Titolo: Heaven sent down an angel to my heart {Yabu Kota - Angel come to me}
Fandom: Hey!Say!Jump
Pairing: Yabu Kota x Inoo Kei
Rating: NC17
Avvertenze: Slash, AU!
Disclaimer: I personaggi non sono miei, tutti i diritti riservati e i fatti narrati sono frutto della mia fantasia. La storia non è scritta con scopo di lucro.
Riassunto: Yabu odiava tutto quello. Lo odiava selvaggiamente, dal più profondo del suo cuore.
Note: Scritta per il quarto giorno di “Carnevale delle Lande” indetto da
auversee per la
khorakhane_ita con il prompt “Dove cammina il mio destino c'è un filo di paura.”
WordCount: 2822@
fiumidiparole Prompt fillato: “Hey! Say! JUMP, Inoobu AU Stepbrother, NC-17, Scrivania” di
vogue91 **
Trovarsi ad abitare in una nuova casa per Yabu Kota era veramente stressante, nonché incredibilmente fastidioso.
Non si trovava bene nella nuova villetta a Chiba. La città era decisamente grande, dopotutto era la città principale della prefettura, però si trovava comunque lontano dalla vita di una città, anzi, una capitale, come Tokyo. Si era visto trascinare via da una vita che aveva vissuto per più di diciotto anni, lontano dagli amici, dai pochi punti fermi che era riuscito a costruirsi dopo la morte della madre.
Nervosamente gettò l'ultimo scatolone dei libri nella sua stanza e si osservò intorno. La stanza era ricoperta di polvere e di sporcizia.
Yabu odiava tutto quello. Lo odiava selvaggiamente, dal più profondo del suo cuore.
Si gettò sul materasso ancora incartato, fissando il soffitto vuoto. Non gli piaceva quella stanza, non gli piaceva quella città, non gli piacevano le persone con cui sarebbe andato a vivere e tanto meglio gli piaceva l'idea di dover abitare là.
Bussarono alla porta e lui alzò la testa.
Era suo padre. Grugnì un saluto, tornando a stendersi.
« Kota, io e Kyoko andiamo a prendere le ultime cose per l'arredamento. Abbiamo lasciato una copia delle chiavi appese in ingresso, se ti servono... » il ragazzo gli diede le spalle, senza rispondere e il padre sospirò « … le puoi tranquillamente prendere. » concluse, scuotendo la testa.
Yabu rimase a fissare il muro davanti a sé fino a che non udì la porta chiudersi dietro il padre e la matrigna.
Si alzò in piedi, prendendo il telefono.
« Yuyan! » esclamò a voce alta scendendo le scale, nervoso « Yuyan, appena hai un solo minuto libero devi venire qua a Chiba. Sì, non ne posso più e no, non m'interessa, voglio solo... » mentre passava oltre la cucina, una persona vi uscì e si scontrarono.
Il piatto di carta che Kei, il fratellastro, aveva fra le mani cadde a terra. Il ragazzo gettò un gridolino disperato osservando il suo panino e si accucciò a terra, ignorandolo.
Yabu lo squadrò per un secondo, osservando solo la testa, poi sbuffò un'altra volta.
« No, non è successo nulla Yuya. Voglio che tu venga a Chiba. Il prima possibile. » disse solo afferrando le chiavi e uscendo.
**
Yabu rientrò in casa dopo qualche ora e, dopo aver infilato le ciabatte all'ingresso, salì le scale, passando davanti alla stanza di Kei, che era rimasto con la porta aperta e lo vide seduto a terra, in mezzo agli scatoloni, con le gambe al petto, che fissava oltre la finestra.
Rimase in mezzo al corridoio per qualche secondo, cercando di capire che cosa stesse guardando di così affascinante, ma non vide nulla se non l'acero che c'era piantato nel giardino.
Scosse le spalle ed entrò nella sua camera, iniziando a sistemare.
