[free!] only lie when you don't want the truth ~ makoto/haruka

Nov 29, 2013 21:22

Titolo: Only lie when you don't want the truth
Fandom: Free! - Iwatobi Swim Club
Beta: eowie
Personaggi: Makoto Tachibana, Haruka Nanase, con apparizioni random di Rin Matsuoka, Nagisa Hazuki, Rei Ryugazaki e Gou Matsuoka.
Pairing: Makoto/Haruka
Rating: io mica mi ricordo come funzionano ‘ste robe, boh??? Facciamo PG13 forse
Conteggio Parole: 5.697 (W)
Avvertimenti: madò, ma li avete visti? Che avvertimenti volete. Si coccolano!!! Sono fluffoni!!!! Haruka guarda l’oceano!!!! Rin se la tira!!!! Makoto è un paciocco!!!! Nagisa e Rei porkeggiano sullo sfondo!!!
Disclaimer: I personaggi della storia appartengono ai rispettivi proprietari e creatori, che ne detengono i diritti. Nulla di ciò è scritto a scopo di lucro.
Note:
- HAPPY BIRTHDAY TO YOU, HAPPY BIRTHDAY TO YOUUUUUUUUUUU, HAPPY BIRTHDAY VANEEEESSAAAAA, HAPPY BIRTHDAY TO YOU!!!!!! \O/\O/\O/
- Ovvero, per la vedova_nera, unico e solo Oracolo.
- Passando a noi: TI ODIO!!!!!!11!UNDICI!!11!!!!11UNO!!!
- No, non è vero che ti odio, ma cazzo, devi proprio indovinarla tutti gli anni???? Fingiti sorpresa, socia, dai dai dai!!!!! Fingi, ti dico.
Comunque sia, amata cara, ti auguro per la 34894^ volta un’infinità di auguri, sperando che codesto regalo sia per te gradito. ù_ù Sappi che solo la forza del mio amore per te mi ha dato il coraggio di prendere in mano Haruka, altrimenti sarei probabilmente scappata a gambe levate tipo dopo le prime 100 parole scritte. Ma seriamente: spero che ti piaccia e ti faccia contenta e più in generale che tu stia avendo/abbia avuto un compleanno meraviglioserrimo. ♥
- E nulla, per il resto vorrei ringraziare l’Ale, che s’è sorbita qualcosa come tre milioni e mezzo di paranoie e s’è anche dovuta leggere pezzi di fic man mano che li scrivevo (tipo, io non so come i suoi occhi non si siano dissolti di fronte all’orrore supremo, va) e boh, non so come non mi ha mandata a cagare, giuro.
- Per di più c’è da dire che questa fic l’ho iniziata a settembre??? Ottobre??? Non lo so, un sacco di tempo fa e tipo non ho mai mai cambiato idea mai??? Un miracolo????
- Il titolo viene da Joy di Iron & Wine.
- E comunque l’anno prossimo ti sorprenderò, vedrai!!!! *agita il pugno*


Only lie when you don't want the truth
I'm only frightened 'cause you gave me something to lose
And it's as loud as a thunderclap but you hear it too

A bordo vasca, Rin indossa gli occhialini con uno scatto della molla e, rivolgendosi ad Haruka, dice: «Dai, facciamo una gara.»

L’altro lo fissa con un misto di sorpresa ed esasperazione, aggrottando appena le sopracciglia e indugiando sul suo sorriso tagliente e sicuro di sé. Solo dopo qualche istante annuisce e raggiunge una delle corsie centrali, mentre si sistema la cuffia. «Basta che non ti metti a piangere se perdi,» commenta, prendendo già posizione.

«Ah!» esclama Rin, affrettandosi verso la corsia accanto, «nessuna delle due cose succederà te lo assicuro.» Non fa in tempo a prepararsi, tuttavia, che Haru, un vago ghigno sulle labbra, si tuffa. «Stai barando!» gli urla dietro prima di seguirlo, il rumore dello spruzzo d’acqua quasi del tutto coperto dalle risate di Gou e Nagisa.

Dal lato opposto della piscina, a Makoto scappa un sorriso. L’atmosfera tesa dei giorni precedenti alla gara regionale - che ormai sembra accaduta una vita fa, nonostante sia passato appena un mese - ha lasciato il posto ad un clima sereno e rilassato e pare che non ci sia nulla, adesso, in grado di turbare quella nuova situazione. Accanto a lui, anche Rei ridacchia. «È bello vederlo così,» afferma all’improvviso, lo sguardo su Haruka; attraversate le due vasche, è riemerso al punto di partenza subito seguito dall’altro, che ancora lo accusa per essere partito in anticipo. «Voglio dire, sembra felice.»

Makoto lo osserva a sua volta: la sua espressione è neutra, un po’ infastidita, ma quando Rin ne attira l’attenzione gli occhi gli si colorano di una luce strana - entusiasmo, suppone, ma forse anche qualcosa in più.

