Titolo: Don’t keep you close, it’s dark inside
Fandom: Percy Jackson e gli dei dell’olimpo
Pairing: Percy Jackson x Nico Di Angelo
Rating: G
Avvertenze: Slash, su “La casa di Hades”, Accenni di violence
Disclaimer: I personaggi non sono miei, tutti i diritti riservati e i fatti narrati sono frutto della mia fantasia. La storia non è scritta con scopo di lucro.
Riassunto: Quando Nico aprì gli occhi si trovava nel letto del proprio alloggio al Campo Mezzosangue, immerso nell’oscurità. Il silenzio della notte era spezzato solo dal rumore del proprio respiro e dai propri singhiozzi.
Note: Scritta per il COW-T4 di
maridichallenge con il prompt “Stella Polare” e per la
500themes-ita con il prompt “24. Lampi di luce.”
WordCount: 4878
fiumidiparole Nico sentiva le mani addosso a sé.
Mani ovunque. Zampe di mostro.
Alito puzzolente. Alito di mostro.
I loro sguardi fissi su di lui, il loro desiderio, la loro voglia.
Erano ovunque. Tutti intorno a lui.
Nico piangeva e urlava.
Nico si arrendeva e continuava a gridare. Sentiva quelle dita contro la propria pelle e le lacrime e la terra contro il petto, la schiena, le spalle, le gambe e il viso premuto contro il pavimento, mentre si mordeva il labbro a sangue.
Le catene erano strette intorno al collo e ai polsi e il dolore sembrava essersi insinuato dentro ogni singola cellula.
Di nuovo, ancora e ancora. Quelle mani. Quelle bocche. Quelle… cose.
Per ore. Ore intere. Ore lunghissime. Giornate intere. Notti senza fine.
Torture.
Sangue.
Pianti.
Lacrime.
Urla.
Urlò, con tutto il fiato che aveva in corpo.
Quando Nico aprì gli occhi si trovava nel letto del proprio alloggio al Campo Mezzosangue, immerso nell’oscurità. Il silenzio della notte era spezzato solo dal rumore del proprio respiro e dai propri singhiozzi.
Strinse le mani a pugno, passandosi poi le mani sul volto.
Piangeva.
Piangeva sempre.
Ogni volta che chiudeva gli occhi, ogni volta se li riapriva e ogni volta che provava ad andare avanti, a dimenticare.
Farlo era impossibile. Non ci riusciva.
Si alzò dal letto, dirigendosi immediatamente verso il bagno.
Si chinò verso il gabinetto, vomitando tutta la cena. Rimase fermo sulle ginocchia, tremando, senza riuscire a fermarsi.
Sentì l’irrefrenabile bisogno di lavarsi. Si sentiva sporco. Puzzava.
Si spogliò rapidamente, ignorando come sempre il proprio riflesso nello specchio a grandezza naturale e tentò di non vedere le cicatrici, le ferite, i tagli, il sangue che continuava a scivolare via dalle ferite ancora aperte, quelle che ci avrebbero messo un po’ a rimarginarsi.
Aprì il getto d’acqua bollente, iniziando a passarsi la spugna ruvida sulla pelle. Scivolò in ginocchia sulla ceramica mentre acqua e lacrime si mischiavano sul suo viso, mentre acqua, lacrime e sangue scivolavano in un vortice infernale verso lo scarico.
Anche Nico avrebbe voluto scivolare via.
Lasciarsi andare. Morire forse. Qualunque cosa era meglio di quello che stava vivendo.
E più grattava, più scopriva la pelle nuda, più il sangue gli macchiava la spugna, più aveva la sensazione che non se ne andava.
Nico lo sapeva.
Quella sensazione non lo avrebbe più abbandonato, quel sottile strato di sporcizia non sarebbe mai più riuscito a lavarla.
Poteva strofinare la pelle, sanguinare fino alla morte, ma quella ombre sarebbero rimaste come dei tatuaggi sulla sua pelle, sul suo corpo, marchiato a fuoco nella sua anima.
Singhiozzò più forte, gemendo di rabbia e frustrazione, prima di arrendersi, di urlare ancora e di lanciare via la spugna insanguinata.
Si portò le ginocchia al petto, affondandoci il viso, per soffocare i singhiozzi e le lacrime.
Sentì la porta del bagno aprirsi e la luce accendersi.
« Chiudi la luce! » urlò Nico coprendosi con le braccia « Chiudi la luce, chiudi la luce, chiudi la luce! » singhiozzò.
