Titolo: And from the beginning I could see exactly how it would end
Fandom: DC Comics - Lovvoverse
Beta:
namidayumePrompt: Mary Grayson, Lian Harper (Ibn/Mary, Ibn/Diana, Ibn/Lian) - "Fosse solo di Diana che devi preoccuparti..." "Come?" "Niente!" @ Nami
Personaggi:
Lian Harper,
Ibn Al Xu’ffasch,
Jai West,
Mar'i Grayson,
Iris West; nominati
Cerdian,
Robert Long,
Diana Harper e
Allan WilsonPairing: Ibn/Lian, Ibn/Mar’i, con riferimenti Allan/Mar’i, Robert/Cerdian, Lian/Cerdian e Ibn/Diana e hints Jai/Lian
Rating: Pg15
Conteggio Parole: 3.744 (FDP)
Avvertimenti: Linguaggio colorito, riferimenti leggeri a relazioni slash, corna a destra e a sinistra
Disclaimer: I personaggi della storia appartengono ai rispettivi proprietari e creatori (ovvero la DC e noi), che ne detengono i diritti. Nulla di ciò è scritto a scopo di lucro.
Note:
• Questa fic era pronta tipo un secolo fa, ma la correzione mi ha fatto dannare, quindi giunge con mesi e mesi di ritardo. T_T Comunque, tutto ciò doveva essere solo un drabble Ibn/Lian, poi Jai ci si è messo di mezzo e addio.
• Ambientata nel
lovvoverse, intorno al 2021 [
timeline], dopo che Lian ha beccato Cerdian e Robert insieme e Ibn ha saputo di Allan e Mar’i.
• Titolo da Broken promises for broken hearts degli She Wants Revenge. ♥
And from the beginning I could see exactly how it would end
«Dobbiamo smettere,» dice Lian, ma il suo tono non suona convinto nemmeno la metà di come l’aveva pensato. Le mani di Ibn continuano a farsi strada sotto la sua maglietta, senza che lui sembri averla sentita, così ripete, «Dobbiamo smettere.»
Tuttavia non lo ferma e non può evitare ad un brivido di scorrerle lungo la schiena, appena il ragazzo le accarezza il seno. Dobbiamo smettere, pensa ancora, ma quando apre la bocca la voce le si spezza in un ansito e nulla più.
*
«Che ti succede?»
Jai la fissa come se stesse guardando un fantasma; non è abituato a vedere Lian così giù di corda e il fatto che siano ormai giorni che si trascina in giro per la sede dell’Infinity come uno zombie non gli fa presagire nulla di buono.
La ragazza, infatti, lo fissa per un attimo come se non comprendesse la domanda, poi, incassandosi nelle spalle e incurvando le sopracciglia, replica: «La mia vita è un casino.»
La risposta lo preoccupa ulteriormente. «Problemi con tuo padre?» tenta, e quando lei nega con la testa, «Con la madre di Robert?» prova ancora. Riceve un ulteriore diniego e allora, sempre più preoccupato, sbotta: «Dimmelo!»
Lian sospira e, dopo essersi assicurata che sono i soli presenti nel giardino, comincia a parlare. «Sto facendo una cosa… Una cosa che non dovrei fare e che potrebbe ferire una persona a cui tengo molto. Ferirla davvero, intendo.»
A quel punto, la conclusione per Jai è semplice e lampante. «Stai tradendo Cerdian!» esclama, atterrito alla sola idea. Quasi si sente sollevato, quando l’amica, invece di confermare, si rabbuia ancora di più e lo guarda storto. «Idiota,» lo riprende. «Cerdian è gay, non lo sai?»
La frase gli cade addosso come una doccia fredda. «Cerdian è-cosa?» domanda, gli occhi sgranati e la bocca spalancata.
«Gay, Jai. Come puoi essere più ingenuo di me?» commenta la ragazza, levando lo sguardo al cielo.
