Titolo: Innocence Stolen
Fandom: Hey!Say!Jump
Pairing: Yabu Kota x Inoo Kei
Rating: NC17
Avvertenze: Slash, Shota, Death-Fic
Disclaimer: I personaggi non sono miei, tutti i diritti riservati e i fatti narrati sono frutto della mia fantasia. La storia non è scritta con scopo di lucro.
Riassunto: Per tutto il viaggio fino a Kyoto, Kei gli era rimasto appiccicato addosso e Yabu necessitava di tempo per riprendersi.
Note: Scritta per la
diecielode con il prompt “Ferita”, il
mmom_italia con il prompt “Esibizionismo” del Set Federica e per il Badwrong Weeks di
maridichallenge con il prompt “Shota”, e per la Zodiaco!Challenge di
fiumidiparole con il prompt "Angst"
WordCount: 1691
fiumidiparole **
Yabu entrò dentro la scuola elementare dove insegnava, evitando agilmente i bambini che gli correva incontro o lungo i corridoi. Raggiunse la sala degli insegnati, salutando con un sorriso i suoi colleghi di lavoro e lasciando la cartella sulla propria scrivania.
Si sedette al tavolo, prendendo i fogli della giornata, organizzando per l'ultima volta la lezione di quel giorno, cercando di ricordarsi quali avvisi dovesse lasciare ai ragazzi e quali farsi riconsegnare con la firma dei genitori.
Si avvicinava poi la gita scolastica e il lavoro era quasi triplicato. Sospirando osservò per l'ultima la scaletta che si era prefissato e si alzò in piedi al suono della campanella.
Osservò distrattamente i ragazzi che si affollavano l'uno contro l'altro nei corridoi, quando la sua attenzione fu catturata a un bambino che lo salutava.
Inoo Kei, tutte le mattine, lo aspettava fuori dalla sala con il libro di inglese in mano e degli improbabili esercizi non capiti e lo accompagnava fino all'aula, fingendo di farseli spiegare nuovamente.
Yabu ricambiò debolmente il saluto e prese di nuovo la cartella, infilandoci dentro tutti quanti i fascicoli e poi uscì dalla classe, salutando di nuovo il bambino.
« Ciao Kei-chan. » salutò con un sorriso « Sei arrivato in ritardo questa mattina, che è successo? »
Oltre al libro, il bambino alzò anche la busta di un konbini vicino la scuola.
« Ho dimenticato il pranzo a casa, sensei. » rispose con la sua voce squillante e con la sua solita faccia svagata.
Yabu gli spettinò i capelli, senza dire altro. Kei allora alzò il libro aperto verso di lui.
« Non ho capito l'esercizio numero tre. Me lo puoi rispiegare mentre andiamo in classe, sensei? » chiese ancora.
« Certo. » sorrise Yabu.
Iniziarono a camminare verso l'aula e mentre Yabu gli parlava, cercava di resistere. Si diede mentalmente del pervertito. Era un pedofilo, ne era consapevole.
Eppure, non voleva, tutto qua.
Avrebbe voluto osservare il volto puro di Kei non provare nulla se non la tenerezza che tipicamente ispirano i bambini.
Invece sentiva l'intestino rivoltarsi nell'addome e l'erezione spingere debolmente nei suoi pantaloni. Socchiuse gli occhi, reprimendo il più possibile i propri istinti e spinse il bambino dentro la classe, senza concludere la spiegazione.
I bambini si alzarono in piedi, mentre Yabu si nascondeva dietro la scrivania, cercando di non farsi vedere da nessuno.
Iniziò a parlare della gita scolastica che si sarebbe svolta da lì a breve, consegnò gli avvisi, recuperò quelli che aveva già dato e poi finalmente aprì a sua volta il libro, iniziando la lezione del giorno.
Cercò di evitare il più possibile di guardare Kei. Il più piccolo non lo stava guardando, in realtà. Il bambino aveva il libro aperto sul banco, la matita fra le dita e fissava fuori dalla finestra con fare assorto e Yabu non poteva fare a meno di rimanerne affascinato.
Si costrinse a distogliere lo sguardo, voltandosi verso la lavagna. Era passata nemmeno un'ora da quando era entrato dentro la scuola e già rischiava di impazzire.
