Titolo: Confuse reality and fantasy
Fandom: Arashi
Pairing: Ohno Satoshi x Matsumoto Jun
Rating: NC17
Avvertenze: Slash
Disclaimer: I personaggi non sono miei, tutti i diritti riservari e i fatti narrati sono frutto della mia fantasia. La storia non è scritta con scopo di lucro.
Riassunto: Quando Ohno si era lasciato con Nino, Jun aveva tentato in ogni modo di mantenere con entrambi lo stesso tipo di rapporto che aveva prima.
Note: Scritta per la
500themes_ita con il prompt “09. Sensazione di perdita”.
Wordcount: 11.685 (totali)
fiumidiparole **
Quando Ohno si era lasciato con Nino, Jun aveva tentato in ogni modo di mantenere con entrambi lo stesso tipo di rapporto che aveva prima.
Aveva provato a continuare ad uscire con Ohno, perché in fondo lo faceva anche prima, ma all’improvviso il più grande aveva troncato con lui ogni tipo di relazione e, se all’inizio il ragazzo aveva pensato che potesse essere per qualcosa che aveva fatto, Jun aveva poi scoperto che in realtà aveva fatto la stessa cosa sia con Aiba con Sho.
Il suo tempo quindi era stato monopolizzato dalla figura di Nino. Usciva con lui quasi sempre, sentendolo lamentarsi di Ohno, di come si fosse comportato male con lui, di quanto fosse stato stronzo e, ma solo quando aveva alzato un po’ troppo il gomito, di quanto gli mancasse.
Jun dubitava fortemente di potergli sentire dire quelle parole durante il giorno, quando era sobrio, ma in fondo non gli importava poi così tanto.
La loro relazione, i motivi per cui era finita e quello che avrebbero fatto dopo, non gli interessava. Si era sempre tenuto a distanza da loro, da quella nuvola rosa che li circondava perché era giusto così.
E Nino parlava. Senza sosta. Parlava e parlava quasi sempre di Ohno. Ininterrottamente. Tranne quando erano entrambi nella stessa stanza.
In quei momenti il più piccolo si ammutoliva, incrociava le braccia al petto come un bambino e iniziava a fissare il muro davanti a sé. Certo, da quel momento era diventato incredibilmente attivo nel gruppo e, a differenza degli altri anni, sembrava che lavorare lo aiutasse a staccarsi da quella relazione che era finita dopo quasi dieci anni e che ormai non esistenza, come se distraendosi solo un secondo lo potesse far tornare indietro nel tempo, impedendogli di soffrire.
Nel sei mesi che erano passati da quando si erano lasciati, quasi ogni suo attimo libero era stato passato con Nino, quindi, la prima volta che si era ritrovato da solo con Ohno, era stato per puro caso.
Aveva appena finito di girare per un promotional video, il più grande era stato il primo a finire le riprese e si era sdraiato sul divano per riposare, per poi addormentarsi e svegliarsi al loro rientro. Nino gli aveva dato improvvisamente buca perché si era dimenticato che doveva correre ad Akiba per comprare un nuovo gioco, mentre Sho e Aiba aveva altri impegni lavorativi e Ohno semplicemente non sembrava trovarsi nel loro stesso universo.
Dopo il lavoro, durante le riunioni, mentre attendevano i manager e in tutti i momenti liberi che avevano mentre si trovavano tutti e cinque insieme, Ohno si lasciava andare contro la poltrona e disegnava, senza intromettersi in nessuna discussione e senza lasciarsi sbilanciare.
Il più grande non era mai stato un gran chiacchierare o un tipo propositivo, ma cerco era che da quando aveva lasciato l’ex fidanzato, aveva smesso di parlare.
In quel momento Jun avrebbe voluto trovarsi in qualunque altro posto, piuttosto che là. Perfino essere circondato da un esercito di formiche rosse mentre era ricoperto di miele sembrava essere un’opzione più accettabile che stare in piedi, in silenzio, nella stessa stanca con Ohno perso nel suo mondo.
Tossì leggermente per attirare la sua attenzione, quanto meno per salutarlo e incredibilmente ci riuscì al primo colpo.
Ohno, seduto sul bordo del divano, smise di sbadigliare e aprì gli occhi, guardandosi poi intorno con aria spaesata.
« Ah. Sono già andati tutti via? » chiese solo.
« Uhm. Sì. Pochi minuti fa. Io stavo sistemando la mia borsa. Hai ascoltato qualcosa di ciò che abbiamo detto prima del pv? » chiese poi Jun indicando, a mò di scusa, la sua roba ordinata in pile sul tavolo, pronte ad essere sistemate.
« Certo. Ogni parola. »
Jun lo fissò ancora. Avrebbe voluto dirgli che sapeva perfettamente che stava mentendo, ma si sentiva decisamente troppo stanco anche solo per pensarci, quindi lasciò perdere.
Ohno annuì e si alzò in piedi, dirigendosi poi il bagno. Jun tornò alla borsa, desiderando solo andarsene e l’aveva appena infilata intorno al collo che il più grande rientrò, fissando poi i suoi occhi nei suoi.
« Vuoi andare a bere qualcosa? » chiese all’improvviso « Lo ammetto, alla riunione non ho sentito assolutamente nulla. Per farmi perdonare offro io, va bene? »
Jun ponderò velocemente la risposta da dargli. Ovviamente era un “no” secco, quasi categorico, per molti motivi diversi.
Uno su tutti perché il suo migliore amico aveva passato gli ultimi sei mesi ad insultarlo in ogni maniera possibile, ammorbandolo su quanto lui non dovesse passarci nemmeno un secondo perché sicuramente avrebbe fatto del male anche a lui e la sola idea di sentirlo riprendere a lamentarsi del fatto che aveva passato addirittura due ore con lui era decisamente fuori discussione.
Il secondo motivo, importante quasi quanto il primo e di non minor rilevanza morale, consisteva nel fatto che Jun non era sicuro di voler uscire con l’uomo per la quale aveva una cotta da quasi metà della sua vita e che si era appena lasciato con il suo migliore amico, probabilmente scivolare in un pericoloso giro di depressione da post-abbandono.
