[Percy Jackson e gli dei dell'Olimpo] It’s time to begin, isn’t it?

Feb 20, 2014 12:38

Titolo: It’s time to begin, isn’t it?
Fandom: Percy Jackson e gli dei dell’olimpo
Pairing: Gareth Mahe (OC) x Nico Di Angelo ; Percy Jackson x Annabeth Chase ; Nathaniel Yukase
Rating: G
Avvertenze: Slash, Missing Moment
Disclaimer: I personaggi non sono miei, tutti i diritti riservati e i fatti narrati sono frutto della mia fantasia. La storia non è scritta con scopo di lucro.
Riassunto: Nate stringeva il corpo morto di Nico fra le sue braccia. Il semidio aveva appena smesso di respirare e il figlio di Apollo era completamente sporco di sangue, la testa completamente vuota.
Note: Scritta per il COW-T4 di maridichallenge con il prompt “Nuovo mondo” e per la 500themes-ita con il prompt “127. Anima perduta”
Note 2: Piccolo missing moment incentrato su Nathaniel Yukase e si inserisce più o meno a metà di *questa* storia.
WordCount: 4545 fiumidiparole

Nate stringeva il corpo morto di Nico fra le sue braccia. Il semidio aveva appena smesso di respirare e il figlio di Apollo era completamente sporco di sangue, la testa completamente vuota. Le sue mani erano strette convulsivamente intorno alle braccia di Nico e non riusciva a fare altro se non fissarlo.
Alzò lentamente lo sguardo verso Gareth, ancora in ginocchio davanti a lui sul sedile posteriore, le mani strette intorno a quella senza vita di Nico.
Era sbiancato e Nate non era sicuro che stesse respirando. Aveva gli occhi lucidi e si mordeva le labbra come se si stesse sforzando di non piangere
Il semidio si riscosse. Strinse ancora di più la presa intorno al corpo di Nico, passandogli le braccia intorno al busto.
« Ehi tu! Sai muoverti nell’ombra, come lui, vero? » domandò a voce alta, nel tentativo di riscuoterlo.
« Eh? Sì… io… »
« Perfetto. »
Nate aprì la portiera alle sue spalle, prendendo Nico fra le braccia, piazzandosi poi di fronte a Gareth.
« Devi raggiungere immediatamente Percy. Digli di trovare dell’acqua. E’ l’unico che può salvare Nico in questo momento. » concluse spingendo il corpo fra le sue braccia.
Gareth lo strinse con forza al petto, osservandogli il viso.
« Non capisco. » esclamò poi osservando Nate.
« Non importa che tu capisca. » lo aggredì l’altro « Muoviti, se non vuoi lasciarlo morire per davvero! » urlò esasperato.
Il negromante alzò lo sguardo su di lui. Strinse Nico con un braccio, mentre nell’altra fece apparire il suo bastone, scomparendo poi in un nube di fumo.
Nate rimase una manciata di secondi immobile. I pensieri stavano lentamente riprendendo il loro posto nella sua testa, il suo fiato ritornò nei polmoni e il suo cuore prese a battere con una tale violenza che poteva sentire il sangue scorrergli nelle vene.
Era rimasto solo nella piazzola dell’autostrada, a chilometri di distanza da Lincoln. Si massaggiò le tempie e il viso con le mani, riprendendo possesso delle proprie azioni.
A quel punto non doveva fare altro che comportarsi come aveva sempre fatto nei suoi ultimi dieci anni di vagabondaggio.
In macchina prese il suo zaino e tirò fuori una maglietta pulita, gettando la camicia sporca di sangue in un cespuglio poco lontano. Sistemò i capelli biondi in una specie di coda che doveva apparire trasandata e, sfoderando il suo miglior sorriso, si mise a fare l’autostop.

Nate raggiunse nel tardo pomeriggio la periferia della città scendendo da un pullman. Aveva contattato Annabeth, che gli aveva detto dove si erano fermati. Il motel era nei pressi di un fiume, che poi, dopo un lungo tragitto, si immetteva nell’Oceano.