L’intruso annuì velocemente, facendoli immergere nuovamente nel buio più completo.
Nico tentò di calmarsi.
L’acqua gli ustionava la pelle, ma al ragazzino non importava.
Il dolore lo distraeva, gli permetteva di poter fingere di essere una persona normale, una persona sana.
Aveva l’impressione di essere meno un mostro quando soffriva.
« Nico…? » chiamò nell’ombra una voce conosciuta.
Il più piccolo si morse un braccio a sangue, trattenendo i singhiozzi.
Perché proprio Percy Jackson doveva trovarsi in quel bagno, mentre lui dava il peggior spettacolo di sé, rannicchiato dentro il vano di una doccia, mentre sanguinava e piangeva?
« Vattene! » ringhiò Nico tirandosi indietro i capelli neri appiccicati sul viso, tirando su con il naso.
« Nico, prima hai urlato, pensavo che… »
« Pensavi male! Vattene via Percy, non voglio vederti! »
Tentò di alzarsi in piedi, ma ricadde di nuovo a terra, le gambe che gli tremavano troppo per poter reggere il peso del proprio corpo.
« Nico, aspetta! Accendo la luce e ti aiuto e… »
« Lascia la luce spenta! » esclamò Nico con una nota di panico nella voce « Ti prego Percy. Lasciala spenta. » sussurrò con tono disperato.
Il ragazzino non udì più nulla, ma la luce rimase spenta. Chiuse debolmente il getto d’acqua, prendendo un profondo respiro. Perfino il proprio fiato tremava. Ogni centimetro di carne gli tremava e non riusciva a stare in piedi.
Rimase fermo per quello che gli parve un’infinità di tempo. Sentiva ancora il respiro di Percy nell’aria, che gli segnalava la sua presenza.
Nico si costrinse a prendere coraggio. Si aggrappò alla sbarra di metallo poco sopra la sua testa e si alzò in piedi. Mosse un paio di passi incerto, prima di trovare l’apertura della doccia.
« Se mi giro, posso accendere la luce? Rischi di farti male al buio. » lo raggiunse ancora la voce debole di Percy.
« …va bene. » sussurrò piano, incerto.
La luce si accese di nuovo. Nico si guardò intorno, mentre la luce rifletteva sulle mattonelle bianche come il gesso, quasi accecandolo. Raggiunse l’accappatoio, infilandosi di nuovo i pantaloni e i calzini.
Non voleva rimanere nudo di fronte a Percy. Si vergognava del proprio corpo.
Se gli occhi puri di Percy si fossero posati su di lui, avrebbe sicuramente visto il lerciume che c’era depositata sulla sua pelle. Avrebbe visto le cicatrici, riconosciuto segni di tortura, di violenza. E Nico non voleva che lo vedesse in quelle condizioni.
La guerra contro Gea era finita da meno di quarantotto ore e quando aveva messo piede al Campo Mezzosangue si era sentito un po’ meglio.
Era a casa finalmente.
Aveva visto Percy solo al banchetto della vittoria, ma di sfuggita.
Non si erano parlati. Forse il più grande ce l’aveva ancora con lui per avergli mentito quando aveva perso la memoria. Ma a Nico ormai non importava più di tanto. Non era nemmeno così convinto di voler rimanere in vita, figurarsi se riusciva a preoccuparsi di quello.
Percy sbirciò leggermente, controllando che si fosse rivestito e stirò un sorriso. Nico distolse lo sguardo, tirandosi in avanti capelli.
Dei lividi si stavano formando sul suo viso. Non voleva che li vedesse.
« Stai tremando. Ti porto una felpa, aspetta. »
Nico rimase immobile, stringendosi la stoffa dell’accappatoio il più stretta possibile contro la pelle e le ossa sporgenti. Dopo una manciata di secondi Percy era di ritorno con una felpa nera fra le mani e delle ossa disegnate sul fondo.
Quasi gli venne da sorridere nel vederla quanto era stato premuroso. Era la felpa più pesante che aveva e Nico aveva davvero molto freddo.
Il ragazzo la strinse fra le mani e Percy si voltò di nuovo, dandogli ancora le spalle. Infilò la felpa, recuperando l’accappatoio, mettendolo di nuovo al suo posto e poggiando i vestiti umidi di prima dentro la cesta dei panni sporchi.
Rimase immobile.
