Titolo: Haunted
Personaggi: Regulus Black, Fenrir Greyback, Barty Crouch Jr, Lucius Malfoy, Severus Snape, Sirius Black e Remus Lupin (più altre comparse varie ed eventuali)
Prompt: Denti
Genere: Angst
Rating: NC-17
Avvertimenti: death-fic, dub-con, non per stomaci delicati, slash, violenza descrittiva e non, what if?
Note: scritta per il contest
Pairing pazzi e difficoltà di
miki_tr, quasi un anno fa XD il mio pacchetto prevedeva che la coppia su cui scrivere fosse Fenrir/Regulus e le difficoltà scelte sono: il pairing più difficile (ma va? XD), l’inizio col botto e l’esercito delle comparse (e questo spiega perché ci sia un botto di personaggi. E' una cosa che non faccio mai, mettere così tante comparse, quindi è stato divertente mettermi alla prova XD).
Ambientata durante l’ultimo anno di vita di Regulus, il 1979. Ho scritto “Ibrido” sempre in maiuscolo semplicemente perché mi sembrava giusto (come Mezzosangue e Magonò, insomma).
Haunted è il titolo di una canzone degli Evanescence che mi ha fatto da colonna sonora nella stesura della storia; per altro è anche piuttosto adatta alla fic, quindi… ne è anche il titolo!
Ah, sì... Il dub-con mi è venuto male. Lo odio XD
Watching me,
Wanting me,
I can feel you pull me down.
Fearing you,
Loving you.
(Haunted - Evanescence)
C’è un ragazzo in mezzo alla strada.
La sua faccia affonda in una pozzanghera ed il suo cuore ha smesso di battere da pochi minuti. Non aveva alcuna speranza di sopravvivere fin dall’inizio, ma, quando ritroveranno il suo corpo e quando lo sottoporranno all’autopsia, crederanno che fosse possibile salvarlo con un intervento tempestivo; scopriranno anche che è morto a causa di una profonda ferita (simile ad un morso) al braccio che gli ha danneggiato l’arteria, dando via ad un dissanguamento lento abbastanza da permettere al ragazzo di tentare la fuga.
Il giovanotto stava scappando, da chi o da cosa non lo saprà nessuno; quello è un segreto che il morto si è portato con sé nella tomba.
Era terrorizzato, ma non è possibile vederlo dalla sua faccia gonfia di acqua - chi ha mai detto che la morte rende belli non ha mai avuto davvero a che fare con essa.
Quel ragazzo si chiamava Regulus Arcturus Black. Un nome altisonante, per un bamboccio con l’unico pregio d’aver tentato di salvare il mondo, fallendo per giunta; ma tanto nessuno di quelli che lo ritroverà riuscirà ad identificarlo. Vedete, lui era un Mago ed a ritrovarlo sarà uno spazzino Babbano. La sua famiglia piangerà su una tomba vuota la sua scomparsa, mentre lui verrà seppellito sotto una lapide senza nome. Ironico e forse anche adatto ad uno come lui, invisibile ai più.
Vi starete chiedendo come io sappia tutte queste cose, forse. Allora lasciate che vi riveli un segreto: io sono Regulus e sono morto in una notte di luna piena.
Febbraio
“Hai visto il cane?” chiese di punto in bianco Barty, sottovoce. Regulus notò che dalla bocca gli uscivano sbuffi bianchi di fiato; si accorse anche che tremava come una foglia per via del freddo e dell’umidità del vicolo in cui facevano il palo, ma non era solo per quello: era anche la posizione a far tremare i muscoli contratti da troppo tempo. Si erano rannicchiati in un angolo con una buona visuale della strada, come era stato loro detto dai più grandi. Era logico che i più giovani dei Mangiamorte dovessero starsene fuori, a controllare che nessuno si avvicinasse. Barty odiava fare il palo, ma non si lamentava perché sapeva che gli ordini dei suoi compagni più grandi erano anche gli ordini del Signore Oscuro e lui gli era completamente dedito. A Regulus, invece, non dispiaceva tenersi fuori dall’azione: meno possibilità di venire coinvolto direttamente e più occasioni di scappare. In più sapeva che suo fratello combatteva per la fazione opposta e non ci teneva a farsi beccare proprio da lui.
“Il cane?” chiese Regulus, facendo scivolare velocemente gli occhi lungo i marciapiedi.
“Cretino,” rise Barty, con voce nervosa e vagamente crudele. Lui non se la prese, perché lo conosceva e sapeva che Barty era così con tutti. “Dico il lupo mannaro che s’è presentato al raduno di oggi.”
Greyback, pensò Regulus, scosso da un brivido di freddo particolarmente violento.
“Io penso che il Signore Oscuro voglia solo utilizzarlo…” commentò l’amico, senza aspettare la sua risposta. “Tsk, figurati se una cosa sudicia e abominevole come quella può davvero avanzare qualche pretesa!”
L’alleanza con i Lupi Mannari doveva essere fondamentale nel gioco di strategia che stava portando avanti Lord Voldemort; ma l’idea di lavorare al fianco di una Creatura Oscura, o in particolare con Fenrir Greyback, faceva rabbrividire Regulus.
Durante quell’incontro, quello stesso pomeriggio, aveva osservato con morbosa attenzione il licantropo, scoprendo di reputarlo meno abominevole di quanto lo faceva sembrare Barty. Regulus sapeva che ciò a cui si riferiva il compagno non era l’aspetto esteriore di quell’Ibrido, bensì il suo essere una persona profondamente malata e malvagia. Ma certamente tra i Mangiamorte non era l’unico ad esserlo.
“Sai che ho sentito?” chiese Barty, continuando a parlare a mezza voce. “Pare che una volta abbiamo morso un bambino di sei anni… Sai quel’è la cosa veramente assurda? Che quel moccioso aveva un cognome singolarmente simile alla parola lupo,” ridacchiò ironicamente. “Chissà, magari i genitori sono stati contenti dopo…”
“Cos’è successo a quel ragazzino?” domandò piuttosto Regulus, non riuscendo a togliersi di dosso la sensazione di freddo e umido dietro la schiena, nonostante si fosse scostato dal muro.
Barty fece spallucce. “Bah, che ne so? Probabilmente è morto dissanguato o magari i genitori l’hanno abbandonato. Se erano persone intelligenti abbastanza da capire che abominio avevano in casa, l’avranno ucciso.”
Regulus tenne per sé il suo commento a riguardo, tornando a fissare la strada buia che si apriva di fianco a loro. Barty gli piantò un gomito fra le costole, ridacchiando di nuovo; quando si voltò a guardarlo vide il suo viso vicino e sogghignante, mentre gli occhi lo fissavano con intensità.
