[fan fiction] Vent’anni

Oct 17, 2010 23:14


Titolo: Vent’anni
Autore: beesp
Livello: 5
Prompt: #5 - Abbraccio
Personaggi: Remus (POV), Sirius (POV)
Rating: G-PG
Avvisi: One-Shot, Slash (leggerissimo e quasi inafferrabile)
Ho usato l'aiuto: //
Numero di parole: 1'386 [OpenOffice]
Riassunto: Un compleanno brumoso a Londra.
Link alla mia Scalata: Quiii.
[Citazione utile ("Follow The Cops Back Home" - Placebo): "Just one more round before we’re through, more psychedelic yuppie flu, It’s such silly thing to do, And now we’re stuck on rewind"]


Vent’anni

Vent’anni. Duecentoquaranta mesi. Novecentosessanta settimane. Seimilasettecentoventi giorni.
Sette anni su libri di scuola di Magia, tre anni nella disperazione delle trasformazioni di lupo - in solitudine[1].
Infiniti pasti, tra i migliori quelli di Hogwarts; tre appartamenti e le camere della Scuola di Magia[2]; sogni inutili o incomprensibili, per apprendere i propri sentimenti.
Vent’anni.
« Sono vecchio ». Sorride al riflesso dello specchio, ma non con simpatia: come a voler imporre gentilmente a quella figura di sparire. Non che Remus Lupin abbia avuto un rapporto d’amore, affetto e reciproca stima con le immagini di sé in generale, a differenza degli amici Potter e Black, prima di giungere al lieto Dieci Marzo del Millenovecentottanta[3].
Ha deciso, sceso dal letto con il piede sbagliato, controllando il calendario (e accorgendosi che è davvero il suo compleanno), che sarà un giorno come qualsiasi altro. “Mentirò: dirò d’esser malato”. È poco convinto che la scusa basti a fermare i suoi amici, e in particolare Sirius: lo troveranno sotto le coperte, per quanto possa tentare di mimetizzarsi e nascondervisi completamente, lo tireranno su di peso e lo trasporteranno fino alla prima bettola.
Nemmeno i pensieri dei suoi migliori amici riescono a placare il suo immotivato - solo apparentemente - malumore, tanto che Remus indossa il mantello e si materializza nel primo luogo che gli viene in mente.
Si è rasato la barba, ha pettinato i capelli tagliati di fresco, e spruzzato del profumo sul collo. Si accomoda su una panchina di fronte un laghetto con papere che nuotano placide, nell’acqua torbida sulla quale si riflette un sole fiacco, coperto di nuvole bianche. Accavalla le gambe e attende. Non ha con sé libri o giornali.
È il suo compleanno, il ventesimo anniversario del giorno dalla sua nascita, si sente oppresso, triste, nervoso e ha soltanto voglia di sparire al caldo con un silenzio assoluto. Non è affatto certo che sia giusto. Non è affatto certo che sia davvero lui a voler o preferire. Da quando si sono diplomati è diventato tutto floscio e più lento, come se la vita avesse deciso di fluire a rilento: Peter e il suo lavoro babbano[4], James e l’accudire Lily, la villa e il lavoro, Sirius e i suoi capricci. Una sorta di mano regale che si agita nell’aria perché non si addormenti sui braccioli della poltrona più comoda del castello.
Loro sono le cinque dita indolenzite.
Potrebbe essere la Guerra - causa accertata della metà dei loro problemi - o il dover ambientarsi in nuove situazioni, nuove giornate, nuove responsabilità. Eppure i Malandrini sono quasi apatici.
Forse davvero tutti e quattro, e insieme anche Lily, non desiderano che coricarsi in un enorme letto e rimanerci fino alla fine dei giorni.
“Oppure - ed è sicuramente la realtà - Remus Lupin, stai diventando una vecchia ciabatta”.
Vent’anni. Seimilasettecento giorni... se solo dovesse riviverli tutti in ventiquattro ore potrebbe impazzire, pieni come sono di avvenimenti. Disgrazie, piccole o grandi gioie, bugie, segreti, verità nascoste. Tutto quello che una vita può produrre, d’altronde.
Vorrebbe conoscere altro modo di vivere. Magari comprimere una vita in un giorno - e così, soltanto in quel modo, poter giurare di cogliere l’attimo: di ventiquattro ore sarebbe la durata dell’esistenza. Amare, odiare, respirare, starnutire, salutare, conoscere, imparare, dimenticare, ricordare, memorizzare, odorare, sentire, ascoltare, toccare, assaporare, freddo e caldo, amaro e dolce - velocemente, una sfilza come un flashback, crescere di dieci centimetri in mezzo secondo, morire di solitudine per due interi secondi!, innamorarsi come stupidi sotto alberi dalla chioma troppo larga perché mostrino le vere emozioni, iniziare libri e finirne di altri, non fermarsi mai. O racchiudere il mondo in una goccia di fiume e lasciarla scorrere in un enorme mare di nulla, per non far nulla. E lasciar assopire ogni essere.
Probabile che l’esistenza di ognuno sia un po’ l’una quanto l’altra e vie di mezzo e infinite strade e opzioni. Il tutto regolato da due soli, identici e in-ingannabili eventi: nascita e morte.
“Nascere è volgare, morire è letale”.
Attorno a lui il bosco s’anima di rumori di passi, voci di bambini e di adulti, corse leggere sul terreno morbido, foglie che scricchiolano alla base di gigantesche querce e faggi, con l’udito immagina di poter percepire lo zampettare frenetico di formiche o il frullio d’ali di una qualche farfalla morente.
Allora si alza da quel luogo, e si incammina attraverso la Londra brumosa delle sette, con i babbani che trascinano dietro le loro anime borse di documenti e mattoni di stanchezza e indifferenza; nessuno si accorge dell’altro, volti agonizzanti, sopracciglia contratte, smorfie di disgusto. È soltanto il preludio di un’epoca buia: eppure loro non percepiscono che qualcosa sta cambiando nel Mondo a cui si avvicinano - senza mai riuscire a sfiorarlo - e che maghi e streghe muoiono anche per proteggere loro. E loro - non che questo modifichi ciò in cui crede Remus - lanciano occhiate di sufficienza agli abiti rattoppati di Remus, in cui si è sempre avvolto con piacere, perché sanno di familiarità come nient’altro, nonostante lo espongano al giudizio altrui.
“Per un giorno soltanto è troppo difficile smetterla di rinchiudersi in bolle d’odio come d’abitudine, vero? Magia o no, gli uomini rimangono meschini”.

