[HP] We're lost 'til we learn how to ask (so please, please just ask) ~ Charlie/Harry

Nov 29, 2012 21:06

Titolo: We're lost 'til we learn how to ask (so please, please just ask)
Fandom: Harry Potter
Beta: eowie
Personaggi: Harry Potter, Charlie Weasley; varie apparizioni di Ron Weasley, Ginny Weasley, Bill Weasley e Percy Weasley e altri di cui ci frega poco.
Pairing: Charlie/Harry
Rating: Pg15
Conteggio Parole: 7.592 (W)
Avvertimenti: Slash
Disclaimer: I personaggi della storia appartengono ai rispettivi proprietari e creatori, che ne detengono i diritti. Nulla di ciò è scritto a scopo di lucro.
Note:
• BUON COMPLEANNO, AMATA VANYYYYYY!!! ♥♥♥ TANTI AUGURI A TEEEE, TANTI AUGURI A TEEEEE, TANTI AUGURI FELICI, TANTI AUGURI A TEEEEEH!!!
• E soprattutto: NON L’HAI INDOVINATA, NON L’HAI INDOVINATA, GNE GNE GNE!!!!! Oh.
Detto ciò, un po’ di backstory. Questa fic era la mia terza idea come regalo di compleanno (perché sì, sono riuscita a cambiare idea così tante volte nel giro di un mese. *_* Ale stava per impazzirmi dietro, ma oh, succede) e la cosa meravigliosa è che le altre due le hai prese entrambe!!!!! Ma questa no, e infatti ho passato gli ultimi giorni a ringraziare il mio cervello che mi ha permesso di non farmi sgamare dall’Oracolo. Sono stata brava. è_é
• E e e nulla, non ricordo come si posta, come si fanno le note di una fic, come si specchietta, niente, per cui mi ritrovo senza molto da dire, se non che spero che Vany la gradisca e che sia un bel regalo di compleanno. E che è tutta per lei, ovviamente. ♥
• Titolo da In the end degli Snow Patrol, trovato per disperazione come al solito.


We're lost 'til we learn how to ask (so please, please just ask)

1998

«Stai bene?»

Harry ha già sentito quella domanda mille volte, negli ultimi giorni. Gliel’hanno ripetuta e ripetuta e lui si è concesso di annuire e mentire, dire sì, non preoccuparti, e stirare la bocca appena il necessario in un sorriso. Si prepara a fare lo stesso, quindi, le parole già sulle labbra, ma quando si volta Charlie aggrotta le sopracciglia e, precedendolo, afferma: «La verità, Harry.»

Tale replica lo coglie di sorpresa - lo stupisce come l’altro sia riuscito a leggerlo con una simile facilità - e gli fa accennare un sorriso, questa volta sincero. «Non dovrei essere io a chiederlo a te?» sospira, incrociando lo sguardo del Weasley con un po’ di esitazione.

Fa ancora male pensare a Fred e a tutti quelli che ha perso la notte della Battaglia di Hogwarts e lì alla Tana ogni assenza pesa più del normale. Ha riflettuto parecchio se fosse meglio andarsene, ma se da un lato non vuole sembrare ingrato verso i Weasley e la loro offerta di ospitarlo, dall’altro non saprebbe esattamente dove andare: tornare dai Dursley e affrontare le loro domande e le loro accuse è fuori discussione e adesso che persino Hogwarts è chiusa al pubblico e semi-distrutta non c’è un solo posto nell’intera Gran Bretagna a cui gli sembra di appartenere.

L’espressione di Charlie si fa gentile, calda. «No, non dovresti,» ribatte, avvicinandosi e sedendosi sul letto accanto a lui. «Sono tutti preoccupati per te,» ricomincia dopo un attimo e, prima che Harry possa scuotere la testa e scacciare quell’idea, gli appoggia una mano sulla spalla per poi aggiungere, con voce ferma: «E hanno ragione ad esserlo.»

Il ragazzo lascia uscire un breve sospiro, sentendosi improvvisamente piccolo e infantile, sciocco nell’essere diventato un motivo di ansia per quella famiglia che avrebbe già molto di cui preoccuparsi. «Mi sento in colpa,» comincia d’un tratto, rendendosi conto di aver parlato solo troppo tardi; ma ora che il nodo che si porta nel petto da giorni si è sciolto, non riesce più a fermarsi. «Avrei potuto salvarli e non l’ho fatto,» dice, «e stare qui… è difficile.»

Non sa perché, tra tutti, stia dicendo quelle cose a Charlie. Non sa perché non ne abbia parlato con Ron né con Ginny, quando entrambi gli hanno ripetutamente chiesto cosa non andasse. Sa, però, che quello che vede nei suoi occhi, quando trova il coraggio di guardarlo, non è pena, non è compassione, non è confusione: è comprensione con appena una dose di rimprovero, di fastidio, che scuote Harry fin nello stomaco.

«Non essere ridicolo,» lo ammonisce l’altro, la voce ancora calma e priva di astio. Continua col ricordargli di tutte le cose che ha salvato, dei meriti che ha avuto, e Harry non è pronto a crederci, non completamente, ma sentirle dalla voce di Charlie che finora non gli è mai stato così vicino gli fa un effetto piacevole. Scopre di riuscire a parlare con lui con facilità, nonostante la distanza, nonostante non abbiano mai avuto rapporti particolarmente stretti, e mentre i minuti scorrono e loro rimangono lì, seduti nella stanza di Ron da soli, inizia a sentirsi sempre meglio.

Quando il ragazzo più grande lo esorta a scendere in cucina e unirsi agli altri acconsente, seguendolo, e non può evitare di provare un indistinto calore ogni volta che Charlie, nei giorni seguenti, gli sorride.

*

«E se lo portassi con me in Romania per un po’?»

Bill è inizialmente sorpreso dalla sua proposta, Charlie può vederlo chiaramente. Si stringe nelle spalle, sentendosi in dovere di precisare, «Penso che trascorrere del tempo in un posto diverso gli farebbe bene, ne ha bisogno.» Tra tutti, loro due in particolare sanno a cosa si sta riferendo - a quella necessità di aria che entrambi hanno cercato all’estero, lontano da casa, quando quell’ambiente domestico era diventato troppo stretto e soffocante - e infatti la confusione sparisce immediatamente dal volto del fratello.

«Sì, forse hai ragione,» replica Bill, annuendo incoraggiante. «È una buona idea.»