Rei ha ragione: è felice. Entrambi sono felici. E, quando sono insieme, è come se fossero davvero tornati quelli di un tempo, come se gli anni non fossero mai trascorsi e Rin non fosse mai partito per l’Australia.

Domandarsi come sarebbero andate le cose se fosse successo esattamente quello, se tra loro non ci fosse mai stata nessuna lontananza, gli risulta inevitabile: riesce quasi ad immaginarseli e ciò che vede nel retro della propria mente è talmente simile alla realtà che ha davanti in questo momento da fargli un po’ paura.

Senza che se ne renda conto, il sorriso gli svanisce dalle labbra; il cambiamento nella sua espressione attira l’attenzione di Rei, che si gira a guardarlo. «Ho detto qualcosa di sbagliato?» domanda, il tono appena preoccupato.

Makoto si riscuote bruscamente, affrettandosi a negare con il capo. «No, no, anzi. Penso che tu abbia ragione.» Tenta di assumere l’atteggiamento più rassicurante possibile e aggiunge, «Ero solo un po’ assorto, credo.»

Rei lo studia ancora per un istante, poi si sistema gli occhiali sul naso e annuisce, lasciando correre. Raccoglie il proprio asciugamano e si avvia verso la piscina, dove Rin sta ridendo per chissà cosa e Haruka è seduto sul bordo, i piedi nell’acqua.

Lui prende un respiro profondo, cerca di rasserenarsi e cancellare quell’ombra di poco prima, poi si unisce a loro.

*

Seduto sul letto nella sua stanza, Makoto si stiracchia, sbadigliando pigramente. La giornata è talmente calda che la sua voglia di fare sembra essere evaporata, volata via fuori dalla finestra inutilmente aperta, così continua a restare lì, la TV accesa, come in attesa di qualcosa.

Il qualcosa si rivela essere lo squillo del suo cellulare. «Mako!» lo saluta Nagisa dall’altra parte della linea. «Vieni al mare con me e Rei?» gli domanda, e al suo ok immediatamente aggiunge: «Dillo anche ad Haru, vi aspettiamo a casa mia.»

Il tu-tu del telefono libero rimpiazza la sua voce subito dopo e Makoto si ritrova a stringere l’apparecchio stordito dall’irruenza dell’amico. Basta un istante, però, perché la sua eccitazione lo contagi e all’improvviso l’idea di spendere una giornata in spiaggia, mettendo fine alla tortura del caldo, gli appare perfetta.

Rapidamente, compone il numero di Haruka. Squilla a vuoto alcune volte, prima che sospiri e smetta di tentare, dicendosi che, come al solito, l’altro ha abbandonato il cellulare da qualche parte, ignorandolo. Gli toccherà andare a trovarlo di persona.

È in strada dopo alcuni minuti, una borsa con l’asciugamano e poco altro in spalla e le mani in tasca, mentre tranquillamente cammina verso casa di Haruka. Sono gesti abitudinari, i suoi, gli stessi che compie da una vita, persino quando arriva a destinazione e, dopo aver premuto il campanello - suona a vuoto anch’esso -, apre la porta d’ingresso, che scivola di lato senza resistenza.

«Haru? Ci sei?» domanda, alzando appena la voce.

È un po’ una sorpresa quando, invece di doverlo cercare per l’abitazione, ottiene una risposta, un «Qui», che proviene dalla cucina.

Makoto si dirige automaticamente verso la stanza ed è un attimo prima di varcare la soglia che la risata di Rin lo raggiunge. «Ehi, Makoto,» lo saluta, appena compare sulla porta; è seduto al tavolo, dal lato opposto rispetto ad Haruka, con una lattina di bibita fredda tra le mani e sulle sue labbra ci sono ancora tracce di divertimento.

«Ehi,» gli fa eco Haru, accennando un gesto col capo. Non c’è nulla nel loro atteggiamento che denoti disagio o insofferenza al suo arrivo, ma Makoto resta comunque immobile, in attesa di essere invitato ad unirsi a loro. Gli riesce difficile non sentirsi un intruso, un estraneo che li ha interrotti bruscamente, e i pensieri che gli avevano attraversato la mente diversi giorni prima gli si ripresentano davanti all’improvviso.

«Ti prendo qualcosa da bere,» dice l’amico, mettendosi in piedi. Il suo movimento lo riporta alla realtà immediata, all’occhiata incuriosita di Rin, e gli ricorda che è rimasto lì fermo come un idiota per chissà quanto tempo.

Accenna un sorriso, affermando che si fermerà solo per poco, e avanza verso di loro. «Vado a nuotare con Rei e Nagisa,» si affretta a spiegare, rivolto ad Haruka, «ho tentato di chiamarti ma non hai risposto. Vuoi venire?»

Lui annuisce brevemente, poi sposta lo sguardo su Rin, che, posata sul tavolo la lattina vuota, si è alzato. «Allora io vado,» inizia, portando le braccia dietro la testa per stiracchiarsi.