Doveva assolutamente fare qualcosa per estirpare quell'ossessione dalla sua testa.
Yabu aveva cercato in tutti i modi di trovare un sostituto per la gita scolastica. La sua paranoia stava raggiungendo livelli mai visti prima, complice anche una visita a sorpresa di Kei e di altri compagni della sua classe per consegnargli un mazzo di fiori per il suo compleanno.
Li aveva invitati a prendere un tè con dei biscotti, poi li aveva riaccompagnati a casa. Kei era l'ultimo ad essere rimasto nella sua macchina e Yabu ogni tanto gli lanciava delle occhiate nervose.
Era là, piccolo e indifeso sul sedile anteriore della macchina, che mandava mail dal suo cellulare, parlandogli senza sosta di quello che aveva fatto in quei giorni.
E Yabu invece osservava quelle mani già così adulte e femminili, osservava i suoi lineamenti farsi più delicati di giorno in giorno e non riusciva più a resistere alla tentazione.
Quando erano finalmente arrivati a casa del bambino, Yabu era tornato di corsa a casa e si era liberato dei pantaloni, iniziando a toccarsi pensando al piccolo Kei.
Quando aveva raggiunto l'orgasmo, non aveva nemmeno avuto il coraggio di guardarsi allo specchio.
Si faceva schifo.
Proprio per quel motivo, per evitare di fare del male a Kei, aveva cercato disperatamente qualcuno che prendesse il suo posto ma nessuno era disponibile.
In quel momento i bambini erano fuori con la seconda insegnante e lui aveva finalmente il pomeriggio libero. Per tutto il viaggio fino a Kyoto, Kei gli era rimasto appiccicato addosso e Yabu necessitava di tempo per riprendersi.
Squillò il telefono e stancamente Yabu lo prese, rispondendo alla chiamata. Si ghiacciò nel letto, poi, sempre con la stessa stanchezza, chiuse il cellulare si alzò.
Rimase per qualche secondo immobile di fronte alla propria porta e poi uscì, cercando di calmarsi.
Bussò alla porta di Kei. Il bambino aveva detto che non si sentiva molto bene e che quindi rimaneva in albergo.
Yabu doveva solo controllare di tanto in tanto se andasse tutto bene. Bussò alla porta del ragazzo e si azzardò ad entrare. Il ragazzino sembrava stare fin troppo bene e giocava con un game-boy sotto le coperte.
« Sensei! » esclamò il bambino guardandolo, sorridendogli « Mi dispiace darti problemi. So che è il tuo giorno libero. »
« Non fa niente Kei-chan. » commentò sedendosi accanto a lui « L'importante è che tu stia bene. »
« E' stare accanto a te che mi fa sentire bene sensei. »
Yabu sbiancò, distogliendo lo sguardo. Socchiuse gli occhi. Si alzò, trovando a malapena le forze per andarsene, quando il bambino gli afferrò la mano con entrambe le piccole mani e lo tirò di nuovo sul letto.
« Mi annoio a stare da solo, sensei. Mi puoi fare compagnia? »
Yabu deglutì, annuendo debolmente. Sentiva la sua forza di volontà farsi sempre meno. Tornò seduto, ma il bambino non accennava a lasciargli la mano. La pelle morbida di Kei sfiorava la sua e il più grande non riuscì più a trattenersi.
Si voltò verso di lui, sfiorandogli una guancia. Qualcosa dentro di lui urlava di scappare via, di inventarsi qualche malattia e di cambiare città, dove la presenza di Kei non potesse più ossessionarlo.
Ma decise di ignorare quell'istinto dentro di lui e continuò a toccare la pelle del bambino, scivolando lentamente verso il piccolo petto, poi verso le gambe, ancora coperte dal lenzuolo.
« Sensei...? » domandò stupito l'altro.
« Tranquillo. » balbettò Yabu « E' normale. Fanno così le persone che si voglio bene. » mormorò piano senza staccare gli occhi dal corpo del più piccolo.
« Il sensei... mi vuole bene? » sussurrò il ragazzino.
