Titolo: The Devil Has His Eye On You, Girl
Series:
She is electric, can I be electric too?Fandom: Heroes
Personaggi: Elle Bishop, Sylar [menzione di Bob]
Pairing: Sylar/Elle [accennato]
Rating: G
Parole: 1473 (W)
Prompt: 2. Sotto questa luce artificiale @
syllablesoftimeWarnings: One-Shot, post-Powerless
EFP:
LINK.Riassunto: Tentò di non farci caso, ma l'improvvisa consapevolezza di essere intrappolato gli impedì di restare indifferente.
Tabella:
TABELLA. Note.
- Scritta anche per il prompt Giallo @
fanfic100_ita {
Tabella}.
- Non betata. Se ci sono errori, fatemelo sapere!
- Ispirata dalle scene tagliate della seconda serie,
QUI per un assaggio.
- PIMPING:
If You Love Me Won't You Let Me Know? @
cursednotes.
The Devil Has His Eye On You, Girl.
Better run for cover
You're a hurricane full of lies
And the way you're heading
No one's getting out alive
Living in a fantasy
Don't even know reality
When you start talking I start walking
Don't even wanna know the truth
The devil has his eye on you girl
Lies (McFly)
Quando aprì gli occhi, la luce traballante e giallognola del neon lo colpì in pieno.
Li richiuse di colpo, lamentandosi quasi impercettibilmente, mentre tentava (con scarsi risultati) di muovere le braccia e le gambe.
Una macchia rossa, poi verde, e ancora viola, pulsava, si muoveva e rimpiccioliva nel buio del suo sguardo.
Tentò di non farci caso, ma l'improvvisa consapevolezza di essere intrappolato gli impedì di restare indifferente.
Era successo di nuovo.
*
C'era sua madre. Virginia gli sorrideva e gli accarezzava i capelli, quasi fosse stato ancora quel bambino un po' troppo cagionevole di salute che una volta ogni due mesi si ammalava.
Gabriel detestava restare fermo a letto, ma le premure che la donna gli riservava riuscivano a lenire qualsiasi fastidio, tanto che - certe volte - aspettava a gloria che la febbriciattola di turno lo colpisse.
Una strana e innaturalmente reale sensazione di calore si impossessò di lui.
Cercò di tendere le labbra in un sorriso di risposta, ma i muscoli del suo viso erano inspiegabilmente intorpiditi ed immobili.
Solo in quel momento si rese conto di quel grande paio di forbici conficcato nel petto di sua madre.
E Virginia sorrideva. Lo accarezzava e gli sorrideva.
Trasalì bruscamente quando lo toccò di nuovo.
Gli fece male, quasi fosse stata un'improvvisa scarica elettrica a colpire la sua fronte accaldata.
*
Sussultò prepotentemente, stringendo i pugni, sforzandosi disperatamente di togliersi l'immagine della donna dalla testa.
Solo dopo qualche secondo realizzò che due occhi curiosi lo fissavano insistentemente, quasi stessero cercando di perforarlo e arrivargli al cervello, fino a carpire i suoi più reconditi segreti.
La riconobbe dopo un attimo di totale smarrimento.
La Compagnia. Lo scontro. L'elettricità. La piccola Bishop. Le corde. Il neon.
"Sei sveglio?" Gli chiese, prima di chinarsi un po' su di lui, assicurandosi che fosse ancora cosciente. "Non è divertente se dormi ventiquattr'ore su ventiquattro," commentò di nuovo, rivolgendogli un largo sorriso infantile.
Non lo fece star meglio. Sollevò le spalle, cercando di divincolarsi dalla morsa delle cinghie che lo tenevano saldamente immobilizzato a quello scomodissimo letto di ferro.
La vide ridere.
Una risata leggera, squillante e del tutto fuori luogo. Per un attimo, gli sembrò di essere circondato da uno di quegli stupidi capannelli di ragazzine che ridono, piangono, esultano e gioiscono in sincronia. Quelle che affollano le scuole e pensano di essere attraenti, ma che in realtà sono soltanto molto tristi.
Elle si chinò leggermente su di lui, appoggiandosi coi gomiti sul letto.
"Ti pensavo più interessante," riprese, quasi fosse abituata a parlare con muti interlocutori, "papà dice che sei il più pericoloso in giro."
Rise ancora, ma Sylar - stavolta - vi colse una nota di pura derisione.
Aspettò che i suoi occhi si fossero abituati all'orrenda luce artificiale dell'asettica cella in cui l'avevano rinchiuso. Pensò che c'era già stato in un posto simile, e l'idea di esser stato giocato un'altra volta, gli mandò il sangue al cervello.
Lei continuava a studiare la sua espressione, soffermandosi su questo o quel particolare del suo viso: gli occhi scuri, la fronte aggrottata nel disperato tentativo di non perdere la pazienza, le labbra leggermente tirate, lo sguardo innaturalmente concentrato.
Alzò una mano in sua direzione, muovendo leggermente le dita: una scintilla d'elettricità azzurra le si animò nel palmo, brillando e crepitando sulla sua pelle.
L'avvicinò al pugno chiuso di Sylar.
Strinse la bocca in un sorrisetto a malapena trattenuto: già pregustava il risultato del suo passatempo preferito.
Per questo un'espressione di pura delusione le si dipinse sul volto quando - afferrando bruscamente la mano di Sylar - l'elettricità non parve sorprenderlo più di tanto. Gli causò un breve fremito, ma niente più.
Lo sentì stringere la presa e torcerle le dita non appena l'effetto del suo potere si fu esaurito.
