Titolo: Only know you love him when you let him go
Fandom: Percy Jackson e gli dei dell’olimpo
Pairing: Percy Jackson ; Nico Di Angelo
Rating: G
Avvertenze: Slash, su “L’Eroe Perduto”
Disclaimer: I personaggi non sono miei, tutti i diritti riservati e i fatti narrati sono frutto della mia fantasia. La storia non è scritta con scopo di lucro.
Riassunto: Nico si allontanò lentamente dal Senato del Campo Giove. Non riusciva più a sopportare quel chiacchiericcio insistente che gli penetrava nelle orecchie, stordendolo. Era l’ambasciatore di suo padre, Plutone, ma era anche figlio di Ade.
Note: Scritta per il COW-T4 di
maridichallenge con il prompt “Tramonto” e per la
500themes-ita con il prompt “39. Oltre l’orizzonte.”
WordCount: 2328
fiumidiparole Nico si allontanò lentamente dal Senato del Campo Giove. Non riusciva più a sopportare quel chiacchiericcio insistente che gli penetrava nelle orecchie, stordendolo. Era l’ambasciatore di suo padre, Plutone, ma era anche figlio di Ade.
Il ragazzino si morse un labbro, stringendo fra le dita la tunica scura di cotone che gli ricadeva addosso.
Sembrava un telo abbandonato su un palo. Nero su nero. Occhi, capelli, vestiti. L’unica cosa che stonava con quell’agglomerato di ombra e oscurità era la sua pelle. Bianca. Ma non malaticcia, come quella di chi ha la febbre alta.
Semplicemente, bianca.
Nico non ricordava di essere sempre stato così, ma sapeva perché ci era diventato. Da piccolo era felice, perfino con un po’ di colore su quelle guance scavate dalla sofferenza.
Poi aveva iniziato a passare sempre più tempo, sempre più ore, sempre più giorni dentro il regno di suo padre. Aveva parlato con una moltitudine di spettri, di fantasmi. Aveva sentito le loro storie.
E la sua pelle si era lentamente fatta sempre più chiara, sempre più spenta a causa della continua mancanza di sole e di ossigeno.
Aveva passato mesi a cercare sua sorella. Solo per sentire di nuovo la sua voce, per osservare ancora una volta il suo sorriso, i tratti delicati del suo volto.
Non gli importava che fosse solo un ammasso di sostanza gassosa e tremolante. L’ultimo ricordo che aveva di lei da viva era di lei che lo fissava con pietà e compassione prima di seguire un gruppo di ragazze e di diventare irraggiungibile.
Nico avrebbe voluto odiarla. Odiarla per essere stato lasciato indietro, odiarla perché l’aveva abbandonato quando aveva ancora bisogno di lei, eppure non ci riusciva.
Quando ci provava, quando la più piccola scintilla di odio iniziava ad affiorare nel suo cuore, sentiva quello stesso organo maledetto che batteva iniziare a sanguinare.
Faceva male odiarla e lui, in fondo, non ne era capace. O forse non lo voleva.
Odiare Percy era più semplice.
Rivolgere a lui tutto il proprio odio e il proprio rancore era più… liberatorio, in un certo senso. In un malsano e contorto senso, ovvio. Nico se ne rendeva conto da solo. Ma quando Bianca era morta era stato l’unico modo che aveva trovato per rimanere aggrappato alla vita. Tramite la ricerca costante e continua di vendetta.
Guardare il semidio che aveva permesso (e forse causato? Non lo sapeva Nico) la morte di sua sorella e odiarlo facilitava il tutto.
Aveva desiderato la sua morte.
Aveva fatto di tutto pur di vederlo morto come Bianca e avrebbe goduto nel guardare la sua anima vagare nell’Oltretomba.
Eppure alla fine non ce l’aveva fatt. Lo aveva fatto fuggire e… tutto era cambiato.
Nel giro di poco tempo tutti i suoi pensieri erano mutati, cambiati radicalmente. Si era innamorato.
E Nico aveva odiato quei sentimenti. Aveva odiato sé stesso e represso ogni più piccola traccia di umanità, affogandola nel mare torbido della propria essenza, della propria anima.