Mentre Percy tentava di curare l’amico, Annabeth gli aveva spiegato che il fidanzato era andato a chiedere aiuto alla ninfa che abitava il fiume.
Quest’ultima aveva chiesto che potesse essere condotta da altre sue sorelle perché soffriva di solitudine.
Dopo ave combattuto contro un gruppo di naiadi psicopatiche che avevano tentato di ucciderlo, il figlio di Poseidone aveva accettato a cuor leggero un compromesso del genere.
In silenzio, Nate osservò Percy stringere con forza le sue mani quella di Nico.
Minuscoli rigagnoli d’acqua scivolavano dalle braccia di Percy lungo tutto il corpo bianco e freddo del figlio di Ade.
Nate osservò le ferite aperte. Si avvicinò leggermente, dalla parte opposta a quella di Percy e scostò bruscamente i lunghi capelli di Nico. Percy trattenne il fiato.
La pelle del semidio stava letteralmente marcendo a vista d’occhio, come se fosse già in decomposizione da tempo.
Gareth si muoveva irrequieto su e giù per la stanza, senza perdere d’occhio il corpo di Nico, fino a che non lo vide avvicinarsi ad Annabeth.
« Sei… sicura che funzionerà? » mormorò « Nico si risveglierà? » domandò poi.
Annabeth, pallida quanto lui, si sforzò di sorridere.
« Se qualcuno può aiutarlo, quello è Percy. Ma… lui non fa miracoli. Farà il possibile, ma non posso assicurarti nulla. »
Gareth annuì mestamente e Nate lo guardò più intensamente.
Non bisognava essere figli di Afrodite per comprendere il motivo per cui il Negromante era così in apprensione.
Percy si allontanò da Nico, ansimando, lasciandosi ricadere dietro di sé. Era bianco in viso e aveva il respiro corpo per lo sforzo.
« Come sta? » chiese Gareth avvicinandosi subito.
« Non lo so. Non so se posso portarlo indietro. L’acqua fresca lo guarisce, ma appena mi fermo ricomincia a marcire. E’ una magia troppo potente. »
« Questa non è magia di negromante! » esclamò Gareth « E’ roba divina questa! Voi siete semidei, no? Non potete fare nulla? Un sacrificio umano? Un patto di sangue? Se posso fare qualcosa, ditemelo. Sono disposto a tutto. »
« Gareth, il punto è che io sono solo un semidio. Non… » si fermò un secondo, tentando di stabilizzare la propria voce « Non posso fare più di così. » ammise.
Gareth spalancò gli occhi e poi fissò Nico. Il tenue colorito rosa che Percy era riuscito ad ottenere stava svanendo, lasciando i di nuovo posto ad un bianco pallido.
Si morse un labbro a sangue per poi
« Quindi è di tuo padre che abbiamo bisogno, giusto? » esclamò con la voce che gli tremava dalla rabbia « Lui è un dio, no? Il suo potere può aiutare Nico? »
« Cosa? Mio padre? Gareth, ascolta. » Percy afferrò il negromante per le spalle « Ascoltami. Gli dei non ti aiutano sempre. Sono egoisti e pensano quasi sempre a sé stessi. Non danno retta nemmeno ai loro figli, cosa ti fa credere che daranno ascolto a te, un semplice mortale? » chiese a voce alta, scuotendolo con forza.
Era arrabbiato Percy. Nate lo conosceva bene e vedeva come tendeva ogni muscolo del proprio corpo, il viso teso come una corda di violino.
« Se vuoi provarci, non posso impedirtelo. Ma so per esperienza che sono più le volte che rimani deluso di quelle che te ne vai soddisfatto. » concluse amaramente.
Gareth strinse le mani a pugno, ferendosi i palmi delle mani. Percy lo lasciò andare, abbastanza sicuro che si fosse calmato e che non compisse gesti azzardati. Il figlio di Poseidone riprese a camminare per la stanza.
« Il problema è che abbiamo sbagliato io ed Annabeth, fin dal principio. » disse « Non avremo dovuto lasciare Nico nelle mani di Nathaniel! » ringhiò rabbioso voltandosi verso il figlio di Apollo.
