Aug 19, 2008 13:56
Titolo: “I don’t wanna know”
Fandom: Harry Potter
Pairing: Albus Severus/Scorpius
Rating: R
Conteggio parole: 4.118
Riassunto: Albus Severus ha appena vinto la Coppa Europea di Quidditch con la sua squadra e si gode le meritate vacanze sull'isola di Creta. Ma ecco che un pomeriggio, in un bar...
Note: Dunque dunque… Torno con una oneshot leggera, su un pairing nuovo e con una disdicevole nota melensa di sottofondo. Che dire? Mi sono ammalata di romantichite e questo mi crea problemi anche gravi. Tipo scrivere roba del genere. Mi perdonate? Cercherò di limitarmi in futuro.
Albus Severus e Scorpius non sono proprio come me li figuro io in questa storia. Li ho caratterizzati in un modo per me un po’ alternativo (per voi la cosa non ha rilevanza, invece), ma sono contenta del risultato. Scorpius è proprio un amore…
Ringrazio Keity per l’incoraggiamento e la pazienza. È una santa donna e si sbatte un sacco. Pensate che mentre blatero trame al telefono lei prende appunti. Santa donna.
Naturalmente sono una povera scema a cui non appartiene nulla di tutto questo, tranne forse la Magika Kafenia. Solo che non esistendo non posso farci soldi. Visto che è una songfic, vi invito tutti a scar…ehm…reperire la canzone che dà il titolo alla storia e ad ascoltarla, perché è tanto tanto dolce e romanticosa.
Un bacio a tutti e buona fine di agosto.
I DON’T WANNA KNOW
A casa sua un frappè era un mix di gelato, latte e ghiaccio. Nel caso più estroso ci si poteva ritrovare con un cocktail alcolico on the rocks o un frullato di frutta. In nessun caso, comunque, frappè andava ad indicare un caffè freddo. Albus rivolse un nuovo, triste sguardo al bicchiere che giaceva ancora pieno davanti a lui. Non avrebbe mai avuto la forza di trangugiare quella cosa che si spacciava per frappè: non che fosse disgustosa, perché un sorso l’aveva pur assaggiato e non poteva dire che fosse malaccio, ma semplicemente perché Albus non poteva bere caffè. Non l’aveva mai retto, fin da quando era piccolo, e crescendo non era migliorato: ogni volta che ne beveva anche solamente una modesta quantità iniziava a dar segni di ubriachezza molesta e incapacità di intendere e volere che, davvero, non aveva intenzione di mostrare a tutta Creta. Avrebbe potuto richiamare il cameriere e chiedergli qualcos’altro, rispedendo al mittente il bicchierone di caffeina, ma il greco non era il suo forte e il cameriere gli aveva reso la vita difficile già la prima volta che aveva ordinato, ragion per cui Albus non era ansioso di interloquire nuovamente con lui. Quindi aveva deciso di tenersi il suo frappè greco e restare a bocca asciutta, godendosi il paesaggio e le ultime ore di sole di quel pomeriggio d’estate.
La “Magika Kafenia” era un locale delizioso riservato ai maghi; il servizio era ottimo, o così aveva sentito dire, ma ciò che toglieva il fiato era lo spettacolo che offriva dalla terrazza. Lì, comodamente seduto a un tavolo, si poteva ammirare sognanti il tramonto sul mare più bello dell’isola: una chicca per coppiette, per inguaribili romantici o per gente che, come lui, sapeva apprezzare una meraviglia della natura quando ne vedeva una. Il suo progetto estatico era stato, tuttavia, deturpato dall’incidente del frappè. Assistere ad un tramonto spettacolare con la gola secca era una delle prospettive peggiori che gli venissero in mente, paragonabile solo all’ascolto forzato dei racconti di guerra di suo zio Percy il pomeriggio del giorno di Pasqua.