« S-Sì. E anche tu me ne vuoi, vero? »
Il più piccolo annuì, senza dire altro. Yabu continuò a toccarlo, facendo scivolare la mano sotto la maglietta e ansimò quando toccò la pelle calda e nuda di Kei.
Lentamente gli scostò la coperta, scivolando poi lungo le gambe.
« Ti dà fastidio il sensei che ti tocca? » domandò con la voce che continuava a tremare.
Il bambino scosse di nuovo la testa e le mani di Yabu gli tolsero lentamente i pantaloni e i boxer, lasciandolo nudo.
Gli sfiorò l'erezione, mentre Yabu sentiva la propria premere dentro i pantaloni, dolorosamente. Mosse la mano, un po' più veloce e vide il bambino socchiudere gli occhi e ansimare, il respiro sempre più pesante via via che la mano si muoveva su di lui e il rossore sulle sue guance si faceva sempre più forte.
« Ti piace quello che sta facendo il sensei? » domandò ancora.
Il più piccolo ansimò, annuendo debolmente.
« Vuoi... che anche il sensei provi piacere come te, Kei? »
Kei aprì debolmente gli occhi, annuendo di nuovo. Cercando di non spostare la mano di Yabu da sopra di sé si avvicinò a lui. Il più grande si tolse velocemente i pantaloni.
« Devi fare
così. » gli prese lentamente il polso e poi poggiò la sua mano sulla propria erezione.
Il rossore sulle guance di Kei aumentò ancora di più, mentre l'eccitazione di Yabu si faceva sempre più dolorosa.
La mano e le dita del più piccolo si strinsero intorno a lui, e Yabu si lasciò andare ad un gemito di piacere. Continuò a muovere la mano su Kei, desiderando che quel momento non finisse mai.
Sentì lo sperma di Kei nella sua mano e si risvegliò come un lungo sogno. Tolse delicatamente la mano di Kei da sopra di lui e poi lo spinse contro il materasso.
« Kei... io... mi dispiace, credo... di non riuscire a fermarmi, tu mi capisci? »
Il più piccolo lo osservò, annuendo e sorridendogli.
« Io amo il sensei. E il sensei può fare di me quello che vuole. Anche tu mi ami, vero sensei? »
Yabu annuì, sentendo gli occhi lucidi.
« Sì certo. Amo Kei-chan più di quello che puoi immaginare. »
Lentamente lo preparò, lentamente gli sussurrò parole dolci all'orecchio, lentamente lo fece suo.
Lentamente si accorse di quello che stava facendo, lentamente si sentì un mostro.
Quando uscì dal corpo di Kei, si sentì male. Aveva sporcato un bambino innocente, lo aveva violato, rubandogli gli ultimi attimi della sua innocenza e della sua infanzia.
Sentiva il respiro farsi sempre più pesante mentre Kei era caduto, stremato, addormento fra le coperte.
Gli sfiorò i capelli.
Era bello Kei. Bello come lo aveva sempre immaginato solo nei suoi sogni e solo nei suoi sogni tutto quello doveva rimanere.
Lo sapeva.
Prese lentamente il cuscino. Fece per premerlo sulla faccia del bambino, proprio quel bambino di cui aveva abusato, quando il cellulare di Kei squillò.
Era una mail. Lo prese. Kei continuò a dormire. Non lesse nulla. Rimase solo qualche secondo a fissare lo sfondo del cellulare. Era una foto che avevano fatto quel pomeriggio.
Kei sorrideva. Lui anche. Il bambino gli circondava il collo con un braccio. Guancia contro guancia.
Tutto quello non era giusto.
Lasciò cadere il cuscino. Corse nella sua stanza, si chiuse dentro.
Dal bagno afferrò una lametta e, sedendosi sul letto, aprì tre lunghe ferite lungo i propri polsi.
Non poteva permettere che una cosa del genere accadesse ancora. Non doveva più accadere. Mai più.
Lui non avrebbe mai più toccato Kei. Non lo avrebbe più insudiciato. E dopo di lui, non sarebbe capitato più a nessun altro bambino.
Quando chiuse gli occhi, sapendo che non li avrebbe mai più riaperti, delle lacrime scivolarono lungo le sue guance.
Fine.