per cui non sento certe cose stia nel fatto che qualche meccanismo profondo ha deciso comportino troppi rischi. Meglio sopprimerle sul nascere.
(Il bianco probabilmente serve a questo, comunque. Perché alla fine ognuno ha i suoi colori che costruiscono un linguaggio privato, e per me Björn non è altro che la repressione definitiva. Un’amputazione cauterizzata nella neve, o forse anche carne che diventa ghiaccio per non lasciarsi ferire.)
Sono giorni incazzati, in verità. Forse perché paradossalmente l’incazzatura mi spaventa meno della prospettiva di dover affrontare aspettative&paura. Forse perché non sei *perso*, quando sei incazzato, almeno in questa maniera scostante. Non devi spiegare niente, non devi cercare le parole giuste: stacchi tutto e resti con la gatta appollaiata sulla spalla, le sue fusa a vibrare nelle orecchie. Lo strusciarsi del suo muso contro il viso.
Come se fosse rilassante, prendersi quel tempo. Aprire una parentesi e aspettare di vedere quando il resto evapora. Se qualcosa si chiarisce.
Che poi non è neanche una cosa razionale. Più impotenza, forse.
Niente di risolvibile.
Oggi la gatta comunque è strana. Forse il momento si avvicina.
Ieri l’ha passato in braccio a me, è una settimana che fa lo stesso. Oggi è tornata ad appollaiarsi sulla credenza e ha il pelo pesante, invece, come quando non si sente bene. Gli occhi stanchi e quell’indecisione tra la voglia di farsi accarezzare e quella di stare sola, essere lasciata in pace.
Credo che una delle ragioni per cui amo così tanto i gatti sia la facilità con cui riesco a capire il loro umore.
Poi forse domani sarà tutto diverso. Magari non pioverà e la gatta farà finalmente i micini; magari tornerò a casa da Linguistica e fisserò la schermata del pc chiedendomi cosa mi sia saltato in testa, oggi, di passare la giornata a modificare i css per ottenere un layout tanto incolore ed essenziale. Magari anche l’incazzatura sarà evaporata e i nervi torneranno morbidi, lo sguardo meno scostante.
Magari riuscirò anche a fare un discorso meno ostico e *dire* quel che avrei da dire.
Per il momento, però, l’unica cosa a cui riesco a pensare è che con il cambio dell’ora domani è come se la sveglia suonasse alle *cinque*.
*rolling-eyes*
(Il che, probabilmente, contribuisce almeno in parte a gonfiare il malumore. *rolling-eyes*)