Titolo: Life can show no mercy
Fandom: DC Comics - Lovvoverse
Co-Autore:
namidayumePersonaggi:
Ibn Al Xu’ffasch; nominati
Allan Wilson e, di sfuggita,
Mar'i GraysonRating: Pg
Conteggio Parole: 409 (W)
Disclaimer: I personaggi della storia appartengono ai rispettivi proprietari e creatori, che ne detengono i diritti. Nulla di ciò è scritto a scopo di lucro.
Note:
• Io e Nami abbiamo scritto una sorta-di-death!fic per festeggiare l’uso di Google Docs. Ha perfettamente senso, credetemi. ù_ù
• Ambientata nel
lovvoverse, precisamente nel 2030, dopo la morte di Allan.
• Titolo da Lost di Michael Bublé.
Life can show no mercy
Non avrebbe potuto aiutarlo in nessun modo, è questa la cantilena che Ibn si ripete mentalmente, è questa l’unica cosa capace di dargli conforto mentre la bara di Allan viene calata tra gli applausi generali e qualche pianto (che non dovrebbe affatto colpirlo, dato che non era compito suo aiutarlo)(né condannarlo). E per un po’ ci riesce, lo conforta davvero, gli dà la sensazione che non ci siano colpe, che sia tutto perfettamente in regola (che non l’abbia spinto lui, in quella tomba).
Funziona finché non la vede, seminascosta dalla folla, un po’ indietro, con indosso abiti scuri che stonano così tanto su di lei. Basta uno sguardo perché ciò a cui sta cercando di non pensare rimbalzi indietro, colpendolo con forza. È difficile - troppo difficile, per lui - ignorare ancora il senso di colpa che che si trascina da anni (dal matrimonio di Allan, dal più grande sbaglio che il ragazzo abbia mai fatto e che ora lo ha ucciso), è difficile fare i conti con il dolore che ha procurato alle persone che Allan amava, ad Allan stesso, a Lei. Per tutto questo tempo si è limitato ad ignorare la vita di Jericho - non gli importava più nulla e non erano affari suoi quello che il mezzo-demone decideva di fare - se non fosse che era stato proprio Ibn a pilotarla e, quindi, a provocarne la fine - a distruggere l’unica cosa che avrebbe potuto salvare Allan.
Davanti alla terra che inizia a ricoprire la cassa di legno, è difficile anche non pensare che ogni cosa sarebbe potuto essere previsto, evitato. Se non fosse stato egoista, se avesse scelto la strada più giusta, invece del male, se fosse stato semplicemente migliore di ciò che è, Allan adesso sarebbe vivo.
La lapide chiara è la prova lampante della sua incapacità di amare, di essere corretto, è il fallimento di una vita spesa a fare l’eroe, cercando di salvare le persone - per poi mandare sottoterra chi non trovava piacevole, per dettagli futili, lasciandosi convincere dalla parte oscura di se stesso senza opporre la minima resistenza.
La lapide, con la foto di Allan, è la diretta conseguenza di quello che lui ha provocato - e per quanto possa cercare di rinnegare questa idea, per quanto possa fingere di aver dimenticato, ci sarà sempre quel sorriso pacato a ricordargli la verità, l’ammonimento finale di un ragazzo che, invece di tentare di distruggerlo, è sempre stato migliore di lui.