Il silenzio si protrae per qualche istante, poi, finalmente, il velocista riesce a riprendersi dallo shock e a tornare al punto principale. «Ok, a parte ciò. Qual è il tuo problema, allora?»
Per uno strano scherzo del caso, in quell’esatto momento la porta principale dell’edificio si apre e ne escono Ibn e Robin; lo sguardo di Lian li segue tutto il tempo e deve esserci qualcosa di evidente in esso, o forse Jai la conosce davvero troppo bene, perché, appena la coppia è fuori portata d’orecchio, il ragazzo mormora: «Oh no, non dirmi che è quello che penso.»
Arsenal si gira a guardarlo e la colpa è dipinta sul suo viso; a lui basta incrociare i suoi occhi perché capisca tutto. «Non ci posso credere!» esplode. «Ma che vi prende ultimamente? Cerdian è gay, tu vai a letto con il ragazzo della tua migliore amica… Robert cosa mi dirà? Che vuole diventare Wonder Woman?!»
Robert si scopa la persona per cui ho una cotta da quando avevo dieci anni, pensa di rispondere Lian, ma alla fine decide che non vuole vedere Kid Flash stramazzare al suolo, così si limita a raccogliere le gambe al petto e a nascondere il viso tra le braccia, sperando di scomparire.
Il ragazzo esita per qualche istante, poi le si siede accanto e, appoggiandole una mano sulla spalla, chiama, «Lian?»
La voce di lei arriva ovattata. «Che faccio?» chiede e Jai sospira stancamente.
«Metti fine alla cosa, ecco cosa fai.» Si rende conto di essere stato un po’ troppo brusco dal gemito di dolore che la ragazza emette, così riprende in un tono più morbido, tentando di rimediare, «È di Mar’i che si tratta, rischieresti davvero di rovinare il vostro rapporto.» Fa una pausa, occhieggiando verso Arsenal che, scopre, non si è mossa. «E poi, voglio dire, li hai visti?» ricomincia. «Vuoi davvero metterti in mezzo al casino che già quei due sono? Finiresti solo per starci male, Lian.»
Questa volta, l’altra si risolleva quel tanto che basta per guardarlo di sottecchi. «Da quando sei diventato così saggio?» sbotta, realmente stupita dal modo in cui Jai si sta comportando. Non è da lui parlare con un atteggiamento così pacato e distribuire consigli, quindi, pensa, una simile mutazione deve sicuramente essere dovuta a quanto pessima appaia la propria posizione.
«Non sono saggio,» replica Kid Flash, quasi risentito. «Anzi, se vuoi saperlo sto per andare a combinare uno scherzo molto infantile e molto cattivo al nostro atlantideo preferito. Vieni con me?» continua balzando in piedi.
Lian accenna finalmente un sorriso, ma nega con la testa. «Meglio di no,» risponde. «Non riesco ancora a guardare Cerdian senza che mi venga voglia di usarlo come bersaglio per i miei allenamenti.»
«Uh, vuoi che rimanga?» chiede Jai in un ultimo moto di preoccupazione. Lian di nuovo scuote la testa e, mettendosi in piedi, «Andrò in palestra a scaricare i nervi,» dice. «Ricordati di bussare, quando arrivi su, ti eviterà sgradite sorprese.»
Jai annuisce, vagamente confuso dalla sua ultima raccomandazione, e si avvia correndo verso l’interno dell’edificio.
*
Le sue gambe si muovono verso la stanza di Ibn in modo quasi automatico. È notte e dovrebbe essere a letto a dormire, ma invece sta andando da lui, sapendo che lo troverà sveglio, nonostante l’ora, nonostante la missione sfiancante che hanno appena concluso, nonostante, in fondo, vorrebbe davvero sbagliarsi.
Bussa piano, un’unica volta, e quando lui le apre - la sua figura a stento riconoscibile nel buio della stanza - il suo cuore accelera.
