Titolo: (I need your lovin') Like the sunshine
Personaggi: Blaine, Kurt (e Burt)
Genere: Introspettivo
Rating: PG
Avvertimenti: missing moment, SPOILER della 4x10, soprattutto perché si dà per scontato che sappiate cos'è successo XD uh, angst vago (spero)
Note: il titolo è ripreso da una canzone di Beck, ovvero Everybody's gotta learn sometimes, che fa parte della colonna sonora di "Eternal sunshine of the spotless mind" (ovvero "Se mi lasci ti cancello", nel triste titolo italiano); dal film sono tratti il dialogo introduttivo e la frase asteriscata nel testo.
Altre note in fondo ♥
« Io non sono un’idea, Joel, ma solo una ragazza incasinata che cerca la sua pace mentale. Non sono perfetta. »
« Non riesco a vedere niente che non mi piaccia in te, ora non ci riesco. »
« Ma lo vedrai, ma lo vedrai! Certo col tempo lo vedrai, e io invece mi annoierò con te, mi sentirò in trappola, perché è così che mi succede! »
« Okay. »
« Okay? … Okay? »
« Okay. »
Blaine è intento a cercare di sistemare i cuscini del divano in una posizione che sembri comoda: non è facile, perché il sofà è piccolo e i cuscini sono sottili, ma, suppone, essere bassi ha i suoi vantaggi, perché può sempre raggomitolarsi in un angolo.
“Cosa stai facendo?” La domanda di Kurt quasi lo fa saltare in aria per la sorpresa. L’appartamento è piccolo, un enorme stanzone diviso con mobili e tende più o meno strategicamente posizionati, ma Kurt è silenzioso. Blaine pensa che c’entri qualcosa il fatto che Burt stia già dormendo - lo sa, lo sente russare dietro le tende.
“Uh, mi preparavo il letto,” gli risponde, indicando il divano.
Kurt non parla per qualche momento; Blaine lo osserva, notando che la posa rigida che ha avuto per tutto il giorno sembra essere svanita sotto il peso della stanchezza. Sa che ha avuto una giornata ricca di tante emozioni, alcune non del tutto piacevoli, ma è quasi stupito dal fatto che l’unico segno visibile di tale scombussolamento sia dato solo dal fatto che le sue spalle sono leggermente incurvate.
“Non te lo ripeterò una seconda volta, ma il mio letto è grande abbastanza per tutti e due,” dice Kurt, dopo un silenzio che sembra essersi protratto per ore. Blaine sta per rispondergli che no, grazie, il divano va bene, ma poi ci ripensa. Forse per quel piccolo incurvamento delle spalle di Kurt, forse perché non vuole davvero dormire sul divano; forse perché hanno dormito insieme anche quando la situazione fra loro era molto peggiore; forse per tutte queste cose insieme.
Blaine molla i cuscini e segue Kurt verso il suo letto; si coricano, poi spengono le luci e per un attimo si sente solo il russare regolare e non eccessivo di Burt dall’altra parte dell’appartamento.
“Sono felice che tu sia qui,” mormora Kurt, forte dell’oscurità che li circonda. Blaine ricorda un sacco di conversazioni avute nel buio di una stanza, perché a volte è più facile parlare quando l’altro non ti vede vulnerabile, emotivo, esposto.
“Anch’io sono felice di essere qui,” sussurra Blaine, combattendo l’istinto di girarsi su un fianco, verso la direzione di Kurt. Resta invece immobile, guardando il soffitto. “Sono esattamente dove voglio essere*,” aggiunge dopo, forse sputando fuori la frase un po’ troppo prematuramente: doveva dirla meglio, pensarci di più.
Kurt però ridacchia a bassa voce, dopo solo un momento di silenzio. “Ah sì? Volevi essere nel mio letto?” scherza, mimando un tono di voce indignato.
“Non… Voglio dire… Non è come sembra, cioè, suona male, non volevo-” Blaine si blocca sentendo Kurt venir scosso dalle risate. Poi ride anche lui, a bassa voce, e le loro risa riempiono l’intero stanzone, soffocate e mischiate, basse basse, per non disturbare.
“Ero serio, comunque. Sono felice d’essere qui,” dice Blaine, quando le risate sono ormai scemate.
“Lo so,” sussurra Kurt, un sorriso che ancora aleggia nella sua voce, che sicuramente indugia sulle sue labbra. “Anch’io.”
“Ti amo,” gli mormora ancora Blaine, sentendo qualcosa nel petto stringersi e poi sciogliersi quando le parole gli escono dalla bocca, galleggiando nell’aria fra di loro.
“Ti amo anch’io.”
Non c’è esitazione, non un attimo di indugio.
Blaine sente ancora quella sensazione stringergli il cuore e poi sciogliergli le membra. Si addormenta, cullato dall’eco di quelle parole e dal tepore del letto.
***
A svegliarlo non è la luce del sole, né la sveglia; le luci della città sono ancora fredde e notturne, e quelle calde e rosse dell’albero di Natale sono troppo deboli per essere fastidiose. Burt russa ancora, dall’altra parte della stanza, ma non è seccante come aveva temuto in un primo momento, e i rumori della strada sono ovattati e lontani.
Kurt è…
Kurt singhiozza. Non abbastanza forte da essere realmente rumoroso, ma nemmeno abbastanza piano per essere silenzioso.
