QUATTRO RICORDI E UN FUNERALE
2. Amici
Si svegliò che fuori c’era già luce. Il riverbero del triste sole del mattino di novembre le pungolava il viso, insinuandosi sotto la sottile barriera delle sue ciglia. Batté le palpebre qualche volta, intontita e confusa, chiedendosi nel dormiveglia che ora fosse e perché si trovasse in salotto. Poi i ricordi della notte precedente l’assalirono tutti insieme e la schiacciarono, togliendole per svariati minuti anche la forza di alzarsi. James non era tornato, o se l’aveva fatto si era guardato bene dallo svegliarla.
Quando riuscì a mettersi in piedi Ginny attraversò il salotto e, a passo strascicato, scese in cucina e mise un po’ d’acqua a scaldare. Non aveva fame, anche se non mangiava da molte più ore di quante riuscisse a ricordare, però si sentiva la gola secca e la bocca completamente asciutta, come se l’ultimo pianto notturno l’avesse disidratata. Il tè caldo le ridonò un po’ di forze e di lucidità mentale. Davanti alla tazza fumante ripensò alla rivelazione di Hermione e sentì di nuovo l’odio riempirle lo stomaco. Se Hermione era a conoscenza di tutta la storia sicuramente lo era anche suo fratello e il modo in cui avevano aiutato Harry, coprendolo per anni, era quanto di più rivoltante potesse immaginare. Loro erano la sua famiglia, il suo stesso sangue, coloro che avevano saputo e visto tutto della sua vita da più di un quarto di secolo. Si era fidata di loro e fino al giorno prima avrebbe detto di poter contare su di loro ciecamente, ma lo stesso avrebbe detto di suo marito fino a tre giorni prima, quindi ormai ogni suo legame affettivo era rimesso in discussione e ridefinito.
Quando salì in camera per cambiarsi sentì le prime voci della città giungerle attraverso una finestra dimenticata aperta. La popolazione si risvegliava lentamente e questo le ricordò che era sabato, consapevolezza che l’avvilì ancora maggiormente. Sabato era il giorno in cui andava a trovare i suoi genitori, in cui passava a salutare George in negozio e si fermava a chiacchierare un po’ con Angelina, e la sera si cenava a casa sua o di Ron e Hermione con tutta la famiglia riunita. Il pensiero di tutte le cose che non avrebbe fatto quel giorno non poteva che sottolineare il vuoto che aveva inondato la sua esistenza. Se sua madre l’avesse saputo, se l’avesse vista così… Sarebbe stato orribile, drammatico, e di certo Ginny non se la sentiva di affrontare una discussione simile nello stato in cui era. Ciononostante sentiva il disperato bisogno di uscire da quella casa, di vedere un viso amico e sincero, per una volta, e di svuotare il suo cuore di tutto il dolore ed il veleno che l’avevano colmato, nella speranza che questo potesse recarle un minimo di sollievo e pochi attimi di pace. Si chiese se suo fratello George, con la sua simpatia frizzante ma un costante velo di malinconia nello sguardo, potesse essere la persona giusta con cui confidarsi. Era in negozio, quindi si sarebbe dovuto occupare dei clienti, ma di certo avrebbe trovato un momento per lei, se gliel’avesse chiesto, e forse avrebbe potuto capire come si sentiva, lui che più di chiunque altro nella famiglia conviveva da anni con il vuoto dentro il cuore.
Si sciacquò dunque la faccia, raccolse la borsa e si mise il mantello sulle spalle, cercando di darsi un’aria dignitosa che dubitava di possedere, dopodiché uscì di casa e si smaterializzò a Diagon Alley. Era ancora piuttosto presto e la via non era molto trafficata; tuttavia Ginny non poté ignorare gli sguardi inquisitivi e un po’ sorpresi della gente, che sembrava tutta intenta a bisbigliare alle sue spalle un attimo dopo il suo passaggio. Si fece forza e andò avanti imponendosi di ignorarli e consolandosi al pensiero che il negozio di scherzi non era lontano.
Fu una voce perfida e affettatamente snob ad attirare la sua attenzione sopra ogni altra, costringendola a voltarsi.
“Non posso credere che abbia la faccia tosta di farsi vedere in giro, dopo ciò che è successo…” aveva detto, e Ginny non si stupì quando alle parole associò il viso schiacciato di Pansy Pankinson. La strega bruna era a poco più di un metro da lei, ferma davanti ad una vetrina con una donna parecchio più giovane intenta a ridere come una iena dietro al pietoso schermo di una mano guantata.
Ginny si fermò e soppesò la coppia di pettegole con durezza. Pensava che questo avrebbe chiuso la faccenda ed era pronta a riprendere il cammino, ma Pansy sembrava soddisfatta di averla fermata e le si avvicinò a testa alta, uno sgradevole sorriso sul volto.
“Buongiorno, Weasley,” la salutò con una falsa cortesia.
Ginny non si sforzò nemmeno di sorridere.
“Sarebbe stato un giorno migliore se le nostre strade non si fossero incrociate, Parkinson,” le rispose freddamente, sperando di cavarsela così senza dover battere in ritirata. Odiava dover lasciare agli altri l’ultima parola o dare l’impressione di non essere in grado di replicare a tono, anche in uno stato d’animo provato come quello in cui si trovava.
Pansy però non parve curarsi del sarcasmo nella sua voce.
“Ho sentito della tua perdita,” disse infatti, col fare leggero di un pettegolezzo. “Si dice che tu abbia perso un po’ anche la testa… Ma è comprensibile, dopo un simile trauma…”
Ginny si aggiustò nervosamente i capelli dietro l’orecchio, irrigidendo l’espressione.