« Percy, smettila! » esclamò la ragazza.
« Perché dovrei? » urlò lui di rimando « Due volte lo abbiamo lasciato con lui e due volte ha rischiato di morire. Ti ricordi del Tartaro, Annabeth? Chirone gli aveva detto di prendersi cura di lui mentre cercavano le Porte della Morte e cosa è successo? » ansimò di rabbia « Lo ha abbandonato. Ha permesso che vagasse d solo in quell’inferno dove… dove… »
« Percy, adesso smettila. » esclamò ancora Annabeth andandogli davanti e fissandolo negli occhi verdi « Non è né il momento né il luogo adatto per parlarne. Nico non vorrebbe. Lo sai. » aggiunse con tono duro.
Percy parve riprendersi e fissò Gareth, poi si voltò verso Nate.
« Vado a cercare di parlare con mio padre. Chissà, magari improvvisamente prova compassione per il suo piccolo nipote. » borbottò amaramente lasciando la stanza.
Annabeth rimase in silenzio per qualche secondo, prima di guardare il semidio più grande.
« Nate, Percy non intendeva… »
« No Annabeth. » lo interruppe lui sospirando « Non… non ne voglio parlare. » mormorò sedendosi sul divano.
Nate osservò Gareth avvicinarsi a Nico e sospirare profondamente. Decisamente, non ci voleva un genio per comprenderlo.
Aveva sempre avuto delle difficoltà nel comprendere Nico, ma Gareth era un libro aperto. Nate sentì lo stomaco attorcigliarsi. Una volta, tanti anni prima, aveva provato gli stessi sentimenti e lo stesso dolore.
“Amore e sofferenza vanno sempre di pari passi”
Così gli aveva detto una volta Silena Beauregard, il capo cabina della casa di Afrodite.
All’epoca Nate aveva quindici anni e Silena era più grande di lui solo di un anno. Nate l’aveva corteggiata spudoratamente solo per poter soddisfare il proprio ego. Lei aveva accettato pur sapendolo, ma Nate l’aveva sentita e vista distante.
Quella sera stavano camminando lungo la riva del lago e lei si era fermata all’improvviso, osservando nostalgica il tramonto color rosso sangue.
Lui aveva usato lei per mostrare qualcosa a sé stesso, per una stupida questione di orgoglio, lei aveva usato lui per dimenticare un amore perduto, per dimenticare il volto di Charles Beckenford, morto soli quattro mesi prima.
Nate non aveva idea che da lì a poco Silena li avrebbe traditi ma, ripensandoci da adulto, anche se lo avesse saputo, non sarebbe cambiato nulla, né avrebbe fatto qualcosa per fermarla.
Sapeva che una donna rancorosa, piena di rabbia e dolore, era praticamente impossibile da bloccare, impossibile da far ragionare.
Quella sarebbe stata l’ultima volta che l’avrebbe vista viva e aveva uno sguardo così triste che, mentre la osservava piangere silenziosamente, gli si era stretto il cuore.
Nate era sempre stato sensibile alle donne che piangevano.
“Amore e sofferenza vanno sempre di pari passi”
Ancora non sapeva che molto presto anche lui avrebbe provato le stesse sensazioni di Silena, la stessa rabbia, la stessa voglia di vendetta e la stessa voglia di porre fine, per sempre, alla propria vita.
Rimasero in silenzio per un tempo che parve infinito. Gareth alla fine si era steso nel letto matrimoniale e dormiva profondamente. Anche Nate alla fine, semi sdraiato sul divano, aveva ceduto alla stanchezza e al nervosismo.
Nate socchiuse gli occhi solo quando rientrò Percy. Era notte fonda e solo Annabeth era rimasta in piedi a bagnare la fronte di Nico con pezze d’acqua fresca.
Sembrava quasi materna la ragazza. Si muoveva intorno a Nico così come avrebbe fatto una madre con un figlio che aveva la febbre alta. Si chiese quand’è che la figlia di Atena avesse sviluppato quello strano senso di maternità nei confronti di Nico.