Decisamente. Uscire con Ohno, per quanto sarebbe stato allettante tornare a quel rapporto di amicizia che c’era fino ad qualche anno prima, era fuori discussione.
Accennò un sorriso, scuotendo la testa.
« Ho già un impegno, mi dispiace. Con… Shun e Hiroki. » mentì « Se lo avessi saputo prima mi sarei organizzato meglio e non avrei dato conferma. »
Ohno sorrise, agitando la mano e infilandosi il cappotto.
« Tranquillo, non farti problemi. E’ colpa mia che mi sveglio sempre troppo tardi. Continua ad essere sempre questo il problema, no? »
Si guardò intorno, con perfetta calma, recuperando tutte le cose che aveva lasciato in giro.
Jun lo osservò meglio. Non gli sembrava una persona che si stava struggendo di dolore. Sembrava un po’ giù di morale, ma niente di più. Per quanto ne sapeva lui, poteva anche essere depresso perché il fine settimana prima non aveva catturato nemmeno un pesce. Di Nino non aveva mai parlato e Jun si chiese con chi avesse potuto essersi sfogato.
Non era più uscito né con lui, né con Aiba, né con Sho e Jun non sapeva se aveva altre amicizie abbastanza profonde da potersi permettere quel tipo di discorso.
Ancora in silenzio, Jun lo osservò mettersi la sciarpa e il cappello, per dirigersi poi verso l’uscita, sbadigliando ancora.
« Ora che fai? » chiese poi all’improvviso, maledicendosi quasi subito.
Avrebbe dovuto andarsene, non fare conversazione. Stargli lontano il più possibile, perché aveva già sperimentato sulla propria pelle che mescolare sogni e realtà non portava ad nient’altro che dolore e sofferenza.
Ohno si voltò verso di lui, stupito, poi si appoggiò al muro, pensieroso.
« Non ho fatto la spesa, quindi forse ordinerò qualcosa al ristorante cinese vicino casa. Poi magari posso chiamare qualche amico e andare a pesca con lui. Domani non lavoriamo, vero? » chiese poi osservandolo.
Il più piccolo scosse la testa, perplesso.
« E… come stai? » chiese poi Jun.
« Bene, perché? Sembro raffreddato? »
Jun scrutò attentamente il viso dell’amico, chiedendosi se fosse sincero, incredibilmente stupido o se stesse semplicemente mentendo, ma Ohno sembrava sincero.
Di Nino, evidentemente, non gli interessava poi più di tanto.
« Oh, no. Io… » Jun sentì improvvisamente la gola secca e distolse lo sguardo per guardare l’orologio « Magari non posso rimanere più di tanto, ma posso rimanere… che so, un caffè o un drink qua vicino? »
« Ne sei sicuro? » domandò Ohno « Se hai già preso degli impegni non fa niente. »
Jun scosse le spalle, fingendo di nuovo di controllare l’orologio.
« Ho un paio d’ore prima dell’appuntamento. Pensando di uscire con Nino, mi ero portato dietro il cambio. Non devo nemmeno tornare a casa per prendere la macchina, avevo già previsto di prendere un taxi. Davvero. Non è un problema. » aggiunse infine, notando come la perplessa del cantante non era ancora svanita.
E fu a quel punto che Jun si sentì costretto a distogliere lo sguardo. Bugie su bugie. Non era abituato a mentire perché essere onesto e sincero, anche quando si trattava di essere brutale e cinico, era sempre stato un suo punto di forza.
E ancora non capiva come mai aveva deciso di scendere a patti con la sua coscienza solo per un maledetto caffè con Ohno.
Lo guardò ancora e il più grande stava sorridendo. E Jun si maledisse ancora e ancora.
Mai mescolare realtà e fantasia. Pensava di averlo imparato dopo il litigio con Sho, dopo che il suo amore era stato calpestato così violentemente, dopo tutti i pianti e la sofferenza, dopo tutti gli anni passati ad amarlo così tanto da sanguinare e dopo altrettanti anni passati ad ignorarsi.
Invece non era cambiato così tanto negli ultimi dieci anni.
Continuava ad essere il solito idiota.
Sperò che all’improvviso Ohno cambiasse idea, che gli dicesse che forse preferiva davvero passare l’intera nottata a pescare, in compagnia di Matsuoka forse.
Ma così non fu. Lo vide sistemarsi meglio la borsa sulla spalla e indicare la borsa.
« Allora andiamo. Conosco un posto dove non ci daranno fastidio. »
Il taxi li lasciò vicino casa del più grande e Jun si rese conto che, da quando lo conosceva, non ricordava di esserci andato per più di una manciata di volte e, adesso che si guardava bene intorno, non ricordava mai di essere andato a trovarlo nel suo nuovo appartamento.
Negli ultimi mesi poi, frequentando solo Nino, poteva fare il tragitto da casa propria a quella dell’amico ad occhi chiusi, superando perfino l’abitudine di raggiungere Shun nella nuova casa che aveva comprato per il matrimonio.
Lasciò scivolare via tutti gli altri pensieri, concentrandosi su ciò che aveva intorno. Il quartiere residenziale dove abitava Ohno era tranquillo per essere l’ora di punto in cui tutti gli impiegati tornavano a casa per cena e, mentre attendeva che l’altro pagasse la tariffa, inspirò l’aria fresca della seria con soddisfazione.
Era raro trovare dei quartieri immersi nel verde a Tokyo e Jun trovò che quel luogo si adattava bene alla personalità del collega.
Calmo e rilassante, del tutto diverso dal quartiere dove invece abitava lui, rumoroso e trafficato, vicino a Shibuya. A Jun piaceva avere le comodità a portata di mano e per questo era disposto a pagare quella comodità con il rumore.
Non avevano parlato molto durante il tragitto, ma a Jun quel silenzio non era pesato. Non c’era tensione o nervosismo, ma semplicemente un qualcosa di naturale, distensivo.
Si incamminarono parlottando di ciò che avevano fatto nella giornata, fino a raggiungere l’ingresso di un enorme grattacielo.
Jun seguì il più grande che, dopo aver salutato con un cenno del capo la receptionist dietro al bancone, si diresse verso l’ascensore, raggiungendo in una manciata di secondi i piani centrali.