“Temo di non seguirti,” sibilò seccamente.
“Certo, io non posso nemmeno immaginare il tuo dolore,” riprese Pansy ignorandola e agitando una mano in modo teatrale, “però…potresti provare a chiedere a Draco. Sono sicura che lui comprenderebbe perfettamente…”
Il nome di Malfoy le urtò i nervi, soprattutto associato allo sfacciato sarcasmo della Parkinson. L’antico astio ormai seppellito ebbe un sussulto e di colpo ricordò perfettamente quanto avesse odiato entrambi i Serpeverde ai tempi della scuola.
“Insomma, si può sapere di che cavolo stai parlando?” la aggredì.
Pansy ridacchiò nervosamente, ma fece un passo indietro.
“Oh, be’ Weasley, pensavo lo sapessi. Ma forse sei più stupida di quanto pensassi…” cinguettò a voce troppo alta, voltandosi a guardare la compagna, che ormai rideva apertamente.
Ginny strinse un pugno, tentata di sferrarglielo dritto sul naso, ma le sue parole unite alla rivelazione di Hermione fecero scoccare una scintilla di illuminazione nella sua mente. Draco Malfoy. D. M., come nelle iniziali ricamate. L’amante, un uomo. Draco Malfoy.
“Non ho tempo da perdere con le tue scemenze!” ringhiò all’indirizzo di Pansy, fissandola con puro odio.
Girò sui tacchi e tornò da dov’era venuta, con le orecchie che le ronzavano talmente forte da coprire provvidenzialmente le risate sguaiate delle streghe che si lasciava alle spalle. Non aveva più tempo per andare da George, e comunque sfogarsi con lui non avrebbe avuto alcun senso. Doveva andare a fondo di quella storia una volta per tutte e non avrebbe più accettato di tornarsene a casa a mani vuote.
“Era Malfoy?” urlò Ginny, invadendo la cucina di casa di Ron e Hermione mentre già il tavolo era apparecchiato per il pranzo.
I due, scioccati dalla sua entrata inattesa, la fissarono sconvolti.
“Come, scusa?” domandò Ron, facendo per alzarsi, ma vedendo la sorella marciare minacciosamente nella sua direzione si risedette immediatamente.
“Era Draco Malfoy l’amante di Harry?”
Ci fu un lungo attimo di silenzio, durante il quale i coniugi rimasero a fissarsi le mani sotto il severo sguardo di Ginny, poi Hermione e Ron si guardarono e la strega, abbassando per prima gli occhi, deglutì.
“Sì,” mormorò piano.
Ginny non poté non notare la testa del fratello scattare in direzione della moglie ed osservò con un senso simile al sollievo la sua espressione sbalordita.
“Ma non era finita?” chiese poi Ron, e Ginny sentì di nuovo il vuoto riempirle lo stomaco.
“Tu…” sibilò. “Anche tu sapevi tutto, eri suo complice e non mi hai detto niente!” Completò la frase urlando, il viso in fiamme.
Ron la fissò con una smorfia incerta e tormentata sul volto, poi abbassò gli occhi.
“Non è così semplice…” borbottò mortificato.
“Oh, non osare nemmeno tentare di difenderti! Non c’è scusa che tenga,” lo zittì Ginny. “E non propinatemi altre balle,” continuò, rivolgendosi ad entrambi. “Non ho intenzione di perdere altro tempo dietro le vostre sciocchezze. Ora mi racconterete tutto per filo e per segno, cascasse il mondo, e non voglio sentire ma.”
Hermione sospirò rassegnata.
“Siediti, allora,” la invitò, “sarà un racconto piuttosto lungo.”
Ginny prese posto al tavolo con una qualche incertezza nei movimenti, come se il suo corpo desiderasse sottrarsi all’ascolto di ciò che invece la sua mente tanto bramava conoscere.
“La prima volta che capii che c’era qualcosa di strano in Harry, che probabilmente ci nascondeva qualcosa, fu l’anno dopo la fine della guerra.” Ginny trattenne il respiro per un secondo, ma Hermione proseguì. “Avevamo deciso di invitare Harry a cena da noi. Era ottobre, o forse novembre… Tu eri impegnata con il Quidditch e ci dispiaceva che Harry fosse sempre a casa da solo, quindi quando potevamo cercavamo di coinvolgerlo. Comunque Ron gli aveva chiesto di venire da noi, ma Harry aveva rifiutato, dicendogli che doveva vedere Kingsley. Peccato che poco dopo avesse incontrato anche me, sostenendo che quella sera sarebbe passato da lui qualcuno della Manutenzione Magica per mettergli a posto il bagno o qualcosa di simile… Probabilmente sapeva che non avrebbe potuto rifilarmi la storia di Kingsley, dato che lavoravamo a stretto contatto. Non che io abbia creduto alla balla del bagno. Harry non è mai stato molto bravo a mentire…”
“Incredibile come sia riuscito a nascondere una relazione con Malfoy per vent’anni, non è vero?” commentò acida Ginny, accusando al contempo il colpo.
Hermione la guardò tristemente, ma non replicò. Riprese invece il suo racconto.
“Il giorno seguente decisi di affrontarlo direttamente. Credevo avesse qualche problema; non mi sarei mai sognata di scoprire una cosa del genere…”
“Allora, Kingsley ti ha aggiustato il bagno?” domandò Hermione, le braccia incrociate e lo sguardo severo di una madre di fronte al figlio adolescente colpevole di aver nascosto l’ennesima marachella.