Deluso e amareggiato girò distrattamente il cucchiaio nel bicchiere, facendolo tintinnare contro i bordi di vetro, e si guardò intorno. I tavoli erano quasi tutti pieni, ma le facce erano per lo più incollate all’orizzonte o tra loro in complicate evoluzioni di lingua a cui Albus avrebbe preferito non assistere. Passò in rassegna le lunghe fioriere colme di piante dai colori vivaci, poi scrutò il mare in cerca di un particolare che risvegliasse la sua attenzione. Fu così che lo vide, scivolando pigramente con gli occhi dai fiori all’acqua scintillante, e forse fu proprio a causa del contesto che gli parve subito così incredibilmente affascinante. In un tavolino di poco discosto dall’uscita era seduto, solo come lui, un giovane che doveva avere all’incirca la sua età, dalla figura slanciata e magra e il viso allungato coronato da una cascata di capelli biondi che, sotto la luce diretta del sole, brillavano fino quasi a sembrare bianchi. Stava a capo chino, le gambe incrociate e gli occhi riparati dietro ad un grosso paio d’occhiali da sole, intento a leggere. Non sembrava interessato al tramonto come tutti gli altri avventori, né a chi gli stava attorno; si muoveva solo per girare pagina o per allungare un braccio affusolato ad afferrare il bicchiere di vino bianco che aveva sul tavolino e portarselo alle labbra. Era vestito con cura, riuscendo ad essere in qualche modo casual ma elegante, e i suoi modi affascinarono Albus a tal punto da farlo incantare per un attimo su di lui, inebetito. Si riscosse dopo più di un minuto e si sentì in imbarazzo per il modo sfrontato con cui l’aveva fissato, ma non poté fare a meno di spiarlo ancora.
Stranamente, Albus ebbe l’impressione che quel giovane misterioso avesse un che di familiare. Di certo non era greco, visto il colore dei suoi capelli e ancor di più quello della sua carnagione, e dopo un po’ Albus si disse che probabilmente era solo il fatto di trovarlo terribilmente inglese a farlo sembrare strano, ma non riuscì a scrollarsi di dosso la sensazione di averlo già visto da qualche parte. Passò in rassegna i giocatori delle squadre che avevano disputato le ultime battute della Coppa Europea di Quidditch che la sua formazione, i Tutshill Tornados, aveva brillantemente vinto, schiacciando le roselline francesi del Quiberon Quafflepunchers. Niente da fare, non era un giocatore che conoscesse. Non sapeva dove l’avesse già visto, ma ciò che con angoscia non si spiegava era come fosse possibile che una perla simile gli fosse sfuggita. Più lo fissava più lo trovava affascinante ed eccitante. Le sue mani curate e delicate gli ispiravano pensieri osceni, così come lo incantavano la bocca rosea e le lunghe gambe sinuose. Avrebbe voluto vedere dietro agli occhiali scuri, per poter osservare i suoi occhi, che dovevano senza alcun dubbio essere belli quanto tutto il resto.
Perso in quell’ispezione Albus si accorse troppo tardi, e con suo enorme disappunto, che si era fatto scoprire. Il giovane aveva alzato la testa, forse per girare la pagina, o forse solo per godersi un attimo della lenta discesa del sole verso il mare, e l’aveva colto in pieno. Albus si immobilizzò, non osando distogliere lo sguardo come se questo fosse un’ammissione di colpa, ma assistendo impotente al momento della verità, in cui il ragazzo si sarebbe alzato, l’avrebbe raggiunto e, senza dire una parola, gli avrebbe mollato un cazzotto. Non sarebbe di certo stata la prima volta. Evidentemente i suoi occhi tendevano ad essere troppo eloquenti circa i suoi reali pensieri.
Invece niente. Albus attese che l’altro reagisse, ma quello non fece altro che sogghignare dietro a quei maledetti occhiali scuri e bere un altro sorso di vino, rivolto ancora nella sua direzione. Albus sorrise sollevato a sua volta: pareva proprio che per una volta ci avesse azzeccato e che la sua preda fosse un meraviglioso esemplare di finocchio, motivo per il quale non avrebbe cercato di ucciderlo per il suo ardimentoso fissare. Dal sorriso sembrava invece che non avrebbe disdegnato un tentativo di abbordaggio ben fatto. Albus immaginò una dozzina delle più classiche scene di avvicinamento e seduzione, ma alla fine si sentì un po’ demoralizzato: erano quasi tre mesi che non usciva con un uomo per colpa di quella benedetta Coppa Europea e del ritiro precedente, e si sentiva nettamente arrugginito. Non gli andava, in fondo, di fare una figuraccia appena diventato campione europeo, per cui forse valeva la pena starsene buono a guardare il tramonto e ammirare in silenzio lo sconosciuto misterioso. Avrebbe avuto modo di riutilizzare la sua immagine nei momenti di solitudine, magari quella notte stessa.
