[hey!Say!Jump] Once upon a time

Oct 14, 2012 14:35

Titolo: Once upon a time
Fandom: Hey!Say!Jump
Pairing: Yabu Kota x Inoo Kei
Rating: G
Avvertenze: Slash, Death!Fic
Disclaimer: I personaggi non sono miei, tutti i diritti riservati e i fatti narrati sono frutto della mia fantasia. La storia non è scritta con scopo di lucro.
Riassunto: « Il principe e il suo regno. Vissero tutti felici e contenti? »
« Ci vuole una principessa perché ci sia il lieto fine Kei. » sbuffò Kota.
Note: Scritta per la think_angst con il prompt “Medical!AU” e per la 500themes_ita con il prompt “52. Draghi nell’ombra” e per la 24ore con il prompt “Libellula”
WordCount: 4036 fiumidiparole

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Kota camminava lentamente lungo i sentieri della foresta. Teneva le orecchie ben tese, stringendo fra le mani il suo arco, continuando a mettere un piede avanti all’altro, stando ben attento a non fare nemmeno un rumore.
Perché se avesse respirato anche solo un po’ più rumorosamente la sua preda sarebbe scappata e lui non poteva permettersi di tornare a casa a mani vuote. Aveva bisogna di portare a termine quella caccia, di tornare al castello con un bel cervo giovane perché quella era la sua prova per dimostrare di essere bravo come tutti gli altri cacciatori del villaggio.
I suoi occhi scivolarono su ogni ramo, albero, roccia o impronta che riuscivano a tenere d’occhio, mentre vedeva delle nuvole di aria calda uscire dalla sua bocca, scontrandosi con il gelo della notte che lo circondava.
Ad un certo punto sentì un rumore, qualche decina di metri da lui. Strinse gli occhi, cercando di vedere le ombre che circondavano, cercando di notare qualche movimento che lo potesse portare un passo più vicino alla sua preda e alla sua gloria.
Strinse una mano sull’impugnatura, mentre la mano libera si spingeva fin dietro la sua schiena, stringendo fra le dita una freccia, appoggiandola delicatamente sulla corda. Si mosse di un paio di passi, poi fu tutta questione da pochi secondi.
Alzò rapidamente l’arco, lo spostò sulla destra e la mano liberò la freccia dalla sua prigionia, facendola scoccare nell’aria.
Kota la poteva sentire sibilare, ma durò solo pochi secondi. Poi seguì un tonfo secco nell’aria e il giovane sorrise.
Avvicinandosi accese una candela, osservando trionfante la sua preda. Ora che aveva difeso il suo onore, pensò osservando il cervo morto ai suoi piedi, poteva tornare a palazzo.

« E vissero tutti felici e contenti? » chiese una accanto a lui interrompendo la sua lettura.
Il ragazzo alzò lo sguardo dal libro, fissandolo con un sopracciglio alzato.
« Chi? »
« Il principe e il suo regno. Vissero tutti felici e contenti? »
« Ci vuole una principessa perché ci sia il lieto fine Kei. » sbuffò Kota « Su, fammi leggere, altrimenti non lo scopriremo mai. »
« Mh. E dov’è la Principessa? Perché il Principe non fa altro che cacciare e cacciare? »
« Perché è un Principe. E deve difendere il suo onore davanti al suo popolo, altrimenti non potrà governare con saggezza. » lo fissò, accennando un sorriso « La Principessa arriverà a breve, tranquillo. »
« E’ un Principe stupido. » borbottò Kei sbuffando.
« Tutti i principi lo sono fino a che non si innamorano. » ridacchiò il più grande.
Kei si sistemò meglio, appoggiando la testa sul cuscino e osservando Kota con il libro in mano, seduto sul ciglio del suo letto, che lo guardava.
« E’ assurdo che siano degli stupidi a salvare le principesse. »
« Sono favole Kei. » osservò l’orologio « Ma la finirà un’altra volta. Ora è tardi e tu devi riposare. »
« Sono solo le dieci di sera! Non ho cinque anni. » si lamentò.
Kota gli accarezzò i capelli, sorridendogli.
« Lo so. Domani tornò e leggiamo un altro pezzo, va bene? »
Il più piccolo sbuffò di nuovo, ma si sdraiò senza continuare a fare storie, tirandosi la coperta fin sopra le spalle. Kota gli rimboccò le coperte e poi si alzò dal letto, dandogli un bacio sulla fronte.
« Ci vediamo domani, va bene? »
Kei annuì. Poi sbadigliò e chiuse gli occhi, addormentandosi quasi all’istante. Il sorriso sulle labbra di Kota si spense rapidamente, osservandosi intorno. Non gli era piaciuto quel trasferimento improvviso e dentro di sé sapeva perfettamente perché si trovavano in quella stanza asettica, esclusa dal resto del mondo.
Decise di non pensarci, perché ci aveva pensato anche troppo e non era giunto a nessuna soluzione.
Si chiuse la porta alle spalle, appoggiandosi e sospirando pesantemente.
Sorrise di circostanza ad un paio di infermiere che lo stavano fissando e poi si allontanò dalla stanza.