Ora che ha avuto conferma da lui, quella possibilità gli sembra acquistare sempre più consistenza. Annuisce di rimando, tornando a posare lo sguardo su Harry, seduto al margine del tavolo della cucina accanto a Ron. Si ritrova a sperare acutamente che il ragazzo accetti l’offerta.

*

«Torno in Romania entro un paio di giorni,» inizia Charlie, rivolto a lui. Sono seduti nel cortile insieme a Ron, Percy e Ginny, nella tiepida aria serale di maggio, e Harry avverte distintamente lo stomaco affondargli nel momento in cui lo sente pronunciare quelle parole. È una reazione istintiva che non credeva avrebbe provato, ma, d’improvviso, l’eventualità di salutarlo, di non vederlo per mesi o forse più, di fare a meno della sua presenza, gli risulta difficile da accettare. Nella sua testa, giustifica tale reazione con la consolazione che ha trovato nell’altro e nelle loro frequenti chiacchierate degli ultimi giorni e che, ora che andrà via, non saprà dove cercare.

Non fa in tempo a commentare in nessun modo, tuttavia, prima che Charlie aggiunga: «Potresti venire a passare un po’ di tempo con me, Harry. Che ne dici?»

La proposta lo coglie di sorpresa. Batte le palpebre un paio di volte, osservandolo con stupore. «Non sarebbe un problema?» domanda, ma lui scuote la testa e sorride rassicurante.

«È una buona idea,» concorda Percy, «una vacanza ti farà bene.» Ron, seduto sulla staccionata del cortile, si agita appena e fa per protestare, ma si rimangia qualsiasi cosa stesse per dire appena Ginny gli rivolge un’occhiataccia. «Lo è,» aggiunge invece la ragazza rivolta a Harry, «Dovresti andare.»

La guarda attentamente, cercando di individuare le ragioni delle sue parole, della sicurezza che le accompagna; nei suoi occhi vi vede ancora della preoccupazione, la stessa con cui ha dovuto fare i conti negli ultimi tempi, ma anche la volontà di aiutarlo. Non sa dire se questa vacanza lo aiuterà sul serio, ma passare del tempo con Charlie, lontano da tutto e da tutti, non riesce a non sembrargli una buona cosa, al momento.

«Va bene,» replica, tornando a rivolgersi al ragazzo più grande. «Grazie.»

Charlie sorride. «Partiamo martedì,» dice solo.

*

La Romania non è esattamente come Harry credeva. Temeva che anche qui, come in Gran Bretagna, le cose sarebbero state le stesse, che avrebbe camminato per strada e incontrato persone con il timore di essere riconosciuto, mentre completi estranei gli stringevano la mano complimentandosi per aver sconfitto Voldemort.

Invece, scopre nei giorni immediatamente successivi al loro arrivo, in Romania la guerra sembra non essere arrivata. Tutto è ancora tranquillo, incontaminato, e nel paese abitato interamente da maghi in cui vive Charlie nessuno sembra aspettarsi che Harry Potter, il Bambino Sopravvissuto, si palesi di fronte a loro.

Non può che rallegrarsi di quell'anonimato, di quella tranquillità; così lontano, sebbene nei suoi sogni e nei suoi pensieri continui a ricordarsi, nome dopo nome, di tutte le persone che ha perso, riesce a respirare un po' meglio, a sentirsi un po' meno schiacciato dalle aspettative altrui.

«Domani devo tornare a lavoro,» lo avvisa Charlie una mattina. Ha trascorso i giorni precedenti a casa, sfruttando quel tempo per mettere il ragazzo a suo agio, per fargli visitare il paese e i dintorni; è visibilmente contento nel vederlo più sereno e rilassato, ma l'idea di dover tornare a badare ai draghi, di lasciarlo solo per gran parte della giornata, lo preoccupa abbastanza: ha paura che la forzata solitudine gli lasci troppo tempo per pensare.

Harry si stringe nelle spalle. «Sei sicuro che non sia un peso per te, avermi qui?» domanda per l'ennesima volta. Ha continuato a covare quel timore, perché la verità è che non capisce, non riesce a rendersi conto del motivo per cui l'altro si ostini ad essere così gentile con lui.

«Non essere ridicolo,» è la pronta replica di Charlie, accompagnata da una risata leggera. «Non ho nessuna intenzione di rispedirti a casa dopo appena qualche giorno.» Scuote la testa con divertita rassegnazione, poi riprende: «Spero solo che non ti annoierai troppo.»

Il ragazzo risponde di no, dice che occuperà quel tempo scrivendo qualche lettera a Ron e a Ginny, o a Hermione per sapere come stanno i suoi genitori. Poi, nel momento di silenzio che segue, mentre Charlie sposta lo sguardo sull'orologio per accertarsi dell'orario, soffia fuori: «Grazie.»

L'attenzione dell'altro torna immediatamente su di lui, ma Harry continua prima che possa parlare. «Davvero. Non ti ho ancora ringraziato come si deve e...»

La mano del più grande si appoggia sul suo braccio, facendogli troncare la frase a metà. «No, non devi nemmeno pensarci.» Stringe un po’ la presa, per poi aggiungere: «Mi fa piacere averti qui e se può aiutarti in qualche modo è solo meglio. Puoi restare quanto vuoi.»

C'è un vago imbarazzo che si fa strada nel suo stomaco a quelle parole; vorrebbe sapere cosa dire, fargli capire quanto quel gesto significhi per lui, ma non sa ancora come esprimerlo. Il tocco di Charlie sul suo braccio nudo lo scalda appena e per un lungo momento è un calore piacevole, fin troppo piacevole. Poi il ragazzo si ritrae e la conversazione riprende sui toni più casuali e leggeri; Harry impiega qualche attimo a rifocalizzarsi su di essa, tuttavia, a dimenticare quel languore che, se all'inizio era stato imbarazzo, poi era diventato contentezza.

*

Harry sta bene, smettila di ossessionarmi!, scrive nella lettera in risposta a Ron. Il fratello non ha fatto altro che mandargli note più o meno brevi chiedendogli di informarlo sulle condizioni dell'amico, e, per quanto apprezzi per certi versi questa sua preoccupazione, se ne è anche stancato.

Termina il biglietto con un saluto un po' brusco, pentendosene subito dopo, ma forzandosi a piegare il foglio di carta e ad attaccarlo alla zampa del suo gufo.

