[Ninkyo Helper] My pain is to know that I'm alive

May 29, 2012 09:17

Titolo: My pain is to know that I'm alive
Fandom: Ninkyo Helper
Pairing: Izumi Reiji x Takayama Mikiya
Rating: NC17
Avvertenze: Slash
Disclaimer: I personaggi non sono miei, tutti i diritti riservati e i fatti narrati sono frutto della mia fantasia. La storia non è scritta con scopo di lucro.
Riassunto: Gli piaceva stare con suo padre. Non gli piaceva ciò che facevano insieme, ma gli voleva bene.
Note: Scritta per la think_angst con il prompt “You bleed just to know you’re alive” e per il mmom_italia
WordCount: 1556fiumidiparolee

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Era difficile. Molto difficile.
Mikiya avrebbe voluto alzare la testa e fissare il padre e dirgli che non gli piaceva quella roba. Dirgli che gli facevano male le braccia e che quell’odore lo stava per fare vomitare. Avrebbe voluto dirgli che non voleva perdere tempo, che voleva rientrare in casa perché voleva rimanere con sua madre, sentire la sua voce e sentire la sua mano delicata mentre gli accarezzava il volto.
Avrebbe voluto dirgli tante cose, ma rimase con lo sguardo fisso davanti a sé, fra le mani una pistola troppo pesante e nelle narici un odore di polvere da sparo che lo nauseava.
Tirò su con il naso, cercando di non farsi sentire dal padre. Posò il dito sul grilletto e premette con tutta la forza che aveva.
Il rumore dello sparo gli fracassò i timpani, nonostante indossasse sia i tappi che le cuffie di protezione. Serrò gli occhi, tirando leggermente indietro la pistola e poi vide suo padre avvicinarsi al bersaglio.
Si voltò verso di lui, alzando un pollice e sorridendogli. Non aveva colpito il centro, ma almeno il proiettile aveva bucato la figura. Lo aveva colpito alla spalla. Sorrise a sua volta.
Gli piaceva stare con suo padre. Non gli piaceva ciò che facevano insieme, ma gli voleva bene. Avrebbe preferito farlo quando sua madre non c’era o quando era troppo stanca per stare con lui.
Socchiuse gli occhi per un secondo, ascoltando i rumore della pistola che veniva ricaricata dal padre.
Si disse che comunque poteva sempre raggiungerla dopo pochi minuti.

**

Al funerale di sua madre Mikiya continuò a tenere gli occhi chini a terra. Sentiva le lacrime che spingevano per uscire, che si affollavano lungo il bordo e le ciglia, ma si costrinse a non chiuderli e a non piangere.
Non era un bambino. Strinse le mani a pugno in grembo, conficcandosi le unghie dentro i palmi.
Il dolore lo distrasse dalla tomba della madre, ancora aperta. Avrebbe voluto avvicinarsi, ma non ci riuscì. Sentiva le gambe pesanti come macigni e il suo corpo tremava nel tentativo di non piangere.
Vide suo padre in ginocchio davanti alla tomba. Anche il suo corpo tremava leggermente e Mikiya si chiese se stesse piangendo o se come lui stesse cercando di trattenere le lacrime.
Lo odiò. Perché a causa sua era stato meno tempo con sua madre. Perché per le sue stupidaggini da yakuza non aveva potuto essere al suo fianco mentre moriva e perché non aveva potuto stringergli la mano, così come gli aveva promesso.
Si odiò perché avrebbe voluto avere più polso e più decisione nel dirgli che non gli interessavano quelle cose e che per il momento voleva solo stare accanto a lei. Invece dalla sua bocca non erano usciti altro che borbottii poco convinti e così due giorni prima se ne erano andati a fare un giro di ricognizione fra le bande minori, per vedere come andavano le cose.
Spinse le unghie ancora più a fondo e sentì il sangue uscire dalle ferite. Si guardò i palmi leggermente insanguinati.
Gli piaceva quel dolore, quel colore, quella sensazione. Si sentiva finalmente vivo, dopo tanti anni.
Era cresciuto con la madre che era già malata e si era sempre dedicato a lei, in ogni momento. Non aveva mai cercato qualcos’altro da fare perché era quello che voleva fare, con tutto sé stesso.
Eppure, giorno dopo giorno, nel vedere la madre che moriva lentamente, aveva iniziato a sentirsi morto a sua volta.
E invece, per una volta, si sentiva vivo.
Grazie al dolore e al sangue sentiva di non essere ancora morto.