Nate era sempre stato abbastanza convinto che fosse intimorita dai poteri del figlio di Ade, ma in quel momento Nate vedeva che c’era qualcosa, qualcosa che non c’entrava niente con Nico o con Percy o con tutta la loro missione.
Il figlio di Poseidone si sedette accanto a lei, stringendo fra le mani una conchiglia grande quanto le sue mani.
« Me l’ha data mio padre. » esordì lui, per rispondere alla domanda muta di lei « Ha tentato di dissuadermi, vuole che lasci questa impresa. Dei, ma come fa? E’ suo nipote e sta morendo. » ringhiò irritato allungandosi verso Nico, stringendogli una mano fredda « Ma non lascerò morire Nico proprio adesso. Non ho potuto fare nulla dieci anni fa… adesso non lo lascerò morire. »
Annabeth lo abbracciò, stringendolo forte.
« Percy, nessuno ti accusa di averlo abbandonato. » bisbigliò lei « Lui… se ne è andato. E’ scomparso. Tutti sanno quanto lo hai cercato. »
« Lo so. Lo so ma… mi sembra sempre che ogni volta che tento di fare qualcosa per lui non faccio altro che peggiorare le cose. Prima Bianca, poi il Tartaro, poi i suoi sentimenti e adesso… Mi sento responsabile. Lui è scappato, allontanandosi da tutti, prima di tutto da me, chiudendosi in un mondo tutto suo. Non sono stato in grado di fare nulla per lui. »
Lei rimase in silenzio, appoggiando lentamente la testa sulla sua spalla. Percy sospirò, prendendo una delle ciotole piene d’acqua sul comodino, appoggiandoci al centro la conchiglia. L’acqua iniziò ad illuminarsi debolmente, fino a diventare luminosa come se ci fosse una lampadina.
Il semidio prese un profondo respiro, infilando la mano fino al polso nell’acqua, stringendo quella di Nico con la seconda.
I rigagnoli d’acqua, osservò Nate dalla penombra, questa volta erano più luminosi. Si vedeva che c’era una mano divina e non solo di una ninfa d’acqua dolce.
Da quella conchiglia usciva la profondità dell’oceano, la parte più pura e limpida di ogni mare, la freschezza di ogni corso d’acqua.
Nate appoggiò di nuovo la testa contro il bracciolo e riprese a riposare, senza riuscirci. A Nate non piaceva ricordare il passato, forse perché era geneticamente settato per pensare solo al presente o al futuro.
Difficilmente riguardava indietro, oltre le sue spalle.
Di nuovo, le parole di Silena lo colpirono come un boomerang, direttamente in testa. Osservò Nico e lo vide improvvisamente più piccolo, di appena quattordici anni.
Allungò una mano verso di lui, prima di ritrarla, come se scottasse. Lo guardò ancora, nella sua testa così piccolo e indifeso e scivolò addormentato nei propri sonni.

Nate aveva diciannove anni. Si godeva la vita, più di tutti gli altri. Era sempre in giro, sempre a fare scherzi, sempre a comporre musica, a risvegliarsi ogni notte in un letto diverso.
A Nate non interessava con chi andava a letto. Aveva bisogno di sfogarsi, di un contatto fisico. Aveva bisogno di toccare e di essere toccato. Dolcemente, violentemente. Non gli importava se fosse un ragazzo o una ragazza il compagno.
L’importante era non passare la notte da solo. L’importante era dominare o essere dominati.
E quella notte era appena uscito dalla casa di Efesto dopo una notte letteralmente infuocata. James era stato una piacevole sorpresa.
Sentire le sue mani dure e ruvide contro la propria pelle perfetta gli aveva fatto scattare qualcosa nel cervello, qualcosa che fra gli ansimi e i gemiti era suonato come un “Perché no, posso darti una seconda possibilità Jamie”.
Quella “seconda possibilità” andava avanti da più di una settimana. Era un record per Nate mantenere lo stesso compagno di sesso per così tanto tempo.
Era uscito soddisfatto e aveva iniziato a camminare. Era stato per caso che aveva raggiunto il lago e aveva trovato Nico.