“Sai che altro ho sentito dire?” gli domandò, facendosi ancora più vicino e cospiratore. C’era una sorta di perversa eccitazione nella sua voce, una smania maliziosa che gli attraversava tutto il corpo. Regulus ne fu sorpreso e si sentì improvvisamente a disagio. “Dicono che a Fenrir piacciano i ragazzini… Gli piace seviziarli e magari anche violentarli prima di ucciderli.”
Stavolta il brivido che corse lungo la spina dorsale di Regulus non aveva niente a che vedere con il freddo, ma cercò di ignorarlo e stringersi meglio nel mantello.
“Ehi,” lo richiamò piano Barty, avvicinandosi un altro po’. “Tu pensi che anche quel bambino sia stato….?”
“Piantala!” gli ordinò in un sibilo Regulus, scoccandogli un’occhiata infastidita e disgustata. “Dobbiamo restare in silenzio, capito?”
Barty annuì, riparandosi di nuovo nel suo angolo di muro, osservandolo con curiosità. Poi, per fortuna, tornarono gli altri.
Marzo
Era la seconda volta che lo vedeva e probabilmente non sarebbe capitato tanto presto se Bellatrix non avesse insistito affinché accompagnasse Lucius Malfoy. Sua cugina era convinta - per ragioni del tutto inesistenti - che Lord Voldemort avesse una particolare simpatia per lei e la sua famiglia, ma Regulus non era tanto stupido da non accorgersi che Bella aveva una sorta di adorazione malata per quell’uomo, qualcosa di cui sembrava essere a conoscenza anche Rodolphus, ma che pareva accettare con innamorata rassegnazione.
Regulus, comunque, fece come gli era stato chiesto, nonostante non avesse mai avuto rapporti troppo buoni con Lucius; quand’era ancora un ragazzino e Sirius aveva iniziato a dare segni di ribellione sempre più marcati, aveva scioccamente pensato di poter trovare un fratello maggiore nel marito di sua cugina, cosa che alla fine si era ovviamente rivelata un sogno da bambino e nient’altro. La sua relazione con Lucius era fatta di sola cortesia e gli andava più che bene.
Il Signore Oscuro non parve seccato dalla sua presenza, ma non lo degnò nemmeno di uno sguardo. Regulus gliene fu grato, perché non aveva mai sopportato lo sguardo di quel pazzo: lo inquietava, lo faceva sentire troppo esposto e troppo vulnerabile, gli suscitava anche una buona dose di disprezzo e questo, se l’Oscuro l’avesse scoperto, gli sarebbe costato caro.
Ciononostante, la sensazione di disagio e inquietudine lo riempivano, facendogli torcere le dita quasi con violenza.
Era colpa sua: Greyback l’aveva sorpreso a fissarlo - a fissare proprio lui, il mostro di cui gli aveva parlato Barty - e da quel momento anche lui aveva iniziato ad osservarlo.
Regulus non era riuscito ad evitarlo, non dopo la conversazione avuta con Barty, né probabilmente dopo averlo visto la prima volta. Anche senza le informazioni che aveva avuto durante quell’appostamento con l’amico, Regulus era certo che i suoi occhi avrebbero lo stesso cercato la figura alta e massiccia del licantropo.
Non era ripugnante, aveva solo l’aspetto selvaggio che ci si aspetta da una creatura come quella; era mostruoso per via di quel ghigno storto e perenne sul volto dall’età indefinibile - forse quarant’anni? Magari cinquanta o forse solo trenta? - e per via della voce di Barty che, insinuante come la sera di pochi giorni prima, gli ripeteva quella domanda. Tu pensi che anche quel bambino sia stato…?
Sentì un brivido - simile a quelli freddi e umidi di quell’appostamento - scendergli lungo il corpo, mentre gli occhi invadenti del licantropo lo osservavano, quasi scavandogli nella carne, come se fossero stati denti affilati. Regulus pensò che a quella creatura sarebbe sicuramente piaciuto squarciargli la pelle, lasciare che il sangue ne fuoriuscisse.
Barty - la sua voce - gli disse di nuovo: dicono che a Fenrir piacciano i ragazzini, e lui cos’era, se non un ragazzino?
Si ritrovò, impaziente, a cercare di evitare di guardarlo, perché sapeva che se l’avesse fatto i suoi occhi, inquietantemente gialli, lo avrebbero tormentato per giorni, notti intere senza poter dormire.
Quando la riunione finì, Regulus trattenne a stento un sospiro, giusto per lasciarlo uscire, un momento dopo, nella forma di un gemito strozzato, quando si trovò davanti Greyback.
Era alto, notò allora, molto più di lui, e le sue braccia sembravano capaci di sradicare un albero senza difficoltà. Lo guardava dall’alto in basso e si vedeva che stava cercando di sorridere in modo rassicurante, ma la smorfia sul suo viso era solo la parodia grottesca di un’espressione benevola.
“Tu devi essere il piccolo re dei Black…” affermò, con voce aspra.
Regulus notò che i suoi denti erano appuntiti come quelli di un vero lupo, e rabbrividì leggermente nell’immaginarli conficcati nella sua gola. Quasi non prestò attenzione alle sue parole, portandosi invece una mano sul collo, stregato e terrorizzato dall’immagine che la sua mente gli aveva proposto.
“C’è qualcosa che posso fare per te, ragazzino?” gli chiese poi, e Regulus ebbe quasi l’impressione che l’ultima parola gli fosse scivolata fuori dalla bocca con insensata morbidezza.
Stava per rispondere - non sapeva cosa, ma la sua lingua si stava muovendo per pronunciare un qualche suono - quando una mano calò come un artiglio sulla sua spalla, e lui venne tirato indietro, scontrando la schiena contro un altro corpo.
“Greyback,” sibilò la voce di Lucius, che vibrò nel suo petto e sulla schiena di Regulus. “Stai lontano da lui, intesi?”
“Malfoy,” ringhiò il licantropo, modellando il ghigno in una smorfia d’astio. “Il ragazzino non corre alcun rischio. Siamo alleati, no?”
Lucius non rispose e Regulus sentì la presa sulla sua spalla farsi ancora più ferrea e nervosa. Greyback lo osservò ancora per qualche momento, prima di riportare la sua attenzione sul più giovane; fece un buffo cenno con la testa, piegando le spalle in una sorta di grottesco inchino, e poi andò via.
Lucius non mollò la presa su di lui finché non si furono Smaterializzati nella piazzetta antistante Grimmauld Place, nel luogo scuro e sicuro dove nessuno vedeva mai niente.