Il tramonto fece il suo dovere e come ogni giorno colorò il cielo di arancio, rosso e rosa, lasciando per qualche secondo i presenti senza fiato. Il giovane biondo sollevò finalmente gli occhi dal suo libro e rimirò lo spettacolo, e Albus si convinse di non aver notato assolutamente il modo in cui il tramonto colorava i suoi capelli di un rosa pallido. Averlo notato avrebbe indicato una crisi d’astinenza di proporzioni mostruose. Per sicurezza si bevve anche un’altra sorsata di frappè greco. Quando il sole scomparve sotto l’orizzonte e lo scintillio delle acque si disperse, Albus trasse dalla tasca l’orologio e sobbalzò. Si era fatto molto più tardi di quanto pensasse, mentre era perso nelle sue elucubrazioni, e i suoi compagni lo aspettavano per cena. Si alzò in tutta fretta, rivolgendo un ultimo sguardo dispiaciuto in direzione del giovane, che con la sua schiacciante fortuna non avrebbe mai più rivisto, quindi si fece strada verso l’uscita.
Aveva appena passato il tavolino del biondo quando sentì una voce alle sue spalle chiamarlo.
“Potter!”
Si voltò, perplesso, a guardare il giovane misterioso che aveva parlato.
“Ma come, sei stato a fissarmi per un’ora e adesso te ne vai senza nemmeno salutare?”
Albus lo guardò con apprensione. Alla fine lo conosceva davvero, allora, solamente non si ricordava chi fosse; così ora avrebbe potuto esibirsi in una suprema figura barbina.
Il tipo, tuttavia, fu piuttosto paziente nei suoi confronti. Vedendolo confuso sorrise e finalmente si tolse gli occhiali da sole, rivelando due occhi che Albus non avrebbe mai potuto dimenticare.
“Malfoy!” esclamò, più sorpreso che compiaciuto. “Con quegli occhiali non ti avevo riconosciuto…”
“Capisco… Così abbiamo appurato che il motivo per cui mi fissavi non era il ricordo dei bei tempi andati…”
Albus temette di arrossire, ma ridacchiò nervosamente, fingendo sicurezza.
“Che ci fai qui?” gli chiese, per cambiare argomento.
“Tu che ci fai qui?” ribattè l’altro.
“Io…sono un giocatore professionista di Quidditch adesso. La mia squadra ha appena disputato la Coppa Europea. E abbiamo vinto, naturalmente,” aggiunse, gonfiando il petto d’orgoglio.
Scorpius sorrise, annuendo.
“Io sono qui per la Coppa. Sono sempre stato un tifoso dei Tutshill Tornados e non avevo dubbi che avremmo vinto quest’anno. Apparentemente abbiamo un Cercatore molto bravo…”
Il sorriso di Albus si allargò, sentendo che parlava di lui.
“Oh, sei un mio fan, quindi!” esclamò divertito, sentendo la tensione tra loro allentarsi un po’.
“Non esageriamo,” lo ridimensionò Scorpius, ma senza smettere di sorridere. “Non si può comunque negare che tu sia uno dei più forti Cercatori in circolazione.”
Ancora una volta Albus gongolò. Anche se giocava da un paio d’anni e i giornalisti non gli lesinavano mai complimenti riceverne di nuovi lo lusingava sempre. Gli piaceva sentirsi dire quanto era bravo.
“Stavi andando via?” domandò Scorpius, ridestandolo dalla sua autocelebrazione.
Albus guardò l’uscita, come se questa potesse fornirgli una risposta.
“Sì,” disse, cercando di infondere alla sua voce il miglior tono dispiaciuto. “I miei compagni mi aspettano per cena. Sai, è l’ultima volta che mangiamo tutti insieme, poi tornano a casa.”
“Anche tu?”
Albus scosse la testa.
“No. Ho deciso che mi sono meritato qualche giorno di vacanza e qui il mare è splendido. Mi tratterrò ancora un po’.”
Scorpius sorrise e si mise a fissare il proprio bicchiere di vino mezzo vuoto, cancellando con i polpastrelli la condensa che vi si era formata sui lati.
“Allora potrebbe capitare di incontrarci ancora,” osservò in modo casuale.
Per Albus quello fu un invito davanti al quale non poteva tirarsi indietro. Inspirò a fondo.
