Titolo: You Make Me Wanna Scream
Series:
She is electric, can I be electric too?Fandom: Heroes
Personaggi: Elle Bishop, Sylar [menzione di Bob, Maya]
Pairing: Sylar/Elle [accennato]
Rating: PG13 (sangue)
Parole: 1637 (W)
Prompt: 3. Se questo è il tuo volere, non aprirò più bocca @
syllablesoftimeWarnings: One-Shot, post-Powerless, Villains hints.
EFP:
LINK.Riassunto: Sapeva solo di essere arrabbiata e umiliata, perché Sylar l'aveva giocata. Stavolta era stato lui, e non lei, ad avere la meglio, e questo non la divertiva affatto.
Tabella:
TABELLA. Note.
- Scritta anche per il prompt Ringraziamento @
fanfic100_ita {
Tabella}.
- Ho deciso di dare un senso più o meno cronologico a tutte e sette le fic del claim, quindi questa viene dopo,
The Devil Has His Eye On You, Girl, ed entrambe fanno parte della serie She is electric, can I be electric too? { lyrics da She's Electric degli Oasis }.
- Sì, sto prendendo il tutto moooolto lentamente, ma devo abituarmi a questi due insieme, o viene fuori una schifezza *isteria gratuita*
- Non betata, se ci sono errori, ditemelo! Thanks!
You Make Me Wanna Scream.
I feel safe with you
I can be myself tonight
It's alright, with you
Cuz you hold, my secrets tight
You do, You do
LaLa (Ashlee Simpson)
Elle non si sarebbe scordata l'espressione con cui Sylar l'aveva fissata quando se l'era ritrovato davanti.
Aveva tremato, e stretto i pugni e si era ripromessa che avrebbe reso di suo padre, un genitore orgoglioso.
Ovviamente, aveva fatto male i suoi calcoli.
Perché quella fu l'ultima cosa che vide prima di perdere i sensi.
*
Sbattè lentamente le palpebre, cercando di focalizzare il luogo in cui si trovava. Operazione non facile, visto che i contorni di qualsiasi cosa cercasse di guardare si confondevano e moltiplicavano mille volte, impedendole di realizzare un bel niente.
Sapeva solo di essere arrabbiata e umiliata, perché Sylar l'aveva giocata. Stavolta era stato lui, e non lei, ad avere la meglio, e questo non la divertiva affatto.
Combatté tenacemente contro la spossatezza e lo shock, ma dovette cedere.
Tutto si rifece buio. Ancora.
*
... nonostante i numerosi accertamenti, gli inquirenti non sono ancora ...
Un ronzio fastidioso le riempiva la testa e la costrinse a stringere gli occhi.
... il colpevole. L'uomo è stato freddato con un colpo d'arma da fuoco alla ...
Si aspettava di trovarsi le mani immobilizzate, ma - nonostante ogni singolo movimento le costasse un dispendio enorme di energie - realizzò di essere libera.
... sulla scena non era presente alcun testimone ...
Solo allora si rese conto del fastidioso grattare di una vecchia TV accesa.
Le immagini le apparvero, improvvisamente, incredibilmente nitide.
... le circostanze fanno pensare al ...
Era sicura che non sarebbe riuscita a muovere nemmeno un passo, neanche se avesse voluto.
... già noto serial killer ...
Sylar.
Lo individuò solo in quel momento. Era chino su una vecchia scrivania.
Non sapeva dove si trovasse, men che meno il perché.
... Sylar ...
Perché non l'aveva uccisa, tanto per cominciare? Non era forse il suo potere l'unica attrattiva che poteva esercitare su di lui?
Non fece in tempo a formulare il pensiero, che l'uomo si voltò verso di lei.
Le rivolse un largo sorriso che le fece venir voglia di vomitare.
"Buongiorno Bishop," esordì con tono divertito, "credevo non ti saresti più svegliata."
"Già, e io che speravo di essere morta."
Sylar si mise a ridere. Era una di quelle sue basse risate, quelle a capo chino e occhi accesi, come di qualcuno che è il solo a capire una battuta, qualcuno che sa qualcosa di cui tutti gli altri (Elle compresa) sono all'oscuro.
Si stava prendendo gioco di lei.
"Mio padre verrà a cercarmi," asserì stancamente, sollevando il mento in uno sprazzo d'orgoglio.