**

Kota rientrò dentro la piazza del villaggio, appoggiando sul tavolo di un mercante il corpo del cervo che fino a quel momento aveva portato sulle spalle. Stava per farsi lasciare cadere a terra, stremato da quei due giorni di caccia intensiva per catturare il cervo più maestoso di tutto il branco, quando suo padre, il Re, uscì dal palazzo principale e lo raggiunse velocemente, abbracciandolo con gioia.
« Sono felice di vederti in salute, figlio mio. » mormorò con gli occhi lucidi per l’emozione senza riuscire ancora a sciogliere l’abbraccio « Sono stato terribilmente in pena in questi giorni. »
« Dovete stare tranquillo padre. Sono un valoroso cacciatore e sono tornato vincitore. » indicò con un gesto della mano la sua preda « Ecco, il cervo più maestoso dell’intero branco, catturato solo per voi e per la vostra tavola. »
« Questo cervo dimostra a tutti di che stoffa sei fatto figlio mio. Ora rientriamo. Abbiamo un banchetto che ci aspetta e non vorrai far aspettare gli ospiti, vero? »
Kota ridacchiò, scuotendo la testa. Alzò la testa, osservando il castello maestoso, e il villaggio coperto dalle mura cittadine estendersi per chilometri.
Desiderava proteggere quel luogo, quelle persone. Lui un giorno sarebbe stato il Re e voleva riuscire a governarle con saggezza e con rispetto ed essere ricordato come una persona misericordiosa, non come un tiranno.
Il suo sorriso si fece leggermente più ampio e poi seguì il padre, che si era già incamminato verso la metà delle scale che portavano all’ingresso principale del palazzo.
Si lavò rapidamente prima di raggiungere nuovamente l’uomo dentro la sala reale, dove era stato allestito un banchetto in suo onore.