Makoto si rende conto solo in quel momento di non averlo quasi degnato di una parola. «Vieni anche tu?» chiede, quindi; il suo tono è cordiale come sempre, eppure la sua voce non viene fuori come vorrebbe, con la tranquillità che vorrebbe - è come se un sottofondo di risentimento fosse sgusciato fuori contro la sua volontà. Spera di essere l’unico ad averlo sentito.

«Na, non posso,» replica Rin di rimando, per poi aggiungere con una smorfia, «ho promesso a Kou di accompagnarla a fare shopping, oggi pomeriggio.» Leva una mano verso di loro e, «Ci vediamo,» saluta, prima di dirigersi verso la porta d’ingresso.

Makoto lo segue con lo sguardo finché non è scomparso, e poi ancora per un’ulteriore manciata di secondi; tenta in tutti i modi di ignorare la persistente occhiata di Haruka, quella che cerca di individuare le ragioni del suo strano comportamento, di capire in un attimo cosa ci sia che non va. Ne è fin troppo consapevole e per questo impiega un po’ a voltarsi verso di lui, piegare le labbra in un sorriso e dire, «Andiamo?»

Haruka indugia, fermo nel centro della cucina; pare pronto a parlare - e la sola idea, la sola idea che possa chiedergli qualcosa in questo momento gli fa contrarre lo stomaco per la paura - ma alla fine ci rinuncia. Si limita ad annuire e mormorare, «Tra un attimo», prima di dirigersi verso la propria camera per preparare la borsa per il mare.

*

Non è una decisione cosciente, la sua. È più un ammonticchiarsi di scuse sciocche - un «Torno prima, devo aiutare Ren con i compiti», per non fare la strada con lui, finito l’allenamento in piscina; un vago «Mi dispiace, ho un impegno», quando lo invita fuori; un ritrovarsi a domandare «C’è anche Rin?» ogni volta che gli chiede di passare a casa sua - di cui Makoto si rende conto solo col trascorrere dei giorni.

Haruka sembra ingoiarle tutte, una ad una, senza puntare il dito sulle incongruenze, o sulle palesi bugie. Lo fissa attentamente cercando di capirne le reali intenzioni e Makoto si costringe a deviare lo sguardo, perché sa benissimo che se si lascerà studiare abbastanza a lungo gli permetterà di comprendere ogni cosa.

Ma la verità è che le sue intenzioni non saprebbe indicarle nemmeno lui. Continuano a passare abbastanza tempo insieme perché appaia chiaro che non lo sta evitando, che non gli sta negando l’amicizia e il supporto che gli ha dato finora; eppure la distanza c’è, e Makoto la misura con attenzione, facendo in modo che ogni giorno ce ne sia un po’ di più.

Ti sto lasciando spazio, si ritrova quasi a spiegargli, un giorno, fissando la sua espressione incolore mentre ritornano a casa. Che si aspetta che quello spazio venga pian piano riempito da Rin, però, non ha il coraggio di confessarlo nemmeno a se stesso se non più tardi.

*

Tra il rumore del campanello e la voce di sua madre che lo chiama non passano che pochi istanti. «C’è Haruka,» gli arriva e Makoto non riesce a trattenere la sorpresa. Le volte in cui è venuto a trovarlo senza essere prima invitato si possono contare sulla punta delle dita; quelle in cui si è spinto fino a suonare alla porta, invece di aspettarlo fuori, sono ancora meno.

Esce dalla sua stanza e fa per scendere le scale, giusto in tempo per essere sorpassato da suo fratello, che corre verso l’ingresso e si lancia su Haruka strillando il suo nome. L’altro lo solleva in braccio come se fosse il gesto più normale del mondo, fissando Makoto che si avvicina, senza mettere piede in casa.

«Haru?» Gli lancia un’occhiata interrogativa, pur senza osare porgli la domanda che vorrebbe. Chiedergli cosa ci fa qui non avrebbe senso, perché glielo legge addosso. Un improvviso moto di senso di colpa gli stringe lo stomaco e lo forza ad abbassare lo sguardo. «Vieni dentro?» chiede, intento ad osservare la propria mano appoggiata sul pomello della porta di ingresso.

L’amico scuote la testa. «Facciamo un giro, allora,» si risponde da solo, dando voce alle sue intenzioni. Lo vede mettere giù Ren e dargli una pacca sulla testa, prima di annunciare a sua madre che sta uscendo e chiudersi la porta alle spalle.

Camminano l’uno accanto all’altro per un po’, l’attenzione di Haruka rivolta all’oceano in lontananza, in completo silenzio. Il tempo non passa mai né troppo in fretta né troppo lentamente quando sono insieme, e di norma Makoto nemmeno se ne accorge; questa volta, però, ogni secondo che scivola via in quell’atmosfera gli lascia la sensazione di doversi muovere, stringere le dita a pugno e rilasciarle, sistemarsi una piega invisibile della maglietta, passarsi la mano sui capelli per spostarli dalla fronte. Per quanto tenti di tenere la mente occupata e trovare un qualsiasi argomento di conversazione, i suoi pensieri continuano a rimbalzare su quell’unico punto, sul motivo che ha spinto l’amico ad arrivare fino a casa sua. È chiaro che non sarà Haruka il primo a tirare fuori l’argomento, è a Makoto che tocca.