Là, lesse Jun, si trovava il ristorante e il bar dell’albergo che occupava i piani più altri, entrambi aperti fino a notte fonda.
All’ingresso li raggiunse un cameriere che, riconosciuto Ohno, salutò discreto, inchinandosi di fronte a loro.
« Se lo desidera Ohno-san, la solita saletta interna è ancora libera e non sono previste prenotazioni per la serata. »
« Sì grazie. » si limitò a dire il collega, seguendolo pigramente lungo la sala del ristorante, raggiungendo poi una sala privata che, grazie ad una enorme vetrata su tre lati, permetteva di osservare tutta Tokyo illuminata dalle luci notturne.
Ordinarono dei drink e poi furono di nuovo immersi nel silenzio.
« Vieni spesso qua. » affermò il più piccolo.
Ohno annuì.
« Sì. Quando sono casa e non riesco a disegnare vengo qua. Non mi fanno domande, né storie e anche quando sono presenti altri clienti, non mi sento a disagio. Mi piace. »
Il più piccolo annuì a sua volta, guardandosi intorno, circondato dal lusso.
A giudicare dal livello del locale, loro non dovevano essere gli unici vip che lo frequentavano e probabilmente la dirigenza aveva reso la discrezione e la privacy parte integrante dei loro servizi, un po’ come un biglietto da visita, per chi non vuole essere assillato da domande indiscrete, fotografie e tutto il resto.
Gli piaceva quel posto.
Rimasero in silenzio fino a che non arrivarono le ordinazioni e fu lì che Ohno iniziò a sbilanciarsi.
« Come sta Kazunari? » domandò voltando lo sguardo verso la città.
Jun alzò un sopracciglio, sorpreso. Erano mesi che non sentiva Ohno chiamare il ragazzo per nome. Lasciò correre.
« Adesso un po’ meglio. Ha impiegò un po’ a riprendersi. Anche se continua ad ascoltare “Loveless” di YamaPi in loop. »
L’altro abbozzò un sorriso triste, ma non rispose per un tempo che al più piccolo parve infinito.
« Mi dispiace averlo fatto soffrire. » si limitò a dire infine, con voce inespressiva, continuando a guardare la città.
« Strano, non si direbbe. »
Ohno si voltò verso di lui, gli occhi leggermente sbarrati. Poi sorrise lievemente, tornando alla sua solita espressione pigra.
« Sì, immagino che sia un altro dei miei difetti. » portò il bicchiere alla bocca, bevendo un lungo sorso « Sei schietto come sempre. »
« Non dovrei? »
« Al contrario. E’ una tua qualità che ho sempre apprezzato invece. »
Tornarono di nuovo in silenzio e Jun lo imitò, osservando la città. Era più bella si come la ricordava.
« Non era mia intenzione metterti in questa situazione con Kazunari. Non immaginavo che si sarebbe attaccato così tanto a te. »
« Beh, l’uomo con cui è stato per dieci anni lo ha lasciato all’improvviso senza dargli nessuna spiegazione, è normale che lo abbia fatto no? E poi a me non dispiace. Ci sto bene con lui. » si interruppe un paio di secondi, ricacciando il gola il resto della frase.
Sottolineare che fra di loro non c’era nulla se non amicizia non avrebbe fatto altro che contribuire alla fossa che si stava già scavando da solo e poi sarebbe apparso solo sospettoso.
Era ovvio che fra di loro non c’era nulla e Ohno non aveva motivi per pensare che ci potesse essere qualche risvolto sentimentale. E se anche lo avesse pensato, ormai ciò che faceva Nino non era più affare di sua competenza.
Come amico Nino andava bene, nonostante i suoi alti e bassi e i suoi sbalzi d’umore, ma Jun era sicuro che come fidanzato non avrebbe resistito alla tentazione di soffocarlo con un cuscino dopo un paio di giorni.
Sotto molti di punti di vista, i loro caratteri erano decisamente incompatibili, sfaccettature della loro personalità che si incastravano bene solo se rimanevano amici.
« Quindi cosa intendi fare? » domandò poi, giusto per spezzare il silenzio che iniziava a farsi quasi opprimente « Vuoi tornare con lui? Mi stai chiedendo una mano? »
Ohno sorrise, scivolando quasi in una risatina.
« No, certo che no. Ho pensato a lungo prima di lasciarlo. E tu sai che io non torno mai indietro, no? »
« Sì, lo so. »
Eccome se lo sapeva Jun. In più di quindici anni non aveva mai visto Ohno rimangiarsi una parola data o tornare sui propri passi. Pensava, ponderava, ragionava. E solo dopo aver valuto ogni pro e ogni contro esprimeva una sua impressione o un pensiero. E di solito, quasi sempre, era definitivo.
« L’ho lasciato semplicemente perché non lo amavo più. Non pensavo servissero altre spiegazioni a Kazunari. »
« Di solito non servono, ma Nino è diverso. »
« Avrebbe preferito che gli dicessi che lo lasciavo perché non sopportavo il fatto che dormisse con le finestre chiuse anche in piena estate? » domandò Ohno, con una serietà che fece quasi ridere Jun.
« No. Ma forse avrebbe apprezzato un po’ più di tatto. »
L’altro parve ragionarsi, per poi annuire ancora.
« Questo è vero. Ti ha raccontato proprio tutto, eh? »
Jun girò la cannuccia nel bicchiere, mischiando i vari ingredienti che formavano tante strisce colorate.
« Quando una persona beve diventa onesta e la lingua gli si scioglie sempre. »
« Mi ricorderò di non bere in tua presenza allora. »
Lo sguardo che Ohno gli rivolse lasciò correre una scarica di adrenalina lungo la spina dorsale che a Jun piacque fin troppo.
« Hai dei segreti che non vuoi che io conosca? » si avvicinò in maniera impercettibile, continuando a bere.
« Ho dei segreti che non voglio che nessuno conosca. » lo corresse il più grande sorridendogli più apertamente.
Jun rimase a guardarlo, più incantato di quello che avrebbe voluto. Si erano avvicinati, Jun poteva percepire Ohno accanto a lui e lo sapeva, diamine se lo sapeva, che qualcosa di sbagliato stava per accadere.