Cosa avrebbe dovuto dire? Cosa si diceva in certe occasioni?
“Grazie per avermi portato la felpa adesso puoi anche andartene”? Oppure “Percy non dire a nessuno quello che hai visto, non dire a nessuno che sono pazzo e che voglio morire ustionato”?
Si morse un labbro.
Percy si voltò verso di lui, sorridendogli. Sembrava aver dimenticato tutto quello che era successo in quei giorni.
Nico non riuscì a sorridere. Gli faceva male il viso, ma se anche fosse stato sano non avrebbe sorriso lo stesso.
Si era dimenticato, Nico, come si sorrideva.
« Grazie Percy. Non… c’è bisogno che ti preoccupi per me. Puoi… andare se vuoi. » balbettò distogliendo lo sguardo.
Non voleva la sua pietà. Non voleva niente da Percy. Solo il suo amore.
Ma non lo avrebbe mai avuto. Quindi era meglio per sé stesso se stavano il più lontano possibile l’uno dall’altro.
Il più grande si appoggiò al muro dietro di lui, fissando il soffitto.
« Sai, mia madre voleva che tornassi a casa un paio di mesi. Dopo tutta questa storia della scomparsa, della guerra e tutto il resto, voleva stare un po’ con me. Ma oggi mi ha chiamato e mi ha detto che parte per l’Europa con il mio patrigno, quindi niente. Io torno a New York. Vuoi farti una vacanza con me? Conosco un sacco di posti divertenti. »
Nico rimase stupito a fissarlo, perplesso. Le parole di Percy vorticavano nella propria mente, muovendosi ad una velocità tale che tentare di comprenderle era assolutamente impossibile.
« Eh? Ma… Annabeth? » riuscì solo a dire, piano, inebetito.
« Lei torna a San Francisco. Deve fare qualcosa. » ridacchiò « Me l’ha spiegato, ma sono troppo tonto per capire certe cose. » si passò una mano fra i capelli, imbarazzato.
Nico avrebbe voluto dire di sì, che voleva andare con lui, ma si morse la lingua.
« No. » rispose bruscamente superandolo « No, grazie io… devo fare delle cose. Puoi chiedere a Grover di venire con te. Troverai sicuramente qualcuno. » sibilò lasciandosi ricadere sul letto.
« Nico io… » la voce del ragazzo si interruppe.
Nico si voltò lentamente.
Lo conosceva quel rumore, quel sibilo che gli entrava nelle orecchie, quel passo strascicato. Ne era terrorizzato. Sentiva il rumore delle catene sbattere in terra più e più volte, il rumore del fuoco che crepitava su una torcia piena di benzina, le fruste che schioccavano a terra.
Ansimò.
Il suo respiro si fece più pesante.
Prima le torture. Poi la violenza.
Prima le urla. Poi le lacrime.
Prima il dolore. Poi la morte.
Urlò.
Scalciò quando sentì quegli artigli viscidi stringersi intorno alle braccia e riuscì a liberarsi. Rotolò giù dal letto, urlando di lasciarlo stare, singhiozzando che non avrebbe lavorato per loro e strinse entrambe le mani sull’elsa della sua spada nera, puntandola davanti a sé.
Adesso era armato.
Aveva la morte dalla propria parte.
Ma qualcosa riuscì a portargliela via e allora arrancò ancora, lasciandosi ricadere a terra. Si mosse dietro di sé, sbattendo contro il muro.
Le torture.
Rivide il proprio corpo incatenato al suolo mentre qualcuno lo feriva con una spada e versava all’interno delle ferite aperte sangue di mostro.
Rivide il proprio corpo che sanguinava, copiosamente, perché qualcuno desiderava vedere quanto tempo impiega un semidio a morire.
Rivide il proprio corpo mentre… mentre… mentre…
Nico si portò le ginocchia al petto, urlando coprendosi il volto con le mani.
Qualcosa lo strinse a sé e tentò di nuovo di dimenarsi. Dei tentacoli si stringevano intorno al suo corpo, sempre più forte, sempre più forte e sibilavano qualcosa al suo orecchio.
Poi qualcosa di più forte.
Qualcosa intorno a lui che si rompeva.
Sussultò e si ritrovò improvvisamente aggrappato alle spalle di Percy, il volto nascosto nel suo petto. Le braccia del più grande lo stringevano con forza e solo in quel momento si rese conto che tutto quello appena successo era solo frutto della sua immaginazione.