Nico doveva compiere quattordici anni (ma lui ancora non lo sapeva) e sembrava magro come un bambino che non mangia da settimane. Aveva già le sue occhiaie sotto gli occhi, la pelle nuda delle braccia piena di graffi e cicatrici.
A Nate incuriosiva Nico. Alcune volte sembrava più grande della sua età, altre volte era incredibilmente infantile.
Era bravo con la scherma, con la sua splendente spada nera, ma carente in altre discipline, come se proprio non gli importasse vivere o morire.
In quel momento stava torturando la sabbia con un bastoncino, scavando innervosito nella spiaggia.
Si lasciò ricadere al suo fianco, prendendolo alla sprovvista. Nico sussultò, allontanandosi da lui, portando subito la mano all’elsa della spada.
« Ehi piccolo, calma i bollenti spiriti. » gli sorrise « Vengo in pace, lo giuro. »
Nate lo guardò più attentamente. Era davvero carino quel ragazzino.
Carino quasi quanto Jamie. Il figlio di Apollo si chiese a letto anche Nico sarebbe stato altrettanto bravo, ma gli bastò uno sguardo per comprendere che non aveva nessun tipo di esperienze.
Ogni fibra del suo essere urlava diffidenza, timore e rabbia. Sfiducia nel resto del genere umano.
Nate si chiese perché odiasse gli altri così tanto, ma si diede quasi subito la risposta.
Erano in molto al campo a speculare su di lui, dicendo che frequentava più morti che vivi, che se la faceva con loro perché era un pervertito, un malato, uno scarto.
Nico aveva dovuto averli sentiti più volte. Aveva la straordinaria capacità di muoversi non solo nelle ombre, ma anche in maniera incredibilmente silenziosa.
Nate però era bravo ad accorgersi degli altri, specialmente se questi altri lo fissavano con la stessa intensità con cui lo faceva Nico. Gli era capitato più volte durante gli allenamenti con l’arco di sentire la schiena formicolare. Solo poche volte però era riuscito a sorprenderlo, anche se quello che riusciva a fare non era proprio “sorprendere”.
Nate fingeva di fermarsi per distendere le spalle e le braccia, per alleviare il dolore dell’allenamento. Con la stessa casualità si guardava intorno, bevendo l’acqua e riusciva sempre ad intravedere fra gli alberi il ragazzino che lo scrutava.
Lo intrigava. Sapeva che quel suo desiderio lo avrebbe portato alla distruzione, perché persone come Nico portavano sempre guai, in una maniera o nell’altra. Perché erano sospettose, incapaci di rapportarsi agli altri e Nate era sempre stato attratto da quel tipo di persone.
Più di Jamie e della sua voce che gemeva languidamente al suo orecchio da più di una settimana, mentre stringeva le gambe intorno alla sua vita, mentre lo baciava e lo mordeva con l’aggressività di chi non può fare a meno di godere.
Nate socchiuse gli occhi, ricordandosi le mani di Jamie sul suo petto, sul suo viso, sulle sue gambe. Quelle dita erano ovunque su di lui, facendolo godere come mai prima di quel momento.
« Insomma… cosa vuoi? »
La voce di Nico lo riscosse. Sembrava essersi tranquillizzato e aveva la schiena meno rigida, il corpo leggermente sporto verso di lui, come se stesse pensando o meno di fidarsi.
Nate gli sorrise.
« Voglio diventare tuo amico, mi sembra ovvio. » sussurrò piano, osservandolo negli occhi.
Vide Nico arrossire lievemente, prima di incrociare le braccia al petto, facendo spuntare sulle proprie labbra un sorriso.
« Sei scemo? Cos’è, hai preso troppo sole mentre ti allenavi? »
« Come mai? »
« Nessuno vuole essere mio amico. » borbottò Nico alzandosi in piedi, spolverandosi i pantaloni dalla sabbia.
Nico gli diede le spalle, allontanandosi e Nate non si mosse.
Semplicemente,lo guardò andare via. Ma il figlio di Apollo era pronto. Anche se non lo sapeva, dentro di lui si stava già innamorando.