“Cosa fai domani per cena?” sputò fuori tutto d’un fiato, senza fermarsi a cercare giri di parole inutili.
Il sorrisetto sulle labbra di Scorpius si allargò.
La schiena di Albus andò a sbattere con forza contro la parete della sua camera d’albergo, mentre il corpo di Scorpius si modellava sul suo colmando ogni spazio e seguendone ogni curva. La cena era durata poco, molto poco. Avrebbero potuto farne a meno, aveva pensato Albus un momento prima di piegarsi su Scorpius e baciarlo per la prima volta, appena fuori dal ristorante. Avrebbero potuto andare subito al sodo, visto che quello era palesemente l’unico pensiero fisso che aveva riempito la mente di entrambi per tutta la serata. Ciononostante era felice di aver avuto la possibilità di parlare con lui per un po’, perché era stato corroso per ventiquattro ore dalla curiosità e dal dubbio: perché mai non aveva notato Scorpius ai tempi della scuola? Il responso ora era inequivocabile: non c’era un solo motivo che lo spiegasse. Scorpius era simpatico, a volte dotato di un’ironia un po’ troppo tagliente forse, ma per lo più divertente. Era carino, molto carino, e le sue maniere un po’ snob e fin troppo aggraziate lo rendevano ancora più attraente. Aveva un modo di fare rilassato e non aggressivo, che lasciava spazio agli altri, e in questo caso ad Albus, perché potessero esprimere le loro migliori qualità, ma al tempo stesso aveva un modo di scegliere le parole perspicace che gli permetteva di intavolare con casualità e naturalezza questo o quell’argomento, guidando la conversazione come più gli andava a genio. In definitiva era intrigante e piacevole, e il suo essere così apertamente gay da potersi mettere un paio di pantaloni come quelli che indossava senza remore non faceva altro che aumentare il suo fascino.
Le mani di Scorpius scesero a slacciare i pantaloni di Albus ed egli si trovò a pensare per un attimo a quanta cura aveva messo nel vestirsi quella sera. Tutta fatica sprecata, tempo perso inutilmente. E dire che lui non era tipo da cambiarsi dieci volte o starsene per venti minuti di fronte a uno specchio, chiedendogli cos’avesse che non andava. Aveva ereditato tre cose da suo padre: l’aspetto fisico, e per quegli occhi ringraziava Dio ogni giorno, la bravura nel Quidditch, ma quello poteva anche essere un gene materno, e l’assoluta incapacità di rendersi presentabile. I suoi capelli versavano ogni giorno in condizioni diverse, sempre al limite della decenza, e i suoi vestiti tendevano al supersportivo, perché qualsiasi cosa di vagamente elegante indossasse lo faceva sentire scemo. Nonostante queste premesse, prima di cena aveva speso gli ultimi minuti di trepidazione ad aggiustarsi i vestiti, come se lisciare una piega indesiderata della camicia potesse mettere un po’ a tacere l’urlo degli ormoni che chiedevano di essere liberati. Non si emozionava così per un’uscita dai tempi di Hogwarts, e se quella non era davvero una crisi di astinenza allora lui non si chiamava Albus Potter. O forse poteva essere semplicemente tutta colpa di Scorpius.
Quando le labbra di Scorpius scivolarono più lievi di una carezza lungo il suo ventre e si chiusero sulla punta della sua erezione Albus capì, al di fuori di qualsiasi altro dubbio, che la colpa era tutta sua. Colpa della sua bocca morbida e della sua pelle liscia, che scorreva sotto le sue mani in modo delizioso. Colpa dei suoi capelli troppo chiari, così fini che scivolavano tra le sue dita come acqua. Colpa di quel corpo che si ritrovava, delle sue gambe lunghe e magre, del bacino stretto, di quel culo meraviglioso da cui Albus aveva stentato a mollare la presa.