«Ciao,» dice e il sorriso di Ibn in risposta è un po’ opaco, ma sincero. Deglutisce e riprende, «Dobbiamo parlare.»
Lui annuisce e va a sedersi sul bordo del materasso; la guarda dal basso e la invita a fare altrettanto, ma lei scuote la testa, cosciente che solo quello sarebbe già un errore.
«Non deve più succedere,» comincia, senza muovere un passo. «Quello che-noi, insomma,» precisa, come se ce ne fosse bisogno. «Mary è la mia migliore amica, la vostra situazione è già abbastanza complicata e la mia vita sentimentale non lo è da meno.»
Parla molto in fretta, respirando a stento e mascherando l’imbarazzo, la paura di compiere una mossa sbagliata. È pronta a snocciolare all’altro le mille ragioni che impediscono il loro rapporto, quando Ibn sospira e abbassa il capo.
«Lo so, Lian,» sussurra e lei si gela. Non si è ancora abituata al modo in cui lui pronuncia il suo nome, all’affetto e alla cura che presta nell’emettere ogni singola lettera. Prima era sempre Arsenal, una maschera, un nome duro da combattente - il nome di suo padre -, ma adesso è diventata Lian, l’amica, la confidente, l’amante.
Le ginocchia le diventano molli e sa che il punto di non ritorno è vicino. La sua parte razionale le dice di compiere un passo indietro e uscire dalla stanza il più in fretta possibile; non ha mai dato davvero ascolto alla sua parte razionale, però, e infatti il passo lo compie in avanti, verso di lui. Le sue braccia, l’istante dopo, la stringono piano.
*
Diana ha i capelli neri come quelli di Lian, ma più corti, più lucidi, più folti; le sue mani sono piccole e delicate, nonostante la super-forza, e il costume scuro da Wonder Girl le mette in risalto gli occhi blu. Diana è ciò che Lian non è, sarebbe la ragazza perfetta di cui innamorarsi e tutti sembrano convinti - anche se nessuno lo dice ad alta voce per paura della reazione di Mar’i - che se mai Ibn dovesse avere un’altra donna quella sarebbe lei.
La cosa ironica è che persino Mar’i è convinta di questo e Diana è, probabilmente, l’unica persona di cui diventa gelosa.
«Tra loro non c’è nulla, dai,» la rassicura Iris, sventolando una mano e cercando di mettere fine alla questione. Ma gli occhi di Mary sono fissi su Wonder Girl e su Ibn, seduti al tavolo delle riunioni insieme a Superboy, e non accennano a spostarsi.
«Se gli appoggia di nuovo la mano sul braccio vado lì e la incenerisco,» sibila Robin, palesemente ignorando Impulse.
«Ma fanno così tutte le volte!» replica quella, senza rendersi conto di star solo peggiorando la situazione.
Lian, accanto a loro, si stringe nelle spalle e desidera ardentemente non essere lì. Alla bocca non le sale nessuna rassicurazione, nessuna battuta di spirito, niente di niente; c’è un nodo a bloccarle la gola, mentre immagina Mar’i scoprire l’identità della ragazza con cui Ibn la tradisce, la immagina voltarsi verso di lei furente e vede chiaramente se stessa trasformarsi in polvere sotto l’effetto dei suoi raggi di energia. Chissà se Diana, a quel punto, verrebbe in suo aiuto, giusta e pronta a difendere gli innocenti com’è.
«Fosse solo di lei che devi aver paura,» si ritrova a sussurrare prima che se ne renda conto. Mar’i, per fortuna, non le sta prestando attenzione e non la sente, voltandosi verso di lei solo distrattamente. «Che hai detto?»
«Niente,» si affretta a replicare Lian. «Solo che… Che Diana non ti farebbe mai una cosa simile.»
Sa di star dicendo la verità, perché è così che stanno le cose: Diana non avrebbe l’animo di ferire Mar’i, perché è davvero di buon cuore e adorabile come appare - a differenza sua.