Le ansie di Ron sono del tutto infondate, riflette. Charlie ha notato fin dai primi giorni come il volto di Harry si sia rasserenato, come siano molti meno i pensieri sconcertanti che gli attraversano la mente. Una parte di lui è felice di sapere di avere almeno qualche merito; un'altra si dice che forse è stato fin troppo tempestivo nel proporsi di aiutarlo, fin troppo esagerato nella sua preoccupazione, ed è un pensiero su cui non gli piace indugiare.

Lo scaccia alzandosi dalla scrivania di colpo e muovendo ampi passi per uscire dalla stanza e raggiungere il salotto. Harry è in piedi, di fronte al muro in fondo, intento ad esaminare alcune fotografie appese alla parete. Ritraggono i draghi a cui Charlie ha prestato cure per più tempo, quelli che, negli anni di lavoro, gli sono sembrati i più belli, i più particolari, e a cui ha finito con l’affezionarsi.

Il ragazzo non lo sente arrivare e lui resta ad osservarlo per un attimo, prima di attirare la sua attenzione. «Te lo ricordi quello?» domanda, indicando l'ultima foto sulla sinistra. «È il drago che hai affrontato al Torneo Tremaghi.»

Harry emette un gemito di dolore, «Mi pareva familiare.» Charlie ridacchia tra sé, poi lo informa della lettera ricevuta da Ron. «Vuole sapere come stai,» gli spiega, facendo appena il verso al fratello, «Ti giuro che a volte mi ricorda fin troppo la mamma.»

Il fantasma di una risata aleggia per un momento sul volto del ragazzo, ma la sua espressione si scurisce subito dopo. Sta per chiedergli cos'è accaduto, ma non fa in tempo; Harry va a sedersi sul divano, appoggia i gomiti sulle ginocchia e comincia: «Ron ha scritto anche a me.» Fa una pausa e sposta lo sguardo verso la finestra, lontano dall’altro. «Dice che Kingsley Shaklebolt sta organizzando una commemorazione della Battaglia per il due giugno e che vorrebbe che tenessi un discorso.»

La cosa non lo entusiasma, tutt'altro, e Charlie riesce ad accorgersene senza difficoltà. Può immaginare come sia difficile per Harry salire su un podio e mostrarsi l'eroe sicuro che non è, così gli si va a sedere accanto e gli appoggia una mano sulla spalla. «Non sei costretto a farlo, se non te la senti,» dice, «Kingsley capirà.»

«Ma così sembrerà che non mi importa,» sbuffa l'altro, passandosi nervosamente le dita fra i capelli. Charlie stringe la presa della sua mano - spera acutamente che quella sua vicinanza sia abbastanza per tirarlo su di morale - e lascia uscire un soffio ironico, «Nessuno penserà che a te non importa, non dopo tutto quello che hai fatto.»

Harry incrocia i suoi occhi per un istante, poi riabbassa lo sguardo e conclude, «Devo pensarci.» Lui lo lascia andare, improvvisamente incerto di cosa fare con quella mano, e aggiunge: «Manca ancora un po’ di tempo, puoi decidere con calma.»

Il ragazzo annuisce, si alza e torna ad osservare le fotografie come se il discorso fosse chiuso. Charlie sta quasi per cambiare argomento, per portare la conversazione su toni più leggeri nel tentativo di rasserenarlo, ma prima che possa farlo lo sente parlare ancora. «Verresti con me, se decidessi di andare?»

Qualcosa affonda distintamente nel suo stomaco, in quel momento. «Sì,» risponde senza indugiare, «puoi scommetterci.» Non è in grado di vederlo, ma Harry sorride.

*

«Sai, anche io mi sento in colpa,» ammette improvvisamente Charlie. Sono sgattaiolati sul tetto dell'edificio, dopo che lui è tornato da lavoro - più stanco del solito e con una nuova bruciatura; nonostante ciò, non ha esitato un momento a prendere due Burrobirre e a trascinare Harry di sopra - e da lì riescono a vedere gran parte del paese e del territorio circostante.

Non sa dire come siano tornati a parlare della Battaglia di Hogwarts. Chiacchieravano degli argomenti più normali - è certo di avergli chiesto come ha iniziato ad occuparsi di draghi, ad esempio -, poi Charlie ha preso a raccontargli di alcuni ricordi che ha dei suoi fratelli e di Ginny da piccoli, di Fred e di George e dei loro continui scherzi. D'un tratto ha pronunciato quella frase e l'attenzione di Harry è scattata, pronta a non perdersi nemmeno una parola di ciò che sta dicendo.

Si volta a guardarlo, osservando l'espressione del suo viso farsi più scura, appena un po' triste - è certo di non averlo mai visto davvero triste, nemmeno il giorno dei funerali, e questo non fa che aumentare la tensione che sente.

«Voglio dire,» riprende il più grande, gesticolando nervosamente, «continuo a pensare che se fossi arrivato prima, se fossi stato lì, magari avrei potuto impedire che morisse. Avrei potuto fare qualcosa.»

«Non puoi saperlo,» si affretta a rassicurarlo Harry, «io c’ero e non sono riuscito a fare niente comunque. Non puoi sapere come sarebbe andata.»

Charlie piega le labbra in un sorriso stanco, un po’ malinconico. «È questo il punto, vero? Non possiamo continuare a pensare ai se e ai forse. Dobbiamo solo… accettare com’è andata.»

«Non è facile,» mormora lui, scuotendo la testa e tornando a guardare il cielo stellato, mentre l'altro dopo un po' gli fa eco: «No, non lo è.»

Trascorre qualche attimo prima che sposti nuovamente lo sguardo su di lui. È calato il silenzio e Charlie sta guardando oltre il muretto del terrazzo un punto che non riesce ad identificare; la sua espressione è ancora un po' triste, fin troppo pensierosa, e Harry vorrebbe fare qualcosa, vorrebbe allungare una mano e toccarlo, in un gesto incoraggiante che non sa bene come compiere. Più di questo, riflette nell'attimo di un battito di ciglia, vorrebbe avvicinarsi a lui e baciarlo, perché nel breve periodo di questa vacanza, in questa manciata di giorni che hanno trascorso a stretto contatto l'uno con l'altro, Charlie ha smesso di essere il fratello di Ron, quello con cui non aveva tantissima familiarità, ed è diventato un'entità a parte, qualcuno per cui prova interesse, attrazione quasi, e che non gli dispiacerebbe baciare sotto un cielo stellato in un piccolo paese della Romania.