“Eh?” fece Harry, un po’ smarrito. “Non…ehm… Certo, il bagno ora è a posto, ma non…”
“Non arrampicarti sugli specchi, Harry, tanto non ti credo.” Vedendo la sua espressione colpevole, Hermione comprese che la situazione doveva essere più grave del previsto. Il suo volto si rattristò. “Ma che combini?”
“Niente,” rispose Harry, abbassando lo sguardo. “Non capisco perché ti agiti tanto…”
“Perché ci nascondi qualcosa,” replicò lei prontamente.
“Ma no, non vi nascondo niente,” obiettò blandamente Harry.
“Non è che per caso…” Si interruppe. Porre la domanda seguente le costò un notevole sforzo. “Hai un’altra?”
“Cosa?”
“Ti vedi con un’altra ragazza, Harry?” ripeté Hermione, sempre più accigliata.
“No…” Il viso del giovane divenne quasi cinereo per la tensione. Hermione non poté reprimere un moto di scocciatura: conosceva troppo bene Harry per non leggere nei suoi occhi ogni sfumatura di inquietudine, e se c’era una cosa che davvero non sapeva dissimulare erano le menzogne.
“Per favore, non mentire.”
“Non sto mentendo!”
Hermione sospirò.
“Non ho detto a Ron dei miei dubbi su ieri sera e capisco che, essendo lui il fratello di Ginny, tu non te la senta di parlargli, ma se stai uscendo con un’altra ragazza dovresti dirglielo.”
“Hermione, non sto uscendo con un’altra.”
“Harry…”
“Ho detto di no!” esclamò lui, accalorato.
Hermione lo fissò, seriamente preoccupata.
“Dio, Harry… Se lo neghi con tanta forza vuol dire che è anche una cosa importante.”
Harry alzò gli occhi al cielo, gemendo esasperato.
“Perché non mi vuoi credere?” si lamentò, evitando però il suo sguardo.
Hermione gli afferrò il mento e lo costrinse a voltarsi per poterlo guardare negli occhi.
“Perché ti conosco come il palmo della mia mano,” rispose, “e tu sei troppo onesto per potermi nascondere la verità. Ma se ti ostini dovrò dire tutto a Ginny…”
Hermione non si aspettava davvero che un tale ricatto funzionasse, ma Harry abbassò il capo, sospirando.
“No,” mormorò. “Ti prego, Hermione, non dirle niente. Non servirebbe.”
“E perché, di grazia?”
“Ho già provato a lasciarla, ma lui non vuole.”
Hermione sbatté le palpebre, confusa.
“Non credo di aver capito…” mugugnò a mezza voce.
“Hai capito benissimo,” ribatté Harry.
Hermione boccheggiò per un secondo.
“Lui non ha voluto?” ripeté allora la giovane, cercando di far chiarezza nella propria mente.
“Oh, non cominciare!” sbottò Harry, irritato più di quanto non fosse ragionevole. “L’hai voluto sapere tu.”
Hermione strinse le labbra.
“E tu da quand’è che lo sai?”
“Che cosa?”
“Che ti piacciono gli uomini,” rispose scocciata Hermione.
“Non mi piacciono gli uomini,” replicò Harry con aria infastidita. “Solo lui.”
Hermione si prese qualche secondo per riflettere su quell’informazione assolutamente inaspettata.
“Va avanti da molto?” chiese infine, il tono incerto di chi non sapeva se essere arrabbiato o preoccupato.
“Un po’…” biascicò Harry tra sé.
“Perché stai ancora con Ginny?” insisté allora Hermione, incapace di comprendere in quali pasticci l’amico si stesse cacciando. “Insomma, mi dici chi è?”
“…È Draco,” sentenziò con un attimo di esitazione Harry.
Hermione lo fissò con aria perplessa.
“Draco chi?”
“Hermione, quanti Draco conosciamo?”
“Che uscirebbero con te nemmeno uno,” rispose schietta la ragazza.
“Hermione...”
“Harry, ma se tu con Draco non hai mai parlato!” esclamò lei. Ogni nuova briciola di confessione la lasciava sempre più basita.
“Sono due anni, in verità, che ci frequentiamo...” replicò Harry. Sospirò paziente; sapeva che l’amica necessitava di più tempo per assorbire la sorpresa, ma non voleva discutere della cosa ancora a lungo. “Ascolta, non sono impazzito, solo che non posso scegliere, capisci? Voglio sia una famiglia che Draco, e Draco una famiglia non me la può dare. E poi lui non vuole stare con me, non…ufficialmente, e io non sono pronto a rinunciare a lui.” Si bloccò, scrutando di sottecchi l’espressione di Hermione. “Lo andrai a dire a Ginny?” domandò infine, l’ansia chiaramente visibile sul suo volto.
Hermione si trovò per qualche secondo combattuta tra ciò che sapeva essere giusto e l’amicizia che la legava a Harry e che ora le diceva che lui stava soffrendo davvero per quella storia. Rigirò i fatti nella sua mente, ma in cuor suo era certa che la verità, questa volta, non sarebbe servita a risolvere un bel niente.
“Non credo proprio,” mormorò dunque, sentendo già il morso del senso di colpa attanagliarle la coscienza. Sospirò, sconfitta. “Tu lo sai che questa cosa salterà fuori e farà del male a tutti, vero?” sussurrò, osservandolo con la triste consapevolezza dell’inevitabile.
“La gestirò in qualche modo,” replicò sicuro Harry, e a sorpresa riuscì persino a rivolgerle un sorriso un po’ mesto. “Fidati di me.”