Kei sbuffò, lasciandosi ricadere sdraiato nel materasso. Kota interruppe la lettura, osservandolo divertito.
« Che cosa hai Kei? »
« Questo principe è veramente stupido Kota. » si lamentò « Ma insomma, non è con un cervo che diventi un bravo re. »
« No, però un bravo cacciatore può assicurare qualche preda in più negli inverni più difficili. »
Kei scosse le spalle.
« E il lieto fine? » domandò ancora.
« La principessa non è ancora apparsa Kei. Non essere impaziente, la storia è appena iniziata. »
« Ma questo è un principe antipatico! Non capisce nulla, sicuramente la principessa lo manderà a quel paese una volta incontrato. »
Kota sorrise, avvicinandosi. Kei lo guardò. Avrebbe voluto avvicinarsi a sua volta, farsi stringere e baciare, come poco tempo prima, ma si sentiva debole. Negli ultimi giorni anche solo alzarsi dal letto era un vero tormento.
Quella mattina avrebbe voluto alzarsi da quel letto in cui era rinchiuso da quasi due settimane, ma non ci era riuscito. Si era svegliato stanco e quel senso di inutilità e di rabbia non lo aveva abbandonato nemmeno per un istante.
Si sdraiò di nuovo, allontanandosi. Avrebbe voluto ignorare lo sguardo ferito di Kota, ma non ci riuscì. Chiuse gli occhi.
« Ho sonno Ko. Per oggi… lasciamo perdere la favola. »
« Dovresti provare a stare sveglio per un altro po’. Possiamo guardare la televisione, che ne pensi? »
« No. Sono stanco, io… » si morse un labbro, pentendosi quasi subito del tono brusco che aveva utilizzato « Davvero, preferirei stare da solo. » mormorò poi, distogliendo lo sguardo.
Kota annuì, alzandosi in piedi. Sistemò il camice spiegazzato, stringendogli con forza la mano, come se volesse infondergli un po’ di coraggio. Ma Kei non aveva bisogno di coraggio, il più grande lo sapeva bene. Eppure non riuscì a fare a meno di guardarlo, mordendosi un labbro, chiedendosi perché fosse successo proprio a lui, proprio a loro, chiedendosi quale colpa di una vita precedente dovessero scontare per aver ricevuto tutta quella sofferenza.
Kei chiuse di nuovo gli occhi, svicolando la mano dalla stretta di Kota, dandogli la schiena e muovendosi quanto gli permettevano i tubi attaccati alle sue braccia.
« Buonanotte Ko. » sussurrò solo il ragazzino.
« Buonanotte Kei. Ci vediamo domani. »
Il più piccolo annuì, gli occhi lucidi per la rabbia e l’impotenza. Avrebbe voluto urlare che era stanco di stare male, stanco di essere guardato in quella maniera, stanco di aver bisogno di un aiuto anche solo per alzarsi in piedi e urlare a Kota che non era giusto che lui stesse ogni secondo al suo fianco, che non era giusto guardarlo morire.
Ma rimase in silenzio. Non voleva discutere, non voleva urlare e se anche avesse voluto le forze gli sarebbero mancate poco dopo.
Era stanco di essere stanco.
Si addormentò abbastanza velocemente, nonostante la rabbia.

**

Kota si diresse lentamente verso il reparto di Oncoematologia. Erano passate già tre settimane da quando Kei aveva avuto l’ultimo crollo, quello che lo aveva definitivamente costretto in un letto, in una stanza asettica, completamente priva di germi che lo potessero portare alla morte.
Lo vedeva sempre più debole, sempre più stanco, sempre più arrabbiato contro sé stesso e contro quella malattia che gli stava rendendo marcio quel corpo che odiava più di qualunque altra cosa.
Pensava di essere pronto per quel calvario, per quella sofferenza, ma in realtà non lo era mai stato e mai ci sarebbe potuto riuscire. Amava così tanto Kei che vederlo spegnersi ora dopo ora davanti ai suoi occhi lo straziava.
Cinque anni prima erano pieni di speranza per quella malattia. Cinque anni prima avevano ancora una vita che non fosse costellata da medicinali, da ricoveri improvvisi in ospedali, da visite o sedute di chemioterapie di volta in volta sempre più devastanti.
Aveva visto Kei affrontare coraggiosamente quella malattia, lo aveva visto abbattersi quando era dimagrito vistosamente e aveva perso tutti i capelli. Lo aveva sentito allontanarsi perché si vergognava di farsi vedere in quello stato, di farsi vedere debole davanti a lui, ma Kota non si era mai fatto prendere dallo sconforto.
Era lui il suo medico, il suo fidanzato, era lui la sua sola ancora di salvezza. Non poteva mostrarsi debole a sua volta, non poteva farsi vedere mente piangeva perché altrimenti Kei, il suo piccolo Kei, si sarebbe definitivamente lasciato andare.
Si fermò davanti alla stanza di Kei. Stava ancora dormendo. Aveva finito da un paio d’ore l’ultima seduta di chemioterapia e si era rifiutato di andare a fare un po’ di movimento fuori con l’infermiere, anche solo stando seduto sulla sedia a rotelle, per prendere un po’ d’aria nel giardino della clinica.
Kota aveva parlato con il resto del personale, giusto per avere qualche informazioni in più di quelle che gli dava il ragazzo. E se davanti a lui Kei si mostrava allegro e pieno di energie, gli infermieri non potevano dire lo stesso quando il dottore andava via.
Il ragazzo che sembrava aver comunque legato più di tutti gli altri era Yamada, un giovane volontario che aiutava i pazienti nella loro degenza in ospedale.
Parlava con loro, gli portava ciò di cui avevano bisogno, li ascoltava e li consolava quando i parenti più stretti sembravano essere troppo occupati per farlo.
Kei gli si era affezionato. Forse perché erano più o meno coetanei, forse perché Yamada era guidato da un intramontabile ottimismo o forse perché Kei aveva un disperato bisogno di confrontarsi con qualcuno che non fosse il suo fidanzato e dottore allo stesso tempo.
Kota era felice di quella amicizia. Era raro per il ragazzo parlare con qualcuno che non fosse lui.
Il più grande lo aveva conosciuto quando Kei abitava ancora in una casa famiglia. Si erano conosciuti per caso, il più piccolo stava scappando da un conbini e Kota si era semplicemente trovato davanti la porta.
La vita era sempre stata ingiusta con Kei, in quel momento più che mai.
Mancava poco, Kota se lo sentiva. Poco e sarebbe tornato da solo, al buio della sua esistenza, senza più la luce piena di innocenza che Kei vi aveva portato.
Mancava poco e il dottore non era affatto pronto.