“La guerra non è giusta”.
Fino a questa fresca mattinata Sirius aveva creduto che, in fin dei conti, non fosse troppo difficile vivere, semplicemente un gioco in cui le pedine sono più importanti del dovuto, certo, ma in cui non si rischia di perdere.
Aveva trascorso la nottata senza quasi dormire, a parte dal momento in cui si era coricato a due ore dopo, svegliato da un incubo. Non ricorda esattamente cosa vi sia accaduto, ma ha aperto gli occhi e li ha trovati umidi, un peso enorme sul petto, e nessuna spiegazione.
Fino alle sei ha girovagato per l’appartamento, tormentato dal modo giusto in cui augurare “buon compleanno” a Remus, ancor più ingrigito e nervoso. Ha camminato per mezz’ora sotto il palazzo dell’appartamento dell’amico decidendosi, alle sette, a salire fin di fronte la sua porta. Quando ha bussato, però, nessuno è arrivato ad aprirgliela e salutarlo con un’espressione infastidita.
Si sente perso, cerca il lupo ovunque gli venga in mente, materializzandosi con violenza nei posti più frequentati dai Malandrini, e quelli dove spesso ha trovato Remus nascosto - tutte quelle volte in cui si nascondeva dietro i cespugli, per non derubare della solitudine Remus, solo per proteggerlo e stargli vicino.
Ha paura Sirius. C’è una guerra in atto, Remus è un mezzosangue. Immagina il suo volto sfigurato, oltre quelle cicatrici delle altre, violenza, violenza, violenza. Si chiede perché gli uomini riescano ad essere tanto crudeli. Per passione e frustrazione, per amore non corrisposto e dolore? Cos’è che spinge al nulla?
Remus ha soltanto vent’anni, li compie oggi. Non vuole vederlo morto.
Quando lo scorge sono le otto, ormai. Si muove tra la folla. Non riesce a confondersi: cos’ha in più Remus? Saranno quegli occhi pieni di comprensione, o la sensazione che ispira di poterglisi aggrappare per riuscire a risalire, e risalire sempre con lui sarebbe facile in eterno.
« Remus ». Gli si avvicina alle spalle, sfiorandogli il gomito. Si volta velocemente, spaventato, e lo fissa negli occhi con due domande implicite: “cosa ci fai qui? Come hai fatto a trovarmi?”. « Sono arrivato a casa tua e non c’eri, ho avuto paura ».
« Di solito quello apprensivo che deve occuparsi di te, James e Peter sono io ». Afferma con l’astio che lentamente scema, per trasformarsi in qualcos’altro. “Sembra così triste”.
« Cos’hai? ». “Non mentire”.
« Nulla, sto benissimo ». Sorride nel modo che tante volte, prima, ha visto: e ora Sirius è certo che è sempre stata una finzione quell’espressione. « Andiamo? ».
Remus riprende ad avviarsi per quella strada, scuotendo la testa; odia dover mentire a Paddy, ma non capirebbe. Lui non ha preoccupazioni reali, è soltanto molto entusiasta di essere al mondo.
« Ehi, Remus! ». Lo richiama l’amico. Remus lo vede avvicinarglisi velocemente, con un’incredibile convinzione nei movimenti... si avventa su di lui, abbracciandolo - soffocandolo, in realtà. « Volevo augurarti buon compleanno ». Mormora con imbarazzo soffocato con il bisogno di pronunciare quel discorso. « Perché per me è un giorno importantissimo il dieci marzo da quando ti ho conosciuto: io sono felice che tu sia nato ».