“Non affrontò più l’argomento e io non gli chiesi niente. Non volevo stargli troppo addosso, impicciandomi di un affare che credevo fosse troppo delicato per essere condiviso. Gli parlai solo alla vigilia del vostro matrimonio. Gli chiesi se avesse risolto la situazione e lui mi rispose di sì, che l’aveva gestita tranquillamente e che era tutto a posto. Non so perché non gli chiesi altro… Immagino che volessi fidarmi di lui come avevo sempre fatto, ma da quel che accadde qualche anno dopo fu evidente che non l’avesse gestita affatto.”
Ci fu un lungo minuto di silenzio, durante il quale Ginny la fissò senza realmente vederla, intontita e sconvolta dal suo racconto. Non riusciva nemmeno ad arrabbiarsi, ad insultarla o a commentare con asprezza le sue parole, tanto era grande il buco che queste le scavavano nell’anima ad ogni secondo che passava.
“Io…non ne sapevo niente,” iniziò poi timidamente Ron. “Allora intendo. Hermione non mi disse niente, come aveva promesso a Harry. Lo scoprii per caso qualche anno dopo.”
“E cioè quando?” chiese Ginny, ridestandosi brevemente dal suo intontimento.
“Ehm… Quando aspettavi Lily.”
Ginny corrugò la fronte, facendo pochi, veloci calcoli mentali.
“Cioè, tu…non l’hai detto nemmeno a tuo marito per sette anni?” domandò a Hermione, esclamando inorridita. “Ma che razza di persona sei?”
“Guarda che non avevo idea che la cosa fosse continuata,” si difese la donna, infastidita da quell’attacco diretto al rapporto con suo marito. “Ti ho detto che lui mi aveva assicurato che la situazione fosse stata risolta e io mi ero fidata.”
Ginny sbuffò, distogliendo lo sguardo disgustata.
“Ad ogni modo,” riprese Ron, ansioso di distogliere le donne dalla loro discussione privata, “una sera tu chiamasti a casa cercando Hermione, perché pensavi che io fossi in riunione con Harry. Invece ti risposi proprio io e notando la tua perplessità ti dissi che ero stato male ed ero tornato a casa, ma che mi ero ripreso. Naturalmente il giorno dopo andai a cercare Harry al Ministero e, in un momento di pausa, lo presi da parte in corridoio.”
“Dov’eri finito ieri notte?”
“A casa,” rispose tranquillo Harry, infilandosi in bocca l’ultimo pezzo del tramezzino al burro e acciughe che stava mangiando.
“A casa di chi?” ribatté Ron, sarcastico.
“A casa mia. Perché?”
“Perché si dà il caso che Ginny ci abbia chiamato via camino e mi abbia detto che avevamo una fantomatica riunione di cui non sapevo niente.”
Harry si sistemò nervosamente gli occhiali.
“Ah, quello…” biascicò. “No, ecco, è che avevo…ehm…da lavorare e mi son trattenuto, ma non sapendo cosa dirle…”
“Harry, siamo usciti dall’ufficio insieme, ieri sera,” obiettò Ron, scurendosi in volto.
“Sì, ma poi sono tornato indietro perché mi sono ricordato che avevo dimenticato di fare una cosa ed era urgente… Per oggi, sai…”
Ron stava per replicare duramente, ma con la coda dell’occhio catturò la figura tonda e pacifica di sua moglie passare ad un paio di metri da loro e alzò la testa nella sua direzione.
“Hermione!” la chiamò a gran voce. “Vieni qua!”
La donna si voltò e lo salutò con un sorrisone, mentre la mano scendeva in un gesto automatico ad accarezzare il pancione prominente.
“Io vado, magari…” cercò di defilarsi Harry, ma Ron lo afferrò per una manica, trattenendolo.
“Tu resti,” gli impose minaccioso.
“Ragazzi, siete in pausa?” chiese Hermione quando li ebbe raggiunti. Poi si accigliò leggermente. “Ron, non sei entrato solo due ore fa?” lo rimproverò velatamente, alzando un sopracciglio.
Ron la ignorò, richiamando la sua attenzione su Harry.
“Abbiamo un problema, credo,” disse, guardando storto l’amico. “A quanto pare Harry ci sta nascondendo qualcosa.”
“Non vi sto…” accennò Harry, ma Ron lo interruppe.
“Ieri sera Harry ha detto a Ginny che aveva una riunione del corpo Auror a cui in teoria avrei dovuto presenziare anch’io, ma mi pare ovvio che fosse una balla, e quando gli ho chiesto spiegazioni mi ha propinato una serie di storielle una più pietosa dell’altra.”
Hermione fissò Harry a bocca aperta, profondamente inquietata dalle parole del marito.
“Harry, che accidenti sta succedendo?” gli domandò con evidente ansia.
“Eh, indovina un po’,” rispose lui scostante. “Secondo te?”
“Harry!” esclamò la donna, tenendosi il ventre mentre un’espressione costernata le si disegnava in volto. “Mi avevi detto che avevi gestito la cosa e che tutto era a posto!”
“Stop!” si intromise Ron, che fino a quel momento aveva osservato con crescente sbigottimento prima il migliore amico e poi la moglie. “Fermi tutti. Che puntata mi sono perso? Di cosa state parlando?”
Hermione abbassò gli occhi, deglutendo nervosamente.
“Ron, non è né il momento né il luogo,” asserì sottovoce, guardandosi attorno.