Aveva scambiato Percy per quelle bestie. Per quei mostri.
Gli aveva puntato la spada contro, minacciandolo, rischiando di ucciderlo.
Ansimò più forte, sentendo il fiato mancargli.
« …mi dispiace. » sussurrò fra i singhiozzi.
Una mano del ragazzo gli accarezzò i capelli, dolcemente.
« Va tutto bene. Adesso ci sono io qua con te. »
« Percy, io… »
« Permettimi di aiutarti Nico. Solo questo. Ti proteggerò io, Nico. »
Non voleva il suo aiuto. Non voleva l’aiuto di nessuno. Voleva rimanere da solo, a vegetare.
Steso nel letto a fissare il soffitto.
Ma Hazel aveva ragione.
Non poteva affrontare tutto quello da solo.
Annuì, lentamente, senza riuscire a smettere di piangere.
Percy sarebbe stato la sua stella polare? Avrebbe portati lampi di luce e di speranza nella sua vita? Gli avrebbe stretto forte le mani e portato via dalla sofferenza e dal buio?
Annuì, ancora più forte, soffocando i singhiozzi nel suo petto, sempre più forti, mentre la carezza sulla sua testa continuava, ritmica e l’abbraccio si faceva sempre più stretto.
Nemmeno si rese conto di addormentarsi e di scivolare, finalmente, in un sonno privo di incubi.
Casa di Percy a New York era diversa da come se l’era immaginata.
Era un appartamento nel centro di un quartiere popolare, pieno di vita, di colori e di rumori. Era molto diverso dalla sua casa a Washington e decisamente diversa dall’Hotel Lotus.
Era piccola, ma sembrava adatta a Percy.
« Fai come se fosse casa tua. » lo accolse il più grande, lasciando cadere nell’ingresso le due valigie, una propria e una di Nico « Nel frigo c’è della Coca-Cola credo. Dopo ordineremo del cinese a casa, ti va? »
« Mh… »
Nico non sapeva bene cosa intendeva Percy per “cinese a casa”, ma annuì. Era curioso di vedere come viveva un ragazzo del ventunesimo secolo.
C’erano molte cose che Nico non sapeva. Da quando era stato portato al Campo Mezzosangue si era sempre ritrovato impegnato in missioni più grandi di lui. Non aveva mai avuto un giorno di pace per guardarsi intorno e per conoscere il mondo.
Nico era ancora a disagio, ma decise di farsi coraggio. Percy voleva aiutarlo.
Non gli avrebbe mai fatto del male.
Percy lo portò in giro per tutta la settimana venire. Quando aveva scoperto che le sue conoscenze del mondo erano rimaste ferme agli anni Quaranta, aveva deciso che era arrivata l’ora di fargli scoprire tutto.
Dalla tecnologia, ai film, al cinema, al cibo, ai parchi divertimenti.
E Nico si sentiva inebriato da tutte quelle novità, tanto che per le due settimane che seguirono gli sembrò di vivere in un sogno.
Gli incubi c’erano sempre. A volte riusciva a tenerli sotto controllo, altre volte si svegliava urlando e piange.
Altre volte non li aveva. Ma era raro.
Non dormiva molto. Guardava Percy dormire quando finalmente si era addormentato. Non dormiva mai tanto Nico, non più di quattro o cinque ore a notte, quando gli andava molto bene.
Ma a lui andava bene, ormai era abituato. Dormiva nel letto ad una piazza e mezza di Percy. Non era così stretto. Nico era magro (troppo magro, continuava a ripetergli il più grande) e Percy era snello.
C’entravano perfettamente.
Lui stretto a Percy, il viso nascosto nel suo petto, un braccio che lo stringeva a sé.
Non era da solo.
Non più.
Nico lo guardava affascinato. Era bello Percy.
Così bello che se rimanere a guardarlo troppo a lungo rischiava di bruciarsi gli occhi. Lo guardava sempre. Quando l’altro non lo vedeva, quando camminavano per le strade, quando erano dentro ad un museo.
Una volta, approfittando del buio, lo aveva fissato anche dentro al cinema.
Non aveva capito nulla del film, ma non gli importava assolutamente nulla.
« Mi sono perso così tanto. » si lamentò Nico mentre passeggiavano lungo la strada, mangiando zucchero filato.