“Cosa voleva?” gli chiese bruscamente, guardandolo impaziente.
“Niente, non… non voleva niente,” balbettò Regulus, ancora confuso da quell’incontro così inaspettato.
“Non devi andargli vicino, Regulus, quella è solo feccia,” lo redarguì il più grande.
“Credi che non lo sappia?” replicò lui, in tono sdegnoso, alzando il mento altezzosamente.
“A quanto pare…” insinuò Lucius, con espressione infastidita. “Ora torna a casa e piantala di fare il grand’uomo. Greyback è pericoloso,” gli disse, facendo poi un cenno in direzione di Grimmauld Place.
Regulus non rispose nulla, limitandosi ad un vago saluto; la verità, si disse poi, al sicuro nella sua stanza, era che aveva avuto paura che le gambe gli cedessero, davanti a quegli occhi ipnotici e quei denti affilati.
Maggio
“Svegliati!”
La voce gli giungeva familiare, ma non riusciva a dargli un nome. Se solo fosse riuscito ad aprire gli occhi, forse avrebbe capito; ma non voleva, aveva paura di vomitare di nuovo.
“Regulus, svegliati,” disse di nuovo la voce. Esasperata, più che preoccupata, severa, più che accorata.
“Severus,” riuscì a biascicare, muovendo la testa verso la fonte della voce.
“Apri gli occhi, avanti,” gli ordinò l’amico, alzandogli la testa. “E bevi questa, ti farà sentire meglio.”
Le palpebre si schiusero e gli occhi si mossero velocemente a misurare il luogo in cui si trovava: una stanza da letto dall’aspetto familiare, due finestre alte e strette con le tende di un elegante verde scuro. Conosceva quella camera: era la stanza degli ospiti di Malfoy Manor.
“Cos’è successo?” domandò, la voce roca e la bocca acida. Ricordava solo quello: d’aver rimesso anche l’anima mentre era in missione, ma non sapeva perché.
“Sei svenuto dopo aver vomitato…” gli spiegò Severus. “Adesso bevi questa.”
Regulus obbedì docilmente, sentendosi abbastanza debole da non volersi ribellare agli ordini dell’amico. La testa gli venne riadagiata sul cuscino dell’imponente letto a baldacchino su cui era steso. Il verde era il colore predominante di tutta la stanza e Regulus, per un attimo, pensò d’essere tornato nel Dormitorio sotterraneo di Serpeverde. Ovviamente non era così, gli ricordò la sua mente, mentre le immagini di quella nottata gli scorrevano velocemente nella testa.
“Porta via questo e di’ alla signora Malfoy di dargliene un’altra domani mattina,” disse la voce di Severus, chiaramente non riferendosi a lui. Regulus aprì un occhio, sbirciando: dell’elfo domestico con cui parlava l’amico vedeva solo le grandi orecchie da pipistrello e la sommità della testa calva.
“Dobby lo farà, signore,” rispose l’elfo, per poi sparire con un piccolo schianto.
“Severus,” chiamò con un filo di voce. L’altro gli rivolse un’occhiata da sopra la spalla, senza voltarsi, e Regulus allungò le dita, cercando di afferrargli la manica della veste. “Severus, hanno sterminato tutta la famiglia… Perché?”
L’amico scansò lo sguardo e non gli rispose; Regulus lo strattonò debolmente, sentendo la pozione che aveva bevuto tenere a bada il reflusso gastrico che rischiava ancora una volta di risalirgli l’esofago.
“Ho detto a tutti che sei stato colpito da uno Schiantesimo,” disse Severus, continuando ad ignorare la sua domanda. “Quando sono arrivati i membri dell’Ordine, uno di loro ti ha visto e ti ha colpito. Dirò che è stata la strega che combatteva contro di me, così nessuno sospetterà.”
“Severus!” lo richiamò Regulus con un moto di rabbia. “Quella… quello era Charlie Payne! Era un Tassorosso, è uscito da scuola l’anno scorso. Un Mezzosangue. Perché l’hanno ucciso con tutta la famiglia?”
Snape lo guardò quasi con pietà, ma fu solo un lampo negli occhi scuri e impenetrabili. “Ha offeso il Signore Oscuro,” disse e Regulus ricordò vagamente le parole di scherno riportate durante l’incontro del pomeriggio.
Sgranò gli occhi e li fissò in quelli neri dell’amico.
Di nuovo un lampo di compassione, poi più niente. “Ma non te ne sei reso conto, Black?” chiese Severus, continuando a fissarlo. “Chi va contro l’Oscuro è destinato a morire,” pronunciò quelle parole con l’aria di chi aveva appena emesso una sentenza inappellabile; poi si alzò dal letto e s’incamminò verso la porta. “Dormi,” gli ordinò, prima di uscire dalla stanza.
Regulus fissò il soffitto, ricordando le scene di qualche ora prima: il sangue, le urla, i brandelli di carne. Strinse gli occhi, cercando di scacciare via quelle immagini, fallendo. Si addormentò solo grazie al sonnifero che Severus non gli aveva detto di avergli fatto bere.
Sua madre bussò alla porta della sua stanza. Un colpo solo.
Regulus doveva aspettarselo, visto che per due giorni di seguito da quando era tornato a casa non si presentava né a pranzo né a cena, ed aveva rifiutato tutti i vassoi di cibo che Kreacher gli aveva portato.
Ma Walburga era una donna impaziente, fin troppo attenta all’etichetta, ed era già tanto se si era presentata alla sua porta dopo due giorni e non prima.
“Avanti,” mormorò, dopo essere uscito dalle lenzuola che fino a quel momento erano state il suo rifugio.
Walburga Black aprì la porta completamente, fermandosi sulla soglia, pallida e severa come Regulus la ricordava da sempre, sin da bambino. “Regulus, sei malato?” gli domandò, senza tuttavia una vera vena di preoccupazione nella voce: sapeva già la risposta.
“No, madre,” replicò Regulus, con le mani dietro la schiena.
“Allora non comportarti come se lo fossi,” lo rimproverò. “Presentati a cena stasera e rispondi alle lettere che ti sono state inviate da tua cugina,” concluse, dando un’occhiata astiosa al gufo di Bellatrix che ormai ogni sera picchiettava sul vetro della sua finestra.
“Sì, madre,” ribatté lui, stringendosi le mani, pallido di un biancore malato.
Walburga sostò ancora qualche attimo sulla porta, avvertendo qualcosa, ma non abbastanza ricettiva da farsi avanti e consolare il figlio. Sua madre mancava di quel tipo di sensibilità e probabilmente non lo avrebbe consolato comunque. “Tuo padre ed io siamo fieri di te,” disse infine, dopo quella che doveva essere stata una lunga riflessione alla ricerca delle parole più appropriate.