**
Già il giorno dopo Yabu doveva andare nella nuova scuola. Quella era una cosa che lo seccava più di tutto quanto. Mancava meno di un semestre al diploma dato che ormai si trovavano già a dicembre, aveva i suoi amici e, soprattutto, una buona media scolastica.
Si sarebbe dovuto diplomare in una delle più buone scuole di Tokyo, già accettato alla Waseda.
Invece aveva dovuto mollare tutto quanto e fare in fretta e furia il test d'ingresso per un'altra università. Da dove si trovavano loro la Waseda era troppo lontana, avrebbe impiegato più di due ore ad arrivarci e, considerando che i corsi finivano troppo tardi, non era certo di riuscire a prendere l'ultimo treno che lo avrebbe riaccompagnato a casa.
Fortunatamente aveva passato il test, nonostante il voto fosse più basso di quello che aveva ottenuto alla prima università.
Cercando di scacciare quei pensieri dalla testa, Yabu scese in fretta in cucina, dove trovò Kyoko che gli sistemava il bento e Kei che stava facendo colazione con della zuppa di miso e del risotto.
Si sedette davanti a lui, ringraziando per il pasto. Fondamentalmente non ce l'aveva né con lei e né con il figlio.
Semplicemente, potevano trasferirsi solo loro a Tokyo. L'appartamento dove lui e suo padre avevano vissuto fino alla settimana prima non era enorme, ma non era nemmeno un buco.
Ci potevano stare benissimo tutti e quattro. Kyoko poi era sempre molto disponibile con lui a differenza del padre e Yabu ci andava abbastanza d'accordo. A volte pensava di essere sua madre, ma moderava subito il tono e cambiava argomento e Yabu d'altronde non aveva quasi mai voglia di litigare.
Solo il figlio, Kei, gli era sempre sembrato abbastanza strano. Certo, loro due si erano visti solo due o tre volte e l'ultima volta era stato al matrimonio, prima che si ritrovassero a vivere sotto lo stesso tetto nel giro di cinque giorni.
Gli sembrava più magro dalla prima volta che lo aveva visto e con uno sguardo ancora più assente di quello che ricordava. Gli lanciò una veloce occhiata, prima di iniziare a mangiare. Kei aveva mormorato un saluto e non aveva alzato gli occhi dalla sua ciotola.
L'unica cosa positiva che poteva trovare in tutto quello, era che la scuola superiore si trovava in fondo alla strada. Kyoko e Kei abitavano, prima del matrimonio, in un appartamento in un condominio in fondo alla strada.
Quindi per il ragazzo alla fin fine poco era cambiato. Continuava a vedere i suoi amici, continuava a frequentare la stessa scuola, continuava ad avere la stessa vita di prima.
Sbuffò. Finì di mangiare e poi tornò in camera a cambiarsi. Appesa all'armadio si trovava la sua divisa nuova.
Era simile a quella che aveva prima, solo con stemmi e colori diversi. Indossò i pantaloni e vi infilò dentro la camicia, poi si fece il nodo alla cravatta.
Yabu aveva sempre frequentato scuole private dove la divisa includevano una cravatta. Era stata sua madre ad insegnargli a fargli il nodo ed era una cosa a cui vi era particolarmente affezionato. Non avrebbe mai indossato la cravatta con la clip che davano in dotazione.
Infilò la giacca, di un color panna che proprio non gli piaceva, e controllò di aver sistemato tutti i libri nella cartella.
Scese e vide che Kei si stava infilando le scarpe. Era vestito esattamente come lui e, come sempre, non gli parlava. Si sedette accanto a lui, imitandolo. Le scarpe erano leggermente strette, ma forse perché erano anche nuove.
Seccato, si alzò in piedi. Osservò la porta, come se fosse un ostacolo insormontabile da superare, poi prese le chiavi e uscì.