Aveva fatto di tutto perché quei sentimenti non riaffiorasse. Aveva evitato il Campo Mezzosangue, aveva evitato Percy come se fosse il portatore di una malattia mortale. E forse per lui era proprio così. Sapeva che se ci fosse stato troppo a contatto qualcosa dentro di lui sarebbe scattato e non poteva permettersi un simile cedimento.
Aveva vagato nell’Oltretomba, vivendo di stenti. Si era accampato a casa di suo padre, tentando di rimanere il più possibile nell’ombra. Non voleva importunare suo padre, ma ancora meno voleva importunare Persefone.
Non gli piaceva e Nico sapeva che quell’antipatia era reciproca e il ragazzo non poteva certo biasimarla. Vivere tutto il giorno in un posto che odi mentre il frutto del tradimento di tuo marito respirare nella tua stessa stanza, non doveva essere piacevole nemmeno per quella donna.
Ma vivere là era più semplice.
E per una volta Nico voleva qualcosa di veramente semplice.
Ne aveva bisogno. Necessitava di tranquillità, aveva bisogno di riprendersi.
E in quel momento si trovava al Campo Giove e non aveva potuto fare altro che attenersi al volere degli dei. Aveva parlato con Percy quel pomeriggio e lui gli aveva sorriso.
Per la prima volta Percy aveva sorriso proprio a lui. Un sorriso sincero.
Vero. Senza pietà, senza compassione.
Lo aveva guardato negli occhi, vedendolo per la prima volta, guardandolo per ciò che era realmente.
Nico e basta. Non figlio di Plutone, non Ambasciatore.
Nico. Tutto qua.
E il cuore del ragazzo, sempre così vuoto e spento, si era riempito di quelle sensazioni travolgenti che rischiavano di fargli girare la testa. Lo sentiva che aveva ripreso a battere nel petto e mentre gli stringeva la mano, Nico aveva sentito tanto altro.
La sua pelle calda, i suoi occhi verdi, il suo sorriso.
Tutto Percy si era riversato dentro di lui e a Nico gli era sembrato di respirare veramente per la prima volta, a pieni polmoni. Aria pura. Aria vera. Aria e aria e aria. Percy era aria per lui, necessaria e indispensabile.
Gli era sembrato quasi come rimanere, in un solo istante.
I suoi piedi sfiorarono improvvisamente qualcosa di freddo e umido che lo riscosse. Tornò di nuovo sulla terra, allontanandosi bruscamente da quei pensieri distruttivi.
Osservò ai propri piedi e, spaesato, si guardò intorno.
Quando aveva raggiunto il lago?
Quanto erano stati profondi i suoi pensieri se, senza rendersene conto aveva camminato per quasi due chilometri?
Sovrappensiero, i suoi occhi incontrarono il sole diretto e con un gemito si coprì il volto con la mano, mordendosi il labbro.
I raggi scuri del sole del tramonto si diffondevano intorno a lui, macchiandolo di rosso tutto ciò che riuscivano ad illuminare prima dell’arrivo repentino della notte.
Sembrava tutto, terra, acqua e lui stesso fossero macchiati di sangue e si sforzò di guardare oltre l’orizzonte, oltre quella palla infuocata, cercando risposte che, lo sapeva, non sarebbero mai arrivate.
Socchiuse gli occhi, inspirando a fondo l’odore del lago.
Seppur in maniera diversa, gli ricordava lo stesso odore di Percy, impregnata di mare e salsedine.
« Anche tu al lago? » chiese all’improvviso una voce dietro di lui.
Nico sussultò, voltandosi di scatto. Alle sue spalle, illuminato debolmente dal sole del tramonto, si trovava Percy.
Il ragazzo sentì il cuore battergli impazzito nel petto, la gola improvvisamente secca.
« Umh… ci sono finito per caso. » balbettò senza riuscire a dire niente di più sensato.
In realtà, non era proprio del tutto una bugia. Da molti mesi ormai, quando si trovava sulla terra, nel mondo dei vivi, riusciva a trovare solo un po’ di pace vicino ad uno specchio d’acqua.
Forse perché ormai solo pensare a Percy gli dava un po’ di conforto.
Nico osservò il sorriso di Percy e ascoltò il suo della sua risata riempirgli le orecchie.
Riuscì anche ad abbozzare un sorriso che gli affiorò spontaneo sulle labbra.