« Beh, c’è sempre tempo per rimediare a tutto, no? »
« Dopo cena voglio tornare al cinema! » si esaltò Nico « Voglio vedere Haunting - Presenze, quel film horror sui… »
Il ragazzi si interruppe di colpo. Lo zucchero filato gli scivolò di mano, rovinando sul cemento. Percy lo guardò stupito, prima di seguire lo sguardo il punto che Nico stava fissando. Allargando gli occhi, il più grande afferrò Vortice nella tasca e la sguainò, puntandola verso l’Empusa che si muoveva, sibilando, davanti a loro.
Si distrasse solo un attimo. Il tempo di lanciare uno sguardo a Nico e si ritrovò a rotolare per terra, sbattendo più e più volte la testa a terra, finendo per schiantarsi contro il muro di un palazzo.
Non riuscì a tenere gli occhi aperti. Mentre sveniva, poteva solo vedere Nico e la Gorgone l’uno di fronte all’altro.
Quando riprese i sensi si accorse di essere sdraiato a terra, con la testa sulle gambe di Nico. Il ragazzo aveva i vestiti stracciati e sporchi di sangue.
Ai suoi piedi, la spada nera infernale. Tremava Nico, mentre si mordeva le unghie delle dita, facendole sanguinare ancora di più.
Percy avrebbe voluto dire qualcosa, qualsiasi cosa per alleggerire il macigno che si portava sul petto in quel momento.
Aveva giurato che avrebbe protetto Nico, a qualunque costo. E l’unica cosa che era riuscito a fare era stata svenire.
Come un perfetto imbecille.
Quando il più piccolo si accorse che era sveglio, Percy lo vide sforzare un sorriso, nascondendo le mani in tasca.
I graffi sul viso che avevano iniziato a guarire avevano lasciato il posto a nuove ferite e Percy ebbe l’istinto di accarezzarlo, ma si trattenne. Non sapeva come avrebbe potuto interpretare quel gesto. Magari lo avrebbe solo spaventato ancora di più.
« Nico, io… »
« Erano in cinque. » lo interruppe Nico « Ma le ho uccise. Tranquillo Percy. »
Il più grande si alzò a sedere e si guardò intorno. A meno di un metro da loro, il muro su cui erano appoggiati era sporco di Empusa.
Sangue e organi interni. Pezzi della testa.
Poco lontano, un enorme mattone era sporco di sangue. Lo stesso Nico aveva addosso più sangue di quello che ci si sarebbe aspettati. Nico non le aveva solo uccise.
Le aveva trucidate.
Percy si accorse che continuava a tremare e gli si strinse il cuore in una morsa quasi letale. Avrebbe dovuto proteggerlo.
Invece lo aveva di nuovo lasciato in balia dei suoi incubi, in balia di quei mostri terribili che lo aveva reso quasi pazzo, figlio di terribili allucinazioni e notti insonni.
« Andiamo a casa. » mormorò stringendogli debolmente una mano « Devi lavarti e cambiarti d’abito. Stasera non usciamo. »
« Ma… »
« Mi gira un po’ la testa. » si scusò con un sorriso « Non ce la faccio a tornare al cinema. Ci andiamo domani, che ne pensi? »
Nico si morse un labbro e senza dire nulla annuì, lasciarsi trascinare verso casa.
In salotto Percy continuava a torturarsi un labbro. A che serviva fare promesse se poi non era nemmeno in grado di mantenerle?
Si avvicinò al bagno.
Nico era là dentro da quasi un’ora e le immagini di quella notte che lo aveva visto al Campo non facevano che torturarlo incessantemente.
Lo immaginava rannicchiato nella doccia, mentre si grattava via la pelle, il viso, i capelli tentando di scacciare via qualcosa che riusciva a vedere solo lui.
Bussò alla porta, ma non ottenne risposta.
Sentiva solo lo scoscio d’acqua costante e potente.
Bussò di nuovo. Ancora silenzio. Riuscì a sentire un singhiozzo e si decise ad entrare.
Era buio pesto nel bagno. Ad illuminare la stanzina c’era solo il fascio di luce che penetrava dal salotto.
« Vai via Percy. » udì piano da Nico.
La voce spezzata del ragazzino gli strinse lo stomaco, ancora.
« No. Non me ne vado. »
« Vai via, adesso! » urlò il più piccolo.
Percy poteva quasi sentire la pelle che veniva grattata via dalla spugna e fece un passo in avanti, verso la doccia.
Aprì la porta scorrevole e si sedette al suo fianco.