Pensò che sarebbe venuto lì, in piedi contro il muro dell’albergo, completamente inglobato dalla bocca esperta di Scorpius; lo ripensò quando finirono sul letto, quando riuscì ad avere Scorpius sotto di sé, nudo e sudato per il caldo e l’eccitazione, e le loro erezioni si strofinarono con forza; lo pensò di nuovo quando Scorpius si issò a cavalcioni su di lui, e senza più giochetti si abbassò, facendolo penetrare a fondo dentro di sè, tra i suoi glutei sodi che lo stringevano in modo così meraviglioso che Albus non ricordava di aver mai provato nulla di simile. Invece venne quando la mano di Scorpius prese a muoversi frenetica, quando lo vide tirarsi indietro leggermente, irrigidendosi, e il suo orgasmo sprizzò tra le sue dita, cadendo sul ventre e sul petto di Albus in spesse gocce bianche. Allora afferrò Scorpius per i fianchi e si spinse dentro di lui con forza, ancora e ancora, così dentro che gli parve persino impossibile, e finalmente sentì la tensione esplodere, attraversarlo e riversarsi dentro l’altro, lasciandolo senza fiato e leggermente disorientato.
Respirò a fondo, senza staccare le mani dai fianchi di Scorpius, incapace di lasciarlo andare. Fissò ad occhi spalancati il soffitto, poi la debole luce esterna fu offuscata dall’ombra di Scorpius che si chinava su di lui e, dopo i minuti in cui la passione li aveva costretti a dividersi, lo baciò. Scoprì, come una bolla di calore che gli scoppiava nel petto, che gli erano mancate le sue labbra. Dentro di sé desiderò fortemente di aver fatto più attenzione a chi gli stava attorno, ai tempi della scuola. Gli pareva di aver sprecato tanto tempo…
Scorpius si mosse con lentezza, un po’ timidamente, e Albus tolse le mani che gli si erano incollate ai fianchi dell’altro, permettendogli di sdraiarsi accanto a lui. Scorpius lo fece con un gemito compiaciuto e soddisfatto che fece rabbrividire Albus. Si voltò su un lato e gli sorrise, contemplando i suoi capelli, scuriti dal sudore e un po’ appiccicati tra loro sulla fronte. Ogni minuto che passava gli sembrava che diventasse sempre più bello.
“Che c’è?” domandò Scorpius ansimando, evidentemente divertito dal suo strano atteggiamento.
“Pensavo…” biascicò Albus. “Perché non ci siamo mai parlati a scuola?”
“Mmm…” Scorpius premette le labbra tra loro, un gesto che Albus gli aveva visto fare un paio di volte durante la serata mentre rifletteva. “Veramente ci siamo parlati, solo che tu mi hai rapidamente rimosso dai tuoi ricordi…” disse alla fine, scherzoso.
Albus allungò una mano per dargli una spinta, ma dopo che l’ebbe fatto non la ritrasse, lasciandola invece mollemente appoggiata sul suo petto.
“Per quanto me lo rinfaccerai? Avevi quegli stupidi occhiali… Come pretendi che potessi riconoscerti?”
Scorpius ridacchiò sommessamente. Albus osservò la propria mano alzarsi ed abbassarsi a ogni sobbalzo del suo petto.
“Allora non so che dirti…” sospirò infine Scorpius. “Probabilmente è stata una concomitanza di fattori: Case diverse, interessi, amici… Non avevamo granchè in comune.”
Albus si disse che era vero. Si ricordò di suo zio che diceva loro di lasciar perdere i Malfoy prima ancora che iniziasse il primo anno, e lui poteva dire di aver seguito il consiglio alla lettera. Non l’aveva mai preso di mira, non aveva mai intrattenuto con lui relazioni amichevoli; l’aveva ignorato per sette anni e aveva lasciato che, con la fine della scuola, liberasse anche il minuscolo posto che fino ad allora aveva occupato nella sua vita. Si era dimenticato di lui semplicemente perché non avevano niente in comune. Si chiese se, ora che aveva un motivo per ricordarlo, avrebbero anche scoperto di condividere qualcosa.
“Già,” sospirò, facendo scivolare le dita sul suo petto in una carezza assente. “È un peccato però.” Fece una pausa e sogghignò. “Eri già così bravo a letto?”
Scorpius alzò un sopracciglio.
“Se era tutta una scusa per farmi i complimenti potevi anche dirlo subito. Non servivano tanti giri di parole.”
“Veramente miravo a farmi dire che ero bravo anch’io,” mentì Albus.
“Ah…” mormorò Scorpius.
Albus attese, ma la conferma non arrivò. Si incupì.
“È un modo per dire di no?”
Scorpius scoppiò a ridere.
“Che faccia…” biascicò. “Ma come faccio a giudicare? Non ho materiale a sufficienza…”
Albus colse al volo la provocazione. Gli salì sopra, tirandogli indietro i capelli che gli si erano appiccicati alla fronte.