« Sai, dovresti sorridere più spesso. Quando lo fai sembri una rockstar bella e dannata. » imitò il gesto di un chitarrista « Credo che le ragazze impazzirebbero per te, lo sai? »
Il più piccolo sentì le guance diventargli improvvisamente rosse.
Nico non era abituato ai complimenti, tanto meno se fatti da Percy.
Non si erano mai parlati molto. Percy si era limito ad arrabattare delle scuse e a tentare di consolare come se si fosse ritrovato di fronte ad un cucciolo abbandonato, ad un organo bisogno di protezione e Nico non lo aveva mai sopportato.
Era fuggito, rifugiandosi nell’ombra e trovando conforto in essere, come una madre che ti abbraccia nel buio.
A disagio, spostò il peso del proprio corpo da un piede all’altro.
« Diciamo che per adesso vorrei le attenzioni di una sola persona. Ma non credo che le avrò mai. » si limito a dirgli, spostando lo sguardo.
Percy fece una faccia stupita.
« Eh? Davvero c’è qualcosa che ti piace e lui non vuole stare con te? »
« Perché, tu ci vorresti stare con me? Lasceresti tutto per me? Perché è questo che significa stare con un figlio di Plutone. » affermò d’istinto, quasi arrabbiato da quella domanda.
Che idiota che sapeva essere Percy Jackson.
Nico vide lo stupire crescere sul suo viso, lasciando spazio allo stesso tempo al disagio.
« Non lo so. Prima non dovremo conoscerci meglio? Do l’impressione di essere uno che si concede prima ancora del primo appuntamento? » chiese infine tentando di smorzare la tensione.
Non ci riuscì.
Nico continuava a guardarlo con sguardo serio. Aveva solo una carta da giocare, quella dell’amnesia di Percy. Poteva usarla a suo vantaggio, distorcere la realtà per farla finalmente giocare a suo favore. Bleffare. Mentire per rendere Percy suo. Nico ci sapeva fare con le parole, ne aveva avuto prova al Campo Giove.
Sapeva a cosa andava incontro.
Quello era IL passo, quello più lungo della gamba. Voleva dire ottenere solo il disprezzo e l’odio di Percy. Allontanarlo ancora di più, questa volta per sempre.
Eppure Nico desiderava solo essere felice, anche se per poco. Voleva poter stringere anche lui quella piccola fetta di amore e gioia che avevano tutti gli altri.
Avrebbe vissuto con il ricordo di quei momenti, si sarebbe nutrito del passato e alimentato con quello il fuoco della sua vita.
Lo sapeva. Sarebbe stato logorante, forse anche inutile, ma lo desiderava troppo.
Socchiuse gli occhi e quando li riaprì Percy era ancora lì, davanti a lui, come se fosse in attesa di qualcosa.
« Io e te siamo amanti. Tu hai una fidanzata. Ma non la ami. Ma non hai il coraggio di lasciarla. Ecco qual è la verità. » mentì, tenendo gli occhi fisse dentro quelli verdi dell’altro.
Mentire.
Ecco a cosa si era ridotto Nico. Una stupida e inconcludente menzogna, che non avrebbe portato a nulla di buono.
Nico era diventato bravo a mentire. Era stato costretto. Anche per colpa di Percy e quei maledetti sentimenti che provava verso di lui.
Il ragazzo accennò una risata nervosa, quasi isterica.
« Non è vero. Perché dovrei crederti? »
« Perché ti ricordi solo di una ragazza e di me. Lei è Annabeth. State insieme, ma ti sei reso conto che non la ami, che ti piace come amica, ma non sai come dirglielo. E sei venuto da me. Perché sai che io posso darti quello che vuoi, quello che ti serve per renderti davvero felice. »
Nico accennò un sorriso di superiorità e si avvicinò lentamente, allungando una mano tremante verso di lui, stringendogli la maglietta stracciata, come a volerlo tirare verso di sé.
Percy si fece guidare, ancora un po’ stordito e non oppose resistenza quando il più piccolo avvicinò al suo il proprio viso, baciandogli teneramente il viso, stringendo debolmente le mani sulle sue spalle.
Nico continuò a baciarlo piano, prima sulle guance, poi sul naso, sulla fronte, sulle tempie, assaporando il sapore e il calore della sua pelle, scivolando lentamente verso le sue labbra.