Prende un respiro profondo e si dà dell’idiota, ripetendosi che non c’è nulla da temere. Poi comincia: «Non ti sto evitando.» Il suo tono suona chiaro e determinato; vuole che all’altro non resti nessun dubbio in merito, vuole che sappia che il proprio posto è ancora al suo fianco.

Haru si volta di scatto verso di lui, come se la frase, tutto sommato, l’abbia sorpreso. La sua espressione si ammorbidisce subito, però, mentre scrolla le spalle e afferma, «Lo so.» Torna a fissare gli occhi sulla strada davanti a loro e a Makoto questo dà il coraggio di continuare. Gli deve una spiegazione: non c’è modo di ritardarla ancora, di prolungare quella situazione ulteriormente.

«Tu e Rin,» soffia fuori, quindi, sentendosi particolarmente ridicolo nel pronunciare quella frase - per quanto si sia ripetuto quel discorso tra sé nei giorni precedenti, non c’è modo che venga fuori come vorrebbe. «Ho pensato aveste bisogno di spazio.» Le parole gli suonano pesanti, eccessive; è come se avessero un significato più profondo di quello che voglia ammettere. Forza fuori una risata, così, sperando di alleggerirle, in attesa che l’altro le commenti in qualche modo.

Ma Haruka non lo fa; si limita ad annuire, dandogli segno di aver capito, e lui si ritrova a scrutare attentamente il suo viso alla ricerca della risposta che non ha avuto. Se ha atteso tanto a lungo, prima di andarlo a cercare, è forse perché ha temuto che volesse davvero prendere le distanze. La traccia di sollievo che gli sembra di notare sul suo volto, quindi, lo fa sentire ancora più colpevole. Vorrebbe fargli sapere che non è così, non è affatto così, ma per quanto cerchi non trova le parole giuste.

Continuano a camminare in silenzio per un po’, finché non arrivano alla base della scalinata che porta a casa di Haru. «Vieni?» gli chiede quello, girandosi a guardarlo in attesa. Makoto sorride e annuisce, senza nemmeno esitare, già sapendo che le cose torneranno alla normalità in un attimo e che del suo proposito non resterà che un vago ricordo.

«Hai davvero pensato che io e Rin…?» domanda Haruka più tardi, in piedi vicino al tavolo, tra le mani un vassoio con sopra due tazze di tè fumanti.

La frase, che resta sospesa nell’aria, lo fa sentire ancora più ridicolo nelle sue supposizioni. Makoto ridacchia, nascondendo il viso tra le mani. «Non lo so,» dice, rialzando lo sguardo su di lui e stringendosi nelle spalle. «Voglio solo che tu sia felice. »

L’amico ricambia l’occhiata, prima di coprire la distanza che lo separa dal tavolo e andare ad appoggiare il vassoio, facendo tintinnare lievemente i cucchiaini all’interno delle tazze. Si siede al suo fianco, abbastanza vicino perché le loro spalle si sfiorino appena; è un contatto lieve, quasi invisibile, e se si raddrizzasse un po’ Makoto smetterebbe di avvertirlo del tutto. «Lo sono,» mormora Haruka dopo un attimo, senza incrociare i suoi occhi. «Felice, intendo.»

Improvvisamente non sa cosa replicare; il silenzio ristagna per alcuni istanti, finché l’altro non scivola un po’ più vicino a lui - il contatto dapprima così incerto, si fa di colpo più concreto, volutamente cercato - e quello gli basta per rendersi conto che non c’è davvero nulla da dire.

Sorride piano, quasi tra sé, e allunga una mano per prendere una delle due tazze e portarsela alle labbra, il pensiero di Rin e del legame che condivide con Haruka ormai lontano dalla sua mente.

*

«Aw, sei stato velocissimo!» La voce squillante di Gou risuona per l’intero spazio della piscina, mentre la ragazza, lasciando andare il cronometro, annota rapidamente i tempi di Haruka sulla sua cartelletta. Rei si sporge a guardare, complimentandosi a sua volta, mentre l’altro salta fuori dalla piscina e raccoglie l’asciugamano che Makoto gli porge, sfiorando leggermente le sue dita.

«Aaah, complimenti, Haru!» strilla Nagisa, lanciando un’occhiata ai dati raccolti da Gou da sopra la sua spalla e saltellando sul posto. Ogni più piccolo progresso della squadra lo fa felice e persino Haruka non sembra impassibile al suo entusiasmo; c’è l’ombra di un sorriso sul suo volto, quando rientra in acqua per andare a mettersi in ammollo in un angolo.

«Dai, Rei, tocca a te,» riprende Gou, facendo cenno all’altro di prepararsi. Makoto gli si avvicina per dargli una pacca di incoraggiamento e Nagisa gli trotterella al fianco. Il tuffo di Rei è accompagnato da un suo sospiro, «Sta migliorando tantissimo.»