"Lasciami andare," borbottò Elle, terribilmente infastidita e al contempo molto, molto spaventata. Sapeva che non doveva scherzare con quell'uomo, sapeva che era davvero l'uomo più pericoloso in circolazione, sapeva che doveva starne alla larga, ma suo padre le aveva anche detto che lei era la migliore, che ce l'avrebbe fatta, che poteva stargli dietro, che doveva tenerlo d'occhio, e che era il suo prigioniero.
Elle, dopo tutta la fatica che aveva fatto per trovarlo, aveva tutto il diritto di divertirsi un po' con lui.
"Non sono la tua bambola," sibilò Sylar digrignando i denti. Aveva riconosciuto la sensazione, non era stata Virginia ad accarezzargli i capelli, divertendosi ad elettrizzarlo ogni tanto. C'era qualcosa di profondamente sbagliato nei suoi occhi azzurri. Vi riconobbe una luce strana, che sapeva un po' di Gabriel, e che non amava affatto.
Le torse maggiormente le dita, senza mollarla, sebbene le sue capacità motorie fossero ridotte al minimo.
Un lampo di soddisfazione gli attraversò il volto, all'espressione contrita di Elle.
"Non ho mai avuto bambole così brutte," ribatté lei mentre si ricordava che non sapeva che faccia avessero le sue bambole, perché le aveva decapitate tutte, o fatte morire su piccoli roghi di carta e legnetti. Bob aveva smesso di comprargliele poco dopo il suo decimo compleanno: le povere streghe, regine e rivoluzionarie decedute sotto lo sguardo poco compassionevole di Elle, avevano raggiunto un numero piuttosto preoccupante.
"Paura della concorrenza?"
"Paura di un bel niente. Mollami."
"Perché non lo fai di nuovo, mh?" La esortò, alludendo alla sua succulenta capacità di creare scintille elettriche.
"Perché non posso, papà ti vuole vivo... per ora," precisò, chinandosi per sbeffeggiarlo apertamente.
"Dovresti fare attenzione, ragazzina."
"Non sono una ragazzina."
"Non le ho nominate io, le tue bambole," fece notare.
Elle strinse le labbra e i pugni, come fa chi non riesce ad esprimere adeguatamente la propria indignazione.
"Sono il miglior agente della Compagnia," sentenziò piena di sé, sperando di recuperare, in qualche modo.
"Se tu sei il migliore, non oso immaginare chi lavora per tuo padre," mormorò in risposta, fissando lo sguardo nei suoi occhi.
"Papà dice che sono la migliore," sibilò molto lentamente, scandendo quasi maniacalmente ogni singola sillaba che le usciva di bocca.
Sylar voltò leggermente il capo per poterla guardare meglio. L'aveva vista solo una volta, e lei lo aveva sbattuto contro una porta a vetri senza troppi complimenti.
Non gli era interessato poi molto, visto che aveva appena riacquistato i suoi poteri. Separarsi da Mohinder, Maya e Molly, poi, non era mai stato tanto piacevole come in quell'occasione.
Elle gli aveva rimediato un'uscita di scena più teatrale e apocalittica del previsto, ma non aveva avuto né la voglia, né il bisogno di preoccuparsene.
Era tornato.
"Se ti fa piacere crederlo," sentenziò in risposta, lasciandole andare la mano.
"Ti ho catturato, signor Sylar," ribatté lei, alzando il mento in un gesto che trasudava puro disprezzo. Non amava venir messa in ridicolo. Stavolta non aveva fallito. C'era stato bisogno di aiuto, era vero, ma la missione era stata compiuta, ed era fiera di sé.
Avrebbe voluto dire lo stesso di suo padre, ma Bob l'aveva liquidata con poche parole affatto entusiastiche, e l'aveva ignorata per tutto il giorno.
"Io scappo sempre."
"Non stavolta."
"Oh sì, invece."
"No."
Una stupida vocina nella sua testa, sembrò ordinargli di ribattere con un inferocito sì, ma decise che non aveva tempo di mettersi a fare l'idiota con una che aveva evidentemente perso un po' dei suoi giorni e qualche rotella di troppo.
Si limitò a sorriderle, caricando la smorfia con tutto il disprezzo, la rabbia, la frustrazione e il fastidio che quella situazione gli causava.
Stavolta Elle non rispose in alcun modo. La sua espressione traboccava d'impazienza e indignazione, tanto che sarebbe bastato pochissimo per farla esplodere definitivamente.
Gli sembrò di trovare qualcosa di familiare in quel viso, ma si sforzò di sostenere il suo sguardo con altrettanto furore, fino a quando non fu lei a guardare altrove.
Qualcosa, in quell'uomo, riusciva a destabilizzarla. Le mani le tremavano, quasi fosse stata soltanto molto eccitata di trovarsi di fronte all'oggetto delle suo ricerche: il temibile Sylar. L'aveva atteso così tanto, sognato così tanto, quel successo, da non essersi minimamente soffermata sulle complicazioni che un compito del genere comportava.
"Molto bene," finì per dire, dopo un lungo attimo di silenzio, "staremo a vedere."
Concluse, tremando internamente al solo pensiero di saperlo fuggito lontano dalla sede della Compagnia, lontano dal Livello 5.
"Ricordati del mio viso," sussurrò lui, tornando a socchiudere gli occhi, "perché mi rivedrai molto presto... fuori di qui."
Aveva visto come funzionava, e conosceva le possibilità di un potere del genere.
Farle fare la fine che lei stessa riservava alle sue bambole, gli avrebbe causato un immenso piacere.
Elle lo capì al volo e non si trattenne oltre. Uscì, lasciando che la porta a vetri si richiudesse dietro di lei.
Suo padre l'avrebbe protetta.
Sylar non sarebbe mai arrivato a lei.
Ne era convinta.