ORIGINALE - "Cenere"

Jan 07, 2009 20:25

Titolo: Cenere
Fandom: Originale
Personaggi: Uomo (+ donna)
Rating: NC17 (per situazione e pseudo-p0rn)
Parole: 1456 (W)
Warnings: One-Shot, variamente disgustosa/cruda/delirante, non per stomaci delicati
EFP: LINK.
Riassunto: Non sapeva come diavolo ci fosse finito in quella stanza minuscola: gli era bastato sbattere le palpebre un paio di volte per risvegliarsi da quella specie di torbida trance che l'aveva condotto docilmente tra quelle quattro mura umide.


Note.
- Non betata. Ma non dovrebbero esserci oscenità grammaticali da ulcera lacerante improvvisa. (Spero.)
- Iniziata con un'intenzione, finita con un'altra. Finisce tra gli originali perché il personaggio è sostanzialmente anonimo, e non me la sento di affibbiare la situazione qua sotto esposta a lui ç_ç
- Stavo studiando d'Annunzio, quindi non rispondo di schifezze e cose disgustose varie. Chiedo perdono, piuttosto, visto che l'idea mi frulla in testa da un bel po' XD
- Il titolo fa schifo. Non sapevo che mettere ù_ù



Cenere.

Non sapeva come diavolo ci fosse finito in quella stanza minuscola: gli era bastato sbattere le palpebre un paio di volte per risvegliarsi da quella specie di torbida trance che l'aveva condotto docilmente tra quelle quattro mura umide.

La luce dell'abat-jour, confinata in un angolo della camera, ne illuminava soltanto quella zona, condannando il restante spazio ad un'oscurità soffocante.

Le mani gli tremavano fino all'inverosimile. Guardò in direzione della finestra chiusa, sperando, per una qualche assurda ragione, di poter scorgere uno stralcio di vita nel sudicio vicolo su cui affacciava. Ma le fessure delle imposte cigolanti erano troppo esigue per permettergli di distinguervi, oltre, la benché minima cosa.

Fu solo quando occhieggiò la porta, nel disperato e ultimo tentativo di poter trovare una via di fuga a quell'incubo, che sentì il suo odore invadergli le narici.

Era un profumo forte. Sapeva di vecchio e di stantio, come di un'essenza che si possa comprare in un mercato di anticaglie.

Una mano unta scivolò nella sua, serrandovi lentamente la presa. Sentì le dita sparire nella carne della donna, quasi avesse voluto farlo sparire dentro di lei e fingere che non fosse mai esistito.

Una forza invisibile, che profumava di talco e stucchevoli oli aromatici, lo sospinse fino al letto sistemato a ridosso della parete ricoperta di crepe verdognole da cui trasudavano lunghi rivoli d'acqua. Ferite aperte e mai rimarginate.

Si sforzò di concentrarsi sulle infilitrazioni e nient'altro perché la situazione di drammatica e assurda impasse in cui si trovava impietosamente avvolto gli impediva di reagire come avrebbe voluto.

Era come se quell'odore, quell'aura pesante di saponi e tappezzeria vecchia, marcia e polverosa, lo avesse inebetito a tal punto da rendergli impossibile un qualsiasi movimento. Tutto gli apparve innaturalmente rallentato, la sensazione di disgusto centuplicata fino all'infinito, rafforzata da quella specie di eco che lo costringeva a provarla ancora e ancora, in un lento e delirante scambio che andava da lui a quelle pareti squallide, che non tardavano a rimandergliela indietro.

Si ritrovò seduto sul letto, mentre parole sconnesse gli risuonavano nelle orecchie. Avrebbe giurato di aver sentito voci di inferno tutt'attorno a lui: una lingua incomprensibile, formule di perdizione e dannazione eterna che gli venivano ripetute in una lenta e instancabile nenia.

Una risata grottesca e bassa le accompagnò, mentre i suoi occhi si aprivano sconvolti di fronte al viso di mostro che gli si parò davanti.

Sotto i pesanti strati di trucco a buon mercato, riconobbe una donna che donna non era più. Il nero degli occhi si allungava all'infinito sulle sue ciglia, colando in sottili rivoli di pece sulle guance scurite da quella polvere soffocante che le scivolava dal volto ad ogni movimento brusco. Le labbra erano rosse e gonfie: un sorriso gli rivelò una dentatura giallastra e scomposta.

L'odore di fumo e di tabacco sembrò palesarsi solo in quell'istante. Ricopriva ogni singola cosa in quella stanza, si adagiava su quella donna mostruosa, sulla sua pelle flaccida, e le impediva di respirare, condannandola ad una lenta e agonizzante morte per asfissia.

Eppure gli parve già morta. Un volto simile non poteva che appartenere ad un defunto, ad un corpo decomposto, privo di una qualsiasi scintilla vitale. Il suo profumo gli arrivò come marcescente e nauseabondo.

Non riuscì a muoversi: rimase congelato, con lo sguardo in quelle pozze di oblio ormai spente, nella taciuta supplica di lasciarlo andare.

Ci era finito di sua spontanea volontà, là dentro. Aveva seguito il dipanarsi dei vicoli più bui, fino a quando non si era ritrovato in quella città dei morti in cui aveva destato la curiosità di tanti sguardi simili quello della donna che adesso lo fissava crudelmente.

Non aveva aperto bocca per tutto il tempo, lasciandosi trasportare da una perfida inerzia che lo aveva condotto sin lì, pronto ad assecondare i suoi più sordidi e bestiali istinti. Un nodo gli bloccava la gola: minacciava di farlo vomitare da un momento all'altro.

Le dita gelide di quel mostro si erano già insinuate nei passanti dei suoi pantaloni e l'avevano liberato dall'impedimento inutile della cintura: cadde sul parquet imbarcato e gonfio di umidità con un tonfo sordo.