“Invece è proprio il momento giusto,” insisté lui, tornando a rivolgersi a Harry. “Se c’è qualcosa che non va ho il diritto di sapere di cosa si tratta, soprattutto vista la reazione di Hermione. Che cosa le hai detto che io non so, eh? Voglio saperlo.”
Harry sostenne il suo sguardo inquisitore per qualche secondo senza battere ciglio, l’espressione seria e risoluta. Poi la sua corazza di sicurezza vacillò appena e sospirò, sconfitto.
“Ho l’amante,” confessò in modo a malapena udibile.
Ron rimase immobile, l’espressione immutata se non per la ruga tra le sue sopracciglia, che si era fatta più profonda.
“Scusa?” fece poi, vedendo che l’amico non aggiungeva niente.
“Ho l’amante,” ripeté Harry a denti stretti.
Ron non disse nulla. Semplicemente alzò il braccio e il pugno partì. Con deliberata precisione le nocche dell’uomo andarono a picchiare contro il naso di Harry, che con uno schiocco sordo si ruppe. Hermione, colta alla sprovvista, si avventò sul marito, afferrandone il braccio e urlandone il nome. Ron però si voltò indietro, rivolgendo anche a lei uno sguardo colmo d’astio.
“E tu? Lo sapevi e non mi hai detto niente?” sbraitò, ignorando completamente Harry che cercava di tamponarsi in qualche modo il sangue che gli colava abbondantemente dal naso. “Si può sapere chi è questa puttana?” continuò, mentre già una piccola folla di curiosi si assiepava attorno a loro. “Anzi no, non mi interessa, ora vado a dire tutto a Ginny,” tagliò corto, allontanandosi di un paio di passi lungo il corridoio.
“RON!” Hermione aveva gridato il suo nome e ora se ne stava a gambe larghe in mezzo al corridoio, i pugni chiusi con forza e il viso paonazzo. “Resta esattamente dove sei!” disse. Si rivolse poi a Harry e roteò la bacchetta nell’aria, pronunciando un Epismendo che riportò il suo naso alla normalità. “Ora, se non vi dispiace, andremo tutti nel mio ufficio e chiariremo questa storia, va bene? Oppure preferite che partorisca qui?”
L’espressione sul volto di Ron passò in un lampo da furibonda ad allarmata e i suoi occhi si incollarono al ventre gonfio della moglie. La minaccia di Hermione faceva più effetto con il pancione fiero dei nove mesi. Guardò di sfuggita Harry, che si puliva le mani sporche di sangue sui pantaloni, e tornò a rivolgersi alla strega.
“Come vuoi…” sibilò e con passo svelto e deciso si diresse verso l’ufficio di Hermione, seguito dagli altri due.
Non scambiarono una parola durante tutto il tragitto, ma quando la porta si chiuse alle loro spalle, dando loro finalmente un po’ di privacy, Ron era visibilmente più calmo, se non meno infuriato.
“Ok,” disse con voce brusca, appoggiandosi alla scrivania e incrociando le braccia sul petto, “da quanto tempo va avanti questa storia?”
Hermione si sedette vicino a lui, respirando un po’ a fatica.
“Forse,” ansimò, “sarebbe meglio parlare di chi sia questa persona.”
Ron aggrottò le sopracciglia.
“Nessuno ha chiesto il tuo parere, Hermione,” le si rivolse con fare burbero. “Poi tu dimmi come faccio a fidarmi di te. Da quanto tempo lo sapevi, eh?” Non attese che rispondesse, ma tornò a guardare Harry, che si era fermato in mezzo alla stanza, tenendosi a debita distanza dalle mani del migliore amico. “Chi è?”
“Ron,” intervenne ancora una volta Hermione, che saltava da uno all’altro con lo sguardo, estremamente tesa, “non è semplice come credi…”
“Malfoy,” replicò invece senza scomporsi Harry, fissando Ron dritto negli occhi, per nulla intimorito dallo scoppio di violenza di poco prima.
“CHI?” esclamò esterrefatto Ron, protendendosi in avanti.
“Malfoy,” ripeté Harry. “Draco.”
Sul volto di Ron si fece largo una peculiare espressione perplessa.
“Ma non stavamo parlando del fatto che hai un’amante?” chiese, autoconvincendosi di aver di nuovo perso un pezzo della storia da qualche parte.
“Appunto,” rispose Harry tranquillamente.
Per qualche momento il corpo di Ron parve tramutarsi in pietra. Hermione, che già sapeva quanto la rivelazione avrebbe sconvolto l’equilibrio mentale del marito, fu tentata di alzarsi e cedergli il proprio posto, e sicuramente, se non fosse stata così stanca, l’avrebbe fatto.
Quando parlò, diversi secondi dopo, la voce di Ron era così profonda da risultare quasi irriconoscibile.
“Non sono dell’umore adatto ad essere preso per il culo.”
“Nessuno ti sta prendendo per il culo, Ron,” sospirò Harry, affondando le mani in tasca.
“Ah no?” domandò ironico Ron. “E da quand’è che saresti frocio?”
Harry si strinse nelle spalle.
“Non lo so. Probabilmente da tutta la vita.”
“Ron, Harry non è…frocio,” intervenne Hermione. La ragionevolezza in Ron l’aveva sempre allarmata più dell’irruenza. “È bisessuale.”
Quest’affermazione, però, le guadagnò solo una doppia occhiataccia fulminante, che la zittì istantaneamente.
“Quindi tu…ti faresti Draco Malfoy? Stando contemporaneamente con mia sorella?” riprese Ron. “Ma io ti ammazzo…”
Si mosse in avanti, determinato a saltargli alla gola, ma uno scudo invisibile venne a formarsi tra loro due e Ron fu respinto e indietreggiò fino a tornare contro la scrivania.