Makoto annuisce; gli riesce impossibile non farsi contagiare dalla sua eccitazione e, almeno quando è in piscina, può lasciar andare qualsiasi preoccupazione e concentrarsi solo sul nuoto e sulla squadra.

«Sai,» riprende l’altro, dopo qualche attimo, «mi sento davvero come se fossimo tutti in una posizione migliore, adesso, come se nulla possa fermarci.» Il suo ottimismo traspare da ogni parola e il primo istinto di Makoto è quello di annuire un’altra volta e dirgli che sì, è esattamente così: hanno lavorato duro per arrivare dove sono e quel successo se lo sono meritato.

«Capisco cosa intendi,» ammette infatti, suonando altrettanto sicuro. Il suo sguardo scivola su tutta la piscina, su Rei che riemerge alla fine della corsia e su Gou che gli annuncia il suo tempo; infine si sposta su Haruka, ancora fermo in un angolo della vasca con gli occhi chiusi e la testa appoggiata al bordo. È in quell’istante che il suo ottimismo vacilla: sono tutti in una posizione migliore, ma è sicuro di poter dire lo stesso di sé? Si aspettava che, chiarite le cose con lui e messo da parte il pensiero di Rin, il grumo di dubbi ed incertezze che si portava dietro da giorni sarebbe venuto meno; invece, è rimasto lì e, per quanto ci abbia provato, non è riuscito ad identificarne né l’origine né la causa. Se ne resta nascosto nel suo petto, pronto a venire fuori quando meno se l’aspetta per farlo precipitare in un vago senso di inquietudine che gli impedisce di godersi come vorrebbe i momenti con gli altri - e con Haruka in particolare.

Di fronte al silenzio in cui è sprofondato, Nagisa gli lancia un’occhiata sospettosa e un po’ preoccupata, ma la domanda che gli nasce sulle labbra viene interrotta dalla voce di Gou, che annuncia a Makoto che è arrivato il suo turno.

Raggiunge il bordo della vasca in pochi passi, prendendo un respiro profondo prima di tuffarsi; con l’acqua che lo circonda e non gli permette di sentire nulla che non siano i propri pensieri, si promette che troverà il coraggio di fare ordine, di sciogliere quel groviglio scuro e venirne finalmente a capo.

*

Anni e anni prima, il giorno della partenza di Rin per l’Australia, Haruka era rimasto tutto il pomeriggio a casa sua. Avevano giocato ai videogiochi, dato una mano a sua madre con la spesa, chiacchierato e chissà che altro, ma qualsiasi cosa facessero la sua espressione non riusciva a rasserenarsi. C’era una cupa cappa di rabbia che sembrava avvolgerlo e ogni suo atteggiamento ne era condizionato.

Che fosse furioso con l’amico per essersene andato a Makoto appariva chiaro, così come capiva quanto quella collera non fosse concreta, reale, ma più un modo per sfogare il dispiacere e il senso di abbandono.

Fuori nel cortile, a sera, mentre attendevano che suo padre si facesse pronto per riaccompagnare Haruka, si era deciso a fare qualcosa. Gli aveva preso la mano e l’aveva stretta forte - un gesto che era loro, che apparteneva al linguaggio che si erano costruiti nel corso degli anni; voleva dire non avere paura, andrà tutto bene, ma anche ci sono qui io. Haru aveva fatto la stessa cosa quando il suo amico pescatore era morto, poi quando era toccato ai suoi pesci, e ancora quando era rimasto talmente terrorizzato da un film che avevano guardato in televisione che era scoppiato a piangere e aveva smesso solo quando l’amico aveva intrecciato le dita alle sue.

Quella sera, la reazione dell’altro era stata di sorpresa e, per un istante, aveva abbassato lo sguardo ad osservare le loro mani unite con un’espressione confusa. Era stata la prima volta nella giornata che gli aveva visto abbandonare il cipiglio iroso e già l’aveva considerata una vittoria.

«Mi dispiace che se ne sia andato,» aveva detto allora, e Haruka aveva sollevato gli occhi per incrociare i suoi. Annuendo con lentezza, aveva stretto la presa ancora più forte.

Makoto aveva deciso in quel momento che gli sarebbe sempre stato accanto, qualunque cosa fosse successa, e che a differenza degli altri non lo avrebbe abbandonato. Quella promessa vale ancora oggi, ne è certo, eppure non riesce a non pensare che gli anni ne abbiano smussato i confini, l’abbiano resa più vaga. Ciò che quella promessa implica ora che sono cresciuti, infatti, non saprebbe indicarlo: il suo proposito di rimanergli vicino è ancora lì, eppure, nascosto sotto di esso, avverte qualcosa di diverso, la presenza di un ulteriore bisogno, di una differente sfumatura di quell’affetto che non sa come chiamare. Quello di cui è sicuro è che se ne scoprisse il nome tutto andrebbe a posto, l’inquietudine che prova passerebbe, e il meccanismo della loro amicizia riprenderebbe a girare senza inceppi.