“Sì, lo so,” le rispose Regulus, pensando tra sé che lui non lo era affatto di se stesso.
Giugno
Ripresentarsi al cospetto di Voldemort fu più traumatico di quanto Regulus aveva preventivato. Rimase nelle retrovie, dovendo rinunciare alla vicinanza di Severus o di Barty, che, in qualche modo, gli avrebbe potuto calmare i nervi; cercò di guardare nella direzione dell’Oscuro il meno possibile, terrorizzato dell’idea che potesse usare la Legilimanzia su di lui e scoprire che non era più un alleato - una pedina sulla sua scacchiera. Per tutta la durata dell’incontro mantenne un’espressione rigida e impassibile, ascoltando solo vagamente l’organizzazione del prossimo attacco, indirizzato alla volta di un mago che si ipotizzava facesse parte dell’Ordine della Fenice.
Quando la riunione si concluse, fu con sollievo che Regulus scivolò via da quella cerchia di pazzi, incamminandosi verso l’uscita.
Fu sorpreso, quando un brivido familiare gli percorse tutta la schiena, andandogli a cadere sulle ginocchia, rendendole molli come gelatine. Greyback lo stava guardando e non aveva bisogno di voltarsi per saperlo.
Deglutì, ben consapevole che stavolta Lucius non sarebbe andato a salvarlo. Ma poi salvarlo da cosa? Quell’Ibrido non era certo peggio di Voldemort!
“Ci si rivede, giovane Black,” salutò la sua voce roca e Regulus sussultò nell’accorgersi che era più vicino di quanto pensasse. “Tutto bene? Sei pallido…”
La bocca era secca e la gola sembrava chiusa per impedire che l’aria insalubre, pregna dell’odore del sangue che sembrava emanare direttamente dal corpo dietro il suo, gli riempisse i polmoni.
“Tutto bene,” riuscì infine a biascicare, sentendosi tremare dalla testa ai piedi. E se Voldemort avesse già saputo? E se quel licantropo fosse stato mandato proprio da lui per ucciderlo?
“Tremi,” disse Greyback, facendo poi una risata bassa e breve. “Hai paura di me?”
Dicono che a Fenrir piacciano i ragazzini, gli ricordò la voce di Barty, gli occhi che lo scrutavano ed un sorriso di morbosa curiosità a piegargli la bocca.
Regulus si voltò, fronteggiando finalmente la creatura che incombeva su di lui. Pensò vagamente che se si fosse rannicchiato al centro di quel corpo sarebbe potuto scomparire, se l’altro avesse chiuso braccia e gambe. Si leccò le labbra, inconsapevole della lascivia di quel gesto, e alzò gli occhi: le iridi gialle di Greyback erano fisse sulla sua bocca ed il ghigno che gli deformava il viso mostrava i denti, come le fauci digrignate di un predatore ad un fiato dal collo della preda.
“Dovrei?” chiese, stupendosi per primo della sua baldanza.
Greyback allargò gli occhi per un momento, apparentemente spiazzato da quella risposta, poi rise; era una risata sgradevole, più carica di derisione che di vero divertimento. “Se ti dicessi di sì?” lo provocò dopo, studiandolo con interesse.
Regulus fece un piccolo sorriso. “Scapperei,” rispose, cercando di controllare la sua voce. Non sapeva esattamente cosa stava facendo, ma c’era qualcosa d’irresistibile in quell’Ibrido, qualcosa che Regulus non riusciva ad ignorare; forse era la paura sottopelle che lo faceva fremere, forse era il fatto che gli occhi di Greyback lo guardavano con interesse, con… qualcosa che gli dava tutt’altro genere di brividi.
“Non saresti abbastanza veloce,” lo schernì Greyback, afferrandogli improvvisamente un polso e stringendolo.
Regulus sobbalzò di sorpresa, ma non ebbe tempo di spaventarsi: al contatto della sua pelle fredda con quella mano ruvida e callosa, le cui lunghe dita terminavano con delle unghie affilate come artigli, il suo corpo venne attraversato da una fortissima scarica di adrenalina ed il cuore iniziò a battergli impazzito nel petto.
Poi il licantropo Smaterializzò entrambi e ci fu solo confusione per qualche attimo.
Quando sentì di nuovo la terra sotto i suoi piedi, Regulus prese un profondo respiro sconvolto, mentre la sua mano, ancora bloccata nella presa ferrea di Greyback, tentò uno strattone, che ebbe l’unico risultato di far ridere il suo rapitore. “Troppo tardi,” lo irrise, trascinandolo lungo un sentiero di terra battuta.
Solo a quel punto Regulus si guardò intorno, scoprendo che si trovava senza dubbio in un bosco: c’erano alberi tutt’attorno a lui, alti e scuri - era ormai il crepuscolo ed i pochi raggi di sole che ancora lottavano per non tramontare non riuscivano a raggiungere la terra e il sottobosco -; il sentiero che stavano percorrendo era di terra e foglie. Regulus non riuscì a vedere dove Greyback lo stava conducendo finché non si ritrovarono davanti a quella che aveva tutta l’aria d’essere una vecchia catapecchia fatiscente.
Senza indugi, il licantropo aprì la porta, sorprendentemente resistente, e tirò il ragazzo dentro la stamberga; Regulus riuscì a non cadere solo perché Greyback gli teneva ancora il polso, ma avvertì una fitta di dolore attraversargli tutto il braccio per il brusco strattone. Non si guardò nemmeno intorno, ma puntò gli occhi - grandi e confusi - sull’Ibrido che stava chiudendo la porta.
“Cos’è questo posto?” chiese, non cercando nemmeno più di mascherare la voce tremante.
“Uno dei miei rifugi,” rispose il licantropo, voltandosi a guardarlo.
“Perché mi hai portato qui?” chiese ancora Regulus, cercando invano di indietreggiare.
Il volto ghignante di Greyback sembrava illuminato di sadica soddisfazione nel vederlo così impaurito e spaesato; il ragazzo rabbrividì, un misto di terrore e adrenalina che gli faceva pompare il cuore velocemente nel petto. “Perché?” domandò, di nuovo con quel tono derisorio. “Perché non si provoca un predatore pensando di poterla passare liscia, cucciolo,” disse, protendendosi in avanti ed avvicinando il viso a quello esangue di Regulus.
Il ragazzo sentì in quel momento, più forte che mai, l’odore di sangue e sporco che il licantropo emanava, ma più di ogni altra cosa si sentì piccolo, indifeso e senza speranza. Era in trappola: ci si era cacciato di sua volontà, consapevole che avrebbe corso dei rischi, che però nella sua testa non erano che vaghi e confusi.
