[Hey!Say!Jump] Extraordinary exceptions

Feb 23, 2013 20:34

Titolo: Extraordinary exceptions
Fandom: Hey!Say!Jump
Pairing: Yabu Kota x Inoo Kei
Rating: G
Avvertenze: Slash, AU!, Furry
Disclaimer: I personaggi non sono miei, tutti i diritti riservati e i fatti narrati sono frutto della mia fantasia. La storia non è scritta con scopo di lucro.
Riassunto: Nemara era steso nella sua capanna, fissando il tetto di paglia dalla quale filtravano lievi raggi di sole. Sorrideva, senza alcun motivo per farlo in realtà. Si era semplicemente svegliato bene.
Note: Scritta per la 500themes-ita con il prompt “128. Spirito vagante”, per la diecielode con il prompt “Teletrasporto” e per il COW-T3 di maridichallenge con il prompt “Piccolo”
WordCount: 2232 fiumidiparole

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Nemara era steso nella sua capanna, fissando il tetto di paglia dalla quale filtravano lievi raggi di sole. Sorrideva, senza alcun motivo per farlo in realtà. Si era semplicemente svegliato bene.
Aveva finito da poco i rituali sacri e sentiva giorno dopo giorno che il proprio spirito, che durante le cerimonie si era allontanato dal suo corpo per rivolgersi verso il futuro e verso la libertà e la pace del suo popolo, rientrare lentamente nel suo corpo, tornando a fondersi così con il suo corpo.
Socchiuse gli occhi, mentre la sua coda non riusciva a stare ferma un solo secondo, continuando a muoversi e a sbattere contro il tappeto che copriva il pavimento in terra battuta.
Stava per addormentarsi definitivamente quando all’improvviso sentì un rumore di passi avvicinarsi velocemente. Fece appena in tempo ad alzarsi sui gomiti che la porta della capanna si aprì all’improvviso e sulla soglia vide un suo caro amico, Athema, ansimare, mentre le orecchie e la coda non trovavano pace.
« Athema, che cosa c’è? » domandò il più grande, alzandosi a sedere.
« E’ arrivato. » ansimò l’altro « Lo straniero, quello terrestre. E’ arrivato una settimana fa, durante i nostri rituali. »
Nemara sbarrò gli occhi, fiondandosi al tavolo. Da quando erano arrivati i terrestri le abitudini di vita dei Tasantìr, estremamente pacifiche e primitive, avevano subito una svolta radicale, trovandosi improvvisamente immersi in quello che era in tutto e per tutto il futuro terrestre.
Case spartanamente arredate, al centro del villaggio alcune delle tecnologie fino a pochi anni prima a loro completamente sconosciute e poi abitudini e stili di vita mischiati fra i propri e quelli dei coloni.
Il più grande iniziò a guardare e a mormorare frasi che Athema non comprendeva, sfogliando e scartando fogli su fogli, fino a che non ne trovò uno che sembrava un comune calendario.
Data la loro alleanza e amicizia e dato anche che Nemara era il principe dei Tasantìr, aveva dei doveri di ambasciatore del proprio popolo. In realtà, quella strana tipologia di terrestri che era arrivato sul loro pianeta qualche anno prima, gli stava anche simpatica, a differenza dei soldati, delle guerre e di chiunque volesse approfittarsi di quella terra e di quell’aria ancora immacolata.
Gemette di disappunto osservando il voglio quadrettato. Era vero. L’ultima volta che si era sentito con lo straniero terrestre, era in pieno delirio da cerimonia e di certo non si era preoccupato più di tanto di dargli la dovuta retta.
Si portò le mani sulle orecchie pelose, scompigliandosi i capelli poi sospirò frustrato.
« Bene. Devo andare. » sibilò superando il più piccolo, che prese a corrergli dietro.
« Nemara, posso venire con te? Alla colonia conosco tutto e vorrei vedere lo straniero nuovo. Magari è bello e affascinante. Come il soldato che era stanziato qua fino a tre mesi fa. Non era bello Nemara? »
« I bipedi senza le orecchie e la coda non mi fanno impazzire. » borbottò il più grande rallentando in prossimità del centro del villaggio « Non li trovi strani? » scosse le spalle, fissando l’altro come se potesse dargli una risposta.
Athema però, al contrario, sbuffò.
« Sei veramente antico Nemara. Allora, posso venire alla colonia? » chiese per l’ultima volta mente il principe saliva al centro di una piattaforma, premendo nella tastiera virtuale al suo fianco, digitando il nome del centro cittadino di Asham e sorridendo all’amico.
« No. Questo è lavoro, mi dispiace! Ma dopo ti racconterò tutto, promesso! » esclamò prima di scomparire velocemente dalla vita del più piccolo.
Athema sbuffò e, senza perdere altro tempo, tornò verso casa.
**