Ma Ohno era un magnete e lui non riusciva a fare nulla per allontanarsi o ribellarsi.
« Sai, è un po’ che volevo chiederti di uscire. » mormorò piano il più grande.
« Ah. E perché non l’hai fatto? »
« Non lo so. Lo sai che sono un po’ lento, no? »
I loro respiri potevano mischiarsi tanto i loro volti erano vicini. Di nuovo, quella sensazione di panico e di disagio gli strinsero lo stomaco, ma tentò di ignorarlo. A riportarlo con i piedi per terra fu la suoneria del cellulare e sussultò.
Frugò nella borsa e mai una chiamata di Shun fu più provvidenziale.
« Sto arrivando. » esclamò prima di una qualunque altra frase da parte dell’amico, allontanandosi improvvisamente da Ohno, sbattendo la schiena contro la vetrata. Anche il più grande si allontanò dal suo fianco, tornando composto nella propria parte di tavolo.
Sentiva il battito accelerato e il cuore che gli pulsava in gola. Era agitato e non era abituato ad una simile sensazione. Di solito lui organizzava tutto e Ohno non era previsto.
Dall’altro lato del telefono Shun rimase in silenzio un paio di secondi. A dispetto dell’apparenza, sapeva essere perspicace.
« Ti ho chiamato per dirti di non venire a casa mia, ma al solito posto. Prendiamo un po’ da bere e poi torniamo a casa. Yuu non c’è, è da sua madre, possiamo divertirci un po’. »
« Hiroki? »
Jun vide di sfuggita che Ohno lo stava fissando e distolse subito lo sguardo, trovando improvvisamente interessante un cartellone pubblicitario che sponsorizzava il concerto dei Kanjani8 a Tokyo, al Dome.
« Uhm, non l’ho ancora avvisato, ma adesso lo faccio. Ma allora, sei sicuro di voler venire da me? »
« Certo. Stavo partendo dagli studi, ho finito da poco di girare il promotional video. »
Altre bugie.
Kami, ma che gli stava succedendo in quella giornata? Tutta colpa di Ohno, del suo invito e della propria debolezza.
« Ok, allora ti aspetto. A dopo Jun. »
« Sì. A dopo. » replicò il più piccolo con un groppo in gola che quasi gli impediva di parlare correttamente.
Chiuse il telefono, prendendo un lieve respiro. Non capiva più nulla.
« Cambio di programma, da quel che ho sentito. »
« Sì. Io… fra poco chiamo il taxi e mi faccio venire a prendere. Casa di Shun è un po’ lontana da qua. »
« Certo. Mi dispiace averti fare tardi. »
« Non sono in ritardo. » abbozzò un sorriso « Non mi hai ancora detto perché mi hai invitato ad uscire a bere, stasera. Se non vuoi tornare con Nino… cos’è che vuoi? »
« Pensi che io ti abbia invitato fuori con un secondo fine? »
« Non mi parli da sei mesi e all’improvviso ci ritroviamo qua a bere. Ti aspetti davvero che sia così ingenuo? »
« In realtà non volevo davvero nulla. Ho avuto bisogno di un po’ di tempo per… fare ordine nella mia vita. Capire cosa volevo fare, dove volevo andare. E adesso che ho sistemato tutto, posso riprendere la vita di sempre. Io e te siamo sempre usciti ogni tanto a bere qualcosa, no? »
« Sì, certo. »
Un po’ Jun si sentiva in imbarazzo. Ecco perché programmava tutto. Perché quando arrivavano gli imprevisti, parlava senza ragionare ed era una cosa che non gli piaceva. Per niente.
Si alzò in piedi, lasciando sul tavolo i soldi del drink, cercando il cappotto.
« Quando sei libero, potremo uscire di nuovo, che ne dici? » propose Ohno lasciandolo di nuovo imbambolato.
C’era qualcosa di strano in Ohno. Lo sentiva, lo percepiva, ma non riusciva a capire cosa. Di nuovo il suo istinto gli urlando di mentire, di dirgli che non voleva avere niente a che fare con lui perché era contro producente, perché non era il caso che si lasciasse andare. Non con lui.
« Perché no? » sussurrò invece « Ciao Ohno. »
Accennò un saluto con la mano e, senza voltarsi indietro, lasciò il bar. Quando uscì finalmente fuori, prese un respiro profondo a pieni polmoni e parve che, finalmente, l’ossigeno tornasse a scorrergli nel cervello.
Si sentì incredibilmente stupido, in imbarazzo e non capiva come avesse potuto essere così folle da credere di poter mantenere un po’ di sangue freddo di fronte a due moine sottili e un paio di sguardi languidi che, probabilmente, si era solo immaginato.
Eppure come erano arrivati a quel punto? Stavano per baciarsi, diamine! Non si stavano tenendo per mano e non erano bambini dell’asilo.
Mai mescolare realtà e fantasia.
Forse doveva seriamente pensare di farselo tatuare sul braccio, in bella vista, a mò di monito per ogni volta che stava per fare qualcosa di stupido.
Sospirò, avvicinandosi alla strada e chiamando un taxi. Forse avrebbe dovuto solo parlare con Shun e Hiroki. Sebbene fossero due persone diametralmente opposte e dai caratteri difficili, quando si trattava di lui riuscivano a trovarsi perfettamente d’accordo.
Magari anche quella sera avrebbero saputo consigliarlo.
Jun era stravaccato sul divano di Shun, stringendo fra le mani una birra ormai calda. Aveva la testa pesante ed era stanco.
Non era giunto a nessuna conclusione. Per l’unica volta in cui aveva bisogno di un consiglio serio, i suoi amici non erano riusciti a trovare un punto di accordo.
Dall’alto del suo cinismo che gli aveva salvato la vita più volte, Shun diceva che doveva approfittarsene, chi se ne fregava se il suo migliore amico piangeva sul suo cuscino tutte le notti come una femminuccia? Mica era stato Jun a distruggergli la relazione, no?
Se Ohno voleva scoparselo, Kami come odiava Jun quel termine, sposarselo o fargli ballare la macarena allora lui doveva starci, ne aveva tutto il sacrosantissimo diritto. Se lo meritava un po’ di sano sesso soddisfacente, no?