“Oh, ma non preoccuparti… La luna piena è lontana e non ti farò male,” affermò Fenrir, spingendolo poi verso il muro, premendolo contro la pietra umida e spalancandogli le gambe con un ginocchio.
“Cosa…?” tentò di chiedere Regulus, la voce ridotta ad un bisbiglio.
Greyback stavolta non disse nulla, limitandosi a scostargli i capelli dal collo; Regulus sentì il suo alito - caldo e sgradevole - sulla pelle sensibile, e un momento dopo avvertì un forte dolore quando i denti aguzzi del licantropo affondarono nella carne.
Gridò, spaventato e incredibilmente eccitato. Se ne accorse in quel momento, nell’attimo in cui la sua mente gli ricordava l’immagine che si era figurato nella testa, quando aveva visto per la prima volta i denti affilati di Greyback: era esattamente quello che voleva, sentirli sotto la sua pelle, mentre penetravano nella carne.
Con un braccio bloccato dietro la schiena dalle mani del licantropo e l’altra che si aggrappava alla pietra fredda del muro, Regulus inclinò il capo, chiudendo gli occhi e spingendo il bacino indietro. Le sue natiche incontrarono immediatamente il cavallo dei pantaloni dell’altro, teso e duro, e il suo corpo iniziò a muoversi indipendentemente dalla sua volontà.
Greyback rise, lasciando finalmente il suo collo, dopo aver leccato via il sangue, e lo spogliò, strattonandolo e spingendolo ancora contro il muro.
Regulus era in preda alla confusione, alla paura e al desiderio; capiva poco di quello che stava accadendo, non chiedendo altro che un piacere immediato, e quando il licantropo lo penetrò fu meno doloroso di quel che si era aspettato.
Reclinò il capo all’indietro, gemendo forte e cercando di abituarsi all’intrusione; Greyback non gliene diede tempo ed iniziò a spingere con violenza dentro di lui, lasciandolo incapace di fare altro che ansimare e gemere. Aveva la sensazione che il suo petto sarebbe scoppiato nel tentativo d’incamerare aria e buttarla fuori, e le mani, finalmente libere, vagavano sulla parete alla ricerca di un appiglio, per poi cercare il corpo robusto alle sue spalle e stringere, graffiare, tirare.
Fu un attimo: Regulus gridò più forte ed il suo corpo tremò, tendendo tutti i muscoli, mentre la pelle, non più bianca, ma arrossata di sangue ed eccitazione, sembrava farsi di lava.
Si accorse di aver avuto un orgasmo solo quando Greyback venne dentro di lui, con un ringhiò feroce. Gli leccò di nuovo il collo, dove, dai fori lasciati dai denti, stillava qualche goccia di sangue purpureo; poi rise, quella risata roca e sgradevole che faceva rabbrividire Regulus. “La paura è un ottimo afrodisiaco, non pensi?” disse, liberandolo dalla sua presa e allontanandosi di un passo.
Il ragazzo, lasciato senza sostegno, scivolò a terra, come una marionetta scomposta. Aveva ancora il fiato corto e si sentiva spossato, dolorante, ma stranamente tranquillo e soddisfatto; quella stessa soddisfazione gli causò un pungolo di vergogna, che Regulus fu svelto a cancellare, mentre, ancora tremante, si rivestiva con quanto rimaneva dei suoi abiti. Si alzò in piedi dopo qualche minuto e restò fermo altrettanto tempo, incerto sulle gambe ancora molli; solo quando fu abbastanza certo che le ginocchia non avrebbero ceduto, fece un passo in avanti e poi un altro, allungando la mano verso la porta.
“Mi aspettavo…” mormorò, senza guardare il viso di Greyback, ma sentendo i suoi occhi gialli conficcati sulla sua schiena. “Mi aspettavo qualcosa di più selvaggio da un lupo mannaro…”
“Sei merce preziosa, piccolo re,” lo prese in giro il licantropo. “Non voglio farmi dei nemici tra i miei nuovi amici.”
“Cosa ti fa credere che io adesso non andrò a dire al Signore Oscuro d’essere stato violentato da te?” disse con un filo di voce, senza capire da dove gli venisse tutta quell’audacia.
Stavolta la risata di Greyback sembrò levarsi genuinamente dalle profondità della sua gola; un suono sinistro, che aveva ben poco di una risata. “Gli mostrerò come hai imbrattato la parete, allora, e capirà che eri più che consenziente… Un animale in calore, praticamente,” gli rispose, una volta che ebbe smesso di ridere. “E poi hai paura di lui.”
Fu quello, più della continua derisione, a far scattare Regulus. Afferrò con forza la porta, spalancandola e gettandosi fuori dalla catapecchia, correndo, incespicando, cadendo e rialzandosi pieno di graffi, fino a che, nel buio del bosco, si Smaterializzò, tornando nel mondo degli uomini, tornando al suo incubo.
Settembre
Non avrebbe voluto partecipare ad altre missioni, ma non doveva destare sospetti: nessuno doveva intuire che aveva cambiato idea su Voldemort e sulla sua guerra, nessuno doveva lontanamente pensare che Regulus stesse tramando alle sue spalle.
Doveva essere parte attiva, invece, e pertanto si trovava, in quel momento, a fronteggiare un membro dell’Ordine della Fenice. Schivò un incantesimo, gettandosi a terra e poi lanciando il suo contrattacco alla cieca; ebbe fortuna, perché sentì un grido e poi il rumore di un corpo che cadeva a terra.
“Fabian!” sentì una voce urlare; poteva riconoscere quella voce fra mille ed un panico improvviso s’impossessò di lui. Se avesse visto Sirius in quel momento non sarebbe riuscito a reagire; se avesse dovuto fronteggiare suo fratello avrebbe fallito, lasciandosi sopraffare.
Si alzò in piedi, incespicando sul mantello, quasi cadendo a terra, pronto a scattare in avanti e scappare via strisciando se fosse stato necessario.
Sirius fu più veloce: lo afferrò per la nuca e lo sbatté indietro, contro il muro del vicolo in cui si era rifugiato.
“Brutto bastardo, fammi vedere la tua faccia, avanti!” gridò, puntandogli la bacchetta direttamente contro il petto e contemporaneamente scaraventando via la maschera da Mangiamorte.
Regulus chiuse gli occhi, piegando il viso di lato, come se quello potesse nasconderlo dallo sguardo del fratello. Sentì Sirius inspirare profondamente e strozzare un gemito di sorpresa; la pressione della bacchetta contro il suo petto si fece per un momento più molle, incerta, ma Regulus non riuscì ad approfittare di quel momento di debolezza.