Nico era rannicchiato su sé stesso, che gli dava le spalle. Percy osservò per la prima volta la sua pelle nuda.
Era costellata da cicatrici e da nuovi graffi, probabilmente dovuti allo scontro di poco prima in strada. Le braccia sanguinavano e tutto il suo piccolo e magro corpo tremava.
Percy si fece semplicemente guidare dall’istinto.
Lo abbracciò, appoggiando la fronte sulla nuca del più piccolo, stringendolo a sé.
« Mi dispiace. » sussurrò.
Il figlio di Poseidone si odiò. Non gli sembrava di riuscire a saper pronunciare altro quando si trattava di Nico.
« Non è colpa tua. » rispose altrettanto piano l’altro.
Non replicò. Non se la sentiva. Niente di quello che avrebbe detto Nico lo avrebbe convinto del contrario.
Allungò una mano, liberando delicatamente la spugna dalla presa del più piccolo. La strinse nella propria mano, iniziando a sciacquarla, liberarla dal sangue di Nico.
Poi, sempre lentamente per non spaventarlo troppo, prese lo shampoo. Se ne versò un po’ in una mano, iniziando poi a lavargli i capelli ancora sporchi dal combattimento.
« Cosa… fai? » sussurrò Nico.
« Mi prendo cura di te. »
« Non guardarmi. » mormorò ancora « Non mi guardare, sono sporco. Loro… » sentì il suo fiato strozzarglisi in gola.
« Non dire sciocchezze Nico. » replicò Percy continuando a lavargli i capelli, accennando un sorriso doloroso « Come fai ad essere sporco? Guarda qua, sei bianco come il gesso. »
Tornarono in silenzio. Percy gli tirò indietro la testa, sciacquandogli i capelli dal sapone. Poi, sempre piano per non far aprire ulteriormente le ferite, iniziò a passargli la spugna sulla schiena e sul collo.
Percy sentì l’irrefrenabile impulso di baciarla, ma tentò di trattenersi. Non era il momento. Poi, quando ebbe finito, Nico si appoggiò al suo petto
Rimasero in quella posizione per un po’, mentre Percy sentiva come i muscoli tesi del ragazzo iniziavano a distendersi, arrivando quasi ad essere rilassati.
L’acqua scivolava calda addosso a loro, ma nessuno dei due sembrava preoccuparsene. Percy comprese che non avrebbe mai voluto nessun altro al suo fianco.
Quella sera, Nico era stretto a lui. Percy aveva appena finito di asciugargli i capelli e poi si erano infilati il pigiama.
Non era tardi, ma nessuno dei due sembrava abbastanza in forma per poter rimanere svegli un altro po’.
Percy stava quasi per addormentarsi, quando la voce del figlio di Ade lo svegliò dal suo torpore.
« Perché lo fai Percy? »
« Mh? Cosa? » brontolò il più grande, spaesato.
« Perché ti prendi tutto questo disturbo? Perché mi stai dietro? »
Percy rimase in silenzio.
Si era posto quella domanda tutta la settimana. Ma la verità era che non c’era una vera e propria risposta.
Quando lo aveva sentito urlare nel cuore della notte e quando lo aveva visto nel bagno, qualcosa dentro di lui era scattato.
Doveva aiutarlo. Punto.
« Perché… è giusto farlo. Hai bisogno di aiuto Nico. E io ti aiuterò. »
I muscoli delle spalle di Nico si tesero di nuovo. Percy ebbe l’impressione che avesse detto qualcosa di sbagliato, ma quando chinò gli occhi su di lui il ragazzo stava fingendo di dormire.
Sistemandosi meglio e stringendolo più forte, tirò la coperta su entrambi.
Nico si girò su un fianco, alzando la testa verso di lui. Allungò lentamente il viso, baciandogli una guancia. Percy rimase immobile.
L’odore della pelle di Nico era inebriante. Desiderava baciarla e accarezzarla. Passare dita e bocca su ogni cicatrice, su ogni ferita, come a volerla esorcizzare ed emarginare.
Il braccio intorno alla sua spalla scivolò intorno al suo fianco, tirandolo ancora di più contro di sé. Una mano di Nico si strinse sulla sua spalla, puntandosi per permettergli di baciargli la fronte e l’altra guancia e per fermarsi poi vicino alla sua bocca.
Percy aprì leggermente gli occhi, osservando Nico e perdendosi nel pozzo nero degli occhi dell’altro.
