è tardi per chiedere scusa

Apr 06, 2011 18:41

Rieccomi! Chiedo scusa di questa lunga pausa ma in questo periodo è stato un macello. Tra i lavori di ristrutturazione per fare casa dove andrò a vivere col mio ragazzo, tra la stesura del seguito del libro di cui vi avevo parlato (Glowing Darkness) ho avuto poco tempo. A tal proposito mi fa piacere condividere con voi, che per me siete amici anche se virtuali =P, questa cosa: abbiamo ricevuto 5 proposte editoriali il che mi rende molto orgogliosa e felice naturalmente. Resta da decidere con chi pubblicare il libro... intanto aspettiamo ancora un pò =)
Purtroppo però c'è stato anche un evento spiacevole che mi ha tenuta lontana dal LJ, cioè il mio ragazzo che è stato coinvolto in un incidente stradale mentre era sulla sua moto (un tizio ha bucato lo stop e lo ha preso in pieno), tanta paura e preoccupazione ma per fortuna sta bene, ma questo, spero capirete, che è stato per me più importante dell'aggiornamento che è appena arrivato :D
Vi avverto, è corto rispetto alla mia media ma è stato un aggiornamento difficile. Capirete leggendo se la vostra risposta, cioè rinunciare a Parigi, era giusta o meno. Questo è l'epilogo di Margherita ed Ethan, dal prossimo passeremo a Joel :D
Buona lettura.






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E’ tardi per chiedere scusa, per pentirsi e invocare un perdono che non può arrivare e che non merita di dar sollievo a peccati tanto grandi, che tanta distruzione han provocato ferendo più di mille lame affilate. La sua vita era stata tanto bella da non poter esser ritenuta reale e poi… come un’innocua biglia che prende a correre in un discesa che si faceva sempre più impervia, aveva preso velocità, acquisito forza nuova divenendo solo un rantolio di distruzione e angoscia.
Quanti anni erano trascorsi, tanti, troppi per ricordarli tutti e troppo alta era il desiderio e il bisogno di non volerli ricordare.




It's too late to apologize, it's too late
I said it's too late to apologizes, it's too late
Era davvero troppo tardi.
In quella stanza la sua memoria muta vagava, scavava nelle macerie di quella vita andata in malora. Le furiose litigate che avevano visto lei e Ethan uccidersi lentamente a vicenda con parole tagliente, parole che mai avrebbero dovuto scambiarsi eppure se l’erano urlate con rabbia e disperazione al contempo. Tutto era stata divorato, arso da quella rabbia che aveva avvolto lo spirito, di solito allegro e solare, di Margherita che da troppo desiderava di poter nuovamente passare col marito attimi di amore e serenità come quella di cui i suoi ricordi antecedenti eran ricchi e floridi. Adesso vi era una radura desertificata ove tutto era stato spazzato via.
Margherita guardava al di là di quella finestra, gli occhi vitrei parvero privi di ogni vita, come se il suo corpo non fosse che un involucro vuoto, privo di quella fiamma di vita di cui ogni essere umano ha bisogno. Non vi era niente, il nulla era dentro di lei.




Eppure pensava, tacita. Ricordava, mesta. Piangeva, senza lacrime.
Quante volte avevano urlato per via di quel dannato viaggio a Parigi?! Quante? Troppe! Esagerato il numero di quelle parole insidiose che rovinavano qualsiasi cosa toccassero con quelle mani lerce di odio e cattiveria. Non pensava che sarebbe andata così eppure la vita le aveva presentato il conto, uno scotto troppo alto per esser pagato indenne.
Le risate che caratterizzavano la sua casa, erano sparite, sostituite da dure parole gridate.
“Non posso crederci! Tu non ci sei mai a casa, io sono stufa di veder solo le tue spalle, Ethan, sono stufa!”
“Margherita per cortesia, cerca di calmarti! Ho un lavoro e voi da sfamare! Vuoi andare a Parigi?! Bene andiamo! Fai le valigie e tempo un’ora saremo all’aeroporto in cerca del primo volo per l’Europa”
“Va al diavolo tu e l’Europa. Sei solo un egocentrico che non gliene frega niente né di me né dei suoi figli!” di solito le sue frasi terminavano così.