Blaine sa che sta piangendo: l’ha visto e sentito talmente tante volte che non ha davvero bisogno di vedere le lacrime per capirlo. A differenza della altre volte, però, non sa davvero cosa fare: nemmeno quando gli ha detto d’averlo tradito era così spaesato, perché sapeva di doverlo lasciare solo, che Kurt doveva piangere senza di lui.
Ora è quasi tentato di allungare una mano e carezzargli la schiena, ma non lo fa. È quasi tentato di voltarsi e cercare di dormire, ma non ne ha il cuore, non vuole che Kurt pianga da solo.
Sente le coperte muoversi piano e lancia uno sguardo verso il compagno di letto: Kurt gli rivolge la schiena, come sospettava, ed è raggomitolato in posizione fetale, se il modo in cui è curvato è indicativo. Ha aspettato la notte per piangere e lasciare che tutti i suoi sentimenti trovassero sfogo; ha aspettato di rimanere solo, di quella solitudine che il sonno porta, per lasciarsi andare.
Stupido, pensa Blaine, con la gola annodata. Coraggioso, pensa dopo.
“Kurt?”
La sua voce è appena un sussurro, che quasi viene ingoiato dall’improvviso e lontano suonare di un clacson. Kurt però l’ha sentito, perché i singhiozzi smettono e il suo corpo diventa rigido e immobile.
“Non volevo svegliarti,” sussurra dopo un attimo, quando Blaine si volta verso di lui, avvicinandosi di un po’; il materasso si piega, le coperte scivolano. La sua voce è acquosa, piena di lacrime.
“Ehi, non importa,” gli dice Blaine, non combattendo più l’istinto di allungare una mano; poggia il palmo sulla sua schiena, tenta una carezza circolare, poi un’altra, poi le spalle di Kurt sussultano e lui ricomincia a piangere.
Blaine continua a massaggiargli la schiena con una mano, a sussurrare rassicurazioni, ma non dice mai una volta che ‘andrà tutto bene’, perché quello lui non lo sa. Ha diciassette anni, è un ragazzino e tutto quello che sa è che ora è lì ed è lì per Kurt e ci sarà ancora quando avrà bisogno di lui.
***
“Ho paura,” mormora Kurt, la voce stanca, i singulti che ormai sono sporadici.
Blaine sente il torace di Kurt gonfiarsi d’aria ad ogni respiro, la mano ancora sulla sua schiena. Chiude gli occhi, ascolta Burt russare, e poi si avvicina ancora un po’.
“Lo so.”
***
La mattina è tempo di saluti. Kurt abbraccia Burt per un tempo infinitamente lungo e Blaine finge di essere impegnato a ricontrollare che la sua valigia sia ben chiusa; li sente parlare fra loro, in quel modo intimo e complice che possono conoscere solo un padre e un figlio con la loro storia alle spalle.
Blaine sorride quando sente la mano di Burt stringergli spalla.
“Ti aspetto giù, ragazzo,” gli dice, aggiungendo che il taxi non li aspetterà per tutta la mattina.
Kurt lo guarda con un sorriso un po’ appannato e stanco, ma genuino; Blaine gioca con i suoi guanti, incerto, poi viene catturato in un abbraccio e chiude gli occhi, la braccia che trovano facilmente la loro strada intorno al corpo di Kurt, chiudendosi strette attorno a lui.
“Grazie,” gli dice Kurt, quando si separano. Blaine sa che intende ringraziarlo per la sorpresa, per essere stato con loro a Natale, per essere stato lì, per la mano sulla sua schiena, per non averlo fatto dormire da solo e per tante altre piccole cose.
Blaine vorrebbe dirgli che l’ha fatto con piacere, che non c’è niente da ringraziare e che diceva sul serio, che lui ci sarà sempre per Kurt, anche se non stanno più insieme.
Poi però non dice niente, perché le parole sembrano troppe e troppo superflue; invece, si allunga in avanti, gli dà un bacio su una guancia, poi un altro, più rumoroso e impiastricciato, sull’altra e, quando si tira indietro, sorride all’espressione fintamente sorpresa e disgustata di Kurt.
Non si dicono altro, sanno che ci saranno altre telefonate, sms, email, forse qualche chiamata su skype. Blaine prende la valigia e un grosso respiro, guarda un’ultima volta Kurt, gli sorride e poi si volta.
Forse ci sono relazioni che non durano per sempre, ma Blaine, mentre scende le scale, sa che la loro non è una di quelle.
Fine
Note finali.
Una cosa che boh, mi sento di condividere: il "Ti amo"/"Ti amo anch'io", inizialmente l'avevo scritto "I love you"/"I love you too". Perché l'ai lov iu mi confonde sempre: cioè, vuoi dire che mi ami o che mi vuoi solo bene? E quindi, boh, volevo lasciare il dubbio. Ma poi c'ho ripensato. Io dubbi non ne ho XD
Penso che questa sia una delle primissime volte che mi viene voglia di scrivere una fanfic immediatamente dopo aver visto una puntata E inserirla nel canon. Scrivere un "missing-moment-che-però-è-anche-una-reaction-fic", insomma. Bella roba.
Devo ammettere che però sono contenta d'averlo fatto, perché, per la prima volta da quando scrivo su Glee, mi sono sentita a mio agio e, nonostante il tempo verbale, con il mio stile: introspettivo, malinconico e con un pizzico d'angst. Non lo nego, mi sono mancata.
(E' che sono in piena SPM, quindi non giudicatemi.)