Nate si svegliò che iniziava ad albeggiare. Gareth continuava a muoversi, avanti e indietro, avanti e indietro. Si chiese per quanto avesse dormito e per quanto invece il Negromante avesse tenuto gli occhi su Nico. In quel momento si era finalmente fermato. Stava disinfettando e fasciando delle ferite di Nico che avevano finalmente smesso di sanguinare.
Percy era appoggiato accanto a lui, stremato, e dormiva a sua volta. Annabeth si era raggomitolata dentro al letto e tremava per il freddo. Doveva essere stanca e preoccupata.
Gareth vide che era sveglio e si fermò, fissandolo a lungo. Nate ricambiò lo sguardo con altrettanta determinazione, pur non sapendo che cosa il negromante volesse da lui.
Aveva intuito che c’era qualcosa fra lui e il figlio di Ade, ma non era riuscito a comprendere cosa esattamente li legasse. Sesso, amore o semplicemente un rapporto morboso fra padrone e servitore?
Era una cosa che non comprendeva.
Aveva amato Nate, con tutte le sue forze, disperatamente.
Aveva goduto dei piaceri del sesso, in ogni sua forma possibile ed esistente.
Aveva provato il dolore travolgente della perdita di chi si ama, sia come amante e compagno, che come amico e confidente.
Era passato attraverso una vasta gamma di emozioni e sentimenti che a volte quando ripensava alla sua vita era stordito a sua volta.
Era uno dei tanti motivi per cui tendeva a rimanere focalizzato sul proprio presente, imparando a non farsi influenzare dal futuro.
Aveva scoperto a sue spese che credere ciecamente ad ogni visione che aveva, non sempre portava ad esiti positivi.
Anzi, la maggior parte delle volte era riuscito a combinare solo guai. Guai grossi.
Come perdere Nico, costringendolo ad affrontare da solo il Tartaro, per poi potersi cibare solo di semi di melograno per sopravvivere.
Non voleva pensare, Nate, a come poi lo aveva lasciato indietro perché il senso di colpa di averlo abbandonato al Tartaro lo stava logorando, quasi uccidendolo.
Non ci voleva pensare Nate, ma sapeva che Percy, a modo suo, aveva ragione. Nico era sotto la sua protezione e lui si era fatto trasportare da un insieme di sentimenti che non avevano fatto altro che accelerare la loro caduta verso gli abissi.
Abissi diversi, ma pur sempre devastante. Nico era finito in un posto peggiore dell’Oltretomba e lui era stato velocemente consumato dalla rabbia, dalla disperazione, dall’odio feroce verso sé stesso. Si era fatto trascinare dalla propria mente, anche quando Nico era tornato da lui, sano e salvo, anche quando lui tentava di dirgli che non lo incolpava, che non era stata colpa sua, che aveva bisogno di vederlo forte per sopravvivere, per mantenere la propria sanità mentale.
Non c’era riuscito Nate.
Aveva abbandonato tutto dietro di sé.
Anche Nico.
« Cosa c’è? » domandò alla fine Nate, spezzando il silenzio e il contatto visivo che si era stabilito con Gareth « Di solito i ragazzi come te non guardano quelli come me. » concluse divertito, alzandosi in piedi.
« Cosa vorresti dire? » esclamò subito il più piccolo, mettendosi immediatamente sulla difensiva.
« Parlo dei ragazzi come te che si divertono con gli altri. Sai, le persone come me e come te, credo emanino un certo odore. Un po’ come gli animali, capisci? Ci riconosciamo e ho visto che tendiamo ad evitarci a vicenda. Perché sai cosa c’è di bello Gareth? » domandò sorridendogli « La caccia. La caccia a questo o a quel ragazzo, a questa o a quella ragazza. Vederli cedere, mattone dopo mattone, pezzo dopo pezzo. E poi averli. Farci sesso. Sentirli. Possederli o farti possedere. E’ quello che ci distingue da ragazzi come Nico o come Percy. Quelli come noi dopo un po’ si annoiano e sentiano il bisogno di andare oltre. Alla prossima preda. Dimmi, quanto tempo durerà Nico prima che tu ti stanchi di lui? »
Gareth alzò gli occhi e lo fissò di nuovo. Sembrava completamente pacifico. Lo vide accennare un sorriso e, nonostante gli anni e anni di allenamento, Nate non riuscì nemmeno a vedere il pugno che lo colpì in pieno volto. Sbatté contro il muro della stanza dietro di lui, attutendo il colpo con la spalla.