Liti su liti, parole dure su parole dure. Tutto un inferno in cui si era ritrovata a vivere e in cui si era buttata lei per prima, si era gettata negl’inferi e non l’aveva capito all’epoca. Che idiota.
Decisamente non meritava alcun perdono.
Quando non c’erano le liti vi era un silenzio che ammazzava, se possibile, ancora di più di quanto non facessero parole taglienti. Non aveva apprezzato lo sforzo visibile che Ethan faceva per migliorare quella situazione insostenibile, non vi aveva dato peso pensando sempre e unicamente a lei, ora capiva che l’egoista non era lui…ma lei!
Ogni volta che lui cercava un contatto, anche solo sfiorarla la mattina appena svegli, lei lo scansava infastidita e andava già bene se non infieriva con qualche frecciata velenosa.




Quella mattina andò al medesimo modo, si era appena svegliata, un timido sole aveva fatto capolino nella stanza lottando con quelle nubi che volevano impedirli di splendere. Come ogni notte aveva dormito sullo scrimolo del letto, lontana più possibile da un Ethan sempre più tormentato. Non vi erano più i momenti degli abbracci, dei baci e delle coccole e ciò che la faceva infuriare, al tempo, era la consapevolezza di sentirne la mancanza. Perché di una cosa sola era certa nella sua vita: lei amava Ethan, l’avrebbe sempre amato.
Ma il suo orgoglio era stato troppo testardo e cocciuto per permetterle di andare oltre e lasciarsi di nuovo andare a quelle coccole e a quell’effusioni che solo lui era in grado di procurarle.
Non vi era altra scelta. E poi, sorrise amara al ricordo, sentì quel dolore lancinante colpirla al ventre e una chiazza rossa cremisi allargarsi sul pavimento già rosso, di quelle piastrelle lucide e fredde del loro bagno. Il suo urlo pieno di sofferenza richiamò Ethan che era stato subito lì, come sempre pronto a soccorrerla, ad amarla in silenzio.
E poi il buio.




Non vi erano altri ricordi di quella mattina, solo uno spiraglio del pomeriggio in cui si era risvegliata tra l’odore di sterilizzato di un anonimo ospedale, come si era tirata su aveva avvertito un vuoto nel suo grembo e non vi fu bisogno di parole per capire. Le bastò incontrare lo sguardo sofferente e disperato di Ethan per comprendere quanto successo: aveva perso il bambino.
I suoi occhi, ora, non furono percorsi da nessun guizzo come se in realtà non stesse riportando a galla ricordi dolorosi. In fondo i suoi occhi avevano ormai sempre la medesima espressione vacua e malinconica.




Ricordò quanto Ethan le fosse stato vicino, lei non faceva che piangere e urlare di ridarle il suo bambino. Ma niente e nessuno gliel’avrebbero potuto restituire e le parole del medico furono per lei come una coltellata. “probabilmente è stata colpa dello stress accumulato” stress accumulato. Quelle parole le vorticarono nella mente fino all’ossessione.
Non riusciva a togliersele dalla testa e continuava a pensare che se non fosse stato per Ethan, quel figlio, sarebbe nato.




In quella difficile situazione Aida e Lucas avevano venduto la vecchia villa andando a vivere a pochi passi da loro a Hollywood, per poter dare una mano a quella famiglia che pareva esser messa ad una provo troppo difficile da superare con tranquillità. Poi c’erano Joel e Liv che certo risentivano di quel clima poco sereno e pieno invece di tensione e dolore non detto o a volte urlato tramutato in rabbia.