**
Il primo giorno di scuola fu meno traumatico del previsto. Si era presentato, aveva fatto le dovute dichiarazioni che l'educazione gli imponevano e poi era andato a sedersi al suo banco, in fondo alla classe. Era vicino alla finestra, dietro Kei.
Gli osservò la schiena, piegata in avanti, con il mento appoggiato alle mani e i capelli, lisci come spaghetti che ricadevano oltre le spalle.
Distolse l'attenzione da lui e tornò a fissare la lavagna. Nonostante tutto, il suo odio per la matematica non era cambiato.
**
Ormai era passata più di una settimana. Yabu e Kyoko si era lentamente abituato l'uno alla presenza dell'altra, anche se il ragazzo continuava ad avere problemi a relazionarsi con Kei. Non che fosse impaziente di diventare il suo migliore amico, ma forse, giusto per abitavano nella stessa casa e dormivano distanti solo un paio di metri, avrebbe dovuto.
Quel pomeriggio, mentre camminava verso un piccolo complesso commerciale per comprarsi qualcosa da mangiare, sentì dei rumori provenire da dietro l'edificio di un alimentari.
Curioso, si sporse oltre l'angolo e vide dei ragazzi della sua scuola, forse della sua classe, che si accanivano brutalmente su un altro ragazzo.
Uno di loro afferrò quello a terra, sbattendolo con la schiena contro il muro. Yabu sbiancò.
Kei fece ricadere pesantemente la testa sul petto, ansimante, senza nemmeno avere le forze per alzare le braccia e respingerli.
Yabu allora non ci vide più. Saltò fuori da dietro il cassonetto e spinse via il ragazzo che teneva Kei. Quest'ultimo scivolò a terra, gemendo. Yabu non era mai stato un campione di rissa da strada. Anche se era più alto della media, rimanere secco e slanciato, senza i muscoli necessari per tirare qualche pugno decente.
Ma non se ne sarebbe andato.
**
Kota arrancò verso l'ingresso, appoggiandosi pesantemente alla porta di casa. Strinse ancora di più le mani intorno alle gambe di Kei, svenuto contro la sua schiena. Il più grande prese con fatica le chiavi da dentro la tasca del giacchetto e, con ancora più fatica, salì le scale.
Aprì la camera di Kei, completamente immersa nel buio, accese la luce e lasciò cadere il più piccolo sul letto.
Yabu scivolò a terra, stremato. Ansimò, fissando il soffitto, leggermente illuminato solo dalla lampada sulla scrivania che era riuscito ad accedente.
Serrò gli occhi, sentendo improvvisamente dolore ovunque. A Tokyo non era mai capitato di trovarsi in mezzo ad una rissa e per questo non si era mai preparato ad una probabile rissa, dietro un alimentare per difendere il tuo fratellastro che si stava facendo malmenare senza nemmeno fare nulla per difendersi.
Si alzò con fatica su un gomito, guardandosi intorno. La stanza era incredibilmente ordinata a differenza sua. Ogni cosa era al suo posto e non si vedeva nemmeno un filo di polvere. Tutti i vestiti che non si trovavano nell'armadio erano riposti accuratamente in un mobile basso sotto la finestra.
Sospirò, alzandosi in piedi. Le gambe gli tremavano e tenere la schiena dritta era difficile, ancora di più lo era fare quei pochi metri che lo separavano dalla doccia.
Lanciò un ultimo sguardo a Kei ancora addormentato nel letto e poi lo lasciò solo.
**
Quella sera, per non dover mostrare i lividi, si portò la cena in camera, dicendo che doveva studiare per gli ultimi test e non poteva assolutamente perdere tempo al piano di sotto.
In realtà si mise a vedere la televisione con le cuffie. Mangiò lentamente, perché anche aprire o chiudere la bocca gli costava tanto dolore.
Ad un certo punto bussarono alla porta. Yabu spense la televisione e poggiò il vassoio sul tavolo, pieno di libri.
Sulla soglia ci trovò Kei, sempre a testa china, con una tuta larga addosso, mentre si teneva un braccio con una mano.