**

Il principe camminava lentamente, come qualche mese prima. Camminava al buio, alla ricerca della presa, senza riuscire a trovarla.
Camminò a lungo, fino a trovarsi, senza sapere come, ai confini della foresta e quando superò la linea immaginaria, Kota si ritrovò catapultato in un mondo completamente diverso da quello che conosceva.

« Magari così diventa anche intelligente. » borbottò Kei.
Kota ridacchiò, senza interrompere la sua lettura.

Si guadò intorno, con aria spaesata. Dov’era la sua foresta? Dov’erano tutti gli animali che lo circondavano poco prima?
E poi, perché improvvisamente era giorno?
Il principe si alzò in piedi, stringendo l’arco in una mano e la spada nell’altra. Iniziò a camminare, rimanendo sempre attento a costeggiare la riva del fiume, con le orecchie ben tese, pronto a difendersi da qualunque cosa lui considerasse un nemico.
Il sole continuava ad essere alto nel cielo, fino a che una enorme ombra non lo privo per qualche secondo della luce. Nello slancio per alzare la testa e osservare il cielo, Kota perse l’equilibrio, finendo con la schiena contro il terreno.
Rimase comunque immobilizzato al suono, agghiacciato non solo dalla misteriosa creatura che stava volando nel cielo, ma anche nel potente ruggito che risuono nell’aria.
Non riuscì nemmeno ad allungare la mano verso le sue armi, che si sarebbero comunque rivelate completamente inutili, che la bestia volò in cerchio un altro paio di volte prima di scomparire verso est.
Kota ansimò per qualche secondo, poi si lasciò cadere del tutto a terra. Socchiuse gli occhi, cercando di stabilizzare il proprio cuore per farlo tornare ad un battito umano.
Si rialzò in piedi e poi iniziò a correre. Doveva assolutamente tornare nella sua casa, nel suo mondo o dove diavolo fosse.
Corse con tutte le sue forze, fino a che non fece notte. A quel punto cadde di nuovo a terra, stremato, e si addormentò in riva al fiume.