Ma loro erano i suoi eroi e sapeva che con loro i bimbi avrebbero superato tutto, e solo con loro Margherita tornava ad essere la stessa di sempre, la Marghe solare e piena di vita. Persino le sue amiche non sapevano che cosa fare e a niente servivano le parole di conforto dei genitori. Per lei erano solo suoni indefiniti che le attraversano le orecchie per pochi secondi.
Ma ciò che vedeva davanti era un Ethan, colpevole di non averla amata e di non averla protetta o accudita e che aveva ucciso il loro bambino e, purtroppo, questi pensieri glieli vomitò una sera di dicembre. Non sapeva come mai lo avesse fatto davvero, si era sempre limitata a pensarlo ma quando lo aveva trovato fragile, a piangere seduto sul letto, invece di sentir nascere in lei il desiderio di rincuorarlo, sentimento cacciato immediatamente, si era tuffata su di lui affondando il colpo di grazia.
“Mi dispiace, Marghe dai andiamo a fare una passeggiata in spiaggia, che ne dici? C’è un bel cielo stellato stasera” rapido asciugò quelle lacrime, sapeva che lui non voleva farsi vedere così da lei, ma non riusciva a sopportarlo e invece di apprezzare quel suo gesto gentile e affettuoso lo aveva detestato!
“Non ho voglia di camminare… io ho perso un figlio!” rimarcò velenosa.




Ma forse era stato troppo anche per Ethan, forse anche lui aveva finalmente abbattuto quel muro che lo costringeva in una stanzina troppo stretta per contenere tutta la sua pena. E anche lui infine era sbottato.
“Non è morto un figlio solo a te, Margherita! Era anche figlio mio! Anche io ho perso mio figlio devi smetterla di pensare che tutto giri intorno a te e che solo tu sei la vittima di questa tragedia!” urlò mentre Margherita non trattenne più quelle parole che non doveva dire.
“E’ colpa tua!!!” gli occhi Ethan si erano spenti all’istante, come lei aveva finito la frase. Gli aveva visti tingersi di nero, feriti a morte da quelle spietate parole.
“Come dici?” la sua voce era un sussultò e Margherita infierì di nuovo.
“E’ tutta colpa tua se ho abortito! E’ colpa tua perché non te n’è mai importato niente di me, di lui, di noi! Sei tu il colpevole, sei un assassino, hai capito?! Solo un assassino! Hai ucciso nostro figlio!” pareva impazzita.




Si accasciò a terra mentre Ethan non mosse muscolo. Né proferì alcun suono. Continuava a fissare il pavimento con l’aria sgomenta, smarrita. Oltremodo ferito. Era stata cattiva, perfida, malvagia. Non meritava niente e meritava tutto quello che ora stava passando.
Per quanto tempo rimase lì per terra a piangere come un’ossessa non avrebbe saputo dirlo. Ciò che sapeva era che Ethan, ancora una volta, aveva dimostrato quanto amore provasse per lei e quante false fossero le parole che lei gli aveva rivolto.
Chino su di lei le aveva accarezzato una guancia arrossata dalle troppe lacrime e bisbigliò un semplice “ti amo… sempre”




Lei non aveva risposto, aveva spostato il volto scansandone la mano, non voleva… non poteva.
Lo aveva visto rialzarsi e prendere la porta chiudendosela alle spalle per sparire dalla sua vista.
E fu allora che sentì in lei quel sentimento rinascere. Cazzo! Lo amava e lo stava perdendo. Lei stava facendo di tutto per allontanarlo da lei, l’aveva ferito, preso a bastonate, lo aveva trattato come lui non meritava.
D’istinto si tirò in piedi e iniziò a correre fuori dove la macchina di Ethan ormai non c’era più.
“Ethaaaan!” gridò rimbombando il suo nome nella notte sinistra.
Non sapeva perché né dove andare ma prese a correre. Doveva dirgli che l’amava, doveva implorare perdono, doveva baciarlo, stringerlo e fare l’amore con lui fino a non poterne più. Voleva che lui l’amasse ancora come lei amava lui sebbene le sue azioni ultime dimostrassero il contrario.