«Lo spero solo per lei,» sbotta l’amica in risposta, lanciandole una rapida occhiata. Poi la sua completa attenzione torna sul terzetto e resiste ancora pochi minuti prima di annunciare: «Ok, ne ho piene le tasche», e andare ad unirsi a loro.
*
Kid Flash non smette di girarle intorno; nessuno ci nota niente di strano, in questo, perché per il resto del team è normale che loro due passino tempo insieme. Lian però è perfettamente cosciente della preoccupazione del ragazzo, del fatto che, anche se non ha ancora osato domandare in modo diretto, non aspetta altro che sentirle dire che le cose si sono sistemate.
Finge di non capirlo, tuttavia, per nulla ansiosa di sollevare la questione, fino a costringerlo ad uscire allo scoperto durante un allenamento in palestra.
«Quindi, uhm,» inizia il velocista. «Stai un po’ meglio?» Glielo domanda mentre continua a spostare a velocità della luce il bersaglio che lei dovrebbe colpire e Lian ha quasi un moto di fastidio, che stempera facendo scattare la balestra.
«Quasi centro, brava!» replica Jai, per poi arrivarle accanto in un istante e aggiungere: «Ma rispondi.»
Lei sospira e si stringe nelle spalle. «Non è cambiato niente,» dice e distingue chiaramente il disappunto nell’espressione dell’amico. «Risparmiati la predica, ok?»
«Non stavo per farti una predica,» si difende lui, «non sono mica Iris.»
La frase le strappa un sorriso, che la porta finalmente a rilassarsi. Giocherella con i comandi della balestra, inserendo e togliendo la sicura, tenendo lo sguardo basso, finché non si ritrova a dire, «Non devi preoccuparti per me, in qualche modo la risolverò.»
La mano del velocista si muove di scatto, appoggiandosi sulla sua spalla e stringendo un poco. «Non sono abituato a vederti così,» riprende, la voce bassa. «Stai attenta, Lian, perché…» si interrompe quando lei incontra i suoi occhi, cercando visibilmente il modo più adatto per dirlo. «Perché magari ti sta solo usando. Come una vendetta.»
La sorpresa di sentirgli trarre una simile conclusione le si dipinge sul volto. «Non farebbe una cosa simile,» replica, sicura di ciò che sta dicendo, e il ragazzo si scrolla le spalle.
«Non lo so,» ribatte. «Non so cosa gli passa per la testa il novanta percento del tempo, ad essere sincero.»
«Se è per questo nemmeno io,» si ritrova a scherzare; la battuta ha successo, perché entrambi ridacchiano, come ai tempi in cui fare battute su Ibn era all’ordine del giorno.
Poi, nel silenzio che segue, lui l’abbraccia brevemente, cogliendola di sorpresa; prima che possa parlare, però, si allontana di nuovo, raccoglie il bersaglio e, dal capo opposto della palestra, le dice: «Dai, riprendiamo. Non ce ne andremo da qui finché non avrai colpito il centro esatto!»
Lian scuote la testa divertita e prepara la balestra. «Allora datti una mossa, bamboccio,» grida in risposta.
*
«È stata con lui tutta la notte, ieri.»
La voce di Ibn, all’apparenza, è monocorde come al solito, ma Lian riconosce facilmente la nota malinconica che contiene. Le sue parole non la sorprendono: Mar’i l’aveva informata dei suoi spostamenti di persona il giorno precedente e a questo punto, secondo il piano consueto, a lei toccherebbe inventarsi una scusa, giustificarla in qualche modo credibile per tirarla fuori d’impaccio.
Invece rimane in silenzio, limitandosi ad appoggiare una mano sul braccio di Ibn e ad accarezzarlo piano, incurante del resto della squadra che gira lì intorno alla Sala Principale. Lui la guarda in un modo che non sa decifrare, nonostante la maschera sia abbassata, e stringe la presa attorno alla tazza di caffè che sta bevendo.