Basta un movimento dell'altro, tuttavia, il semplice portarsi alla bocca la bottiglia di Burrobirra, per ricondurlo alla realtà e fargli comprendere la gravità di quei pensieri. Deglutisce, batte le palpebre come se si fosse appena risvegliato da un sogno particolarmente piacevole, e alzandosi in tutta fretta annuncia che tornerà di sotto per andare a letto.

Charlie fa in tempo a notare il suo diverso atteggiamento e, prima che possa allontanarsi, lo ferma posandogli una mano sul braccio. «Va tutto bene?» domanda, preoccupato. No, Harry vorrebbe dire, ma si trattiene e invece annuisce, sorride e attende che l'altro si convinca e lo lasci libero, anche se una parte di lui vorrebbe che non lo facesse.

*

Spendono l'intero pomeriggio della domenica successiva giocando a Quidditch, in una radura poco distante dal paese. Charlie ha pensato che una simile giornata li avrebbe aiutati a svagarsi dai discorsi fin troppo tristi di qualche sera prima, e ha avuto ragione. Entrambi ne avevano bisogno, si è ritrovato a constatare già poco tempo dopo essere salito in sella alla propria scopa, ed è facile notare come Harry sia più rilassato, l'espressione divertita e serena, il suo corpo privo di quella tensione che negli ultimi giorni era tornato a vedergli addosso.

È quasi il tramonto quando decidono di fermarsi e smontare dalle scope. Il ragazzo si lascia cadere sul terreno erboso, chiude gli occhi e respira forte, tentando di riguadagnare il fiato perso per l'adrenalina. Charlie lo raggiunge e gli si siede accanto, osservandolo.

Non può fare a meno di pensare che quella situazione gli piace, che avere Harry lì gli piace; se inizialmente si era offerto di ospitarlo per provare ad aiutarlo, adesso deve ammettere che quei giorni di convivenza hanno fatto bene anche a lui. È stato come portare con sé un pezzo della sua famiglia, ma non proprio, perché Harry è qualcosa di diverso - e durante questo periodo è diventato qualcos’altro ancora, che non sa bene come identificare o chiamare.

Il ragazzo riapre gli occhi in quel momento, scoprendolo a fissarlo. Charlie non può fare a meno di sentirsi in imbarazzo, ma solo per un attimo; ricambia l'occhiata e piega le labbra in un leggero sorriso. «Vuoi rimanere fuori un altro po' o…?»

Harry scuote la testa. Non smette di guardarlo nemmeno adesso, mentre replica, «Si sta bene qui», e lui non riesce a scrollarsi di dosso la sensazione che ci sia molto di più implicato in quella frase di quanto non voglia lasciar intendere.

«Sì, si sta bene,» concorda, agitandosi per un attimo sul posto; c'è qualcosa nel suo sguardo che lo sta mettendo a disagio, come se volesse fargli una domanda ma non osasse, come se ci fossero una miriade di cose che vorrebbe dire ma che è troppo spaventato per lasciar uscire. È incerto se chiedergli cosa sta succedendo - una parte di lui non è sicura di volerlo sapere -, tuttavia non fa in tempo a prendere una decisione: Harry si solleva seduto, gli afferra la maglietta con una mano e lo attira verso di sé, coprendo la sua bocca con la propria.

È una sorpresa, ma non del tutto; il bacio è la risposta che stava cercando, quell'incognita nel suo atteggiamento che non riusciva ad individuare, e basta per fargli capire di volerlo a sua volta. Risponde con esitazione, però risponde e, quando l’altro si sdraia tirandolo con sé, Charlie non può che seguire il suo movimento.

«Harry,» cerca di avvertirlo, le bocche a distanza di un respiro, ma non è che un mormorio tra i tanti, privo di forza. Le mani del ragazzo si muovono sulle sue spalle, sul suo torace, in una serie di carezze confuse, disordinate, che non sanno bene che direzione prendere; Charlie è cosciente di ognuna di esse come se fossero fatte di fuoco, è cosciente di ogni bacio, di ogni centimetro della pelle di Harry che riesce a toccare, e niente più: il resto non gli interessa, ha perso colore e non c'è nulla a fargli notare quanto sia sbagliato quello che sta accadendo.

È quando Harry gli solleva la maglietta e un soffio di aria fresca gli colpisce la schiena nuda che riacquista un po' di lucidità. Si allontana da lui, allora, accarezzandogli la guancia con un gesto lento, e dice, «È meglio andare a casa.»

Non sa se sia una promessa di altro quella che sta pronunciando, non sa se sia un modo per mettere fine a quello che stanno facendo; Harry lo guarda con timore, quasi ansia, ma annuisce, lo lascia andare, si risistema i vestiti e si mette in piedi.
Durante il tragitto non emettono nemmeno un suono; non guardarlo, non toccarlo, non tornare a baciarlo è una delle cose più difficili che Charlie abbia mai fatto, ma si dice che è per il bene di entrambi, che è meglio non imboccarla nemmeno, quella via, perché non si sa dove potrebbe portare. Quando arrivano al suo appartamento, si è quasi convinto che si sia trattata di una parentesi, quasi un sogno, dovuto all'adrenalina e al sole e all'aria che sapeva di abeti e terreno umido. Si è quasi convinto, quasi, ma quando guarda Harry - quando nota che nei suoi occhi c'è ancora quel qualcosa, quel desiderio, quel bisogno - ogni certezza svanisce nel nulla.

Non esita nemmeno per un attimo, questa volta, ad avvicinarsi a lui e Harry non si oppone, non cela nemmeno per un momento il desiderio che ancora avverte. Restano in silenzio, mentre riprendono a baciarsi, mentre si spostano verso una delle stanze e si spogliano dei vestiti, mentre scivolano insieme a letto.

È dopo, nella semioscurità della camera, con Harry stretto addosso e il respiro ancora affannato, che realizza cosa sia davvero accaduto. Il senso di colpa gli si appoggia pesante nel petto, così come la vergogna per non essersi saputo fermare, per non essersi comportato come l'adulto tra i due; scostandosi dal suo abbraccio si mette seduto sulla sponda del letto, passandosi una mano tra i capelli e muovendo lo sguardo sul pavimento alla ricerca dei vestiti.

Harry intuisce immediatamente che qualcosa non va. «Charlie?» lo chiama, un'invisibile nota di allarme nella voce, sedendosi a sua volta.