Come risvegliata dal trance correva alla ricerca dell’uomo che mai avrebbe potuto perdere, troppo grande il dolore sarebbe stato. E poi un boato, un suono infernale si era espanso nell’aria e lì lo vide! La sua macchina… la sua macchina distrutta rotolare sin giù nella fossa mentre l’altra andava a fuoco.
“ETHAN!” la disperazione urlò per lei, le sue gambe correvano leste, voraci. Doveva andare da lui.. Scivolò nell’erba di quel fossato pieno dei rottami della macchina del suo amore e alla fine arrivò a quella portiera che non voleva aprirsi. Strinse il pugno e con una forza che non pensava di avere spaccò il finestrino aprendo finalmente quella dannata portiera.
Ed eccolo lì Ethan… il sangue celava parte del suo volto e i suoi occhi appena aperti, stanchi.
“Margherita…” il suo nome in un soffio dolorante. “Questo era per te…” disse ancora mentre dalla tasca tirò fuori una scatoletta blu che adagiò tra le sue mani che tremavano come foglie mosse da un forte vento invernale. “Ethan io ti amo! Ti amo!”
“Lo so” disse solo prima di chiudere i suoi occhi azzurri.
“no, Ethan no! Ti prego non puoi farmi questo! Ti prego devi farcela, non puoi lasciarmi!” le sue parole coperte dallo stridere delle sirene spiegate che raggiungevano quel luogo infernale.
Ricordava solo che l’avevano strappata via da lui e l’ultima immagine che aveva di Ethan era il suo volto coperto da quel telo che annunciava morte.

In quella scatoletta vi era tutto il suo amore: un anello di fidanzamento che non aveva mai avuto tempo di vivere. Lui voleva sposarla e lei lo aveva ucciso.
Da quel giorno erano trascorsi tredici lunghi anni. Molte cose erano cambiate.
Joel era diventato un ragazzo di vent’anni, uguale al padre che gli mancava ogni giorno. Bello come lui e con il suo azzurro negli occhi, la sua stessa voglia di vivere.







E Liv ne aveva 18, una bellissima e solare ragazza piena di sogni e aspettative.







Ma oltre ai figli cresciuti, per Margherita era cambiata anche l’abitazione che mutò da Hollywood a Chicago nel centro di igiene mentale di Prisborn.
Da quel maledetto giorno non vi era più stata pace per lei e le parole non facevano più parte dalla sua vita. Per tredici lunghi anni, dall’istante in cui Ethan aveva chiuso gli occhi, lei aveva cessato di parlare vivendo un’esistenza di silenzio perfetta compagna dell’apatia.
Avrebbe voluto dirgli che l'amava, dirgli che la colpa di tutto non era stata la sua, di Ethan, ma era lei ad aver sbagliato. Aveva sbagliato a colpevolizzarlo, aveva sbagliato a non amarlo ogni giorno, ogni istante della sua vita. Ma ormai era troppo tardi.

FINE

Mi pare sia chiaro che la risposta era quella sbagliata. Per quanto possa stupirvi la giusta era quella di andare a Parigi da sola(che hanno votato in pochissimi e a loro vanno i miei complimenti). In quel modo non ci sarebbe stato nessun francesino, lei sarebbe partita e avrebbe passato i primi due giorni sola, triste. ma poi sarebbe arrivato Ethan, davanti alla torre Eiffel, che le avrebbe chiesto di sposarla promettendole (e mantenendole) una maggior presenza in famiglia. Quindi tutto sarebbe andato per il meglio.

Quella di obbligarlo ad andare a Parigi era la via di mezzo. Lui sarebbe andato ma avrebbe avuto un gran casino col lavoro e a quel punto luji avrebbe colpevolizzato lei per la difficoltà economica. A forza di litigare i due si sarebbero separati per poi tornare insieme a metà generazione 7.

Ma, ahimè, ha vinto la peggiore e queste le conseguenze. E' stato difficile per me uccidere Ethan, io amavo quel simmo e veramente mi è pianto il cuore ç__ç
Spero cmq vi sia piaciuto anche se come aggiornamento, ammetto, fa piuttosto pena sia per foto che per trama -_-
bacioni!
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