“Se era tutta una scusa per farlo di nuovo potevi anche dirlo subito,” gli fece eco.
“L’ho detto, infatti,” ribattè Scorpius sornione. “Ho solo preso tempo per recuperare…”
Albus fissò le sue labbra muoversi nel buio e sentì disperatamente l’impulso di baciarlo. Lo voleva ancora, sentiva il desiderio crescere prepotentemente in lui, facendogli scorrere il sangue più velocemente nelle vene e accelerando il suo battito cardiaco. Si impossessò della sua bocca, affondando la lingua fra le due fila di denti perfetti, e non appena sfiorò quella di Scorpius sentì il formicolio dell’eccitazione diffonderglisi nel basso ventre. Il suo membro si contrasse contro il bacino dell’altro e le labbra di Scorpius si tesero sotto le sue in un sorriso spontaneo. Albus gemette, baciandolo con maggior slancio.
Dieci minuti dopo, quando Scorpius spalancò le gambe e lo intrappolò tra le sue cosce, Albus esclamò di pura gioia. Avrebbe pensato che si sarebbe pure potuto innamorare di un uomo che lo faceva sentire così, elettrizzato e onnipotente ma al contempo quasi sottomesso, uno che si muoveva come Scorpius e lo baciava in quel modo. L’avrebbe pensato, se ne fosse stato in grado; invece ringhiò di piacere e si fece travolgere dalla sensazione estatica che gli dava affondare nel suo corpo per la seconda volta, mentre nella sua mente riecheggiava solo il suono gutturale del gemito che questo aveva strappato a Scorpius.
L’orologio segnava le 4.35 quando Scorpius smise di baciarlo e sbadigliò nel cuscino. Albus rise, accarezzandogli la schiena nuda e liscia, poi fu travolto dallo sbadiglio indotto e piegò la testa, nascondendola nel suo collo.
“Mi sa che è ora che io me ne vada,” mormorò Scorpius.
L’aveva detto piano, come se non avesse voluto rovinare l’atmosfera, ma Albus sentì l’aria farsi istantaneamente un po’ stantia all’interno della stanza. Sorrise, rispolverando il galateo del sesso casuale.
“Certo,” disse, nascondendo la delusione.
“Vado in bagno,” sussurrò allora Scorpius.
Albus lo guardò allontanarsi e si passò la mani sul viso, cercando di recuperare un po’ di lucidità nonostante il sonno e la stanchezza. Si sentiva felice ed esausto al contempo; non voleva che Scorpius se ne andasse. La porta si aprì dopo pochi minuti e Scorpius si rivestì velocemente. Albus non si perse un secondo di quello spogliarello al contrario e per l’ennesima volta quella notte pensò che era bellissimo, e che avrebbe voluto rivederlo.
“Allora io vado,” annunciò Scorpius, in piedi di fianco al letto.
Albus annuì con aria assente, poi si riscosse e si alzò, zampettando nudo com’era fino alla porta al seguito di Scorpius. Rimasero lì in piedi, immobili, Albus con la porta socchiusa tra le mani e Scorpius con un piede già oltre la soglia.
“Buonanotte,” sussurrò Albus, fissandolo dritto negli occhi.
Avrebbe voluto baciarlo, ma temeva che fosse un gesto eccessivamente intimo. Scorpius lo cavò d’impaccio, chinandosi a farlo lui stesso, e Albus avvertì subito l’aria farsi più leggera. Chiuse gli occhi e quando li riaprì vide che Scorpius lo fissava con un sorrisetto scaltro. Istintivamente, per nessun motivo, si vergognò un po’.
“Buonanotte,” gli augurò Scorpius, uscendo. Poi si voltò di scatto. “Non sono male queste rimpatriate. Dovremmo farle più spesso,” disse.
Albus sogghignò, sicuro che si sarebbero incontrati di nuovo molto presto. Lo guardò allontanarsi e rimase lì, con la testa infilata nello spiraglio della porta, fino a che Scorpius scomparve giù per le scale.
Albus fece un passo indietro, considerando il muro davanti a sé con attenzione. Poi piegò la testa di lato, corrugando la fronte.
“È dritto.”
La voce dietro di lui lo fece raddrizzare. Voltò la testa proprio mentre un braccio gli cingeva la vita e il mento leggermente appuntito di Scorpius si posava sulla sua spalla. Non resistette all’impulso di sfregare il naso contro la sua guancia.