«Non doveva succedere,» soffia fuori il più grande, interrompendo ogni suo tentativo di calmarlo. «È stato un errore.» Si mette in piedi e si riveste in fretta, il più in fretta possibile, impacciandosi con le proprie stesse mani, e continua a dargli le spalle per paura di incrociare i suoi occhi.

«Non lo è stato,» tenta di dire l'altro, ma Charlie scuote la testa, si gira un attimo indietro per ribattere, in tono definitivo: «Sì, invece,» ed esce dalla stanza a passo svelto.

*

Il giorno dopo Harry non riesce a guardarlo in faccia. Non che la cosa lo sorprenda, non davvero; avrebbe dovuto immaginare già dalla sera precedente quanto sarebbe stato difficile avere a che fare con lui d’ora in poi. Charlie esce presto per andare a lavoro, per fortuna, e non si dicono molto prima di quel momento.

Una volta rimasto solo, non può fare a meno di pensare alle sue parole, a come è stato facile per lui categorizzare quello che è successo come un errore. Non che Harry non lo pensi: sa di aver sbagliato, sa che è con il fratello di Ginny, la sua ragazza, che è andato a letto; sa che è successo troppo in fretta e troppo all’improvviso, ma sa anche che non riesce a pentirsene, non quanto sarebbe giusto.

Ha un groviglio di sentimenti all’interno del petto che non ha la capacità di districare e se li trascina fino a sera, fino a che Charlie non rincasa, ancora a disagio e distante come non è mai stato con lui prima. Gli basta osservarlo un istante per prendere una decisione.

«Torno in Inghilterra,» afferma, fissando un punto casuale del pavimento. Non riesce ad alzare lo sguardo, non ancora, non finché non sente l’altro spostare di peso una sedia attorno al tavolo della cucina e sedersi.

«Ah,» soffia fuori Charlie, passandosi una mano tra i capelli. «Non devi sentirti--»

«Obbligato?» lo incalza Harry. Lo guarda per un breve attimo, quasi con sfida, prima di perdere coraggio e tornare ad evitare i suoi occhi. «No, credo sia solo giunto il momento.»

Chiedimi di restare, è quello che vorrebbe dire. Se Charlie lo facesse, se pronunciasse quell’unica parola, Harry non esiterebbe nemmeno per un istante. Si lascerebbe alle spalle ogni cosa, sarebbe disposto ad affrontare qualsiasi difficoltà e problema. Attende qualche secondo, il necessario per avere la certezza che no, Charlie non la pronuncerà, prima di continuare.

«Preparerò la Passaporta domattina, se per te va bene,» fa una pausa e poi aggiunge: «Dirò a Kingsley che parteciperò alla sua commemorazione.»

L’altro lascia uscire un sospiro grave, come se non riuscisse a liberarsi di un peso che gli stringe il petto. «Harry…» tenta, premendosi le dita sugli occhi. Il ragazzo non sa quali parole stia per pronunciare, ma è sicuro che non sia nessuna di quelle che vuole sentire, perciò lo interrompe.

«Lascia stare,» sbotta, il tono più freddo di quanto vorrebbe. «Non fa niente.» Charlie solleva lo sguardo, ma lui trova troppo difficile restare lì a fissarlo, così si allontana per tornare nella propria stanza a finire di preparare i bagagli.

Il giorno dopo, di fronte alla Passaporta, si rivolgono un saluto tiepido, che non sa affatto della miriade di sentimenti che Harry prova per lui. Charlie gli dice: «Verrò a Londra per la commemorazione», in un tono esitante, quasi di scuse.

«Non per me,» ribatte Harry a mezza voce, «non venire per me.»

Lo lascia così, con un’espressione dispiaciuta sul viso e addosso ancora la speranza di sentirsi chiedere di rimanere.

2003

«E, indovina?» La faccia di Bill, che emerge dalle fiamme verdi del camino, si apre in un sorriso allegro. «Harry ha finalmente chiesto a Ginny di sposarlo.»

Charlie impiega diversi istanti a reagire. Non è una notizia inaspettata, non davvero - al contrario, era certo che prima o poi sarebbe arrivata, fin da quando ha avuto modo di vedere come la relazione tra i due fosse ripresa senza intoppi al ritorno di Harry in Inghilterra -, però resta comunque difficile da assorbire. Credeva di essere pronto, invece scopre in questo momento che non lo era poi tanto.

Forza un sorriso, tuttavia, e dice che scriverà subito a Ginny per farle le proprie congratulazioni. Questo non basta ad allontanare dall'argomento Bill, che al contrario continua: «Hanno deciso di fare le cose in fretta, pare, quindi preparati a ricevere un invito entro qualche mese.»

L'idea del matrimonio, di assistere ad esso, lo entusiasma persino meno della notizia in sé. «Sì, beh, perché aspettare, no?» commenta, fingendo tutta la normalità del mondo. Per fortuna, il fratello sembra non accorgersi di niente; chiacchierano ancora un po' di quanto Fleur sia eccitata per l’avvicinarsi di altre nozze in famiglia e delle attività della piccola Victoire, prima che si salutino e il camino si spenga.

Ancora seduto in cucina, Charlie resta per diverso tempo a riflettere su quanto appena appreso. Doveva aspettarselo, si ripete, eppure non riesce a scacciare quel peso, che sa quasi di tristezza, che gli si è adagiato nel petto.

Ha continuato, per tutto questo tempo, a provare qualcosa per Harry. Lo ha realizzato con il passare dei mesi e poi degli anni, mentre le loro vite hanno iniziato a svolgersi lontane e parallele, incontrandosi solo in sparute occasioni dettate da eventi famigliari. Charlie ha fatto in modo che tali occasioni diventassero persino più rare - si è scoperto diverse volte a rimandare visite alla Tana anche quando avrebbe potuto, o, quando era lì, a cercare di evitare Harry con tutta l'accuratezza possibile.

Non è che non abbia provato ad andare avanti con la propria vita, intanto; ha tentato, ma niente, nessuna persona che ha incontrato gli è sembrata abbastanza, gli è sembrata sufficiente a mettere da parte il ricordo di Harry, del calore della sua pelle, per non riprenderlo mai più. Così non ha smesso di tenerselo stretto, pentendosi ancora e ancora di non aver agito diversamente, in attesa di cosa non saprebbe dirlo; adesso ciò che si ritrova tra le mani è solo l'annuncio ufficiale del suo fidanzamento.

L'invito al matrimonio, come Bill aveva preannunciato, non impiega che tre mesi ad essergli recapitato. Charlie vorrebbe fingere che non faccia male nemmeno un po', ma non ci riesce del tutto.