"Davvero?" Domandò in risposta, senza mostrarsi particolarmente sorpreso.
"Certo!" La voce le uscì rabbiosa e stizzita.
Perché non sarebbe dovuto venire? Era sua figlia, era la sua bambina. Era ovvio che sarebbe arrivato in capo al mondo pur di riaverla tra le braccia.
Il pensiero la fece sentire un po' meglio, mentre Sylar si alzava dalla sua postazione, per poterla raggiungere.
Era seduta su una vecchia poltrona di un blu sbiadito che odorava di caffé e polvere.
"Mi avrà sicuramente messo delle guardie alle costole. Saranno qua e -"
"Chi, quello?" La interruppe prontamente, indicandole la foto sgranata che il telegiornale ancora mostrava nell'angolo più alto dello schermo.
Elle storse la bocca. Chiunque fosse stato non si ricordava di averlo mai visto.
"Mi ha dato un po' di problemi. Ho dovuto ucciderlo," si giustificò a mezza voce, cercando il telecomando per poter spengere l'apparecchio.
Quindi Noah aveva ragione. Non aveva un partner soltanto perché non lo sapeva.
Strinse le labbra, assottigliando lo sguardo: il pensiero di aver avuto bisogno fino a quel momento di un angelo custode che la seguisse ovunque le mandò il sangue al cervello.
Con la coda dell'occhio notò la pistola, probabilmente quella che aveva usato contro per ammazzarlo, abbandonata sul comodino sbilenco che affiancava il letto.
"Perché non mi hai uccisa?" Domandò con voce acuta, maledicendosi mentalmente. Avrebbe voluto alzarsi. Alzarsi e fargli vedere ciò di cose era capace.
Ma i suoi muscoli erano così indolenziti e doloranti che non riusciva minimamente a muoversi.
"Perché mi servi."
"Per cosa?"
"Per distruggere la Compagnia."
Un'espressione di puro disgusto si dipinse sul suo volto, mentre Elle inorridiva.
"Da solo?" Gli chiese, cominciando a ridere. Come pensava di sconfiggere la Compagnia da solo? Era semplicemente ridicolo! Non ci sarebbe riuscito nemmeno in un milione di anni.
"No, non da solo," obbiettò, sedendosi sul letto e appoggiando i gomiti alle ginocchia, "ci sarai tu a darmi una mano."
"Scordatelo."
Sylar piegò leggermente il capo da una parte, osservandola attentamente.
"Mi chiedo cosa ti spinga a lavorare per quell'essere," sibilò, in un tono che non si addiceva affatto allo spietato compatimento che gli segnava il volto.
"Quell'essere è mio padre."
"Quell'essere è un mostro che manipola la gente."
"Non è vero!"
"Oh, sì che è vero, Elle."
Pronunciò il suo nome con una cadenza così odiosa che uno tiepido sfrigolio le attraversò le dita. Avvertì un'ondata di sollievo all'idea che i suoi poteri fossero ancora lì, ancora integri e più o meno funzionanti.
"Ti ucciderà," sentenziò la ragazza, maltrattenendo la smania di fargli male che le animava lo sguardo.
"No. Non succederà. E comunque...," si alzò, ed aprì uno dei cassetti del comodino. Ne tirò fuori un lungo coltello.
Elle raggelò, sgranando visibilmente gli occhi mentre Sylar le si avvicinava. Si fermò quando le era ormai di fronte. Appoggiò una mano su uno dei braccioli della poltrona, chinandosi su di lei finché pochi centimetri furono rimasti a separare i loro visi.
"... tu mi sottovaluti, Bishop," mormorò con un'occhiata eloquente.
La ragazza si spinse istintivamente indietro, premendosi contro lo schienale della poltrona, per sfuggire a quell'improvvisa vicinanza.
L'ultima volta che era riuscita a sentire il respiro di un uomo sul volto, era stato con Peter. Quando ancora era prigioniero della Compagnia.
Una sensazione che pensava di aver dimenticato si impadronì di lei, costringendola a serrare i pugni per nascondere i lievi bagliori azzurri che si stavano debolmente ravvivando sui palmi delle sue mani. Si mischiò al terrore che provava in quel momento, mentre lo stomaco le si stringeva bruscamente.