“La vuoi finire?” disse Hermione, che teneva la bacchetta tesa davanti a sé, mantenendo lo scudo attivo. Era evidentemente stanca, ma non era donna da arrendersi facilmente. “Credi che picchiandovi risolverete la cosa? Ma ti rendi conto della serietà della situazione, poi? E tu,” continuò, rivolgendosi a Harry, “tu mi avevi promesso che avresti risolto questa faccenda e io pensavo che avresti chiuso con Malfoy il prima possibile.”
“Io non ti ho mai promesso che avrei chiuso con Draco,” replicò Harry freddamente.
“Be’, devi farlo,” disse Ron. “Adesso.”
Harry scosse la testa.
“Non posso.”
“Tu sei un incosciente!” esclamò Hermione. “Un irresponsabile! Hai due figli piccoli e una moglie incinta e ti comporti come un adolescente in calore!”
Harry sbuffò.
“Ascoltate, io amo Draco, ok? Amo anche Ginny, ma in maniera diversa. E amo la mia famiglia. Non posso rinunciare a una di queste cose e non è necessario che lo faccia. Ginny non lo deve sapere.”
Nell’ufficio calò un silenzio assordante. Harry guardava la libreria straripante alla sua sinistra, Hermione teneva lo sguardo fisso a terra e Ron non distoglieva per un secondo gli occhi dall’amico. Fu lui a rompere l’atmosfera di stallo.
“Tu ti sei bevuto il cervello,” sibilò.
“È vero,” disse Hermione un secondo dopo.
“Grazie,” fece Ron, rivolgendole un sorriso forzato.
“No,” si riscosse Hermione, sedendosi un po’ più diritta, “ha ragione Harry.” Ron la fissò incredulo mentre ella continuava. “Non possiamo dirlo a Ginny, non adesso almeno. Non è proprio il caso, nelle sue condizioni.”
“Scusa? Non credo di aver capito…” sbottò Ron.
“Ron, non possiamo dirglielo. Ma riesci a immaginare lo choc che subirebbe?”
“E quindi cosa proponi? Di far finta che niente sia successo?”
Hermione sospirò.
“Forse… Almeno per il momento.”
Ron scosse la testa.
“Sì, e poi? Quando avrà un terzo figlio a cui badare sarà un momento migliore?”
La donna incassò la testa nelle spalle.
“Non lo so, probabilmente no…” Alzò poi lo sguardo e si rivolse a Harry, che era intento a schiacciarsi una ciocca di capelli sulla fronte, proprio come faceva da ragazzino quando era a disagio. “Harry, ascoltami però: questa storia non può andare avanti. Deve finire al più presto.”
Harry la fissò senza parlare per qualche secondo, poi abbassò lo sguardo. Entrambi fecero lo stesso qualche secondo dopo, e sebbene in cuor loro sapessero che quello era un no finsero che potesse anche trattarsi di un sì.
“Ora mi rendo conto che avrei dovuto insistere di più, ma in fondo ho sempre sperato che Harry facesse la cosa giusta,” disse Hermione, quando Ron tacque.
I tre rimasero in silenzio per qualche minuto, ognuno perso nei propri pensieri, chi ricordando e meditando i fatti di tanti anni prima e chi cercando di assorbire le rivelazioni ricevute. Il pranzo, pronto e dimenticato sui fornelli spenti, era ormai freddo.
“Be’, e poi?” disse Ginny quando riuscì a trovare la forza di pronunciare anche solo quelle tre parole.
“E poi niente,” fece Ron.
“Non ne abbiamo più parlato,” spiegò Hermione. “Non ne sappiamo più niente.”
Di nuovo trascorse qualche secondo di silenzio, poi Ginny scosse la testa.
“Non so che dire… Sono senza parole,” mormorò. Un attimo dopo iniziò a ridacchiare, una risatina isterica che spinse Ron e Hermione a guardarsi l’un l’altro inquieti.
“Ginny, c’è qualcosa che possiamo fare per te?” domandò con cautela Hermione, versandole per sicurezza un bicchiere d’acqua, ma Ginny lo rifiutò.
“No, grazie,” bofonchiò alzandosi in piedi. “No, avete già fatto abbastanza.”
Li guardò ancora per un secondo, poi rise nuovamente e girò sui tacchi, abbandonando la cucina. Ron fece per alzarsi e seguirla, ma Hermione gli fece cenno di lasciarla andare, e così Ginny fu libera di infilarsi nel camino del salotto e di riapparire direttamente a casa propria. Quando si ritrovò tra quelle familiari quattro mura l’ilarità isterica che l’aveva posseduta si allentò, lasciandola spossata e confusa, la testa pesante e le sensazioni come ovattate. Aveva la strana impressione di galleggiare, distaccata dalla realtà terrena. Salì le scale lentamente, tenendosi al corrimano, poiché ad ogni gradino aveva la sensazione di perdere l’equilibrio, e si infilò nel letto senza nemmeno spogliarsi. Si tirò le coperte fino agli occhi e lì, in quel nido sicuro e caldo, rimase per tutto il pomeriggio, la sera e la notte, alternando fasi di sonno ad altre di apatica ed immobile veglia.