Rimase fermo per un secondo a fissarlo, poi lo afferrò per una spalla e lo tirò dentro la stanza, chiudendogli la porta alle spalle.
Yabu tornò a sedersi alla scrivania, mentre Kei rimase in piedi, guardandosi intorno, continuando a tormentarsi un labbro con i denti.
« Mi dispiace per questo pomeriggio. Non volevo coinvolgerti. » mormorò piano Kei, chinando ancora di più la testa.
« Sono intervenuto di mia spontanea iniziativa. Non è colpa tua... Kei. » aggiunse titubante scrollando le spalle « Perché eri finito là in mezzo? » domandò poi « Non ti stavi nemmeno difendendo e sai, i loro pugni non sono nemmeno così leggeri. » concluse portandosi una mano alla mandibola.
Il più piccolo si morse un labbro con più forza.
« Perché tanto non avrei potuto fare nulla. Loro... sono più forti di me. » disse solo « E ormai va avanti da talmente tanto tempo che non m'interessa quello che fanno. »
Yabu alzò un sopracciglio, perplesso.
« Da quanto? » Kei scrollò le spalle, ma rimase in silenzio e Yabu non indagò oltre « Sei andato a disinfettarti le ferite? » domandò poi avvicinandosi.
Fece per prenderlo per un polso, ma l'altro si scostò, allontanandosi.
« Non mi toccare. » ansimò solo il più piccolo « Non mi piace. »
« Certo. Scusami. » sussurrò piano Yabu, stupito da quel gesto
« Ti lascio studiare. Grazie ancora. Ciao. » balbettò scappando via.
**
Dal giorno dopo Yabu fece caso a molto più cose che prima non riusciva a vedere. Kei davanti a lui che sussultava quando qualcuno si avvicinava, Kei che scompariva durante la pausa pranzo, Kei che andava in bagno tirando fuori dalla cartella una piccola scatolina con delle garze.
Stava uscendo finite le lezioni quando gli arrivò una mail di Kei. Diceva solo due parole:
“Palestra. Aiuto.”
Corse velocemente verso il palazzo. Entrò e si ritrovò davanti una scena simile a quella del giorno prima.
Quando Yabu riprese conoscenza erano finalmente da soli, sanguinanti e doloranti sul pavimento della palestra, Yabu si alzò a sedere.
La giacca di Kei era poco lontana da loro e il ragazzo era con la cravatta allentata, la camicia semi sbottonata e tremava, con il viso rigato dalle lacrime, anche se ormai erano secche.
Si avvicinò a lui, scuotendolo leggermente. Lo mise con la schiena contro il pavimento, scoprendogli inavvertitamente le braccia e il petto.
Lo vide pieno di lividi, di tagli, di ferite più o meno aperte, alcune curate, altre no. Trattenne il fiato. Ogni centimetro della pelle di Kei era martoriata. Lo rivestì in fretta e furia, mentre non riusciva a pensare ad altro che a quella pelle ferita.
Lo scosse leggermente, battendogli poi una mano sulla guancia. Yabu accennò un sorriso, aiutandolo ad alzarsi e il più piccolo si appoggiò a lui.
« Mi dispiace. » ripeté di nuovo tossendo « Io... Io... non sapevo chi chiamare, non sapevo cosa fare e l'unica persona... » si fermò, cercando di smettere di far tremare le parole, di impedire al proprio fiato di spezzarsi sotto i singhiozzi che cercava d'inghiottire.
« Va tutto bene Kei. » sussurrò piano Yabu « Ora ci sono io, te lo prometto. »
Kei annuì, stanco. Socchiuse gli occhi, abbracciandolo e poi, fino a che non arrivarono a casa, non disse più una parola.
**
Vedere ogni giorno le ferite sul corpo di Kei lo tormentava. Yabu non riusciva a fare a meno di sentirle sotto le sue dita ogni volta che lo prendeva, che sentiva il corpo nudo sotto il proprio.