Strinse le dita nella carne del suo fianco, allungando il collo per primo e baciandolo sulle labbra. Nico allargò gli occhi, mentre la presa sulla maglietta si faceva più forte. Percy sentì ogni suo muscolo irrigidirsi e rilassarsi.
Il più piccolo ricambiò il bacio, spingendosi ancora di più contro di lui e a Percy sembrava tutto troppo perfetto per essere reale.
Nico si allontanò da lui di qualche centimetro. Percy sentiva ancora il suo corpo premuto contro il proprio fianco e la sua mano sul proprio petto. Ansimava e aveva lo sguardo confuso.
Il figlio di Poseidone glielo poteva leggere il viso. Ogni parte di lui chiedeva semplicemente “Perché l’hai fatto?” e Percy non avrebbe saputo rispondere.
Gli sembrava giusto. Come ogni volta che faceva qualcosa.
Gli sembrava giusto aiutare Nico. Gli sembrava giusto accarezzarlo e stringerlo a sé. Gli sembrava giusto consolarlo quando aveva degli incubi. Gli sembrava giusto lavargli i capelli e la schiena. Gli sembrava giusto baciarlo e desiderarlo così tanto.
Si sentì sollevato quando vide Nico abbozzare un sorriso tirato e stendersi di nuovo contro di lui, ancora più vicino. La sua pelle era tiepida, non bollente come la propria. Il suo respiro era debole, ma Percy aveva imparato che non era in punto di morte, ma semplicemente era il suo respiro.
Aveva osservato il suo viso addormentato per tutte quelle notti, gli aveva scostato i capelli e lo aveva guardato mentre finalmente trovava la sua pace.
« Buonanotte Percy. » mormorò con uno sbadiglio l’amico.
« ‘Notte Nico… » replicò Percy chiudendo gli occhi.
Percy aprì gli occhi perché c’era uno spiffero freddo nell’aria che lo colpiva direttamente nel viso. Non gli dava proprio fastidio (in qualche modo riusciva a percepire l’odore dell’oceano, quindi era quasi rilassante) ma era incredibilmente freddo.
Sentì un vuoto accanto a sé e fu quello a farlo svegliare del tutto. Si guardò intorno, spaesato nel buio, fino a che non incontrò una figura scura in contrasto con la luce lunare.
Seduto sul davanzale della finestra, con i piedi che penzolavano di sotto, c’era Nico. Indossava solo l’accappatoio, i capelli fradici gocciolavano acqua a terra.
Cercò d’istinto la spada di Nico, ma era abbandonata a sé stessa sulla sua scrivania. I suoi vestiti gettati a terra, come se avesse avuto un bisogno impellente e incontrollato di andare a lavarsi all’improvviso.
Sotto al davanzale, vicino al termosifone, c’erano delle bende insanguinate. Quelle che prima gli aveva messo Percy per fermare la fuoriuscita di sangue.
« Nico… » sussurrò.
Il ragazzino si irrigidì un secondo, poi tornò normale, come se non si fosse reso conto di essere stato chiamato. Si mosse piano sul piccolo davanzale e si sedette con la schiena contro il muro, appoggiando un piede sul muro di fronte. L’altra gamba abbandonata nel vuoto, il viso ancora rivolto verso la luna.
Percy non era del tutto preoccupato perché potesse scivolare di sotto. Era preoccupato che potesse lanciarsi di sua spontanea volontà. E il fatto di essere un semidio non lo avrebbe salvato da uno schianto di otto piani contro il marciapiede.
« Nico, perché non torni a letto? E’ tardi e domani vuoi fare un sacco di giri, no? Devi riposarti. »
Lo udì ridacchiare.
« Per essere uno dei semidei più potenti di questa generazione, a volte sei davvero idiota Percy. »
Il più grande tentò di non prenderla per un’offesa, perciò rimase in silenzio.
« Non dormo quanto te. E’ un caso che tu ti sia svegliato, no? Io… passo sempre molte ore a guardare fuori, quando dormi. » scosse le spalle « E quando stai per svegliarti, allora torno a letto e dormo un’oretta. »
« Dovresti dormire di più. E mangiare di più. Ti farai del male se continui così. »
Nico scosse ancora le spalle.
« C’è qualcosa di peggio che può succedermi? »
Di nuovo Percy rimase in silenzio.
« No. Hai sopportato cose inimmaginabili Nico. » si limitò a dire.
« Sai, c’è stato un momento della prigionia che pensavo che sarei morto. » rise, ancora.