“Tu?!” esclamò il fratello, in tono deluso, sorpreso, accusatorio.
“Io…” rispose Regulus, con un sussurro stanco, voltandosi con rassegnazione verso di lui e guardandolo. Si scambiarono un’occhiata lunga, intensa: il volto di Sirius da sorpreso divenne rabbioso e infine allarmato. Regulus non lo sapeva, ma aveva gli occhi rossi e lucidi; sentiva solo un vago nodo alla gola, un singhiozzo che non riusciva a decidere se salire alle sue labbra o tornare indietro e far finta di non esserci mai stato.
“Sirius!” un’altra voce li raggiunse, troppo vicina, e nessuno dei due ebbe tempo di reagire, troppo frastornati da quell’incontro inaspettato. “Sirius, cosa è successo a Fabian? Cosa…?” la voce bloccò la domanda a metà, sorpresa.
Regulus lanciò uno sguardo e riconobbe Lupin nel ragazzo che li osservava con stupore e apprensione. Era nei guai, era così tanto nei guai che quasi non gli importava.
“Sirius,” disse di nuovo Lupin, stavolta in un sussurro pieno d’urgenza. “Sirius, avanti, riprenditi!”
Suo fratello distolse lentamente gli occhi dal suo volto per posarli sull’amico appena arrivato; Regulus non riusciva a credere che fosse così sperduto.
“Remus…”
“Portalo via, Padfoot,” bisbigliò velocemente l’altro ragazzo, lanciando un’occhiata alle sue spalle. “In fretta, sta arrivando Moody e se lo trova qui saranno guai!”
“Moony, non…”
“Avanti, sbrigati!”
Sirius annuì una sola volta, poi abbassò la bacchetta e afferrò Regulus per una spalla, stringendolo forte, senza guardarlo; il fratello minore venne strattonato e poi si lasciò trascinare dalla familiare sensazione della Smaterializzazione.
Sirius lo lasciò andare solo dopo aver messo incantesimi di guardia al camino, alla porta e alle finestre del piccolo appartamento in cui lo aveva portato. Lo spinse sul divano, ordinandogli di sedersi e di non muoversi.
Regulus obbedì, incapace di fare altro, stordito e sorpreso dalla piega che quell’incontro imprevisto aveva preso. Sbirciò suo fratello che si muoveva nervosamente su e giù per la piccola cucina, avvicinandosi alla finestra e spiando fuori, poi camminando velocemente verso la porta, tendendo le orecchie.
“Perché non mi hai consegnato?” chiese infine, la domanda che premeva per uscire già da un po’.
Sirius non lo guardò, ma si fermò e si sedette, cadendo pesantemente su una poltrona.
“Sirius, perché non…”
“Piantala, cretino! Sei mio fratello, no?” gli rispose rabbioso, prendendosi la testa fra le mani e scarmigliandosi i capelli. Passò qualche attimo in silenzio, lasciando che Regulus assorbisse quella risposta, poi alzò il viso, guardandolo da sotto la frangia scura. “Tu saresti capace di uccidermi?”
Regulus scosse la testa lentamente, sentendo qualcosa - un altro piccolo tassello della sua anima - che si spezzava; ricordava, improvvisamente, tutte le volte in cui Sirius gli aveva risposto in quel modo quand’erano bambini, quando aveva paura e si rifugiava nella sua stanza.
“Scemo, se ti fanno paura i lampi vieni da me, sei mio fratello.”
“Non preoccuparti, ti proteggo io, sei mio fratello.”
Aveva voglia di piangere come il bambino dei suoi ricordi, dimenticare che c’era un mostro da fermare, che era troppo invischiato in quella storia per tirarsene fuori, che aveva fatto cose che suo fratello non gli avrebbe mai perdonato, prima fra tutte l’essere stato un codardo incapace di reagire.
Era per quello che non voleva vederlo, perché sapeva che per Sirius lui sarebbe sempre stato suo fratello e che avrebbe cercato di proteggerlo, come aveva effettivamente fatto. Era troppo facile rifugiarsi dietro di lui, come quando erano piccoli, e lasciare che fosse lui ad affrontare i problemi per entrambi; c’erano delle cose che Regulus doveva fare, prima di poter tornare da lui, c’erano dei pezzi di se stesso che doveva correggere e rimettere a posto.
Improvvisamente il corpo di Sirius s’irrigidì e lui si tese di riflesso; vide suo fratello alzarsi di scatto e raggiungere a larghe falcate la porta d’ingresso. Aspettò qualche attimo, poi l’aprì con uno scatto e Lupin entrò velocemente in casa, sospirando non appena furono di nuovo chiusi dentro.
“Che gli hai detto?” lo interrogò Sirius, preoccupato.
“Niente, ho spiegato la situazione a James,” spiegò Lupin, togliendosi il mantello. “Ha detto che ci avrebbe pensato lui e che io dovevo correre qui ad impedirvi di strangolarvi a vicenda… Cosa che però sono felice non stia avvenendo. Non avrei la forza di separarvi, al momento.”
“Ti hanno colpito?”
“Non ne sono sicuro…” biascicò Lupin, spostando lo sguardo da Sirius a Regulus. “Forse non è il caso di controllare adesso.”
“Non sapevo dove altro portarlo…” si giustificò Sirius, lanciandogli un’occhiata nervosa.
“Non c’è problema,” intervenne Regulus, alzandosi in piedi. “Vado via.”
“Cosa?!” esclamò suo fratello, esterrefatto. “Ti ho appena salvato il culo, razza d’imbecille!”
“Sì, beh, non te l’ho chiesto, mi sembra!” ribatté con altrettanta rabbia.
“Brutto coglione…” sibilò Sirius, già pronto a lanciarsi contro di lui. Lupin, però, gli mise una mano sul petto, trattenendolo e lanciandogli un’occhiata severa.
“Padfoot, no.”
“Ma l’hai sentito?”
“L’ho sentito, ma se è questo che ha da dire allora può anche andarsene…” disse Lupin, guardando Regulus con occhi indefinibili che lo fecero sentire sciocco e inappropriato.
Si morse il labbro, abbassò gli occhi e infine lasciò andare un sospiro. “Ti ringrazio,” sussurrò, senza alzare lo sguardo; percepì allora la rabbia del fratello scemare, mentre lo invadeva un vago senso di sbigottimento. Conosceva così bene Sirius che non aveva bisogno di guardarlo per riconoscerne le reazioni. “Ti ringrazio, ma non posso restare: metterebbe in pericolo tutti i presenti, non credi?”