Voltandosi a guardare Haruka, seduto accanto a lui su una balaustra mentre aspettano Rei e Nagisa, prova quasi l’acuta necessità di raccontargli tutto, di spiegargli nei dettagli quello che sta provando. Ma non saprebbe da dove iniziare - questa è la verità -, così si limita a fissare il suo profilo, i suoi occhi azzurri persi nella distanza, cercando di convincersi che si sta sbagliando, che nulla, in realtà, è cambiato.

Sa di aver fallito quando lo sguardo gli cade sulle loro mani, appoggiate entrambe sul metallo grigio e lucido, distanti pochi centimetri. Muove la sua senza rendersene conto: la fa scivolare verso sinistra, fino a sfiorare con le dita quelle dell’altro, facendolo sobbalzare e attirando la sua attenzione. Haruka segue la traiettoria dei suoi occhi in basso, osservando la sua mano scivolare a coprire la propria.

Compiere quel gesto è come dirgli ancora una volta che è lì, accanto a lui, e che gli dispiace di aver mosso quei passi indietro nelle settimane precedenti, e che non accadrà mai più. È come mettere in parole quel grumo che si porta nel petto e che non riesce a sciogliere; è come sottrarsi al suo peso e ammettere finalmente che qualcosa di diverso c’è e che lui è capace di affrontarlo.

Torna a fissare il viso dell’amico con una certa esitazione, mentre attende una reazione. Lui si limita a guardarlo per ancora qualche istante, la fronte aggrottata, per poi distendere l’espressione e voltare la testa nuovamente in direzione della strada; ruotando il polso, fa combaciare i loro palmi e incastra le dita tra le sue.

Makoto sorride piano, tra sé, espirando l’aria che non aveva realizzato di aver trattenuto, e nel silenzio che segue si rende conto di non avere più paura. Il tuffo al cuore che ha sentito, ora, sa precisamente cosa significa.

*

«Pigiama party! Pigiama party!» strilla Nagisa, appoggiando la borsa della spesa sul pavimento e alzando le braccia in aria. L’idea è stata sua, ovviamente, così come la decisione di stabilirsi a casa di Haruka; si è messo in moto talmente in fretta con i preparativi da non lasciare agli altri nemmeno una piccola possibilità di dissentire.

Makoto, a dire il vero, si è fatto coinvolgere dal suo entusiasmo con facilità: una parte di lui sente il bisogno di una distrazione, della serenità che è in grado di provare soltanto in compagnia dei suoi amici.

La serata, infatti, scorre nel migliore dei modi, ed è passata la mezzanotte quando decidono di mettersi a letto. La stanza di Haruka non può ospitarli tutti e quattro, perciò Rei trascina i sacchi a pelo suo e di Nagisa fin nel salotto, dove ha fatto posto spostando il tavolo. «Perché mi tocca sempre dormire di là,» si lagna Nagisa, passandosi una mano sugli occhi per cercare di scacciare la stanchezza.

«Non lamentarti! Ricorda che sei un ospite,» lo rimprovera immediatamente Rei, dandogli una leggera pacca sulla testa.

«Sei sempre cattivo con me,» replica lui di rimando, avviandosi fuori dalla stanza, mentre sventola distrattamente una mano in segno di buonanotte. L’altro lo segue subito dopo, borbottando una risposta risentita, e Makoto si lascia cadere sulla branda preparata nell’angolo della camera per lui, sbadigliando.

Ha già dormito in quella stanza così tante volte che quella sistemazione gli risulta familiare. Se chiudesse gli occhi, saprebbe dire con certezza a quanti passi di distanza si trova il letto di Haruka e, probabilmente, saprebbe anche come raggiungerlo nel buio più completo.

«Buonanotte,» gli arriva dall’altro, mentre si siede sul materasso. Makoto annuisce e lo imita, sistemandosi a sua volta sotto le lenzuola, ma è nell’istante stesso in cui la luce si spegne e si ritrova immerso nel silenzio che tutta la tranquillità provata durante la serata evapora come se non fosse mai esistita.

Si è ripromesso di non avere più paura, di accettare i nuovi sentimenti che prova, tenerseli stretti, smettere di combatterli, ma mettere in atto il proposito si sta rivelando più difficile di quanto avrebbe mai creduto, soprattutto quando restano soli. È l’idea di tenerlo nascosto ad Haruka che non riesce a digerire; è la consapevolezza di essere, forse per la prima volta nella sua vita, non del tutto sincero nei suoi confronti.

Serrando forte gli occhi e girandosi su un fianco, tenta di convincersi che questo non è il momento giusto per riflettere su queste questioni; è tardi, è stanco, dovrebbe dormire e smetterla di agitarsi - ma non ci riesce e, nel buio, il respiro lento e regolare dell’altro risuona forte nell’aria, a ricordargli della sua presenza e di tutto ciò che gli sta tenendo segreto istante dopo istante.

«Haru?» si ritrova a chiedere, prima ancora di rendersi conto che è la sua voce, quella che ha spezzato il silenzio. «Sei sveglio?»