«Mi dispiace,» si sente in dovere di dire la ragazza, lo sguardo basso e la voce che esce in un misero sussurro; poi quasi sobbalza, quando avverte il rumore della ceramica abbandonata sul ripiano e la mano di Ibn ancora coperta dal guanto poggiarsi sulla propria.
«Dispiace anche a me,» replica lui, continuando a fissarla con quell’intensità che, adesso, non può che attribuire al rimorso.
La domanda le sale alle labbra in modo del tutto naturale, come se fosse sempre rimasta lì, in agguato, invece di essere una semplice eco delle parole di Jai. «Mi stai usando?» chiede, senza abbassare lo sguardo. «Sono la tua personale vendetta?»
Vede la sua espressione cambiare rapidamente, mostrarsi per un breve istante priva di difese, vagamente sconcertata, e infine riprendere la propria imperturbabilità. «No,» scandisce chiaramente; la voce sembra priva di incertezze e la sua mano resta lì, dove l’aveva posata.
Lian desidera credergli, con tutto il cuore, desidera avvicinarsi a lui e baciarlo, dimenticare il resto della squadra e del mondo, ma non riesce a fare nessuna delle due cose; il virus del dubbio le è ormai penetrato sotto la pelle, nonostante abbia cercato di impedirselo, e il pensiero di aver compiuto uno dei più grandi errori della propria vita le toglie ogni possibilità di reagire.
Si scosta da lui, allora, lanciandogli un ultimo sguardo risentito prima di voltargli le spalle e andare a raggiungere Iris in cortile.
*
«Ma mi stai ascoltando?» sbotta Mar’i all’improvviso.
Lian sobbalza, colta in fallo; immagina che l’amica abbia parlato per cinque minuti buoni, ma lei non è stata capace di seguire il filo del discorso per nulla, troppo assorbita dai propri pensieri.
«Uhm,» replica, dipingendosi un’espressione colpevole sul volto.
«Lian,» sospira l’amica stancamente. «Puoi cortesemente spiegarmi che ti prende?»
Come al solito, la risposta le viene fuori senza che ci abbia riflettuto a sufficienza. «Penso che dovresti lasciar perdere Jericho,» confessa, fissando Robin negli occhi.
La guarda sbattere le palpebre incredula e poi, allarme nella voce, domandare, «E questo da dove-- è per Ibn? Ti ha detto qualcosa?» Si morde un labbro e il cuore dell’altra quasi si incrina a vederla così preoccupata.
«No, niente del genere,» chiarisce. Poi esita, alla ricerca delle parole più adatte, reprimendo il senso di colpa. «È che… Ibn ti ama, Mary, e anche tu lo ami, io lo so. Ma questa cosa vi sta facendo del male, rischiate di rovinare tutto e…» Per un attimo è tentata di raccontarle ogni cosa, di svelarle quanto, esattamente, il suo tradimento stia condizionando Ibn, quanto, esattamente, si stiano facendo del male. Si ferma in tempo, tuttavia, limitandosi a concludere: «Credimi, è meglio se smetti.»
L’amica si rabbuia e china lo sguardo, ma Lian continua, incapace di troncare il discorso: «E non oso immaginare come deve sentirsi Allan. Essere l’altro non è per niente bello.»
C’è una nota di risentimento abbastanza evidente nelle sue parole, ma Mar’i pare non accorgersene. «La fai facile,» borbotta invece, fissandosi le mani.
Lian vorrebbe aggiungere che lo sa, che non è facile, che per certi versi la capisce, ma proprio quando apre la bocca qualcuno bussa alla porta della camera. Ibn entra subito dopo, prima ancora che qualcuno gli dia effettivamente il permesso, e, quando posa lo sguardo su Mar’i, campeggia la sorpresa sul suo volto per un brevissimo istante.