Sirius lo guardava con espressione incredibilmente grave e c’era una punta di qualche altra cosa nel suo sguardo; amarezza, forse, ma Regulus non indagò. Quell’incontro era stato fin troppo breve per entrambi.
“Va bene,” sussurrò il maggiore, annuendo. “Va bene, Regulus,” gli ripeté, avvicinandosi; esitante, gli poggiò una mano sulla spalla, in un gesto incoraggiante, confortante e incerto - così diverso dal gesto istintivo che aveva fatto solo poco prima e forse per questo più difficile da fare.
Regulus s’incamminò verso la porta, Lupin gli fece spazio, guardandolo ancora con quell’occhiata inquisitoria ed impenetrabile; gli fece un cenno di saluto, poi aprì la porta ed uscì.
“Non metterti nei guai, Regulus,” gli disse Sirius, bloccandolo sull’uscio.
Il più piccolo non si voltò mentre diceva: “Ci sono già, Sirius... Ci sono già.”
Ottobre
Severus lo fermò un momento prima di uscire da Malfoy Manor; lo agguantò per il collo del mantello e lo tirò verso una stanza vuota, poco lontana dall’ingresso. Mosse velocemente la bacchetta attorno a loro e Regulus capì che stava mormorando a mezza voce un incantesimo silenziante; quando ebbe finito lo guardò dritto negli occhi, la mano che ancora gli stringeva il tessuto di buona fattura del mantello.
“Devi andartene,” sussurrò, estremamente serio in viso.
“Era quello che stavo facendo prima che tu…”
“No, devi sparire, Regulus, devi lasciare casa tua, Londra e possibilmente la Gran Bretagna,” affermò velocemente, lanciando un’occhiata alla porta socchiusa.
“Non capisco… Il Signore Oscuro vuole…?”
“No, stupido!” esclamò esasperato, stringendo il colletto ancora più forte. “Sospettano che ci sia una spia.”
Un brivido freddo gelò Regulus sul posto, attorcigliandogli lo stomaco in un nodo compatto pesante. “Come…?”
“Non dubitano di te. Non ancora,” bisbigliò Severus, guardandolo in viso. “Ma io ti conosco.”
C’era una sorta di inappellabilità in quella frase, come se l’amico sapesse già tutto, avesse già capito ogni singolo dettaglio e l’avesse già giudicato per tutto. Regulus si sentì sprofondare e poi risollevare di nuovo a terra, quando Severus lo lasciò andare, solo per poi arpionargli il braccio.
“Devi andartene prima che capiscano…”
“Severus…” mormorò Regulus, il nodo che ora si era spostato alla gola e lo strozzava. “Non posso.”
“Devi.”
“No,” scosse la testa, guardandolo con occhi rossi di stanchezza e viso pallido di rassegnazione. “Non posso,” ripeté e Severus, dopo un altro attimo di esitazione, lo lasciò andare. Regulus gli sorrise, sul punto di dirgli che gli voleva bene e che lui era il migliore amico che si potesse volere, ma trattenne quelle smancerie, che certamente l’altro non avrebbe gradito. “Grazie.”
Severus scansò lo sguardo. “Non ne so niente,” borbottò, tirando fuori la bacchetta per eliminare l’incantesimo silenziante.
“Ovviamente,” annuì Regulus, osservando la schiena dell’altro allontanarsi. Avrebbe voluto poggiare la fronte contro le sue scapole e aggrapparsi al lui, alla sua presenza solida, sempre confortante anche nei momenti più impensabili. Non lo fece, perché Regulus avrebbe sempre rispettato i limiti impostigli dall’amico; lo lasciò andare e poi sospirò.
Quant’è lunga la strada per l’inferno?
Novembre
Regulus aspettava rincantucciato su una panchina; era freddo per essere una qualsiasi giornata di metà Novembre, quindi si era avvolto meglio nel mantello, cercando di impedire al leggero venticello di insinuarsi fra i suoi vestiti e gelargli la pelle più di quanto non fosse già gelida.
Era quasi il tramonto ed i raggi di sole che lo colpivano non erano abbastanza intensi da riscaldarlo; la luce arancione, che virava già verso tinte rosate, illuminava il piccolo borgo magico in cui si trovava: era simile a Hogsmeade per le casette di legno tutte di fila, l’una accanto all’altra come piccoli animaletti scuri che tentavano di proteggersi dal freddo, ma mancava della sua festosità e allegria - caratteristiche che venivano accentuate nei fine settimana di visita degli studenti di Hogwarts.
Regulus non capì perché i ricordi di scuola gli tornarono in mente proprio in quel momento; forse perché stava aspettando Barty, che in fondo era stato un suo compagno Serpeverde fino all’anno prima. Forse perché, prima di uscire di casa, aveva preso d’impulso la sua sciarpa verde-argento, avvolgendosela intorno al collo con una sorta di malinconia, sottile e quasi invisibile.
Il suo piano per rubare l’Horcrux di Voldemort era quasi terminato, ma in quel momento non voleva pensarci: ogni volta che lo faceva il suo stomaco si chiudeva e le dita iniziavano a tremargli violentemente, come se fosse stato preda di convulsioni.
Il pensiero, però, gli era scivolato già sulla schiena, come un fremito di paura; si ritrovò a guardarsi intorno con ansia, a sospettare delle ombre che si allungavano, come se da quelle potesse venir fuori un Mangiamorte pronto ad ucciderlo, forse Voldemort stesso o forse occhi gialli e denti spaventosamente affilati su un volto così simile a quello di uomo.
Un’ombra si proiettò fino alla punta delle sue scarpe e Regulus alzò gli occhi di scatto non appena notò i pesanti anfibi neri. La prima cosa che vide, di quel volto ghignate che una volta l’aveva attratto tanto da fargli perdere la testa, fu il baluginio delle zanne.
Non riuscì a muoversi subito: sentì il corpo svuotarsi di tutto il sangue, il cuore cadergli da qualche parte nella pancia e la terra mancargli sotto i piedi.
“Buonasera, piccolo re,” ghignò il licantropo, mostrando meglio i suoi canini. “Questa si prospetta un’ottima notte di luna piena, vero?”
Stupido imbecille, ebbe il tempo di pensare Regulus, mentre si alzava di scatto dalla panchina e lasciava che il suo corpo tentasse di fuggire, quando la sua mente già sapeva che sarebbe stato troppo lento, troppo impacciato, troppo tardi. Barty non gli aveva dato nessun appuntamento per un’imboscata; Bellatrix non gli scriveva più da settimane; e lo sguardo di Severus, da giorni, si era fatto sempre più insistente, quasi supplice; devi andartene, gli diceva ogni volta, invano.