Hiroki invece, inorridito da tali parole, lo fissava a bocca aperta, esclamando che Jun doveva mostrare un po’ di rispetto per il dolore altrui, che sarebbe stata solo una pugnalata nel fianco di Nino e che avrebbe fatto di lui un mostro.
Poteva passare la scopata segreta che era ignobile allo stesso modo, ancora quel termine orrido, ma una relazione seria con Ohno, dopo dieci anni con un altro uomo, no grazie. E no, non si trattava solo di “sesso soddisfacente”, ma di tante altre cose, tra cui un’amicizia di quasi quindici anni.
Jun sbuffò, osservando sconsolato la birra e la appoggiò sul tavolino basso, passandosi le mani sul volto, di nuovo al punto di partenza, chiedendosi a chi altro poteva rivolgersi e rimuginò sui compagni di gruppo mentre Shun e Hiroki continuavano a litigare. Sembravano due genitori che discutono se il figlio piccolo può o meno andare a ballare in discoteca.
Chiedere consiglio ad Aiba era fuori discussione. Probabilmente sarebbe stato d’accordo con Shun e non aveva bisogno di sentirsi dire, con parole più carine, come era risultato patetico negli ultimi dieci anni ad amare un uomo fidanzato, senza mai lasciarsi coinvolgere in altre relazione con altri uomini, magari più adatti a lui di Ohno. Masaki era molto più pragmatico, realistico e diretto di quello che lasciava trasparire in televisione.
Sho poi era proprio segnato con una grande croce nera. Probabilmente avrebbe saputo dargli dei consigli seri e ponderati, ma non se la sentiva. Non era ancora pronto per affrontare con lui un discorso del genere e di quelle dimensioni.
Osservò Shun e Hiroki che continuavano a bisticciare, adesso molto più simili a bambini divisi dal tavolino e si alzò di scatto in piedi, interrompendoli. Sospirò ancora, massaggiandosi le tempie con fare stanco.
« Lasciate stare, dimenticate tutto, come se non vi avessi chiesto nulla. »
I due amici si guardarono per un secondo, poi Hiroki sospirò, grattandosi nervosamente la testa, osservandolo.
« Jun, tu devi fare quello che è meglio per te. » commentò Hiroki, andandogli accanto e tirandolo di nuovo seduto sul divano « Qualunque cosa farai, andrà bene, perché si tratta di rendere felice te, no Shun? »
Il diretto interessato lo fissò con un sopracciglio alzato.
« Ovviamente sì, Kami! Me ne frego della lealtà verso gli altri, tu sei molto più importante. E mi hai impedito di picchiare quello sbruffone di Sakurai, se questo Ohno dovesse farti qualcosa, sappi che non riuscirai a fermarmi. »
Il più piccolo sorrise, annuendo.
« La cosa più giusta per me. » ripeté lasciando cadere la testa sul divano, osservando il soffitto bianco « Il fatto è che non so nemmeno io cosa è giusto per me. » sospirò ancora.
Quasi quasi, l’idea di scolarsi l’intera birra, anche se calda, iniziava ad essere una buona idea.
Evitare Ohno, per iniziare, gli sembrava una buona idea. Usciva sempre con Nino che non si era accorto di nulla e, grazie al cielo, per il momento non sembra intenzionato a tornare con i piedi sulla Terra e tanto meno aveva intenzione di iniziare a preoccuparsi per chi si trovava intorno a lui.
Jun ringraziò il disinteresse di Nino per tutto ciò che non riguardava sé stesso e i videogiochi.
Ignorare Ohno era difficile, più difficile di quanto avesse calcolato. Non che il più grande facesse qualcosa per attirare la sua attenzione, né a lavoro né fuori dal lavoro eppure Jun sentiva che ogni cosa che faceva era sotto il costante controllo di Ohno e far finta di nulla, mentre sentiva il suo sguardo bruciargli contro la pelle come una fiamma viva, era quasi doloroso.
Avrebbe voluto, almeno per una volta, essere come Shun. Lasciarsi andare, senza pensieri. Decidere di fare una cosa solo perché aveva voglia di farla, senza preoccuparsi di chi aveva intorno o di quanto moralmente ed eticamente giusta potesse essere una sua azione.
Avrebbe voluto voltarsi, andare da Ohno, parlargli a macchinetta, dirgli tutto quello che gli passava per la testa e liberarsi di un macigno dal petto che mai, mai negli ultimi dieci anni, gli pesava così tanto addosso.
Tentò di concentrarsi di nuovo sulla mappa del Kokuritsu, mentre stavano discutendo del nuovo concerto, di dove mettersi, quasi uscire, dove uscire, dove volare e dove atterrare. Erano tutti impegnati a sfornare idee, tranne lui. Ohno si era appoggiato accanto a lui e Jun poteva sentire il calore della sua pelle, chiedendosi se in realtà, al tocco, era morbida come se l’era sempre immaginata.
Scosse lievemente la testa.
Doveva fare qualcosa e il più velocemente possibile oppure tutto sarebbe andato a rotoli e lui non era intenzionato a permetterlo.
Era stato un bravo, anzi, un ottimo amico fino a quel momento. Sia per Nino che per Ohno. Era uscito con entrambi, si era congratulato con entrambi e aveva perfino portato a casa loro un pensierino quando avevano deciso di andare a vivere insieme.
Era riuscito a domare la bestia di gelosia che covava nel petto e con il passare gli anni era riuscito ad accettare docilmente la sua situazione.
In fondo, Shun aveva ragione. Era stata sua la decisione di farsi cullare dallo sconforto e sua la decisione di continuare ad essere così incredibilmente patetico agli occhi di chi conosceva la sua situazione.
Se l’era cercata e nella stessa maniera vi aveva posto rimedio. Facendo finta di nulla. Lasciandosi trasportare da una fantasia che mai avrebbe dovuto o potuto diventare realtà.
Perché, se lo ripeté ancora giusto per conferma, non bisogna mai mescolare realtà e fantasia.
Ciò che potrebbe uscirne fuori, potrebbe essere la causa della propria distruzione.
« Non mi sento bene. » esordì all’improvviso attirando su di sé gli sguardi degli amici e dello staff.