Il cuore pareva esserglisi bloccato in petto: tratteneva il respiro, sperando di morire, così come faceva lui. Non smise di fissarla, senza far niente perché smettesse di spogliarlo: le sue mani sembravano fatte di fumo, arrivavano ovunque, infilandosi nelle fessure più recondite, nelle cuciture dei suoi pantaloni, ignorando qualsiasi ostacolo potessero incontrare.

Prestò immediatamente attenzione alle sue labbra dischiuse. Gli stava dicendo qualcosa, ma non ne capì il significato. Sembrava soltanto che quella bocca fosse pronta ad inghiottirlo per lasciarlo precipitare nelle viscere della terra una volta per tutte. I suoni gli arrivavano lontani e ovattati, quasi appartenessero ad un altro mondo, un mondo a cui lui era ancora estraneo.

Biascicò qualcosa di insensato, non appena la donna prese a toccarlo e accarezzarlo, prima con le mani, poi con le labbra.

Fu costretto a serrare gli occhi: la vista gli fece risalire un conato di vomito su per la gola. Si sentiva avvolto dal calore morente di quella bocca putrescente: si muoveva su di lui, senza concedergli alcuna tregua.

Prima che potesse rendersene conto, il suo corpo rispondeva e reagiva, contro la sua volontà, alle sevizie del mostro. Sentiva qualcosa di caldo e incontrollabile afferrargli il ventre e costringerlo a soffocare un gemito sommesso nel sangue della propria bocca.

Invocò il perdono di un dio che lo aveva sempre ignorato, supplicò perché lo liberasse da quella prigione di immonda perdizione in cui aveva innavertitamente messo piede.
Pregò perché il suo corpo smettesse di assecondare la furia di quella donna dai lineamenti orrendamente trasfigurati.

Serrò i pugni, sforzandosi di combattere quel diavolo nauseabondo e di ignorare il muoversi insistentemente di quella massa di capelli finti appena sotto di lui: un biondo che era paglia essiccata alla luce di un sole di plastica.

Chiuse gli occhi, incapace di sopportare la vista, sentendosi ormai sul punto di esplodere: sperava di potersi dissolvere in mille minuscoli frammenti, e dimenticare quel viso orrendo.

Ma il moribondo calore di quella bocca dipinta lo abbandonò improvvisamente. Si ostinò a non guardare, mentre una minuscola parte di lui supplicava perché quella mostruosa tortura fosse finita, un'altra strepitava perché andasse avanti e portasse a termine quella condanna.

Sperò di essere morto.

Solo quando quella massa di carne dal profumo pestilenziale scivolò su di lui, schiacciandolo sul materasso distrutto, circondandolo con le sue molli membra, realizzò di essere ancora in grado di respirare.

Si ritrovò a fissarla in viso, mentre si alzava e scendeva su di lui con insistenza, facendo sì che una gran sensazione di calore tornasse ad impadronirsi di lui.
I seni sfatti, imprigionati da un corpetto troppo stretto, minacciavano di sfiorargli il viso: pregò e supplicò perché non accadesse.

Di nuovo un languido e disperato piacere lo avvolse: invocava perché smettesse e lo lasciasse in pace, e allo stesso tempo voleva soltanto che continuasse, che gli facesse conoscere il punto più alto di quella disgustosa condanna che era andato cercandosi.

Fu un attimo. Il tempo sembrò congelarsi definitivamente, i lineamenti del mostro mutarono con calcolata lentezza, deformandosi mano a mano fino a quando il suo cervello non fu costretto ad interrompere quell'inutile sequela di pensieri.

Un gemito roco gli scivolo giù dalla bocca, disperdendosi nell'aria pesante di quella topaia gelida.

Sgranò gli occhi, sorpreso da quella deflagrazione improvvisa, che continuava a pulsargli malignamente nelle orecchie. Il sangue riprese a scorrergli nelle vene, ridando colore al suo viso smunto ed emaciato. Le parole e i suoni erano rimaste bloccate nelle sua gola, a formare un grumo di disperazione che sarebbe riuscito a sciogliere in lacrime soltanto molte ore dopo.

La carcassa della donna lo liberò qualche secondo dopo. La sua leggera risata gli arrivò orrendamente distorta: quasi non la registrò, mentre lo aiutava a rimettersi in sesto. Il tremore aveva ripreso a scuotergli le dita.

Si rimise in piedi, animato da chissà quale briciolo di forza, e andò a recuperare la giacca scura, acquistata appositamente per far fronte ai rigidi inverni della Repubblica Ceca.

Afferrò un esiguo cilindro di carta appallottolata e lo porse alla donna: denaro americano.

Uscì in fretta e furia da quel fetido monolocale, imboccando le scale sgangherate: i suoi piedi si alternavano l'angosciante compito di sorreggere il peso del suo corpo.

Solo quando fu uscito, alla mercé dell'aria fredda e sferzante di quella notte di Praga, capì di sentirsi ancora più vuoto e solo di prima.

Ricacciò indietro il pianto e la sorda disperazione che gli premeva sul petto e ottenebrava la mente. Invocò il sollievo di quel dio che non riusciva a sentirlo e di braccia amiche di cui sentiva il viscerale bisogno.

Il calore di quella donna era sparito rapidamente, scivolandogli di dosso in pochi secondi, quasi si fosse disintegrato al violento contatto con il gelo notturno.

Gli rimaneva addosso soltanto il suo odore marcescente.

Non aveva mai provato tanto disgusto per se stesso.

Affrettò il passo: un aereo lo attendeva e non poteva semplicemente farlo aspettare.

fanfics, fandom: originale, originale: varie

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