« Questo principe è sempre più inutile Kota. » borbottò Kei sbadigliando.
Kota sorrise, chiudendo il libro e accarezzandogli una guancia.
« E’ perché non ha ancora trovato chi lo può rendere felice. »
« L’amore non rende felici. » decretò caustico il più piccolo.
« Io sono felice di stare con te e di amarti. » mormorò il dottore, poco voglioso, a dir la verità, di intraprendere quel discorso.
Kei si morse un labbro e chinò gli occhi, come in un vano tentativo di impedire a sé stesso di parlare, senza riuscirci.
« Sto morendo Ko. Siamo seri. Tu… » scosse le spalle « Forse dovresti fare a cambio con un altro dottore. »
« Io starò per sempre al tuo fianco. Fino alla fine. » gli prese le mani, stringendole fra le proprie, dandovi dei leggeri baci « Non mi allontanerò da te per niente al mondo. »
« Farà male Kota. Tu non te lo meriti. Non ti meriti tutta questa sofferenza. »
Il più grande sorrise, scuotendo le spalle, sorridendogli.
« Non mi interessa. Non andrò via. »
Si avvicinò a lui, baciandolo dolcemente. Non avrebbe dovuto, lo sapeva. Era un dottore, ne era perfettamente conscio. Ma qualcosa dentro di lui gli diceva che non avrebbe potuto farlo ancora per molto.
Socchiuse gli occhi, felice del fatto che Kei non si fosse ritirato da quel bacio come faceva quasi sempre. Schiuse leggermente le labbra, sfiorando la lingua di Kei con la propria, assaporandola.
Sentiva gli occhi pieni di lacrime, ma non avrebbe pianto. Non davanti a lui. Non poteva cedere in quel modo, in quel momento. Si allontanò a malincuore, senza smettere di sorridergli.
Poi gli tirò su le coperte, coprendolo fin sopra le spalle.
« Ora dormi, domani continuo a leggerti la storia. »
Kei sbadigliò e annuì. Non ebbe nemmeno il tempo di rendersene conto, che si era già addormentato.
E quello, Yabu lo sapeva bene, non era mai un buon segno..

**

Quando lo aveva conosciuto Kei aveva undici anni e viveva in una casa famiglia. Si toglieva gli sfizi rubacchiando dolcetti o manga nei conbini.
E quel giorno ce l’avrebbe anche fatta se lui, dall’alto dei suoi ventidue anni non si fosse trovato davanti all’ingresso e non si fosse fatto travolgere da quel piccolo ciclone.
Kota si era ritrovato a terra, con il bambino sullo stomaco e il commesso furibondo. Il ragazzo aveva letto il disagio e il terrore nei suoi occhi e lo aveva spacciato per suo fratello minore e lo aveva implorato di non chiamare nessuno.
A quell’epoca Kota lavorava part-time in un karaoke e veder volare via la sua paga settimanale fu una sofferenza, ma non poteva fare altrimenti.
In breve era diventato amico di quel ragazzino che continuava a girargli intorno, senza mai allontanarsi un istante. Alla casa famiglia sembrava che nessuno si fosse mai accorto delle sue assenze e al più piccolo andava bene così.
Quando si erano messi insieme, Kei aveva diciassette anni e Kota aveva appena finite il tirocinio ed era stato nominato dottore e di anni ne aveva ventotto.
Ma nessuno sapeva di loro e ad entrambi andava bene così. L’anno successo aveva diagnosticato la leucemia a Kei e da quel momento era iniziato il loro calvario che stava per concludersi tragicamente da lì a poche settimane.
Kei aveva appena compiuto ventitré anni e il dottore si era sentito inutile, con la sua bella laurea mentre osservava morire il suo fidanzato.
All’improvviso, la settimana prima, il più piccolo gli aveva chiesto di leggergli una favola. Lui non ci riusciva e si stancava quasi subito e nessuno, poi, gliele aveva mai letto. Con una stretta al cuore Kota aveva acconsentito. Gli sembrava un po’ come l’ultima richiesta di un condannato a morte e forse la realtà non si scostava nemmeno così tanto dai suoi pensieri.