L’imboscata, in verità, era per lui.
“Ah-a,” fece Greyback, afferrandolo per un braccio e strattonandolo violentemente indietro. “Te l’avevo detto che non saresti stato abbastanza veloce.”
Regulus non riusciva a parlare, non riusciva nemmeno a pensare di liberarsi; il suo corpo, attraversato da scariche di paura mista ad adrenalina, tentava, lottava con tutte le sue forze, ma la presa di Fenrir era troppo possente, perché un ragazzino ossuto come lui riuscisse a sopraffarlo.
“Voldemort - o il Signore Oscuro, come lo chiamate voi bambocci - è stato molto magnanimo con te, cucciolo,” gli disse, con voce sinistramente vivace, mentre lo trascinava lontano dal centro abitato, verso gli alberi del bosco che, solo un attimo prima, gli sembravano nascondere quello stesso incubo. “Ha pensato che sarebbe stato meno traumatico per te essere ucciso da qualcuno che conosci, un amico o un parente,” spiegò, mentre gli occhi di Regulus si muovevano freneticamente alla ricerca di un appiglio, di una distrazione che gli permettesse di prendere tempo, trovare una via di fuga e scappare - come gli aveva suggerito Severus. “Nessuno dei tuoi si è offerto, povero cucciolo,” continuò Greyback, lanciandogli un’occhiata che forse, nella sua mente, doveva essere simpatetica, ma che sembrava piuttosto divertita, nel modo sadico e perverso che piaceva a lui. “Così mi sono fatto avanti io. Dovresti ringraziarmi, sai?”
“Ringraziarti?!” gridò in preda al panico Regulus, continuando a strattonare in modo sempre meno convinto, sempre più disperato.
“Lotta, cucciolo, è più divertente se ci provi…” rise il licantropo, gettandolo a terra, non prima di avergli sfilato la bacchetta dal mantello - la bacchetta che fino a quel momento Regulus aveva dimenticato, preda del panico. “Questa non ti serve… non sarebbe uno scontro alla pari, non pensi?”
Regulus pensò con orrore al se stesso che in precedenza aveva trovato qualcosa di attraente nel mostro che gli stava davanti. Si domandò come avesse potuto farsi toccare da lui, come avesse potuto dimenticare le parole di Barty.
Fenrir gli sferrò un calcio dritto nello stomaco, all’improvviso, facendolo piegare in due dal dolore; bava e vomito gli uscirono dalla bocca prima che se ne accorgesse e poi avvertì solo vagamente quello che gli succedeva intorno, i sensi intorpiditi dalla paura e dal dolore. Ma la sua mente era perfettamente lucida e registrò con incredibile chiarezza tutto quello che accadde dopo.
Vide Greyback ridere, poi scuotere la testa, mimando un’espressione di rammarico. “Non posso lasciare che scappi mentre mi trasformo, cerca di capirmi,” gli disse, accovacciandosi accanto a lui e toccandogli la guancia in una grottesca parodia di una carezza.
Dicono che a Fenrir piacciano i ragazzini… La voce di Barty gli risuonò nella testa con nitidezza, mentre lui tentava di scostarsi dalle mani dell’Ibrido.
Greyback rise per il goffo tentativo, e poi la risata scemò in una sorta di uggiolio. Regulus chiuse gli occhi, vedendo il cielo tingersi di viola ad ovest; cercò di alzarsi a sedere, con uno sforzo sovrumano, mentre poco distante da lui il licantropo lasciava che la metamorfosi avvenisse.
La luna, tonda, luminosa e fredda, si fece largo fra i rami degli alberi con eleganza, ma a quel punto il ragazzo era già in piedi, barcollante.
Gli piace seviziarli e magari anche violentarli prima di ucciderli, ricordò all’improvviso Regulus, aprendo gli occhi di scatto e voltandosi nonostante la sua mente gli avesse ordinato, gridato, di non farlo.
La bestia lo guardava, occhi gialli e denti che brillavano nella luce lattiginosa e potente della luna piena; si fissarono per un tempo indefinito, poi Regulus fece un passo indietro ed il lupo gli fu addosso mentre i pensieri coerenti svanivano, lasciando il posto al panico puro e totale.
Così si conclude la mia patetica storia. Il resto lo sapete già: i denti della bestia hanno azzannato la carne del mio braccio. Ho lottato, sono scappato. Ero ancora lucido quando mi sono Smaterializzato nel primo posto che mi venne in mente, il vicolo che avevo visto appena uscito dall’appartamento di mio fratello.
Ho camminato nella strada, forse sperando che mi vedesse, che mi proteggesse. Ma nessuno mi ha salvato.
Il sangue perso era troppo e sono caduto, debole e stanco. Non mi sono accorto di aver affondato la faccia in una pozzanghera: avevo già perso i sensi. Forse ero già morto.
Nessuno saprà mai quello che ho fatto, quello che volevo fare: sarò per sempre un coniglio, un codardo che non è riuscito a scappare; per i Babbani sarò solo un povero sfortunato aggredito da un cane rabbioso.
Mi porterò dietro il segreto dei miei piani, le mie fantasie malate, fatte di denti che dilaniano la carne e occhi gialli che mi fissano dall’ombra.
Finalmente la strada è finita: sotto i miei piedi si spalanca il nulla.
Fine
Mi spiace, stavolta non ho biscotti consolatori...
Questa è una storia apparentemente poco nelle mie corde, ma in realtà, beh, ci sono diverse cose che la rendono molto mia. Tanto per iniziare Regulus, il mio piccolo adorabile re; poi il Wolfstar, buttato lì così, di passaggio; un accenno alla Regulus/Severus, che sia intesa come amicizia o come "qualcosa in più" non importa; la mia ossessione per le ossessioni dei personaggi; il gusto per il macabro, per l'orrido e per l'orrore (non sono Stephen King, ma... beh, ho scritto questa fanfic dopo aver letto "Le notti di Salem" XDDD). Non so precisamente cosa ne è venuto fuori, so che un anno fa ne rimasi abbastanza soddisfatta e che adesso, a rileggerla, forse cambierei qualcosa. Forse eliminerei la parte dub-con, o forse allungherei il brodo, forse cercherei di salvare Regulus, cambiando il canon come ho fatto tante altre volte. Eppure non ho cambiato niente, un po' per pigrizia, un po' perché la me di un anno fa era contenta del risultato ed ho voluto darle retta.
Uhm, beh, okay, è tutto.
Se siete arrivati fin qui (sopravvivendo) vi ringrazio infinitamente ♥