E Percy avrebbe tanto voluto dirgli che gli piaceva quando rideva, che non desiderava altro che farlo ridere e ridere e vederlo finalmente stare bene.
Che avrebbe voluto vederlo felice, accanto a lui.
Per sempre.
« Speravo di morire, in realtà. Non sarebbe stato così male, non credi Percy? Cosa sarebbe cambiato se fossi sopravvissuto? Questo mi chiedevo, mentre mi torturavano. Perché resistere? A che serve fingere un coraggio che non si possiede? »
« Perché vivere è la cosa più giusta da fare. » rispose istintivamente Percy, mentre brividi di freddo e paura gli salivano lungo la schiena.
« Mh… la cosa più giusta da fare. » ripeté piano Nico prendendo a dondolarsi.
« Per favore, puoi scendere dal davanzale? Mi mette ansia saperti in bilico fra la vita e la morte. » esclamò Percy alzandosi a sedere, con una nota di panico nella voce.
Nico si voltò finalmente verso di lui, le occhiaie che circondavano gli occhi, le guance scavate, il pallore innaturale del suo viso. Ma gli occhi erano vivi, Percy lo vedeva bene. Ed era quella la cosa più importante di tutte.
« Piangeresti la mia morte, Percy Jackson? » chiese Nico alzandosi in piedi, dando le spalle alla strada.
« Sì, certo che sì. E adesso, Nico di Angelo, scendi immediatamente da quella cazzo di finestra, prima che mi venga un infarto. »
Nico abbozzò un sorriso.
« Sai Percy, forse dovrei morire. La mia è un’esistenza sporca, malata. Il mio corpo è… stato… violentato, in ogni forma e modo possibile, ed è stato gettato in un cassetto della spazzatura. La mia anima è a pezzi. La mia pelle odora ancora di mostro e di sporco e non importa quanto io la lavi. Ci sarà sempre qualcosa che mi ricorderà quelle giornate e quelle notti, nel Tartaro. »
Percy iniziava a sentirsi gli occhi lucidi, impotente. Era in ginocchio sul letto ad osservare Nico che meditava di lanciarsi di sotto e parlava del Tartaro, senza poter fare nulla.
« Non è vero. » ansimò il più grande « La tua pelle profuma ed è bianca. La tua anima è sempre là, intatta perché io l’ho vista emozionarsi per un parco divertimenti e spaventarsi per un film in 3D al cinema. E il tuo corpo… c’è ancora. Io l’ho visto. Ed è talmente perfetto nelle sue imperfezioni che continua ad essere meraviglioso. Io sono qua Nico. Io sono qua, e ti vedo per quello che sei davvero e vorrò continuare a farlo per sempre. »
Stupito, Nico smise di dondolarsi, e lo fissò con gli occhi sbarrati.
« Eh? »
« Poi il semidio idiota sarei io, vero? » commentò Percy « Ti amo, Nico di Angelo. E non c’è nessun altro posto al mondo dove vorrei stare. »
La pelle di Nico si era fatta ancora più bianca e lo vide scendere lentamente dal davanzale, appoggiandosi al muro.
« E… Annabeth? »
« Lei… » Percy sospirò « Ho compiuto azioni durante l’ultimo scontro con Gea che l’hanno disgustata. Ci siamo lasciati. Mesi fa. E’ una storia che non è nemmeno mai iniziata. »
« Ma… ti sei gettato nel Tartaro per salvarla e… »
« Certo che l’ho fatto. E’ una mia amica Annabeth, non l’avrei mai lasciata da sola. Così come non intendo lasciare da solo te. »
Nico si morse un labbro, distogliendo lo sguardo. Percy si avvicinò a lui, stringendolo lentamente fra le braccia e baciandolo, piano, sulle labbra.
« Ti amo anche io Percy Jackson. » sussurrò piano il più piccolo fra un bacio e l’altro.
« Ti starò accanto Nico. Ti aiuterò. Ti porterò fuori da tutto quell’orrore. »
« Lo so. A modo tuo, un po’, lo hai già fatto. » replicò piano il ragazzino.
Percy sorrise, inspirando l’odore dei suoi capelli bagnati che odoravano ancora di shampoo.
Era quello, il loro lieto fine?
Percy non poteva saperlo, ma sapeva che si sarebbe impegnato affinché nulla si potesse frapporre fra loro due.
Era quello che voleva.
Una vita loro, insieme.