*

«Mamma dice che Charlie è appena arrivato, vieni con me alla Tana a salutarlo?» gli domanda Ginny.

Harry esita per un momento, cercando di prendere tempo. Ha pensato che questo sarebbe successo fin da quando hanno spedito gli inviti e la cosa ha continuato a tenerlo sulle spine da allora. L'idea di sottrarsi all'incontro gli attraversa la mente e gli pare quanto mai allettante, ma sarebbe solo un rimandare l'inevitabile. Così si fa coraggio e dice a Ginny di sì, che sarà pronto in un attimo.

Appena un quarto d'ora dopo sono alla Tana e Charlie è di fronte a lui, in carne ed ossa. Non è poi passato troppo tempo dall'ultima occasione in cui l'ha visto, forse poco meno di un anno, eppure come tutte le volte gli fa un effetto strano, come di un pizzicore sulla pelle e di nausea insieme.

Ginny si lancia tra le braccia del fratello ed è al di sopra della sua spalla che i loro occhi si incrociano. «Harry,» lo saluta, appena la sorella lo ha lasciato andare, e lui deglutisce e sorride, «Mi fa piacere che tu sia riuscito a venire.»

«Come potevo mancare?» replica Charlie, e c'è una nota amara nel suo tono, una nota piccolissima che è certo fosse lì proprio per lui.

Non riescono a dirsi molto altro, dopo, con il caos che l'arrivo del resto dei Weasley provoca, ed è una fortuna. Eppure Harry continua ad osservarlo di soppiatto, quando è certo che nessuno lo noti, ed è difficile reprimere la voglia di prenderlo da parte e parlare con lui, parlare davvero, per cercare almeno di recuperare quel po' di rapporto cordiale che hanno avuto in passato.

Con lo scivolare via delle ore e dei giorni successivi, quasi gli sembra possibile. Il ghiaccio tra loro un po' si scioglie e Harry riscopre quanto sia facile stare in sua compagnia, semplicemente gravitargli intorno. Riscopre anche quanto sia facile ritrovare tutti quei sentimenti che era certo di aver estirpato definitivamente.

*

«Tu, amico mio, non andrai per nessuna ragione a casa da solo, stanotte,» sentenzia Ron, rivolgendogli un'occhiata attenta. Harry ride e scuote la testa, tenta di lamentarsi e di difendersi, «Non sono poi così ubriaco», ma l'altro è irremovibile.

«Ron ha ragione,» si aggiunge Percy, «Ti conviene stare alla Tana per questa notte, così sarà più facile anche prepararti per domani.»

«Non ho bisogno di essere preparato,» borbotta ancora lui, nell'estremo tentativo di riguadagnare un pelo di autonomia dai fratelli Weasley, senza successo. «Ci pensi tu ad accompagnarlo?» chiede Ron a Charlie, l'unico di loro che farà ritorno a casa dei genitori per quella notte. L’interpellato impiega qualche attimo a rispondere, a dire in tono neutro «Certo», e, quando lo fa, Harry è sicuro di poter sentire il disastro arrivare, ma nel chiasso e nel caos della sua festa di addio al celibato non ci fa caso.

Quando questa finisce, si salutano tutti in un vicolo fuori dal locale, procedendo a Smaterializzarsi a piccoli gruppi. Harry si avvicina a Charlie, abbandonando ogni cautela che normalmente lo caratterizzerebbe nei suoi rapporti con lui. «Allora, sei il mio passaggio per stasera,» dice, sorridendo appena. L’altro lo guarda divertito, un po' indulgente. «A quanto pare,» replica, mentre Harry gli posa una mano sul braccio per prepararsi alla Smaterializzazione congiunta.

Lo strappo all'ombelico, poco dopo, li riporta nel cortile della Tana. L'aria di settembre è fresca ma ancora piacevole e lui la respira a grandi boccate nel tentativo di riacquistare maggiore lucidità. È stata una bella serata, ammette tra sé, che gli ha lasciato un senso di serenità addosso, di coraggio quasi, come se avvertisse acuta la sensazione che niente potrebbe andare storto. È per questo che non ha paura di fermare Charlie, mentre si dirigono verso la porta sul retro della casa. «Aspetta,» gli dice, «ho bisogno di prendere un po' d'aria.»

L'altro torna subito indietro, avvicinandosi quando Harry si appoggia alla parete del capanno degli attrezzi. «Stai male?» domanda, appena un po' ansioso.

Lui scuote la testa - sta bene e ora che Charlie gli è accanto sta persino meglio - e sospira, «È una bella serata», come spiegazione.

Al contrario suo, l'altro è irrequieto, attento; sa quanto quella situazione possa essere potenzialmente pericolosa e si rende conto di ogni segnale di allarme che Harry sta ignorando. «Sì, ma io vado dentro, ok?» lo avverte, ma in quello stesso momento la mano del più giovane scatta sul suo braccio a trattenerlo.

«Aspetta,» ripete, alzando lo sguardo ad incontrare i suoi occhi. Qualcosa nell’espressione di Charlie si ammorbidisce, come se ogni campanello d'allarme si fosse di colpo spento, come se dei pericoli non gli interessasse più. «Mi sei mancato,» soffia fuori Harry, deglutendo a fatica, muovendo le dita in una carezza lenta sul suo braccio. Il nodo di sentimenti che si porta nel petto riemerge all'istante, così improvviso da far male, e nel silenzio in cui l’altro è precipitato, senza smettere di fissarlo, non trova di meglio da fare che scivolare in avanti e baciarlo.

Charlie risponde al bacio subito, come se non avesse atteso che quello, come se non avesse voluto che quello, spingendolo con la schiena contro la parete del capanno. È quasi doloroso il modo in cui le sue ossa si scontrano con il legno, ma a Harry non importa, continua a baciarlo come se al mondo non esistesse nient'altro. È una miriade di sensazioni e di ricordi quella che riemerge in quegli istanti; gli sembra che gli anni non siano mai passati, che non abbia trascorso mesi e mesi a cercare di togliersi Charlie dalla testa, fallendo volta dopo volta, e a riempirsi del pensiero di Ginny.

Ed è quello - il pensiero di Ginny, che arriva inatteso come un fulmine in piena notte - a riportarlo alla realtà, a ricordargli che quegli anni sono di fatto trascorsi e che l'indomani sarà il giorno del suo matrimonio.