**

Mikiya non aveva mai fatto sesso con un uomo prima di quel momento. E sì, Izumi gli piaceva veramente tanto. Molto. Troppo forse.
Ma non gli interessa più di tanto quanto fosse realmente coinvolto. Da quando era morta la madre, aveva iniziato a fare qualunque cosa.
Non voleva più sentire dentro di sé quella sensazione che si ha quando si è convinti di non aver fatto abbastanza. Continuava a sentirsi in quella maniera. Da anni e anni pensava che avrebbe potuto fare tante cose in maniera completamente diversa riguardo sua madre.
E dal funerale aveva scoperto che l’unico modo che aveva per sentirsi finalmente vivo e non più come solo una marionetta vuota nelle mani di qualcun altro era provare dolore. Tanto dolore. E vedere il proprio sangue scorrere lungo la vernice bianca della ceramica del lavandino.
Si sentiva bene. Incredibilmente bene. E aveva continuato così, per anni, a tagliarsi la pelle delle braccia, ogni centimetro, più o meno profondamente. Aveva cicatrici lungo tutta la lunghezza.
Ma aveva fatto solo un errore. Con le altre persone poteva permettersi di rimanere corto, almeno la parte superiore del corpo. Non erano niente di così importante, ciò che più aveva rilevanza era fare sesso.
Con Izumi era diverso. Voleva qualcosa di più e avrebbe voluto spogliarsi del tutto. Ma sapeva che non poteva perché poi Izumi avrebbe iniziato a fare domande e lui non aveva nessuna volta di rispondere a delle domande di cui, molto probabilmente, nemmeno lui conosceva la risposta.
Avrebbe voluto che Izumi ignorasse le sue cicatrici e le sue ferite, ma sapeva che non lo avrebbe fatto.
Perché Izumi era fatto così. Era testardo e non capiva mai quando era il caso di fermarsi e di smetterla.
Sfuggì per l’ennesima volta al tentativo di Reiji di sfilargli le maglietta.
« Ho freddo. » si giustificò con un sorriso poco sincero, avvicinandosi alla spalliera del letto e stringendosi addosso la maglietta.
« C’è il riscaldamento acceso. Sto sudando. Come fai ad avere freddo? » commentò il più grande, sul punto di innervosirsi.
Mikiya scosse le spalle, non sapendo che altro aggiungere. L’altro sbuffò di nuovo e si sdraiò accanto a lui.
« Non hai voglia? » chiese poi Izumi « Puoi dirlo se vuoi. Non sarebbe una novità. » commentò un po’ acido, senza fissarlo e dandogli le spalle.
Il più piccolo si morse un labbro. Odiava quando Izumi si comportava in quella maniera, come se tutto gli fosse dovuto e come se l’unico che poteva avere dei problemi era lui.
Odiava il suo atteggiamento menefreghista e non sopportava la sua supponenza. Ma si costrinse a rimanere in silenzio.
Lo afferrò per i fianchi, sdraiandolo sul letto e poi gli sfilò i pantaloni, mettendosi accanto a lui per iniziare a toccarlo. Izumi sorrise, leggermente, muovendo i fianchi contro la sua mano, sempre lentamente.
Mentre lo masturbava avvicinò la sua bocca alla punta, succhiandola e leccandola piano perché non voleva, comunque, che il divertimento finisse così presto. Sentì la mano di Izumi stringersi sulla sua testa, afferrargli i ciuffi di capelli e spingerlo verso la sua erezione, ma non gli diede modo di continuare.
Non aveva intenzione di prenderglielo tutto in bocca. Non subito per lo meno. Continuò a muovere la mano, questa volta un po’ più velocemente, mentre anche la sua lingua e la sua bocca avevano iniziato ad aumentare l’intensità sulla sua erezione.
Sentì la voce di Izumi farsi sempre più urgente e i suoi gemiti sempre più profondi, quindi si decise ad accontentarlo. Smise di fare resistenza e si fece spingere l’intera erezione dentro la bocca, sentendolo quasi fino in fondo alla gola.
Socchiuse gli occhi, cercando di abituarsi abbastanza in fretta alla solita sensazione di nausea, ma Izumi quasi non gliene diede modo. Iniziò a spingere sempre più in fretta, tenendogli la testa ferma contro il suo inguine, mentre gemeva e ansimava il suo nome.
E gli piaceva a Mikiya sentirlo gemere il suo nome.
Si strinse ai suoi fianchi, cercando di resistere al ritmo veloce e urgente di Izumi dentro di lui e poi lo sentì gemere in maniera più roca, venendogli poi sulla lingua.
Mikiya inghiottì con fatica il suo sperma e poi si allontanò, pulendosi la bocca con il dorso della mano.
Izumi lo afferrò per le braccia, tirandolo accanto a sé.
« Grazie. » mormorò piano.
« Sei un coglione. » si limitò a dire Mikiya, stringendosi a lui fra le sue braccia.
L’altro ridacchiò e gli accarezzò le braccia da sopra la maglietta a maniche lunghe e poi lo baciò, lentamente.
« Proprio non me lo vuoi dire, vero? » mormorò piano Izumi al suo orecchio.
Mikiya si irrigidì.
« Cosa? »
« Perché porti le magliette a maniche lunghe. »
Il più piccolo sospirò. Sapeva che quel momento sarebbe arrivato. Ma non era ugualmente preparato per affrontarlo.
Si odiava, ma Izumi non avrebbe compreso il suo costante bisogno di sentire che sotto quella pelle effettivamente c’era qualcosa.
Che non c’era comunque solo carne e sangue, ma sentimenti ed emozioni che non era così sicuro di saper provare o di saper esternare.
Si sciolse dal suo abbraccio, titubante e si allontanò di qualche passo.
« Mi dispiace. Ma… non ancora Reiji. » mormorò.
Lo sentì sospirare ancora una volta. Aprì la bocca per dirgli qualcosa, ma Mikiya non gliene diede modo. Si alzò dal letto e poi, senza voltarsi indietro, scappò via, verso la sua stanza.
Si chiuse nel bagno e dalla tasca prese la sua lametta. Si alzò la manica, incidendo qualche taglio abbastanza profondo sull’avambraccio, in prossimità dell’incavo del gomito e gemette di dolore.
Osservò il sangue colare abbondantemente dalle ferite e mischiarsi poi all’acqua che usciva dal lavandino.
Sentiva il dolore penetrargli dentro ogni cellula del suo corpo e si sentì bene. Si sentiva appagato per quel dolore.
Si sentiva vivo.
E, nonostante tutto, non avrebbe rinunciato mai a quelle sensazioni.
Purtroppo, nemmeno per Izumi.

Fine.

challenge: think angst {frasi 1}, fandom: ninkyo helper, pairing: izumi x takayama, challenge: mmom-italia 2012

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