**

Il principe si svegliò che era ancora vicino al fiume. Era l’alba e il solo illuminava debolmente il paesaggio intorno a lui. All’improvviso, un piccolo insetto iniziò a volargli davanti al volto.
Kota la riconobbe come una libellula solo dopo qualche minuto e rimase a fissarla, chiedendosi perché l’animale continuasse a rimanere immobile davanti al suo volto. Questo fino a che la libellula non iniziò a parlargli.
« Tu sei un Principe. Uno vero. » disse solo.
Kota sussultò, afferrando la spada.
« Tu parli. » sussurrò con voce strozzata.
« In questo mondo tutti noi animali parliamo. » rispose l’altro come se fosse normale « Nel tuo mondo gli animali non lo fanno? »
« …no. » commentò solo Kota « Come fai a sapere che sono un principe? Questo non è il mio mondo. »
« Era Destino che tu arrivassi qua, per tener fede alla leggenda. Un Principe arrivato da lontano giungerà alla Torre Incantata e salverà la Principessa. » recitò a memoria l’animale.
« Mh. E perché dovrei farlo? »
« Non ne ho idea. Io ti ho detto quello che sei tenuto a fare, non il perché. »
« Una Principessa hai detto? E’ imprigionata nella Torre Incantata. »
La libellula mosse il capo.
« Anni e anni fa bevve per sbaglio una pozione avvelenata e scivolò a terra come morta, ma la bontà degli animali che la piansero commosse la nostra sacra Dea, che la strappò dalla morte e la fece rimanere addormentata. Ci disse che solo il bacio di un vero principe l’avrebbe portata finalmente alla vita. » la libellula sembrò tentennare, ma rimase in silenzio
« Quindi dovrei solo trovarla e baciarla. » concluse il ragazzo.
La libellula annuì di nuovo e allora, armato di buona volontà Kota s’incamminò verso la Torre Incantata. Adesso che era di nuovo giorno, poteva vederla scintillare in fondo alla vale in cui si trovava.

« Un Principe innamorato, ovviamente. » aggiunse fra sé e sé l’animale incantato, avendo cura di non farsi udire dal Principe, anche se era già lontano da lui.

Kota chiuse il libro. Osservò Kei, che già dormiva da qualche minuto. Si avvicinò a lui, osservandolo.
Gli accarezzò il volto, asciugandogli il sudore con una pezza umida. Osservò i parametri vitali sul monitor, più lenti ma sempre costanti del giorno prima. Gli strinse una mano, appoggiandoci sopra la fronte e concesse a sé stesso solo una lacrima.

**

« Un Principe non si innamora così, a prima vista. » esclamò Kei, più allegro e apparentemente pieno di energie del giorno prima.
Ma ad un’occhiata nemmeno così approfondita, si comprendeva subito che non era così e Kota non aveva una laurea in medicina per nulla. Il volto di Kei era sempre più magro, pallido e il fiato era più affannato, anche se effettivamente non stava facendo niente di che. Il capello che nascondeva l’assenza del capelli era calato fin sotto le orecchie e a differenza del giorno prima aveva dei tubicini trasparenti nel naso, che lo aiutavano a respirare meglio.
Kota aveva impiegato qualche minuto per abituarsi a quella nuova realtà. I polmoni del fidanzato facevano giorno dopo giorno sempre più fatica a respirare in maniera autonoma.
« Continuiamo con la storia? » domandò piano, con la gola secca.
Kei gli sorrise, annuendo entusiasta e si tirò leggermente seduto, per poter ascoltare meglio.