E di Ohno.
« Cos’hai? » si allarmò Aiba, seguito a ruota da Nino.
« Nulla io… l’altra sera sono uscito con Hiroki e devo aver preso freddo. E’ un paio di giorni che prendo le medicine. »
Kami, come si odiava.
Ancora bugie, bugie su bugie. Era orribile anche solo pensarci.
« Vuoi che ti accompagno a casa Matsumoto-kun? » si preoccupò il manager.
« No. Vado da solo. Lo preferisco. »
Afferrò la giacca e la borsa e se ne andò via, di nuovo senza voltarsi indietro.
Come l’ultima volta che lo aveva fatto, aveva una tremenda paura di vedere Ohno, di vedere come lo stava guardando e se lo stava guardando.
Arrivò a casa e si fiondò sotto la doccia. Abbandonò i vestiti lungo il corridoio, senza preoccuparsi di sistemarli o di gettarli nella cesta dei panni sporchi. Aprì il getto d’acqua, senza nemmeno aspettare che si riscaldasse, chiudendosi dentro il vano della doccia.
Esalò un profondo respiro quando l’acqua fredda lo investì, ma si sentì quasi subito meglio, come se riuscisse finalmente a respirare.
Lasciò ricadere la testa all’indietro, lasciando che l’acqua, finalmente calda, gli scivolasse lungo il viso e i capelli, prendendo solo dopo un tempo lunghissimo la briga di iniziare a lavarsi, con una calma che non faceva parte del suo carattere.
Di solito la doccia era semplicemente un bisogno fisico di lavarsi e come tale andava soddisfatto il più velocemente possibile. La sua doccia di solito durava pochissimo e non era nemmeno un grande amante del bagno.
Impiegava troppo tempo e lui non ne aveva quasi mai abbastanza a disposizione. E anche se lo aveva, non lo sprecava mai in quel modo.
Quando uscì dalla doccia si infilò la tuta per casa e una felpa, iniziando poi a sistemare il disordine che aveva lasciato alle sue spalle all’ingresso.
La sua casa, così come la propria vita, era funzionale e ridotta all’osso. Solo ciò che era veramente importante rimaneva. Il resto finiva direttamente fuori dalla porta d’ingresso, senza nemmeno prendersi la briga di pensarci due volte.
Gettò i vestiti nel cesto dei panni da lavare e poi andò in cucina per prepararsi un caffè. Accese il bollitore dell’acqua, aprendo poi il frigo. Non c’era niente di particolare da mangiare, ma si accontentò di un po’ di tamagoyaki avanzato dalla colazione.
Si gettò sul divano, il cibo su un piatto e la tazza di caffè bollente posati sul tavolino, prendendosi un po’ di meritata pausa. Doveva mettere anche lui a posto la sua vita e doveva farlo il più velocemente possibile.
Accese la televisione su un canale che trasmetteva il telegiornale ventiquattro su ventiquattro, con news in diretta e si distese un po’.
Stava quasi per addormentarsi quando sentì suonare il campanello. Sussultò e sbadigliò. Strascicò i piedi fino all’ingresso, chiedendosi perché diamine Nino non lo avesse avvisato. Non aveva nulla da fare, ma magari dormire qualche ora gli avrebbe fatto anche piacere.
Quando aprì la porta invece, non si trovò davanti Nino. Ma Ohno. Jun rimase impietrito sulla soglia di casa, senza avere le forze per fare nulla, nemmeno per fingere.
« O-Ohno? » balbettò.
« Mi ero preoccupato. Stai bene? »
« Sì, io… » tossì « Ho solo un paio di linee di febbre. Ora è meglio se vai, non voglio farti ammalare. »
« Ma… »
« Davvero è meglio che vai… »
Era quasi riuscito a chiudere la porta, quando il più grande ci si appoggiò con tutte le proprie forze, riuscendo ad entrare. Afferrò il collega per le braccia, spingendolo contro il muro e poi lo baciò.
Jun rimase pietrificato, immobile contro il muro per almeno un paio di secondi, senza nemmeno riuscire a respirare. Sentiva solo il corpo di Ohno premuto contro il proprio e le loro labbra schiacciate.
Strinse le mani a pugno, mentre le dita del più grande erano ancora strette intorno alle sue braccia, come se lo stesse tenendo prigioniero, come se lo stessero marchiando a fuoco con il suo tocco.
Senza sapere come, né come il suo cervello avesse mandato quei comandi al proprio corpo, Jun trovò le forze di scostarsi, spingendolo via quasi con violenza. Non si curò del tonfo che fece il suo collega contro il muro di fronte a lui.
Ansimò, distogliendo lo sguardo dal più grande, osservando il pavimento.
« Cosa…? »
Non aveva parole Jun. Fissava a terra, senza riuscire a connettere il cervello per mugolare una parola o articolare una frase di senso compiuto.
Alzò finalmente gli occhi verso Ohno, osservandolo in silenzio come se se lo fosse ritrovato davanti per la prima volta in vita sua.
Dal suo canto, il cantante non sembra sconvolto. Nemmeno preoccupato, se per questo e ancora meno gli sembrava pentito. Non una piccola dimostrazione di disagio e quella totale assenza di emozioni, quell’atteggiamento quasi supponente, come se avesse ragione, lo fece innervosire.
Lentamente, e forse nemmeno così lentamente, la rabbia prese il posto dello stupido.
Scosse la testa, prendendo un profondo respiro, sforzandosi di mettere in ordine, nella propria testa, le parole.
« Fuori da casa mia. » sussurrò con un filo di voce, tremante dalla rabbia.
Anche Ohno alzò finalmente gli occhi al pavimento e lo sguardo che Jun ricevette lo colpì come un pugno nello stomaco. Era serio il più grande. Serio come non gli capitava di vedere da un bel pezzo.
« Perché? » domandò piano.
« Cosa? “Perché?”? Ti sei impazzito tutto insieme? Cosa… cosa ti passava per la testa? » esclamò il più piccolo, il tono che si alzava sempre di più, parola dopo parola.
« Ho fatto ciò che volevo fare. E non mi devo scusare con nessuno. »
Jun aprì di nuovo la bocca per tentare di dire qualcosa di sensato, ma ancora nulla. Vuoto totale. Black-out.