La ragazza si illumina in un sorriso sinceramente felice e si alza dal letto per andargli incontro, quasi saltellando dalla gioia. «Non sapevo che fossi qui,» la saluta Ibn e lei esclama un «Sorpresa!» e gli schiocca un bacio sulle labbra, per poi abbracciarlo.
Il ragazzo ricambia la stretta, ma il suo sguardo scivola oltre la spalla della fidanzata, fino ad incrociare quello di Lian. C’è dispiacere e ci sono scuse nei suoi occhi, ma lei resiste appena un istante, prima di guardare altrove e mettersi in piedi.
«Se volete vi lascio la stanza,» si forza a scherzare e loro finalmente si staccano. Ma la mano di Mary appoggiata mollemente sulla spalla di lui, quasi ad attestarne la proprietà, resta difficile da accettare.
*
«Mi stai evitando.»
Se lo ritrova accanto di colpo, il mantello che svolazza e le sfiora una gamba, la maschera a coprirgli il viso e le lenti bianche, inespressive, che la fissano. Ci sarebbe da avere paura di lui, da desiderare di stargli alla larga, ma invece il solo vederlo le provoca una morsa allo stomaco che non è timore, ma aspettativa.
«No, davvero?» replica piccata; si guarda velocemente intorno, sperando nella presenza di un altro membro del team, ma la palestra risulta invece deserta.
«Lian,» inizia Ibn, calandosi la maschera, e lei scuote la testa per interromperlo. «No, stai zitto. Questa cosa deve finire e venirmi a cercare non è certo d’aiuto. Voglio solo starti lontana, puoi permettermelo?» Lo fissa in viso tutto il tempo, cercando di dare alla voce il tono più sicuro possibile, e contemporaneamente fa un passo indietro, mettendo tra loro ulteriore spazio.
La mano del ragazzo però scatta all’improvviso, impedendole di allontanarsi ancora e anzi attirandola vicino, fino ad abbracciarla. Il gesto è tanto inaspettato e insolito per lui - sembra che non gli importi di essere visto dalle telecamere di sorveglianza, sembra impulsivo, come se per un po’ avesse abbandonato il costante controllo di sé - che Lian resta interdetta e non reagisce.
Si ritrova premuta contro di lui e non può fare altro se non rimanere lì, lasciarsi stringere e chiudere gli occhi, senza dire nulla. Capisce che è un addio, quello, e il desiderio di non mettere davvero termine al loro rapporto le pesa sul cuore.
«Non ti cercherò più,» promette Ibn, la bocca troppo vicina al suo orecchio e la voce ferma, decisa, appena velata di malinconia, tanto che lei non può dubitare della veridicità dell’affermazione - e della fine di tutto.
Così all'improvviso come l’ha abbracciata, si stacca da lei, rivolgendole un ultimo sguardo prima di rimettersi la maschera. L’attimo dopo le ha già dato le spalle e sta andando via, mentre lei trattiene a stento il desiderio di richiamarlo indietro, di non permettergli di allontanarsi.
Poi, a qualche metro di distanza Ibn si blocca e il suo cuore perde un battito. «Non sei mai stata una vendetta,» dice, senza girarsi. «Volevo che lo sapessi.»
Lian annuisce, nonostante lui non possa vederla; non si azzarda a parlare, perché non sa cosa potrebbe uscire dalle proprie labbra, quali scuse, quali richieste, quali preghiere. Le tiene serrate mentre il ragazzo riprende a camminare, mentre varca le porte della palestra, e si rilassa solo una volta rimasta sola, quando ormai non c’è più nulla che possa fare per fermarlo.
*
Resiste fino a notte fonda, concentrandosi sul proprio allenamento e non permettendo ai pensieri di scorrere. Poi, il nodo alla gola diventa troppo forte per essere ignorato e la solitudine e il silenzio iniziano ad infastidirla come una lenta tortura.