Sylar sorrise di nuovo, accarezzandole una guancia con la lama, senza ferirla. Un brivido di soddisfazione lo percorse al tremore di Elle.
Si sollevò la manica della camicia scura che indossava, scoprendosi il braccio.
"Non hai idea di ciò che sono capace di fare," bisbigliò.
Senza smettere di fissarla, affondò la lama nella propria carne, tracciando un lungo solco rosso che si fece subito vermiglio quando il sangue prese a scorrere copiosamente dalla ferita.
Si rimise, dritto, mostrandole il profondo taglio che si era appena procurato.
"Che schifo," balbettò Elle a mezza voce. Non si rese conto che - in un battito di ciglia - il sangue e la ferita erano già scomparsi, lasciando la pelle di Sylar così com'era, prima di quella truculenta dimostrazione.
Fu costretta a respirare più profondamente, per non farsi prendere da uno scompenso. Alzò gli occhi chiari verso di lui, comprendendo immediatamente cosa doveva esser successo.
"Hai trovato la cheerleader."
"Bingo."
"Possiamo ancora tagliarti la testa."
"Suppongo che correrò il rischio," nel dirlo, si strinse nelle spalle, come a dire sono spiacente.
Si rimise seduto, senza smettere di osservarla. C'era qualcosa di strano in Elle. Qualcosa che lo incuriosiva sinceramente.
Era un misto di innocenza e sadismo che cozzavano ingenuamente l'una contro l'altro, creando un effetto bizzarro. Era totalmente diverso da ciò che aveva visto in Maya.
"Perché non mi hai legata?"
"Non sono solito legare la gente," constatò, "ma se ti piace cercherò di fare uno sforzo," si offrì, trovando il commento piuttosto divertente.
Elle non era d'accordo.
Alzò gli occhi al soffitto, muovendo impercettibilmente le gambe.
"Non riusciresti comunque ad alzarti," le assicurò, "ti ho sedata."
"Stronzo."
"Non c'è di che."
Rimasero in silenzio. Sylar riaccese la TV.
"Ti userò come moneta di scambio," disse, "o come leva. Scegli tu la definizione che più ti aggrada."
... dentifricio Colgate, per denti sani, bian - ...
Cambiò canale.
La ragazza abbassò il capo, fissando la trama ingiallita del tappeto sul pavimento. Sapeva che aveva centrato nel segno e era anche consapevole di quanta importanza avesse Sylar per la Compagnia.
Era fregata.
*
Si svegliò di soprassalto nel bel mezzo della notte. La pioggia batteva insistentemente contro i vetri opachi della finestra. Il rumore le riempiva fastidiosamente le orecchie.
Era ancora seduta su quella poltrona.
Le facevano male le gambe e la schiena.
"Ma tu non dormi mai?" Domandò Sylar.
Elle fece saettare lo sguardo da un punto oscuro all'altro della stanza dove si trovava, ma non riuscì comunque a capire da che parte provenisse la voce.
"Taci," si sforzò di intimargli con ben poca convinzione.
L'uomo non disse nient'altro, lasciando che fosse la pioggia a riempire il silenzio.
Si rese immediatamente conto che preferiva sentirlo parlare piuttosto che non sapere dove fosse. Non vederlo e non sentirlo le faceva fin troppa paura.
"Ehi," riprese, "ho sete."
Niente si mosse. Credette che fosse rimasto immobile, rifiutandosi di darle retta e decidendo di lasciarla morire di sete, ma dopo un attimo, un'ombra le oscurò la ridotta visuale che aveva.
Una mano le passò sul collo, mentre l'altra le sollevava il mento.
Le appoggiò il bicchiere che aveva in mano alle labbra, lasciando che l'acqua le scivolasse in bocca.
Quando ebbe finito, si allontanò senza dire una parola o fare il benché minimo rumore.
Elle rimase immobile. Voleva insultarlo, ma le parole le si erano bloccate in gola. Una microscopica parte di lei le suggeriva di ringraziarlo, ma la mise prontamente a tacere. Voleva che le toccasse di nuovo il viso in quel modo, ma non avrebbe mai perso la faccia per una stupidaggine simile.
Il pensiero la tormentò per un buon quarto d'ora, finché la stanchezza non ebbe nuovamente la meglio.
*
Quando si svegliò, era distesa sul letto.
Aveva smesso di piovere.