Si passò una mano sul naso, osservandolo sanguinare.
« Non mi paragonare a te. » ringhiò Gareth « Io non sono te. Tu sei solo… la peggior feccia esistente su questa terra. » sibilò.
Nate non sapeva perché aveva deciso di provocarlo, ma abbozzò un sorriso sarcastico. Aveva ceduto ad un istinto puerile, ed era stato più forte di lui, quasi impossibile da trattenere.
Raramente Nate si lasciava andare ad invidia o gelosi, forse perché dopo aver abbandonato Nico al Campo Mezzosangue dieci anni prima era stato ben attento ad evitare ogni tipo di legame, un alcuni casi senza alcun successo.
Sembrava che su di lui, come su Cassandra, ci fosse una maledizione, probabilmente il prezzo per avere l’abilità di guardare il futuro, alla stregua di un Oracolo.
Ogni persona cui voleva bene (qualunque fosse la sua tipologia di “bene”) finiva sempre per farsi del male o peggio, morire.
Jamie era morto fra le sue braccia durante lo scontro con Gea, dopo averlo protetto con il suo corpo da un colpo mortale.
Nico aveva perso una parte di sé dentro il Tartaro.
Kaoru, l’unica donna che avesse amato con la stessa intensità con cui aveva amato Nico, era una ragazza speciale. Aveva il Dono. Il dono di poter percepire le emozioni altrui, solo toccandole, sfiorandole con le dita. Era il motivo per cui girava sempre con dei guanti, in ogni occasione. Era l’unico modo che aveva per non essere travolta, per vivere come una persona normale.
Aveva intravisto in Nate qualcosa di anomalo, forse di speciale e quando gli aveva toccato il viso, forse per consolarlo, dopo una visione, si era dimenticata di indossare i guanti.
Non aveva sopportato il peso di quelle immagini, di quello shock.
Probabilmente, in quel momento contava dei bottoni in una stanza di qualche ospedale psichiatrico a Tokyo.
Quasi certamente, meditò, aveva provocato Gareth per frustrazione.
Aveva tutto ciò che Nate non avrebbe mai potuto possedere. Nate portava sfortuna.
Forse avrebbe dovuto semplicemente porre fine alla sua vita e negli ultimi due anni, da quando Kaoru era stata internata, ci aveva pensato quotidianamente.
Poi ripensava a quelle visite settimanali che gli faceva, a quei vaghi sprazzi di lucidità che riusciva ad afferrare, in cui lo riconosceva e lo amava e allora desisteva. Scendeva dal tetto del palazzo a Tokyo dove aveva affittato uno squallido appartamento e tornava nel suo salotto, ad attendere che qualcosa accadere.
Kaoru paradossalmente era stata il suo appiglio alla realtà e lo aveva salvato innumerevoli volte, anche se non lo avrebbe mai saputo.
Lei era stata il suo nuovo mondo. L’inizio di una vita normale. E allo stesso modo, era stata la distruzione di tutto ciò che conosceva.
Kaoru era tutto per lui. Amante e amica. Compagna di vita e di lavoro. Una stella cadente a cui esprimere ogni desiderio e una cometa che lo aveva disintegrato. La vedeva come una piccola e innocente anima perduta che si muoveva in un mondo sconosciuto. Era persa Kaoru e lui non poteva fare nulla per aiutarla.
Come al solito.
Alla fine aveva avuto una visione. Era partito per il Tibet per controllare quella sua maledizione, ancora di più. E là aveva scoperto quanto potesse essere bello vivere senza vista. Senza occhi. Aveva trovato la pace, prima di essere sbattuto nuovamente in prima linea.
