Titolo: “Flame of Love” 05 - “Bokutachi no ayamachi toki ga yurusu nara” (Se il tempo ci perdonerà per i nostri sbagli)
Fandom: Hey! Say! JUMP
Personaggi: Yaotome Hikaru, Inoo Kei
Pairing: Hikanoo
Warnings: Slash, AU, Mini-long
Word Count: 1.720
fiumidiparoleRating: G
Prompt: “46. Specchio”
NdA: Storia scritta per la challenge
mezza_tabella. Il titolo della storia è omonimo del solo di Yaotome Hikaru, quello del capitolo è tratto da “Endless Dream” degli Hey! Say! JUMP.
- Flame of Love -
05 - Bokutachi no ayamachi toki ga yurusu nara
“Dove sei stato?” la voce di Mitsuko era fredda, ma non riusciva a nascondere la tensione provata nelle ultime ore.
Hikaru sospirò.
Aveva lasciato casa di Kei verso le tre del mattino, ed ora erano già le cinque.
Aveva camminato in giro per Tokyo, questa volta senza davvero avere una meta.
Quando aveva cominciato a vedere il cielo schiarire, stanco e intirizzito dal freddo della notte, era tornato a casa.
Sapeva quello che lo aspettava.
Non che fosse pronto, tutt’altro; ma non aveva nessun altro posto dove andare, non più.
“Fuori” le disse stancamente, con poca speranza che lo lasciasse stare.
Mitsuko gli sbarrò la strada mentre cercava di andare in camera da letto, per cambiarsi quei vestiti che ancora puzzavano di sesso e sdraiarsi.
“Non pensare di cavartela così. Hai idea di quanto sono stata preoccupata per te?” urlò, rimanendo poi ferma a fissarlo, in attesa.
Hikaru si voltò, prendendosi il volto fra le mani e respirando a fondo, cercando di calmarsi.
Quando spostò nuovamente lo sguardo sulla moglie, si sentì ancora più stanco.
Non ce la faceva più.
Non sopportava più il peso di quelle bugie, non sopportava più di guardare in quegli occhi e fingere che tutto andasse bene, fingere un amore che non poteva provare, fingere di essere una persona che non era mai stato.
La guardò dritto negli occhi.
Vide la paura, l’ansia, la preoccupazione.
Era tutto quello che avrebbe sempre voluto evitare, ma non avrebbe potuto continuare ancora a lungo.
Fece appello a quel poco coraggio che possedeva.
“Ero con il ragazzo con cui ho una relazione da sei mesi. Ero dalla persona che amo.”
*******
Hikaru provò a comporre il numero.
La telefonata fu staccata dopo pochi squilli.
Erano passate tre settimane dall’ultima volta che aveva visto Kei, e ancora lui si rifiutava di rispondere al telefono.
Ci aveva fatto l’abitudine, ormai.
Quel giorno stesso aveva lasciato la casa che divideva con Mitsuko, chiedendo rifugio nell’appartamento di Takaki.
Era stato felice che ci fosse almeno lui, che una volta spiegatagli la situazione l’avesse compreso.
Mitsuko non aveva avuto nessuna pietà nei suoi confronti.
Gli aveva detto che le faceva schifo anche solo guardarlo, che era un verme, che non avrebbe voluto vederlo mai più.
I suoi genitori non erano stati più clementi.
Aveva visto il sangue del suo sangue sbattergli la porta in faccia, e si era ricordato perché durante tutti quegli anni avesse mentito.
Non volevano saperne di parlargli, di vederlo, di sentire le sue giustificazioni.
Hikaru aveva passato tutta la sua esistenza a sentirsi solo perché aveva sempre nascosto la sua esistenza.
Rivelarla non aveva fatto altro che farlo sentire ancora più solo, ma in qualche modo era come se in quella solitudine fosse almeno privo di quel peso che gli era sempre gravato in petto.
Si sentiva più libero.
Libero, ma senza il motivo per cui aveva deciso di intraprendere quella strada.
Aveva mandato mail su mail a Kei, l’aveva chiamato, senza mai ottenere una risposta.