« Vattene via. » ripeté di nuovo, distogliendo lo sguardo.
Ohno si scostò dal muro, ma invece di dirigersi verso la porta, si avvicinò a lui, fermandoglisi davanti e ancora Jun sentì come qualcosa che staccava la spina al suo respiro. Lo osservò, senza dire nulla, troppo stupito.
Mai mescolare realtà e fantasia.
Se lo stava ripetendo da giorni, eppure non mantra non stava avendo nessun effetto. Forse avrebbe dovuto semplicemente farsi vedere da un dottore, da uno bravo.
Ohno si fermò di fronte a lui, quasi di nuovo appiccicato, troppo vicino perché tutto il suo corpo funzionasse a dovere.
Il proprio equilibrio era stato distrutto e per quello Jun poteva incolpare solo sé stesso. Per aver permesso che Ohno si avvicinasse così tanto a lui, per avergli permesso di rovinare la vita fino a quel punto.
Ohno strinse il corpo di Jun fra il proprio e il muro, alzando la testa verso di lui, in attesa di qualcosa.
Jun, stanco di combattere, piegò il capo verso di lui, lentamente. In fondo, era stato Ohno il primo ad avvicinarsi no?
Non lo aveva cercato lui.
Non gli aveva detto “Ehi Riida, perché non vieni a casa mia e facciamo sesso?”.
No. Ohno si era presentato, aveva preso in mano le redini della situazione e a Jun quella situazione piaceva e anche tanto.
Sentì di nuovo le dita del più grande stringersi intorno alle sue braccia, questa volta per accarezzarlo e il cervello di Jun si spense definitivamente, chinando il viso in avanti, baciandolo.
Le labbra di Ohno erano morbide e calde e scoprì che baciarla era molto più bello di come aveva immaginato.
La stretta di Ohno si fece più forte, ma l’altro lo ignorò. Era una stretta che gli piaceva.
Le proprie mani, ancora stese lungo i fianchi, risalirono verso l’altro, una che si strinse fra i capelli del più grande, l’altro che gli circondò la nuca, tirandolo meglio verso di sé.
Sentì la lingua del collega sfiorargli le labbra e allora Jun schiuse le sue, permettendogli di incontrare la propria.
Un bacio dapprima pacato, si trasformò quasi subito in un qualcosa di famelico, quasi animale fuori controllo. Jun lo desiderava, intensamente. Desiderava quella bocca e quelle mani contro ogni centimetro del proprio corpo e adesso, almeno per quei momenti, non vi avrebbe rinunciato.
Non voleva rinunciarci.
Relegò ogni preoccupazione in un angolo del cervello, spingendosi contro Ohno, mordendogli le labbra, baciandolo sempre più.
« Andiamo di là. » ansimò quando si separarono, fra un mugolio e l’altro, per tentare di riprendere sufficientemente aria.
Il più grande annuì, facendosi trascinare dal padrone di casa ed entrati in camera da letto e in quel momento Ohno riprese in mano la situazione. Lo spinse contro il letto, salendo sopra di lui, sedendosi sui suoi fianchi e passando le mani sotto la felpa, sfilandogliela quasi con urgenza, scivolando immediatamente sul suo collo, mordendolo con una ferocia famelica.
A Jun non piaceva non avere in mano la situazione. Non piaceva ritrovarsi nel ruolo della preda e probabilmente quello era proprio uno dei motivi, secondo Shun, per cui nessun altro pazzo si era mai azzardato a corteggiarlo o a rimanere per più di una notte nella stanza di uno qualunque hotel di lusso della città.
Eppure in quel momento sentirsi completamente abbandonato contro il letto, insieme ad Ohno che gli torturava il collo e le clavicole, mentre sentiva le sue dita lunghe e affusolate penetrargli nella carne dei fianchi, sentì che gli piaceva.
Per una volta almeno, era la preda e non il cacciatore e nella stanza non si sentiva altro che il rumore dei loro gemiti, il rumore dei vestiti gettati a terra e quando Jun riuscì a distendersi solo un secondo perché il più grande era impegnato a togliersi boxer e pantaloni, rimase senza parole.
Era più di quanto avesse mai sognato. Voleva godersi ogni secondo, fino alla fine. Si alzò a sedere, circondò la vita del più grande con le braccia, tirandolo in mezzo alle sue gambe e alzò la testa per baciarlo, mordendogli ancora un labbro, sentendo le dita di Ohno stringersi con forza fra i suoi capelli.
Succhiò il suo collo, scivolando lungo il pomo d’Adamo, mordendolo, continuando lungo il petto e soffermandosi sui capezzoli, mentre sentiva le dita di Ohno spingergli quasi impercettibilmente la testa verso il basso e solo Dio sapeva quando Jun desiderasse farlo, ma si costrinse ad attendere, a farsi desiderare.
Mentre succhiava un capezzolo alzò una mano, sfiorandogli l’erezione nuda con le dita, sorridendo quando lo sentì sussultare e stringerlo contro di sé, pizzicando poi il capezzolo libero fra le dita.
Il più grande ripeteva il suo nome come un mantra e Jun si sentiva come un ubriaco o un drogato, completamente privo di controllo e finalmente scese con la bocca, più in basso, chinandosi.
Jun inghiottì e poi aprì leggermente la bocca, posando le labbra contro la punta dell’erezione di Ohno, senza spingersi troppo avanti, stringendo l’asta nella mano libera. Ohno tentò di muoversi, ma ogni volta che lo faceva Jun si allontanava da lui, come una punizione, abbandonandolo completamente a sé stesso, per poi avvicinarsi di nuovo.
Leccò la lunghezza dell’erezione, continuando a torturarlo, aprendo la bocca solo di poco alla volta, fino a quando la stretta fra i propri capelli non divenne quasi insopportabile. Sorrise ancora, avendo cura di farsi vedere da Ohno, prima di spingere completamente il viso in avanti, circondando completamente la sua erezione con la propria bocca.
Il lungo gemito soddisfatto di Ohno fu come vincere una medaglia d’oro, ma continuò a muoversi lentamente, muovendo lingua, bocca e dita su di lui, mentre altrettanto piano Ohno aveva iniziato a spingere i fianchi avanti e indietro.