Non ha una chiara idea di quello che vuole dirgli - o forse sì, forse l’ha avuta fin dal momento in cui ha capito che quello che sente per Haruka non è più l’affetto innocente di un amico d’infanzia, e ciò che gli è mancato è stato il coraggio di rivelarglielo: adesso che i suoi occhi azzurri non possono raggiungerlo, adesso che è certo che il suo sentimento si sia fatto concreto, capace di assumere una forma chiara e prendere un nome, si sente forte abbastanza.

Dall’altro arriva un ‘mh?’ che potrebbe significare sì, oppure potrebbe non significare nulla, ma Makoto decide che è proprio ciò che stava aspettando.

«C’è una cosa di cui ti devo parlare,» inizia in un soffio, deglutendo e sentendo la gola improvvisamente secca. Le lettere fanno fatica ad uscire, a rotolare sulla sua lingua, ma si sforza ad andare avanti. «Ti ricordi quando ti ho detto che tutto ciò che mi bastava era nuotare con te? Che altrimenti nulla aveva senso?» Inspira a fondo e poi espira interamente l’aria che ha nei polmoni, riprendendo in fretta, in modo da non lasciargli tempo di replicare. «È così. Voglio dire, è ancora così. Ma forse non è solo quello, forse l’idea di nuotare con te non mi basta più e ciò che voglio, quello che mi rende davvero felice, è stare con te.» Considera per un momento se mettersi seduto, prendere più aria, muoversi in qualche modo; considera anche se aspettare che Haruka dica qualcosa, che lo fermi o lo incoraggi ad andare avanti, ma scuotendo brevemente la testa si dice che è meglio proseguire da solo e, finalmente, ammetterlo.

«Il punto è,» riprende infatti, la voce ormai ridotta ad un bisbiglio, «che credo di essere innamorato di te. E va bene se non provi lo stesso, te lo giuro, va bene, posso prometterti che tra noi non cambierà nulla.» Pronuncia quelle frasi tutto d’un fiato, per poi fermarsi all’improvviso, la bocca così secca che gli sembra di aver appena compiuto la traversata di un deserto; si preme una mano sugli occhi, cercando di calmare il battito rapido del proprio cuore e di trovare le parole giuste per terminare. Non ci riesce, il nulla continua a rimbalzare nella sua mente senza prendere forma; così, tutto ciò che dice è: «Avevo bisogno che lo sapessi.»

Non appena il riverbero della sua voce si spegne, Makoto realizza quanto il silenzio sia assoluto. Dall’altro non arriva alcuna replica, nemmeno il frusciare delle lenzuola ad indicare un movimento; trattenendo il fiato per paura di perdersi anche il più breve e sottile mormorio, si chiede se non si sia sbagliato, se Haruka non sia stato addormentato tutto il tempo.

Il suo cuore prende a battere sempre più furiosamente mentre i secondi scivolano via l’uno dopo l’altro; si ritrova a chiudere gli occhi, nel tentativo di calmarsi, di tornare a respirare regolarmente, ma un rumore dall’altro lato della stanza lo porta a spingere nuovamente lo sguardo nel buio. Tra le ombre riconosce la figura di Haruka; lo vede mettersi seduto per poi scendere dal letto e il suo primo pensiero, mentre ne segue i movimenti sollevandosi sulle braccia, è che stia per uscire dalla stanza e lasciarlo lì, ad ascoltare ancora e ancora l’eco ormai lontana della sua stupida confessione.

Ma non succede niente del genere: sorprendendolo, lo raggiunge e gli si siede accanto, sulla branda. Makoto non ha nemmeno il tempo di realizzare cosa stia succedendo - e soprattutto se sia reale; forse non lo è, forse si è addormentato senza rendersene conto e sta sognando - che le mani dell’altro si posano ai lati del suo viso e, in un movimento fluido e inaspettato, quasi si trovasse in acqua, la bocca di Haruka si appoggia sulla sua.

È un bacio lieve, dapprima, uno sfiorarsi appena, ma si fa sempre più profondo man mano che cancella la distanza tra loro, scostando le lenzuola e scivolando al di sotto, sempre più vicino a lui, le braccia allacciate alla sua schiena.

Circondato dal suo calore, Makoto realizza solo adesso che è tutto vero, che sta accadendo, e la morsa di panico che gli stringe lo stomaco finalmente si attenua. Piano, accarezzando il volto dell’altro, si allontana da lui quanto basta per chiedere: «Sei sicuro?»

Haru non risponde, non subito; lascia che il sì sia evidente dai suoi occhi, dalla linea delle sue labbra, dal movimento delle sue mani, che percorrono senza sosta la lunghezza della schiena di Makoto, stropicciando la maglietta leggera che indossa. E lui glielo legge addosso, come ha sempre fatto, per cui quando finalmente annuisce non gli sta dicendo nulla che non abbia già capito.

La sua espressione finalmente si rilassa, tutta la tensione accumulata nelle ultime settimane si scioglie e, le gambe intrecciate a quelle di Haruka, le dita affondate nei suoi capelli, ricomincia a baciarlo.