Abbandona la balestra malamente sul pavimento, la faretra di dardi lì accanto nel mezzo dello stanzone, e si mette a correre, lanciandosi rapidamente fuori dalle porte scorrevoli e prendendo le scale per i piani superiori.
Arriva fuori dalla camera di Jai con il fiatone e riesce appena a bussare e ad attendere che il ragazzo - il volto vagamente assonnato e confuso - le apra, prima di scoppiare a piangere. È come se settimane di tensione e paura e sensi di colpa le crollassero addosso all’improvviso, ed è certa che le ginocchia stiano per cederle, che lei tutta stia per cadere, se non fosse per le braccia dell’amico che la stringono e l’aiutano a raggiungere il letto.
Si affloscia sul materasso, ignorando la voce nella sua testa che le fa presente quanto appaia patetica e sciocca, in questo momento, e raggomitolandosi al fianco del velocista. Lui non dice una parola, si limita a stringerla, una ruga di preoccupazione sempre più marcata a segnargli la fronte e gli occhi fissi su di lei, in attesa che lo sfogo della ragazza termini.
Lian non ha idea di quanto tempo sia trascorso, quando trova la forza di asciugarsi le lacrime e dire: «È davvero finita, adesso.» Tiene ancora lo sguardo basso e si sente colpevole, perché non dovrebbe essere ridotta in questo stato, perché non dovrebbe averci sperato davvero, in ciò che lei e Ibn avevano, perché le sembra di aver compiuto un solo, gigantesco errore.
Poi Jai parla e quel sentimento pressante di inadeguatezza viene spazzato via. «Mi dispiace, Lian,» comincia, spostando le mani sulle braccia della ragazza, permettendole di allontanarsi solo il necessario per guardarla negli occhi, «però è meglio così.»
Lei sa che è vero - verissimo - ma non può comunque evitare ad un ultimo singhiozzo di sfuggirle. Si nasconde il viso tra le mani e annuisce, mormorando un poco convinto «Hai ragione».
Le braccia del ragazzo la circondano un’altra volta; Jai le accarezza piano i capelli e riprende, «Non è di lui che hai bisogno,» con la voce ridotta ad un sussurro.
Restano così per qualche altro minuto, poi Lian si scosta, respira a fondo e si asciuga il viso con il dorso della mano, recuperando parte della propria tranquillità. Accenna un sorriso colpevole in direzione dell’altro, lasciandogli capire che il peggio è passato e permettendogli finalmente di tirare un sospiro di sollievo. «Mi riprenderò,» afferma, tentando di rassicurarlo.
Lui scuote la testa divertito e si allunga per darle un colpetto scherzoso sulla testa; dopo scivola più su sul materasso e appoggia la schiena alla testiera, guardando in alto, verso il soffitto. «Non mi piace vederti così. Ho paura che domani potrebbe capitarmi di vibrare casualmente attraverso il caro Ibn, sai?»
La risata di Lian che giunge in risposta lo fa sorridere, mentre nella stanza si diffonde finalmente un’atmosfera rilassata. La ragazza si muove sul materasso fino ad arrivargli vicino; gli sfila il cuscino da dietro la schiena e, colpendolo con quello sulla testa, si raccomanda, «Basta che stai attento a non spargere le sue viscere per tutta la sede.»
«Non assicuro nulla,» si difende Jai, levando una mano. Lian ridacchia ancora e si sdraia, abbracciando il cuscino e raggomitolandosi su se stessa. Guarda Jai dal basso, indecisa se scusarsi per essergli piombata in camera a quel modo o attendere che sia lui a parlare, finché la mano del ragazzo non le si appoggia di nuovo sulla testa, accarezzandola piano.
«È meglio così,» ripete Jai e Lian annuisce. «È meglio così,» gli fa eco e poi, il nodo alla gola e il peso sul cuore ormai dissolti, chiude gli occhi.