In quei giorni aveva pensato spesso a quanto era successo quella notte, aveva pensato al modo in cui l’aveva trattato, aveva pensato alle sue parole ed ai suoi sguardi, e ogni volta gli sembrava sempre più difficile continuare a guardarsi allo specchio.
Era l’unica persona che avesse mai davvero amato, e il modo in cui l’aveva ferito lo faceva sentire l’ultimo uomo sulla terra.
Era vero, non aveva dato retta alle sue richieste.
Era vero, l’aveva trattato come una puttana.
Era vero, aveva sfogato i suoi istinti senza porsi il problema di quello che potesse provare lui in quel momento, e dentro di sé doveva ammettere che quel suo ignorarlo era del tutto meritato.
Ma non riusciva a rassegnarsi, non ci sarebbe mai riuscito.
Non fin quando il pensiero di Kei avesse continuato a tormentarlo, non fin quando fosse riuscito a chiudere gli occhi e a sentirlo vicino a sé, a sentire la consistenza della sua pelle contro la propria, quell’odore che si mescolava al suo, quel respiro lieve, delicato, che gli si addiceva così tanto.
Di Kei gli mancava ogni dettaglio, ogni particolare.
E la sua mancanza, lo sapeva, lo avrebbe lentamente ucciso.
Yuya si era accorto del suo malumore, e ne aveva anche intuito la natura.
E, fino a quel giorno, aveva anche fatto finta che non stesse accadendo niente.
Si limitava di tanto in tanto a chiedergli come stesse, come si sentisse, senza mai tuttavia diventare invasivo con le sue domande.
Quel pomeriggio tuttavia, sembrava aver raggiunto il suo limite, ed essersi stancato di vederlo girare per casa con quell’aria depressa.
Erano tornati dal lavoro da poco più di mezz’ora, e si erano messi sul divano a guardare la televisione.
Hikaru aveva lo sguardo fisso sulla tazza di tè che teneva fra le mani, senza riuscire a decidersi a berla.
Mandare giù qualcosa, negli ultimi tempi, gli sembrava sempre maledettamente difficile.
A quel punto, vedendolo ancora in quello stato, Yuya era sbottato.
“Dovresti andare a parlargli, sai?” gli aveva detto di punto in bianco, togliendo l’audio alla televisione e voltandosi verso di lui.
Hikaru alzò un sopracciglio, mordendosi un labbro.
“Che cosa vuoi dire?” domandò, fingendo di non aver capito dove volesse andare a parlare.
“Con lui, Hikaru. Che senso ha continuare a passare le tue giornate a deprimerti e ad aspettare che risponda alle tue chiamate, sapendo che non lo farà? Risolvi il problema e vai da lui. Almeno così ti metteresti l’anima in pace, no?” gli disse, con tono pratico.
Yaotome sospirò.
Non avrebbe voluto affrontare quella conversazione. Né con lui né con nessun altro.
Non avrebbe voluto pensarci affatto.
Avrebbe potuto farlo, era vero.
Ma aveva paura di un rifiuto, aveva paura di sentirsi rinfacciare quando accaduto, aveva paura che Kei gli dicesse che era finita per sempre fra loro.
Era quella maledetta paura, come al solito, che gli chiudeva porte in faccia da tutta la vita.
“Se non risponde alle mie telefonate, non vedo perché dovrebbe volermi parlare.” si limitò a rispondere, e dallo sguardo dell’altro comprese che non gli aveva creduto neanche un po’.
Sospirando, Yuya riprese a guardare la televisione.
“Non lo saprai mai se non provi” bofonchiò, distogliendo la sua attenzione dal ragazzo.
Hikaru ci rimuginò sopra per tutto il tempo.
Che cosa aveva da perdere ora, in fondo?
Non aveva più una casa in cui andare, non aveva una famiglia, non aveva niente.
Tutto quello a cui poteva attaccarsi adesso, era Kei.
Per una volta forse, si era sbagliato.
Non c’era niente di cui aver paura.
********
Erano appena le sette di sera, aveva fatto buio da poco.
Hikaru era sotto casa di Inoo da quasi mezz’ora, aspettando che l’altro rientrasse.
Aveva suonato più volte al citofono, ma l’altro non era in casa.
Non avrebbe di certo desistito per questo.