*

Quando riapre gli occhi al mattino - il sole è già alto e caldo e raggiunge metà della stanza illuminandola completamente -, la prima cosa di cui si rende conto è di essere solo. Della presenza di Haruka al suo fianco, del suo calore, non rimane che una sensazione, tanto viva e acuta quanto lontana.

Il disagio gli si insedia sotto la pelle nello stesso momento in cui posa i piedi sul pavimento fresco; i ricordi della notte precedente sono tanto limpidi da non lasciargli dubbi su quanto sia successo, ma quello che sembrava tanto ovvio e chiaro nel buio notturno, alla luce del sole vacilla e perde consistenza. Una morsa di panico gli stringe lo stomaco ancora una volta, ma Makoto si forza a non badarci; scuotendo la testa per scacciare la pesantezza del sonno e dei pensieri, si alza, seguendo il vociare che arriva dal piano di sotto.

In cucina, Haruka è ai fornelli, mentre Nagisa e Rei sono seduti al tavolo a bere tè e a discutere animatamente di qualcosa. Si interrompono appena lui appare sulla soglia, entrambi girandosi e sorridendo. «Buongiorno, Makoto!» lo saluta il primo, facendogli subito cenno di prendere posto accanto a lui, e Rei gli fa eco, «Buongiorno!»

Makoto esita per un momento, il necessario perché Haru si volti a fissarlo da sopra una spalla; i loro sguardi si incrociano e, nel suo, vede lo stesso lampo di panico che ha attraversato lui stesso poco prima. Il primo impulso che avverte è quello di raggiungerlo e chiedergli cosa faranno adesso, cosa significa quello che è successo, ripetergli ogni parola detta la notte precedente e riconfermarla ancora. Ma con i suoi amici presenti non è qualcosa che può fare, così si limita a ricambiare l’occhiata e, lentamente, respirando a fondo per mettere via ogni sua incertezza, gli sorride.

Per il momento sembra bastare: l’ansia scompare dal viso di Haruka all’istante, venendo rimpiazzata da una luce nuova, viva, sorprendentemente calda. Il ragazzo torna a dargli le spalle, riprendendo a cucinare, e Makoto si riscuote per tornare a prestare attenzione a Rei e Nagisa.

«Non mi avete svegliato,» dice, prendendo posto accanto a loro all’estremità del tavolo e allungando una mano verso la teiera posata al centro.

Haruka li raggiunge poco dopo, sedendoglisi di fronte; il bisogno di parlargli, di chiarire le cose con lui, è ancora forte e acuto, ma, osservando la sua espressione serena, Makoto decide che non c’è fretta.

*

Riescono a restare soli soltanto una volta finiti gli allenamenti in piscina, sulla strada di casa. Hanno tardato più del consueto, questo pomeriggio, per cercare di lavorare maggiormente sui tempi di Rei, così quando s’avviano il sole è già basso sulla linea dell’orizzonte e la via è colorata d’arancione.

Il semplice camminargli accanto rende Makoto nervoso, eppure non è un sentimento negativo, quello che prova; è più una scarica elettrica che gli percorre la pelle, un senso di anticipazione che gli chiude lo stomaco e annoda la gola e fa venire fuori le parole che pronuncia a fatica. Commenta i progressi di Rei, il piano di allenamenti che Gou ha elaborato per la settimana successiva, ma per ogni argomento che tocca e a cui Haruka risponde con semplici monosillabi, sente sempre più pressante il bisogno di chiedere l’unica cosa che vuole davvero.

«Allora,» sospira piano, all’improvviso, spezzando un silenzio che sembra essere durato anni invece che pochi secondi, «che facciamo adesso?»

La domanda è semplice, quasi elementare, ma ci sono così tanti significati racchiusi in essa che ha la sensazione che le quattro parole emesse non bastino a contenerli. C’è paura ma anche speranza, ansia ma anche un certo grado di serenità che gli viene dalla sicurezza dei propri sentimenti: per quanto lo spaventi il futuro, la consapevolezza che il suo posto sarà sempre al fianco dell’altro non viene mai meno.

Haruka esita. Sotto gli occhi di Makoto, che lo studiano attentamente, sarebbe sufficiente guardarlo in viso per dargli la risposta che desidera; non lo fa e, invece, muove la propria mano alla ricerca di quella dell’altro, stringendola forte. È calda e al contatto Makoto quasi sobbalza: sebbene la conosca da sempre, l’improvvisa sensazione di toccare nuovamente la sua pelle, dopo la notte precedente, gli fa scorrere un brivido lungo la schiena.

Haruka alza gli occhi in quell’istante e incrocia i suoi. La risposta, adesso, è così chiara e lampante che non ci sarebbe modo di fraintenderla.

Non avere paura, sono qui, dice quel gesto nel loro personale linguaggio, e, intrecciando le dita alle sue, Makoto realizza che è esattamente tutto ciò che voleva sentire.

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