“Smetti di guardarla,” lo pregò Scorpius. “Tanto lo so che stai solo contemplando te stesso.”
Albus ghignò.
“Non è colpa mia se sono fotogenico.”
“Infatti non lo sei,” replicò Scorpius.
Albus lo ignorò, tornando a guardare il muro. Constatò con soddisfazione che il quadretto era davvero diritto e che il suo poco tempo libero a casa era stato ben speso nell’appendere foto alle pareti.
Scorpius sospirò.
“Come stiamo diventando melensi,” mormorò. “Prima andiamo a vivere insieme, ora le foto sul muro… Andrà a finire che la prossima volta che verranno a trovarci i nostri amici li obbligheremo a guardare le foto delle nostre vacanze romantiche per ore.”
“Non so se sarebbero contenti,” obiettò Albus. “Sarebbero tutte foto scattate in camera da letto…”
“Già,” concordò Scorpius. “E poi non mi va che ti vedano nudo. Ci sarà pur qualche vantaggio nel sopportare di vivere con un buzzurro come te, no? Pretendo l’esclusiva.”
Albus si voltò, fissandolo scandalizzato.
“Io sarei un buzzurro?”
“Certo,” ribattè Scorpius senza scomporsi e riuscendo persino a rimanere serio. “Sembri quasi etero.” Poi il suo sguardo si fece più dolce. “Ma è anche per questo che mi piaci…”
Albus ridacchiò e tornò a voltarsi verso la foto.
“Dai, muoviti, che il pranzo è pronto,” lo incitò dopo qualche secondo Scorpius, tirandolo gentilmente per un fianco. “Ricordati che da domani sei in ritiro e mangerai merda. Non vorrai sprecare quest’ultima occasione di mangiare decentemente…”
Albus sospirò drammaticamente, nascondendo dentro di sé l’amarezza della prossima partenza. Altre settimane lontane da casa, lontane quindi da Scorpius. I periodi di calma, in cui potevano starsene per un po’ da soli tranquilli come qualsiasi altra coppia, erano sempre troppo pochi e decisamente troppo brevi. Ora capiva perché sua madre aveva scelto di abbandonare il Quidditch quando aveva deciso di farsi una famiglia. Per sua fortuna, però, Scorpius non lavorava e non aveva ancora espresso lamentele circa la sua scarsa presenza tra le mura domestiche. Albus si premurava di fare in modo che le sue visite colmassero il più possibile le sue lunghe assenze. Era difficile, a volte, ma la decisione di andare a vivere insieme aveva reso le cose un po’ più comode, se non altro, e Albus era sicuro che, con il tempo, avrebbero imparato a far fronte anche alla lontananza.
Scorpius dovette intendere il corso dei suoi pensieri, perché gli sorrise e lo baciò con tenerezza.
“Dai, romanticone,” lo prese bonariamente in giro, tirandolo verso la sala da pranzo. “Andiamo.”
Sul muro, dopo che se ne furono andati, rimase la foto di due ragazzi identici a loro, ma di un anno più giovani. I due sorridevano al vuoto di fronte a loro dalla terrazza di una Kafenia greca, sullo sfondo di un tramonto mozzafiato. Erano abbracciati e, dal modo in cui si guardavano l’un l’altro di tanto in tanto, risultava evidente che a quel tramonto non avessero nemmeno badato, rapiti com'erano l'uno dall'altro.
I DON’T WANNA KNOW - NEW FOUND GLORY
I don't wanna know
I don't wanna know
Your eyes were covered in sunglasses
When they first met mine
I sat there and stared at you
You didn't seem to mind
The awkward ways we meet
First comes heavy breathing
Staring at the ceiling
What will happen next
I don't wanna know
I don't wanna know
I never cared how I dressed before
But I cared that night
Anticipation ran through my bones
And my clothes never fit right
I can't wait 'til we meet again
First comes heavy breathing
Staring at the ceiling
What will happen next
I don't wanna know
I don't wanna know
Framed pictures start to be put on the walls
Constant visits while I’m out on the road
It’s hard to leave sometimes
But you know where I lay my head at night
First comes heavy breathing
Staring at the ceiling
What will happen next
I don't wanna know
I don't wanna know
fanfic,
bdt,
the gay,
the hp world