Gli piaceva a Jun quella sensazione. La sensazione che il più grande stesse godendo grazie a lui e alle sue attenzioni e al suo corpo.
Continuò a succhiarlo, sentendo il corpo di Ohno tendersi sempre di più ogni secondo che passava, continuando a sentirlo gemere con quella voce che lo stava facendo impazzire, mentre le mani del più grande erano ancora ancorate alla sua testa, muovendogliela ritmicamente avanti e indietro.
Se Ohno non era convinto di riuscire a contenersi ancora a lungo, Jun era assolutamente certo che non sarebbe riuscito a continuare.
Allungò lentamente una mano verso la propria erezione, dura e tesa in mezzo alle gambe, cercando un po’ di sollievo da solo, ma evidentemente Ohno doveva averlo intravisto dato che gli afferrò con forza il polso, allontanandolo da sé.
Avvicinò le dita alla propria bocca, succhiandole lentamente e di nuovo il suo corpo fu scosso da dei tremiti di piacere.
Ad un certo punto, all’improvviso, Ohno si allontanò da lui, lasciandolo senza fiato e confuso. Jun sentì solo le sue mani spingerlo di nuovo sul materasso, allargargli le gambe e sistemandovici in mezzo. Fece passare le braccia sotto le sue gambe, tirandolo a sé e si chinò su di lui, guardandolo negli occhi per un tempo che gli parve infinito.
Jun avrebbe voluto distogliere lo sguardo, ma non ci riuscì. Era magnetico. Era più forte di lui.
« Muoviti. » sussurrò con voce roca, ansimando quando la mano di Ohno si strinse intorno alla sua erezione, muovendola ritmicamente.
Con lentezza il più grande iniziò a prepararlo, infilando un dito dentro di lui, muovendolo piano, dandogli il tempo di abituarsi a quella prima intrusione nonostante fremesse di voglia di continuare.
Il più piccolo lasciò andare la testa contro il cuscino, inarcando la schiena, gemendo il suo nome sempre più velocemente, tanto più veloce andavano adesso le due dita dentro il suo corpo.
Schiuse gli occhi, mordendosi un labbro e guardandolo e avrebbe voluto arrossire per il modo in cui Ohno lo stava guardando, ma non ci riuscì.
Quello sguardo gli piaceva.
« Dai. Muoviti. » ripeté ancora e ancora il cantante lo accontentò, sfilando via le dita e iniziando a penetrarlo con la propria erezione, lentamente, centimetro dopo centimetro, come se avesse voluto accertarsi che Jun sentisse il proprio corpo aprirsi sotto ogni suo movimento.
E Jun, diamine, sì che lo sentiva.
Quando lo sentì completamente dentro di sé il fiato gli si mozzò quasi all’improvviso e strinse con forza le mani intorno alle spalle del più grande, facendogli quasi male, ma non ci fece caso. Non volle nemmeno pensare a quando era stata l’ultima volta che si era trovato in una situazione del genere, ma ne era sicuro, non era stato piacevole come in quel momento.
Mosse i fianchi incontro al più grande, facendogli cenno che poteva tranquillamente continuare a muoversi, senza più preoccupazioni.
E ancora e ancora e ancora Ohno lo accontentò. Iniziò a spingere dentro di lui, con un ritmo quasi incalzante, veloce, trasfomatosi di nuovo nell’animale famelico che era poco prima e anche Jun si lasciò andare, senza più riserve.
Gemeva entrambi, senza preoccuparsi di niente. La mano di Ohno si muoveva rapida intorno alla sua erezione, muovendola avanti e indietro, spingendo sempre più forte e veloce dentro di lui.
L’orgasmo lo travolse quasi all’improvviso, costringendolo a mordere la spalla al più grande per contenere i primi gemiti, ma Ohno non se ne curò minimamente.
Continuava a muoversi e a muoversi e quando finalmente Jun lo sentì venire dentro di sé gli parve di sentirsi finalmente bene.
Si lasciò ricadere ancora sul materasso, ansimando, in cerca di aria per continuare a respirare e lentamente, quasi di controvoglia, vide Ohno sfilarsi da dentro di lui, per ricadere al suo fianco, anche lui stremato.
Rimasero in silenzio, senza dire nemmeno una parola.
Adesso che tutto era finito, che l’incanto era stato spezzato, gradualmente Jun iniziava a sentire una morsa senza fine intorno al proprio stomaco, stringersi senza di più, lasciandolo ancora una volta senza fiato.
« Sei… stato pessimo. » iniziò il più piccolo, cercando di ponderare le parole.
« Sono pessimo solo perché ti desidero? »
« Non dovevi desiderarmi. E io non avrei dovuto lasciartelo fare. »
Ohno si voltò verso di lui, prendendogli poi il mento in una mano, costringendolo a guardarlo negli occhi.
« Giurami su cosa hai di più caro al mondo che non lo volevi anche tu Jun. Giuramelo e ti prometto che scomparirò dalla tua vita e tutto questo non sarà mai accaduto. Ma se lo volevi anche te… non devi giustificarti con nessuno. Nemmeno con te stesso. »
Jun sentiva gli occhi lucidi e si morse un labbro.
Avrebbe voluto essere in grado di mentire. Lo aveva fatto così spesso negli ultimi giorni che avrebbe dovuto esserci abituato ormai. In più, era un attore.
Ma quando si trattava di sé stesso e della propria vita, Jun era un totale fallimento e quasi si vergognò quando sentì delle leggere lacrime scivolargli dagli occhi lungo le guance.
« No. Lo volevo. » mormorò con voce rotta dal pianto « Lo volevo così tanto che… mi sembra impossibile. » sibilò scostandosi dalla sua presa, dandogli di nuovo le spalle.
Si passò le mani sul volto, irritato con sé stesso, asciugandosi gli occhi e le guance piene di lacrime di rabbia.
Sentì Ohno muoversi verso di lui e quando il più piccolo si strinse a lui, abbracciandolo, non lo scostò.
Nonostante il proprio conflitto, stava bene fra le sue braccia.
Parte 02