Trascorse quelle ore in un tale stato di indolenza da non ricordarsi nemmeno del figlio, che non era più tornato a casa. Solo il mattino seguente, poche ore dopo l’alba, sentendo alcuni colpi decisi alla porta si ridestò e il pensiero di aver abbandonato James a se stesso per tante ore la fece sentire profondamente in colpa. Si alzò di scatto, reggendosi sulle gambe malferme e inciampando nei suoi stessi piedi, tanto che dovette fermarsi e sostenersi per qualche attimo allo stipite della porta prima di avere di nuovo le forze per scendere al piano inferiore senza rotolare giù per le scale. Con la testa che le doleva si affrettò fino all’ingresso, da cui, nel frattempo, era arrivata un’altra serie di colpi veloci e stranamente ritmati; prima di aprire l’uscio si passò le mani sul viso, cercando di cancellare i drammatici segni dei giorni trascorsi nella disperazione, e si sforzò di strappare alle proprie labbra un sorriso stentato. Finalmente girò la maniglia, pronta ad accogliere James e a scusarsi per l’atteggiamento folle tenuto nei suoi confronti, ma la persona che si ritrovò davanti non era affatto chi si aspettava. Di fronte a lei, i capelli biondi raccolti in un buffo ciuffo dietro alla nuca e un mantello dai colori sgargianti decorato con una fantasia di lumache a coprirla, c’era Luna, la sua cara, dolce e devota amica Luna. Ginny la fissò senza parole, stupefatta dalla visita inaspettata, e quando la strega le sorrise nel suo modo sincero e caloroso non poté trattenersi dal buttarsi tra le sue braccia, scoppiando a piangere. Luna le accarezzò i capelli con una dolcezza tutta materna, sussurrandole di tranquillizzarsi.
“Vieni, togliamoci dalla porta,” le bisbigliò senza smettere un attimo di sorridere, guidandola protettiva verso l’interno.
Ginny si lasciò condurre in salotto e ancora una volta si ritrovò appallottolata sul divano mentre l’amica - l’unica vera amica rimastale - le porgeva una tazza di tè fumante. Era strano, pensò Ginny, come tutti sembrassero ritenere che una tazza di tè fossa la cura a tutti i mali. Luna si sedette al suo fianco, guardandosi intorno con sguardo vivo e interessato, sempre alla ricerca di qualcosa, come se i suoi occhi potessero vedere centinaia di invisibili creature. Ginny sapeva, a distanza di anni, che alcuni di quegli esseri esistevano davvero e che Luna era riuscita a dimostrarne la presenza, ma rimaneva un segreto cosa vedesse realmente quando scrutava così il mondo circostante. Il suo sorriso pacifico, però, ebbe un effetto anestetizzante sull’animo tormentato di Ginny che, piano piano, si tranquillizzò, complice anche la bevanda calda andata, dopo tante ore, a riempirle un po’ lo stomaco.
“Sono così contenta che tu sia qui…” mormorò sollevata Ginny quando riuscì a controllare il tremito nella propria voce. “Non ne hai idea…” Sospirò e fissò per qualche secondo il tè imbrunire leggermente il fondo della tazza bianca. “Ma come mai sei passata? Credevo fossi tornata in Svezia dopo il…il funerale.”
“Mi ha scritto Hermione,” rispose Luna, annuendo con forza. “Ero là quando mi è arrivato il gufo, due giorni fa.”
“Hermione?” ripeté Ginny, sorpresa. Doveva aver spedito quel messaggio subito, il giorno in cui aveva avuto i primi sospetti sulla fedeltà di Harry. Evidentemente si era aspettata che la verità venisse presto a galla. “Che ti ha scritto?”
“Che stavi male e che avere un po’ di compagnia ti avrebbe fatto bene. Il viaggio dalla Svezia è veramente bellissimo, sono stata felice di poterlo rifare tanto presto.”
Ginny strinse le labbra, ripensando alla sofferenza di quei giorni.
“Mi è mancata così tanto una vera amica,” mormorò poi. “Non hai idea di ciò che mi è successo…”
Credeva che sarebbe stato più difficile dar voce a tutto ciò che aveva dovuto affrontare, alla tristezza, alla solitudine e al dolore del tradimento, ma quando iniziò fu come se una diga si fosse aperta di colpo e le parole trovarono una loro naturale via di fuga. Raccontò ogni cosa, ogni particolare, dalla scoperta degli oggetti nascosti alla certezza del tradimento, dalle menzogne di Hermione e Ron fino alla rivelazione finale, alla consapevolezza che non solo Harry l’aveva tradita per più di vent’anni, ma che l’amante era un uomo e nientemeno che Malfoy, la persona più odiosa e orribile che potesse immaginare. Luna ascoltò ogni cosa in silenzio, senza porre domande, ma seguendo le sue parole con attenzione.
“Oh, ora ha molto più senso…” commentò poi, quando Ginny ebbe terminato.
L’altra la fissò sconcertata.
“Come scusa?”
“Be’, sì, in fondo non è poi così strano,” disse Luna, con l’usuale espressione naturale di chi sta dando voce a riflessioni scontate. “Mi ero chiesta che cosa ci facesse al funerale.”
“COSA?” urlò Ginny, rovesciando la tazza.
Luna si chinò a raccoglierla imperturbata e ripulì il pavimento con un colpo di bacchetta.
“Sì, non lo sapevi? Oh, in effetti hai ragione, non avresti potuto accorgertene, e poi se n’è andato subito.”
“Ma… Stai scherzando, vero?” Ginny scosse la testa. “Come…come ha osato presentarsi al funerale di mio marito? Crede di potersene andare in giro così, ad infangare la sua memoria? Non ha alcun rispetto? Oh, ma perché mi stupisco? Malfoy!”