Pioveva, ma non gli importava.
Si era appoggiato contro il muro di fianco al portone, mettendosi ad osservare i passanti e aspettando con trepidazione di scorgere fra quei volti quello di Kei.
Stava per gettare un altro sguardo veloce all’orologio, quando lo vide.
Kei si accorse di lui solo quando fu a pochi metri dall’ingresso; si immobilizzò, restando a fissarlo a lungo.
Alla fine poi, fece un respiro profondo e gli si avvicinò.
“Che cosa ci fai qui?” gli chiese, con un tono che fingeva indifferenza con poca convinzione.
Hikaru cercò di non perdersi in quei lineamenti e in quella voce, di dare un ordine ai suoi pensieri, di far capire all’altro quello che provava, perché sentiva che quella era la sua ultima occasione.
“Ho lasciato Mitsuko. Le ho detto della nostra relazione” gli disse, diretto, senza perdersi come effettivamente avrebbe voluto, in dettagli inutili su quanto gli fosse mancato.
“Lo so. Ho letto le tue mail” rispose Inoo, alzando un sopracciglio in attesa che aggiungesse dell’altro.
“Non mi hai mai risposto” constatò Yaotome, quasi vergognosamente, mentre chinava lo sguardo verso il basso, sentendosi patetico.
Ma nemmeno quello importava.
Era stato patetico per vent’anni, e ora quello che aveva in gioco valeva tutta quella sensazione.
“Perché avrei dovuto?” gli chiese Kei, e Hikaru scorse più tristezza che rabbia nella sua voce.
Sembrava simile alla sua, sembrava la stessa malinconia, e quel pensiero lo rassicurò.
“So di aver sbagliato, Kei. So come ti ho fatto sentire, e mi dispiace. So che ti aspettavi qualcosa da me, che ti aspettassi che fossi diverso, che fossi capace di agire in un determinato modo, e di averti deluso. Avrei dovuto lasciare subito Mitsuko, avrei dovuto dirle la verità, perché lo dovevo a lei, lo dovevo a te e lo dovevo a me stesso. Ma...” fece una pausa, mordendosi un labbro. “Ma adesso sono qui, senza avere niente da perdere eccezion fatta per te, e ti sto chiedendo di darmi una seconda possibilità. È tutto quello che voglio. Voglio continuare a starti accanto, mostrarti che posso essere migliore dell’uomo che hai visto in questi mesi, provare a renderti felice, perché è l’unica cosa che conta adesso. Che io ti amo, Kei, e tutto il resto non è importante” concluse, sentendosi pericolosamente vicino alle lacrime.
Inoo rimase fermo a guardarlo per qualche istante, che a lui parve lungo secoli.
“Mi hai ferito” disse, con semplicità.
“Lo so.” ribatté prontamente Hikaru, ben disposto ad ammettere ogni suo errore.
“Non voglio più sentirmi come mi hai fatto sentire quella notte. Come mi hai fatto sentire negli ultimi mesi. Come se fossi un giocattolo da usare a tuo piacimento per sfuggire a quella parte di te che non ti piace ma di cui non sei mai stato in grado di liberarti” aggiunse, senza guardarlo negli occhi.
“Ora però sono libero, Kei. E lo sono per te.” riuscì solo ad aggiungere Yaotome, trattenendo il fiato.
Rimasero a guardarsi ancora per un po’, e lui poteva vedere il dubbio sul viso di Kei, poteva vederlo pensare, poteva vederlo decidere su quello che fosse giusto fare.
Alla fine, si avvicinò al portone, tirando fuori le chiavi.
“Entra” mormorò, e Hikaru lo seguì, sul suo volto un sorriso che gli era stato sconosciuto per settimane.
Una volta dentro l’appartamento, Kei si voltò verso di lui, posandogli delicatamente un bacio sulle labbra.
“Ti amo anch’io, Hikka” disse, sorridendo a sua volta.
Hikaru non disse nulla, perché non c’era altro da aggiungere.
Il giorno dopo, ne era sicuro, sarebbe riuscito nuovamente a guardarsi allo specchio, e vedere, dopo anni, una persona felice.
Era a casa, finalmente.