Quando lo baciò, Nico dovette fare appello a tutte le sue forze per non scoppiare a piangere. La bocca di Percy era socchiusa e quando la baciò più a fondo gli sembrò quasi di galleggiare in un bolla dove non senti nulla.
Si allontanò da lui di qualche centimetro, per riprendere fiato. Percy non lo guardava, ma sentiva i loro respiri mescolarsi e riscaldargli la pelle. Il ragazzo ne voleva ancora e ancora e ancora. Desiderava vivere sapendo che Percy avrebbe potuto essere suo in qualunque momento, ma sapeva che non sarebbe mai stato possibile e quella consapevolezza aveva iniziato ad ucciderlo, giorno dopo giorno, notte dopo notte.
Strinse la presa sulla sua maglietta, mordendosi un labbro.
“Guardami.” pensò chinando lo sguardo “Guardami e dimmi che credi alla mia menzogna Percy. Guardami, stringimi, baciami perché è di questo che io ho bisogno. Ho bisogno di te.”
La presa di Nico si allentò con il passare dei secondi fino a che le sue braccia non scivolarono di nuovo accanto ai suoi fianchi.
« Perché? » sussurrò « Perché finisce sempre così? Perché non riesci ad amarmi? » sibilò stringendo le mani a pugno, sentendo gli occhi inumidirsi di lacrime.
« Allora è vero che mi hai mentito? » chiese altrettanto piano Percy.
Ma quel tono sottomesso lo irritò ancora di più.
« Se ancora fosse? » urlò Nico allontanandosi di un passo, trovando di nuovo il coraggio di guardarlo in viso « Dovrei sentirmi in colpa per questo? »
Percy lo fissò.
« Forse. »
« Vorresti sentirti dire che per rendere Annabeth felice avrei dovuto sacrificare la mia? Beh, non è così Percy. Io ti voglio. Ti amo come probabilmente lei non riuscirà mai a fare! » esclamò Nico pieno di rabbia e frustrazione.
« E alla mia di felicità, non ci pensi? » chiese Percy « Se è lei la mia ragazza, vuol dire che… »
« Anche con me potresti esserlo! Potrei renderti anche io felice! Amarti. Perché tu non mi vedi? Non mi hai mai visto. Mai! » sibilò infine con tono rassegnato, osservandolo quasi con disperazione.
Aveva bisogno di sentirsi dire che era importante per lui. Che poteva impegnarsi per amarlo, che ci avrebbe almeno provato o pensato.
« Io… credo che… Nico, semplicemente, non ti amo. » rispose Percy a voce bassa, distogliendo lo sguardo.
A Nico sembrò quasi gli avessero tirato un pugno in pieno volto e un altro al diaframma. Barcollò un paio di passi indietro, la testa che gli girava e il fiato spezzato nel petto e si nascose il viso fra le mani, nascondendo le lacrime che avevano iniziato a scivolare sul viso.
Riuscì a trattenere i singhiozzi a fatica, chiedendosi come aveva potuto essere così stupido e ingenuo.
Come aveva potuto sperare che Percy avrebbe mai potuto amarlo?
Era uno stupido.
Uno stupido innamorato della persona sbagliata.
O forse, molto più semplicemente, era lui ad essere quello sbagliato. Era lui il mostro, non Percy.
« Nico, mi dispiace, io… »
Vide Percy allungare la mano verso di lui. A Nico gli sembrò di essere tornato indietro nel tempo. Percy dispiaciuto che tentava di consolarlo. No. Non lo avrebbe sopportato di nuovo.
Schiaffeggiò via la sua mano con violenza, allontanandosi ancora di più.
« Non voglio la tua stupida compassione Percy Jackson. Non più. » ringhiò asciugandosi il viso con gesti irritati.
Il più grande rimase in silenzio e Nico si avviò verso il Campo Giove, superandolo. Lui non lo seguì, ma Nico sapeva che non lo avrebbe fatto e, forse, fu meglio così.
Camminava a passo svelto, ogni centimetro del proprio corpo che tremava di rabbia e delusione.
Era la fine di tutto.
Quando raggiunse il suo alloggio, solo una domanda destinata a rimanere senza risposta vorticava nella sua testa.
“Perché tutto quello che tocco, improvvisamente muore?”