Quando avevano iniziato a fare sesso era per Yabu un mistero. Una sera erano da soli a casa e lui e Yabu avevano litigato. Per le ferite che Kei si infliggeva, ogni giorno, per sopportare quell'umiliazione che era costretto a subire perché non era in grado di ribellarsi.
Yabu aveva alzato la voce, senza riuscire a controllarsi. Lo amava. Quando era successo? Quando la presenza di Kei era diventata così indispensabile per sentirsi felice?
Eppure, pienamente felice non poteva esserlo perché Kei non lo era. Kei stava male, soffriva e anche se la sua presenza alleviava un po' quella sofferenza, Yabu non riusciva a lasciarsi completamente andare.
Yabu sfiorava la sua pelle, la baciava, la toccava, la faceva sua. Eppure non bastava.
Non bastava il suo amore, non bastava il sesso, non bastava stargli vicino giorno dopo giorno.
Yabu aveva paura. Vivevano quella storia d'amore, quella relazione che non avrebbe dovuto nascere, continuamente sul filo del rasoio, sul filo della paura di essere scoperti.
E non riusciva a vivere, nonostante si sentisse felice.
In quel momento passò una mano sulla schiena di Kei, facendolo inarcare e gemere, ancora di più. Il più piccolo era appoggiato ad una scrivania, mentre Yabu spingeva dentro il suo corpo, mentre sentiva quel corpo caldo godere, mentre lo sentiva più vicino, così vicino come non gli era mai capitato.
Afferrò il suo sesso, stringendolo in una mano, muovendo le dita su di lui con la stessa velocità con cui spingeva dentro quel corpo bollente e ferito.
Venne, con un gemito più forte, con la mano bagnata dall'orgasmo di Kei. Ansimò. Il più piccolo si rialzò e gli accennò un sorriso. Si avvicinò a Yabu, stremato sulla sedia della scrivania e, ancora nudo, montò sopra di lui, abbracciandolo e facendosi abbracciare.
Le braccia di Yabu lo circondarono, stringendolo a sé come se solo quello avesse potuto permettergli di proteggerlo e di farlo sentire protetto.
« Ti amo. » sussurrò Kei al suo orecchio, il corpo scosso da leggeri brividi di freddo.
« Anche io. » rispose piano, in modo da farsi sentire solo da lui.
Kei si adagiò ancora di più sul corpo di Yabu, gli baciò teneramente il collo e Yabu accennò un sorriso.
« Sto cercando di smettere. » mormorò piano il più piccolo « So che quello che mi faccio non va bene. L'ho sempre saputo, ma prima di conoscerti mi dava sollievo. Era un dolore più reale, tangibile. Mi permetteva di tenere un contatto con la realtà. Ma adesso che tu ci sei, penso... di smettere. » concluse arrossendo.
Yabu lo fissò, poi lo strinse ancora di più a sé, senza riuscire a smettere di sorridere e a dirgli che lo amava, che lo voleva tutto per sé e che nulla li avrebbe separati.
Kei accennò solo un sorriso. Non replicò, ma rimase in silenzio.
**
Il giorno dopo la laurea Yabu era di nuovo nella casa che aveva imparato ad amare a sistemare gli ultimi scatoloni.
Si sarebbe di nuovo trasferito a Tokyo, con Kei.
Kei era finalmente felice, Kei riusciva a sorridere, Kei adesso riusciva a guardare in faccia la vita, a combattere, a sentirsi libero.
Si sarebbero trasferiti a Tokyo, avrebbero abitato insieme. Loro due, da soli.
Entrambi si erano laureati e avevano vissuto la loro relazione nell'ombra e nella paura, ma quando Yabu vide Kei affacciarsi alla porta della sua stanza e lo vide parlargli con quel sorriso luminoso, il più grande si disse che ne era valsa la pena.
Fine.