Allontana Charlie di colpo, quanto basta per sentire ancora il calore del suo corpo contro il proprio, e respira a fondo. «Domani mi sposo,» soffia fuori, sentendosi improvvisamente stanco, prostrato.

«Lo so,» ribatte l'altro, dopo un istante. È lui il primo ad allontanarsi, a smettere di toccarlo e a riporre spazio tra di loro, in un modo che sia sano e normale e come dovrebbe essere.

«Mi dispiace,» mormora ancora Harry e Charlie ripete, «Lo so», poi gli dà le spalle e rientra in casa.

Lui resta lì, scivolando seduto sul terreno. Si chiede per un lungo momento quale sia la cosa giusta da fare, quale la strada migliore da percorrere, ma alla fine conclude che di strada davanti a sé ce n'è una sola. Per tornare indietro è troppo tardi.

*

Il giorno dopo Charlie lo guarda aspettare sua sorella all'altare, pronunciare i voti di fedeltà, sposarla. È costretto a fingere un'allegria e una contentezza per loro che non possiede, è costretto a sorridere, molteplici volte, e a festeggiare insieme al resto della sua famiglia.

In realtà, avverte un'amarezza infinita che gli occupa lo stomaco, i polmoni, il cuore, da cui vorrebbe disperatamente liberarsi, senza sapere però come fare. Alla fine, quando i festeggiamenti terminano, gli resta solo un grande sollievo. Harry e Ginny si Smaterializzano per raggiungere l'appartamento che condividono, e lui non può che sentirsi sollevato nel non dover più avere a che fare con loro.

Si prepara a tornare in Romania già la mattina successiva, nonostante Molly esprima il suo dissenso. «Ma come, non ti fermi nemmeno per salutarli prima che partano per la luna di miele?» domanda, l'espressione preoccupata.

«Non posso, mamma,» le risponde. «Mi hanno scritto ieri dal lavoro e c'è bisogno che rientri subito.» È una menzogna, una plateale menzogna, ma non può fare altrimenti, perché l'idea di incontrarli ancora una volta gli ribalta lo stomaco. Rassicura sua madre che scriverà loro un biglietto appena arrivato a casa e prende la Passaporta, senza guardarsi indietro.

Silenziosamente, stipula un severo accordo con se stesso per rivedere Harry il meno possibile, d'ora in poi, anche se questo dovesse significare dirgli definitivamente addio.

2005

«Ehi, ho un'idea! Potreste venire anche voi a far visita a Charlie,» propone Ron, un largo sorriso ad accompagnare il suo tono allegro.

Harry scatta immediatamente sull'attenti. «Da Charlie?» domanda, un po' confuso.

«Già, visto che è da un po' che non riesce più a venire ha invitato me e Hermione a stare da lui per qualche giorno. Sapete quanto lei abbia bisogno di una vacanza, con tutto il da fare che c'è al Ministero,» spiega l'amico. Poi si volta verso Ginny e riprende, «Sarebbe fantastico se veniste anche voi.»

«Dici?» interviene la sorella. «In effetti un paio di giorni lontano da Londra ci farebbero bene.»

«Sicura che non sarebbe un disturbo? Saremmo in troppi,» tenta Harry, nascondendo il più possibile l’inquietudine che avverte.

«Oh, non essere sciocco,» lo liquida la moglie sventolando una mano, «è anche mio fratello dopotutto.»

«Posso chiedere, se è un problema,» replica Ron, scrollando le spalle, «ma dubito davvero che dirà di no.»

Harry vorrebbe opporsi ulteriormente, inventarsi una scusa qualsiasi e sottrarsi a quella possibilità, ma per quanto cerchi furiosamente non trova nulla di utile: il Dipartimento Auror è tranquillo già da qualche tempo, dopo la fine dei processi, e Kingsley di certo non si opporrà alla sua richiesta per qualche giorno di ferie. Non c'è modo, insomma, di tirarsi fuori da quella situazione senza mettere in allarme Ginny o Ron e far pensare loro di avere qualche problema con Charlie - e questo in particolare non può permetterselo.

«Va bene, allora,» si trova costretto a cedere, mentre il volto della donna e dell'amico si illuminano di contentezza.

Ha cercato di pensare a Charlie il meno possibile nei due anni precedenti - e il non vederlo per niente ha decisamente aiutato -, ma nei giorni che seguono gli riesce difficile scacciare il pensiero anche solo per un momento. È con una punta di orrore che, quando gli arriva la conferma da Ginny che entro breve partiranno per la Romania, si rende conto di provare più contentezza che spavento, tanto è il desiderio che ha di incontrarlo ancora una volta.

*

«È successo qualcosa tra te e Charlie che non mi hai detto?» gli domanda Ginny all'improvviso, mentre si preparano per la notte. «Mi è sembrato un po' freddo nei tuoi confronti, oggi.»

Harry sente distintamente il proprio cuore perdere un battito. Ginny ha ragione, Charlie è stato freddo, fin dal loro arrivo in Romania. Mai brusco o volutamente crudele, questo no, ma non c'era traccia nel suo tono della vecchia affabilità con cui era solito rivolgersi a lui. Le prime ore lì, per Harry sono state un tormento: era tutto troppo uguale all'ultima volta in cui era stato ospite in quell'appartamento, tutto eccetto il comportamento di Charlie, e questo è stato destabilizzante, ha quasi fatto male. L'idea che Ginny se ne accorga, però, lo manda nel panico più completo.

«No, non mi pare,» mente, «mi è sembrato normale.»
«Sicuro?» ribatte la donna. «Sarà stata solo una mia impressione, allora.»

Harry scrolla le spalle, come se la cosa non avesse importanza. Si affretta a cambiare argomento, ma più tardi, mentre è sdraiato a letto nel buio in attesa di prendere sonno, non riesce a smettere di pensare alle parole di sua moglie e a come l'atteggiamento distante di Charlie gli faccia desiderare acutamente di poter tornare indietro nel tempo, di poter mettere a posto il loro rapporto ormai ridotto a pezzi.

*

Harry marcia verso di lui con un cipiglio serio, quella mattina, approfittando dell'assenza di Ron, Hermione e Ginny; ha promesso di raggiungerle in paese entro breve, il tempo di rispondere ad una lettera di Kingsley, ma quando lo vede arrivare Charlie si dice che avrebbe dovuto immaginare che fosse una scusa.

«Dovresti smetterla, sai, prima che se ne accorgano tutti,» afferma, il tono vagamente astioso.