Raggiungere la Torre Incantata non fu così difficile per il principe Kota. Da quando aveva parlato con l’animale improvvisamente davanti a lui non vedeva altro che la Torre.
All’improvviso, nel cuore della notte che ormai era calata su tutto il nuovo mondo sconosciuto, sentì di nuovo il ruggito che lo aveva sconvolto il giorno prima. Ma questa volta, motivato dalla nobile missione di salvare la Principessa il suo cuore non tremava più come la volta precedente.
Sguainata la spada, si avventò coraggiosamente verso l’animale che faceva da guardia al sonno incantato della Principessa e dopo un trepido duello lo sconfisse.
Il principe Kota era stanco ma doveva assolutamente salvare la donna. Si scapicollò lungo le scale che si facevano passo dopo passo sempre più ripide, ma alla fine riuscì a raggiungere la sala reale in cui era stata rinchiusa.
La stanza in cui entrò era bellissima e al centro si trovava un letto maestoso, sul quale era distesa la principessa addormentata.
Kota si avvicinò a lei e quando la vide si innamorò perdutamente di lei. Era bella, delicata, con i lineamenti regali e la pelle diafana.
I lunghi capelli neri le incorniciava il volto e il delicato vestito di seta bianca le ricadeva alla perfezione addosso. Le mani con le dita affusolate erano incrociate su petto e Kota non desiderò altro che svegliarla e sposarla, per renderla la regina del suo regno.
Si avvicinò lentamente a lei, si avvicinò al suo volto e poi la baciò.
Sentì all’improvviso un forte vento, poi il nulla. Quando si allontanò, la principessa sbatté un paio di volte gli occhi e poi gli sorrise dolcemente e Kota non comprese come fino a quel momento non avesse vissuto al suo fianco.
« Sono la Principessa Kei e voi mi avete svegliato dal mio sonno incantato, Principe. Voi siete l’uomo della mia vita e vi amo con tutto il mio cuore. »
Kota le afferrò le mani e la guardò intensamente negli occhi prima di baciarla ancora e ancora.
« Io invece con il Principe Kota e vi porterò al mio Regno per sposarvi. » decretò.

« Si amano? » lo interruppe Kei e Kota annuì.
« E’ il vero amore questo. Quando due persone sono destinate a stare insieme Kei, lo saranno per sempre. »
« Mh. »
Timidamente il ragazzo si avvicinò, baciandolo.
« Ho paura di morire Kota. » ammise con gli occhi lucidi.
L’altro lo abbracciò, stringendolo con forza a sé.
« Vedrai, andrà tutto bene. Io non ti lascerò mai. »

**

Yamada si avvicinò lentamente alla stanza. Doveva finire il giro, ma prima preferiva andare a controllare che tutto, nel reparto di Oncoematologia, tutto andasse bene.
Si affacciò e vide Yabu sensei seduto dove si sedeva sempre, sulle gambe il libro aperto e, senza fare rumore, entrò nella sala, dove regnava un silenzio di tomba rotto soltanto dalle parole di Kota.

Quando uscirono dalla Torre Incantata, Kota scoprì che erano nel mondo che lui aveva sempre conosciuto, vicino al suo regno.
Raggiunsero il castello, dove la Principessa Kei e il Principe Kota furono accolti con tutti gli onori degni dei futuri Re e Regina.
Il padre di Kota pianse lacrime di gioia perché finalmente suo figlio aveva trovato il vero amore e adesso era più che sicuro che sarebbe stato, un giorno, un ottimo Re.
Il giorno del loro matrimonio, giurarono amore eterno, fedeltà e gioia, verso sé stessi e verso il loro regno.
E da quel giorno, vissero per sempre felici e contenti.

Kota chiuse il libro, appoggiandolo accanto alla mano immobile di Kei. Il ragazzo aveva smesso di vivere la notte prima e a nulla era servita la sua conoscenza per salvarlo, per poter esaudire il suo ultimo desiderio, per poterlo vedere sorridere solo un’ultima volta.
Kei era morto e la sua vita gli sembrava vuota, priva di significato.
Kei aveva portato nella sua vita gioia e allegria, quella stessa allegria che lui non era stato in grado di preservare e di donargli.
Pianse accanto al corpo di Kei, coperto dalle lenzuola, facendo scivolare a terra il libro delle favole che non era riuscito a leggere fino in fondo.
Il suo lieto fine non c’era stato.
Per loro due, nessuno avrebbe mai detto “E vissero per sempre felici e contenti”.

Fine

challenge: 500themes ita, challenge: think angst {au!}, pg: yamada ryosuke, pairing: yabu x inoo, fandom: hey!say!jump, challenge: 24 ore

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