[1] Mi sembra d’aver letto da qualche parte che, intorno ai sette o gli otto anni, Remus sia stato trasformato (mi sembra che nella saga non sia precisata l’età esatta).
[2] Tre appartamenti: quello in cui viveva da giovane, uno in cui si è trasferito dopo il morso di Greyback e l’ultimo che viene citato in questa storia (non è assolutamente accertato, ma ho immaginato che fosse così).
[3] Su “Harry Potter Wikia” c’è scritto che Remus è nato il Dieci Marzo del Millenovecentosessanta.
[4] Sono convinta che Peter abbia preferito lavorare nel campo babbano, credo sia più appropriato per lui. O al massimo si è fatto coprire dalle ali di Sir James.
[Volevo aggiungere che penso sia sempre un po’ così - malinconia e voglia di far nulla - tra gli adulti, e ancor maggiormente quando ci si accorge delle differenze tra il mondo scolastico e quello del lavoro. Poi si somatizza tutto, naturalmente, e si diventa come quei signori in valigetta che Remus ha descritto, senza vita praticamente. Ma forse qualcuno sa ancora salvarsi].
N.B.: Avevo scelto come “soundtrack” di questa storia “Follow The Cops Back Home” dei Placebo. Nel testo c’è un punto in cui c’è scritto: “Just one more round before we’re through, more psychedelic yuppie flu, It’s such silly thing to do, And now we’re stuck on rewind” che io traduco come “Ancora un altro giro prima di andare avanti, più euforici affaticamenti cronici, è una tal cosa stupida da fare, e adesso siamo fermi a riavvolgere”. La “yuppie flu” è la “sindrome da affaticamento cronico”. Quindi, in sostanza, questa canzone è perfetta per questa storia, anche se l’ho scoperto dopo.

la scalata, autore: beesp, fanfic, periodo: pre-azkaban, rating: g-pg

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