Sentiva la rabbia crescere in lui. Ripensare a Nico e a Kaoru, alla propria inadeguatezza e al proprio amore calpestato da una volontà divina che lo odiava, non aveva fatto altro che innervosirlo.
Sferrò un pugno a Gareth e si sentì un po’ meglio. Sentiva il dolore alle nocche e si sentì anche un po’ più vivo.
Il negromante non rimase fermo, ancora furibonda per quell’insinuazione che Nate aveva fatto su lui e Nico e non si rese nemmeno conto di essere sfociato in una vera e propria rissa.
Non si era accorto fino alla fine di Percy e Annabeth, né di aver colpito per sbaglio il figlio del signore dei mari.
Quando la ragazzo li trascinò via si sentì meglio.
Più vivo. Più determinato a concludere quella missione e a tornare alla via, chiudendo definitivamente con la sua vita da semidio.
Stava scendendo lentamente le scale, diretto verso la sala delle colazioni dell’hotel, quando una visione (la prima da quando erano partiti dal Campo) lo colpì all’improvviso.

Nico era fermo nel mezzo di un campo da allenamento. Ragazzi che si allenavano con la spada, altri con le lance, altri ancora con l’arco.
Si guardava intorno, come se si fosse svegliato dopo un lunghissimo sonno e stesse ancora cercando di trattenere i frammenti di un sogno particolare.
Vide Annabeth, che urlò il suo nome e lo abbracciò. Era radiosa la ragazza. Più matura, forse, di come era sempre stata, più consapevole di qualcosa che Nate non sapeva o non voleva prevedere.
Nico sorrise fra le sue braccia.
Anche lui aveva raggiunto una conclusione, una conclusione che lo imbarazzava e lo rendeva felice allo stesso tempo.
Lo vide sussurrare qualcosa, forse un “grazie” se aveva letto bene le sue labbra sottili e poi qualcosa che per Annabeth valeva più di mille ringraziamenti.
“Continua a prenderti cura di quel pesce lesso, va bene?”
Annabeth era scoppiata a piangere e aveva annuito. Poi riuscì solo a vedere Nico che se ne andava verso il lago, verso Gareth, prima che la visione sfumasse come una nuvola illuminata dal sole.

Quando si sedette al tavolo, Nate abbozzò un sorriso. Se Nico aveva affrontato i propri demoni per raggiungere la propria felicità, anche Nate doveva fare lo stesso.
Proprio per questo, inaspettatamente, quando si sedette al buffet del motel con delle uova strapazzate e un po’ di bacon, si scoprì a sorridere.
Lasciò cadere la testa contro la spalla di Annabeth, che scosse la testa.
« Grazie. » mormorò solo « E… ho appena visto che non sarò l’unico a ringraziarti. »
« Cosa? »
« Nulla, nulla. Vaneggiamenti di un pazzo. » ridacchiò « Ma… prenditi cura di Nico, va bene? »
« Nate, mi stai spaventando. » replicò piano la ragazza.
Nate la guardò, poi comprese.
« Oh no. Annabeth, non intendo mica morire! Solo… dopo tutto questo ho intenzione di ricominciare. Ho lasciato qualcuno a Tokyo, qualcuno di molto importante anche se… se lei non può riconoscermi. Voglio tornare da lei. »
La figlia di Atena annuì.
« Sei cambiato. » mormorò solo sorridendo.
« Eh. La maturità mi ha colpito come un’amante gelosa. »
Lei scosse la testa e poi annuì.
« Me ne prenderò cura. Tranquillo. Adesso Nico è in buone mani. »
Gareth li raggiunse, sbattendo il proprio vassoio sul tavolo, continuando a guardare Nate in cagnesco.
Nate gli sorrise.
Adesso che aveva capito di più sé stesso, andava tutto bene.
Era pronto, finalmente, a crescere.

challenge: 500themes ita, pairing: jackson x chase, pairing: mahe x di angelo, pg: nathaniel yukase, fandom: percy jackson, challenge: cow-t4

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