“Eh, poverino…” sospirò Luna. “Sarà stato un gran sacrificio per lui. Così tanti anni insieme e non poter nemmeno presenziare al suo funerale… Chissà che dolore vivere un lutto così grande completamente solo.”
Ginny sgranò gli occhi esterrefatta.
“Poverino? POVERINO? Luna, ma ti rendi conto di ciò che stai dicendo? Quello mi ha rovinato la vita, la mia vita, capisci? Harry era mio marito e lui ha distrutto tutto ciò che avevamo costruito!”
Luna la fissò senza scomporsi e il suo sguardo, vedendola tanto scossa, si intenerì ancora maggiormente.
“Lo so che hai sofferto tanto,” le disse con un sorriso. “Ma mi spiace per lui… É normale pensare anche al suo punto di vista, no?”
“No!” esclamò Ginny. “Non lo è affatto! Luna, Malfoy è una delle persone più disgustose che conosciamo, dovrebbe come minimo esserti indifferente, non farti pena! Come fai a dire una cosa del genere? Tu dovresti essere dalla mia parte, sei mia amica…” Sentì gli occhi che le si riempivano di nuovo di lacrime.
Luna le accarezzò il viso.
“Ma io ti voglio bene,” la confortò. “Non piangere, ci sono io, ora. Starò qui per tutto il tempo di cui avrai bisogno.” Ginny si piegò in avanti, poggiandole la testa in grembo, e si sdraiò su un fianco, in posizione fetale. Chiuse gli occhi, cullata dalle carezze di Luna sui suoi capelli. “Hai bisogno di riposare un po’ e magari di mangiare qualcosa di buono. Più tardi ti cucino qualcosa io, se ti va.”
Ginny annuì piano, stringendo i denti per ricacciare indietro le lacrime. Luna intonò una strana melodia dolce e malinconica, che suonava come una ninna nanna a labbra strette, e Ginny si concentrò su di essa, respirando a fondo, sperando che l’amica conoscesse il segreto per dimenticare i propri affanni.
Luna forse non conosceva la soluzione a tutti i suoi mali, ma di certo possedeva la capacità innata di consolare le persone e metterle a proprio agio. Mangiarono insieme a pranzo e nel pomeriggio, dopo che Ginny si fu ristorata a dovere, chiacchierarono un po’ di tutto e di niente. Le immagini dei viaggi di Luna e dei suoi racconti bizzarri le tennero la mente occupata per quasi tutto il tempo. Fu riassalita dalla tristezza per qualche ora dopo cena, ma il rientro di James la distolse di nuovo dalla propria autocommiserazione e, quando fu ora di andare a dormire, Ginny condivise il letto con Luna, dormendo per la prima notte da tempo totalmente serena e rilassata.
Il mattino seguente si alzarono con calma e, mentre Ginny era in bagno, Luna scese in cucina e si occupò di prepararle una bella colazione, che consumarono insieme sedute sul letto come ragazzine. Ginny si rese conto che stranamente la presenza di Luna non le risultava d’intralcio o invadente, come le succedeva dopo qualche giorno con Hermione, sua madre o con Hanna. Luna sapeva essere indispensabile e quasi intangibile, leggera come un soffio di vento in primavera; era una vera benedizione averla accanto in un momento del genere. Dopo aver fatto colazione e aver salutato James che si dirigeva al lavoro, Ginny si offrì di lavare i piatti, per scrollarsi di dosso il senso di inutilità dell’essere servita in tutto e per tutto, e Luna si accomodò ad attenderla in salotto, sfogliando un libro di favole per bambini appartenuto a Lily. Fu con le mani affondate nell’acqua calda - aveva deciso di farlo a mano inconsciamente, perché una delle cose che aveva imparato da Harry era che il lavoro manuale liberava la mente e dava consolazione - che si disse che non aveva senso trascinare oltre quella storia. Aveva buttato via interi giorni rincorrendo una realtà fatta di indizi, supposizioni e mezze verità; aveva perso suo marito non solo fisicamente, ma in modo molto più profondo; aveva scoperto che le due persone su cui più contava dopo Harry le avevano mentito per più di vent’anni, proprio come lui, e quel che era peggio era che nel farlo si era ridotta ad uno straccio ed aveva incrinato il rapporto con James, tanto da fargli pensare che fosse diventata pazza. Non poteva andare avanti così, pensò quindi Ginny, asciugandosi le mani in uno strofinaccio, ma non poteva nemmeno archiviare la faccenda come se non fosse mai esistita, facendo finta di niente. Sapeva che non sarebbe stata paga finché non avesse conosciuto ogni particolare di ciò che le era stato nascosto così a lungo. Purtroppo ormai c’era solo una persona che avrebbe potuto raccontarle tutto.
Luna vide Ginny salire al piano di sopra e l’osservò con curiosità, ma non la seguì. Ginny si cambiò, si acconciò i capelli e rese il proprio viso meno sbattuto, perché se avesse dovuto incontrare Malfoy avrebbe perlomeno evitato di assomigliare a un cadavere. Si guardò nello specchio, che rifletté un timido sorriso di incoraggiamento.
“Lo so,” sussurrò tra sé Ginny, “sono orribile, ma di meglio non posso fare.”
Quando scese di nuovo in salotto Luna l’aspettava.
“Che fai?” le domandò, senza mostrare particolare agitazione.
“Esco,” rispose Ginny altrettanto tranquilla.
“Oh, devi andare da qualche parte?”
Ginny scosse la testa, cercando di essere il più convincente possibile.
“Vado solo a fare quattro passi.”