«Smettere cosa?» domanda lui, ostentando una completa indifferenza. La presenza di Harry l'ha turbato, l'ha turbato molto, ma non ha intenzione di farglielo notare; si è promesso di tenere le distanze, ad ogni costo, ed è quello che cercherà di fare finché sia possibile.

«Questo, esattamente questo,» replica Harry nervosamente, indicandolo con una mano. «Ginny mi ha già chiesto se abbiamo litigato o qualcosa del genere, vorrei evitare di doverle spiegare nei dettagli cos'è successo.»

Charlie soffia fuori una risata un po' aspra e rassegnata. Avrebbe dovuto immaginarlo che il problema fosse quello, che Harry non poteva essere lì per un semplice chiarimento, non per lui. Una domanda gli sale alle labbra, qualcosa che avrebbe voluto sapere già da tempo, ma che non ha mai trovato il coraggio di chiedere. «Le hai mai detto di noi?»

Si gira a guardare Harry negli occhi e lo vede quasi traballare, colto di sorpresa. Aggrotta le sopracciglia e risponde, «No. No, mai.» Continua a fissarlo con attenzione, probabilmente chiedendosi il motivo di quella domanda improvvisa - e forse un po' temendo che nasconda un eventuale significato recondito. Quando da Charlie non arriva più nulla, lo incalza: «Avrei dovuto?»

Lui scuote la testa, un vago sorriso mesto sul viso. «Certo che no,» replica, suonando appena un po' ironico.

Harry sbuffa. «Se non mi volevi qui potevi inventarti qualcosa e non farmi venire.»

«Come se avessi potuto,» è la replica amara dell’altro. «Cos’avrei dovuto fare? Mentire ai miei fratelli?» La sua voce cresce di qualche tono, la frustrazione per quella situazione ai limiti del paradossale che si avverte chiaramente in essa. Vorrebbe mettere fine a quella stupida lite, ma proprio prima che possa fare un respiro profondo e proporgli di calmarsi, Harry esplode.

«Credi che per me invece sia facile?! Mi basta guardarmi intorno perché ogni cosa mi ricordi di quell'estate. Non è facile, dio, non lo è per niente. Io ti--» Si interrompe di colpo, improvvisamente conscio delle sue parole.

Charlie sente il proprio stomaco affondare. Osserva Harry con attenzione, sperando per un acuto momento che finisca la frase, che lo dica, che dia finalmente un nome a questa cosa che si trascinano dietro da anni. Ma lui scuote la testa, mormora un «Lascia perdere», ed esce rapido dalla stanza.

Non lo ferma. Resta, solo, a fare i conti con quelle parole che non sono state pronunciate, chiedendosi se ne vale ancora la pena, chiedendosi se ha ancora la forza di rischiare. Alla fine, decide di sì.

*

Non c'è molto spazio nel suo appartamento per parlare da soli, lontano dalle orecchie dei suoi fratelli e sua cognata, soprattutto da quando Harry ha preso a fare di tutto per evitare di restare nella stessa stanza con lui; così si ritrova costretto ad aspettare l'ultimo giorno della loro permanenza, trovando a fatica il momento giusto mentre Harry è nella camera occupata insieme a Ginny a preparare le borse.

Charlie entra e si chiude la porta alle spalle, assicurandosi che nessuno possa sentirli. Harry si volta di colpo e sembra mettersi sulla difensiva, come se si aspettasse un’altra lite. Lui esita per un momento, prendendo coraggio. Trae un breve respiro e dice: «E se avessi voluto che tu venissi?»

Harry aggrotta le sopracciglia, stranito. «Cosa?» domanda, lasciando andare la borsa e girandosi completamente a fronteggiarlo.

«Quando Ron mi ha proposto di invitare anche voi. Se avessi voluto rivederti? Se non avessi trovato una scusa di proposito? Non ci hai pensato?»

Gli è costato ammetterlo persino tra sé, ma c'era una parte di lui che, tra la preoccupazione e la confusione e la volontà di tener fede al patto fatto con se stesso, voleva vederlo di nuovo e non aveva intenzione di lasciarsi sfuggire questa possibilità. Ci ha messo tempo per capirlo, ma ora non ha più voglia di lottare con i propri desideri.

Harry appare confuso per un lungo momento; osserva Charlie in viso con attenzione e quando si rende conto che sì, ciò che l'altro intende è proprio quello che ha capito, la sua espressione si fa allarmata.

«No,» mormora, «Charlie, no.» Muove alcuni passi nervosi per la stanza, il tono sempre più concitato. «Sono sposato! Non posso, io--,» fa una pausa, respira a fondo e, più calmo, ostentando una determinazione che non possiede davvero, ripete: «Non posso.»

Charlie si muove in avanti e gli si avvicina. Non smette di guardarlo per cercare di capire se quel non posso significa anche non voglio, ma una sensazione nel fondo dello stomaco gli assicura che non è così. Appoggia una mano sul braccio di Harry e lo accarezza, lentamente; lui non si sottrae, chiude per un momento gli occhi quasi abbandonandosi al tocco, ma poi scuote la testa.

«Hai avuto una possibilità,» afferma. «Non volevo altro che mi chiedessi di restare, quell’estate, invece tutto ciò che hai saputo dire era che avevamo fatto un dannato sbaglio.» La sua voce è un mormorio basso, appena spezzato, e Charlie sa di meritarsi quel rimprovero, fino in fondo, ma sa anche di essere finalmente pronto a rimediare.

«Te lo sto chiedendo adesso,» sussurra, il viso vicino a quello di Harry che, ancora, non si allontana. Continua a guardarlo per accertarsi che stia succedendo davvero, che non stia immaginando nulla di ciò che legge nell’espressione dell’altro; Charlie sostiene il suo sguardo, per fargli capire che non ha più paura. «Resta,» soffia fuori.

Quando, subito dopo, si sporge per baciarlo Harry non lo ferma. Non ha bisogno di parlare per dire di sì.

*

Ginny lo trova nella stanza, solo, seduto sul letto. Lo osserva stranita per un momento, poi indica la sua valigia, che è rimasta aperta e semi-vuota al contrario della propria, e domanda: «Non hai ancora finito di preparare i bagagli?»

Harry solleva lo sguardo su di lei. Non sa da dove cominciare, né come spiegarglielo, ma, lentamente, inizia a parlare.

hp: harry potter, hp: charlie weasley, [2012], » gift, hp

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