Quando Nemara scese dalla piattaforma del teletrasporto rimase un secondo immobile e con gli occhi chiusi. Nonostante usasse quell’aggeggio praticamente da quando era nato, non era ancora riuscito ad abituarsi al giramento di capo e allo stomaco sottosopra.
Agitò la coda e le orecchie, controllando che tutto fosse al proprio posto, sistemando il pantalone corto, il gilet di cuoio che portava sul torace e il diadema che scendeva sulla fronte, simbolo della sua famiglia reale da generazioni.
Camminò per il villaggio, lentamente, assaporando come ogni volta il mondo che lo circondava, la vita e la natura che scorreva dentro ogni più piccola forma di vita, salutando ogni volta con un lieve cenno della testa chiunque lo riconoscesse. Si stava bene alla colonia. Certo, non bene come al suo villaggio, nel cuore della Foresta Sacra, ma si respirava un bell’ambienta.
Superò la fontana principale e fu a quel punto che vide il sindaco di Asham parlare con qualcuno che non aveva mai visto. Sembrava carino, anche se un po’ trasandato e forse troppo magro.
Osservò il sindaco andare via, indicandogli dalla parte opposta alla sua qualcosa, ma Nemara non ci fece particolarmente caso e si avvicinò. L’uomo interruppe la sua camminata verso di lui, per squadrarlo a sua volta e a giudicare dalla sua espressione stupita, lui doveva essere il primo Tasantìr che incontrava.
Accennò un sorriso, un po’ soddisfatto. Gli piaceva essere guardato a Nemara, era sempre stato al centro delle attenzioni di tutto e di tutti essendo il principe e ormai dopo tutti quegli anni non avrebbe rinunciato a quella sensazione per niente al mondo.
Vedeva gli occhi del terrestre squadrarlo sempre di più, passo dopo passo e la sua coda si agitò istintivamente, non comprendendo che cosa ci fosse di così particolare in quell’umano, in tutto e per tutto uguale a tutti gli altri.
Indossava degli occhiali senza montatura, i capelli era lunghi e indossava un pantalone troppo largo per essere della sua taglia e una maglietta sformata che non aveva voglia di sapere da qualche regione dell’intera galassia proveniva. Eppure aveva un’aria impacciata che lo rendeva terribilmente carino.
Si fermò davanti a lui e lo vide aprire impacciato la bocca per salutarlo, senza sapere esattamente come parlare ad un Tasantìr, quindi lo interruppe, inchinandosi come prevedevano le regole del terrestre.
« Il mio nome è Nemara. » esordì quindi con voce un po’ acuta « Sono il principe dei Tasantìr. » si presentò.
Nemara lo vide sbiancare leggermente e annaspare qualcosa che non comprese, prima di vederlo riprendere il controllo del suo corpo.
« Ah. » Kota imitò goffamente il suo inchino « Mi chiamo Yabu Kota. E… sono uno studioso. Della Terra. » aggiunse poi.
L’altro sorrise, cercando di nascondere il propri arricciamento di labbra con una mano, senza riuscirci.
« Dove stavi andando a quest’ora e sotto questo sole? Lo sai che sul pianeta bisogna sempre andare in giro coperti? »
« S-Sì, io… abito alla fine della strada stavo andando a mangiare. » balbettò di nuovo Yabu.
« Mh. Posso farti compagnia se vuoi. »
« Certo. Sai, non vedevo l’ora di incontrarvi. » il terrestre tirò sulla spalla una borsa, che sembrava abbastanza pesante « Durante il viaggio ho studiato tutto quello che era stato pubblicato nella Repubblica della Galassia Libera. Cioè, non che ci sia poi così tanto scritto sulla tua popolazione, solo che… non volevo venire senza neanche sapere che avete delle orecchie e una coda. » poi si morse un labbro « Senza offesa, ovviamente. » aggiunse.
« Nessuna offesa. » commentò il principe « Anche noi all’inizio eravamo stupiti dalla vostra assenza di orecchie e coda. »
« Decisamente, due linee evolutive assolutamente diverse. » Nemara vide il terrestre sistemarsi gli occhiali sul naso e osservarlo, insistentemente « Ah… emh… la mia è pura curiosità. Sono uno scienziato e uno studioso. E’ più forte di me. »
« Comprendo la tua curiosità, nessun problema. Tutti i nuovi coloni i primi tempi ci guardano un po’ spaesati. » ridacchiò, per indicare poi dei tavolini sotto un porticato, poco distante da loro « Lì si mangia bene. »
« Oh, grazie. »
Nemara fece un cenno di saluto con il capo, mentre Kota s’inchinò di nuovo e osservò il Tasantìr dargli le spalle. Il terrestre si morse un labbro, indeciso.
« Senti… uhm… perché non mi fai compagnia? » domandò all’improvviso e Nemara si voltò di scatto verso di lui « Potremo parlare un po’, magari conoscerci. Sai, io… Nemara, giusto? Ecco, vorrei… » sospirò « Mi piacerebbe pranzare con te. » concluse infine.
L’altro ragazzo cercò di trattenere un sorriso, mentre la sua coda non riusciva invece a rimanere ferma.
“Stupida coda”, pensò il proprietario prima di annuire.
« Certo. Stavo giusto pensando che a me non piace pranzare da solo e oggi… ecco, oggi anche io sarei rimasto a pranzare alla colonia. » mentì.
In realtà non andava matto per il cibo terrestre. Certo, alcune cose erano buone, come le patatine fritte, la pizza e il sushi, ma per il resto, decisamente, non comprendeva come facessero i terrestri a mangiarli così di gusto.
Kota gli sorrise aperta e Nemara sentì qualcosa nel suo petto e nel suo stomaco smuoversi. No, proprio non andava. Aveva passato mesi a criticare i gusti di Athema e proprio non poteva permettersi un amore a prima vista per il primo studioso terrestre che atterrava sul pianeta.
Tentando di mantenere un minimo di controllo, si avvicinò a lui e andarono a pranzare.

**

Kota non era pazzo, per lo meno, non pazzo come i pazzi che vengono rinchiusi nei manicomi o nelle colonie spaziali. Quindi forse la definizione più adatta era che non soffriva di “allucinazioni”. Ma in fondo non soffriva nemmeno di allucinazioni. Sospirò, distogliendo per qualche secondo la sua attenzione dai fogli che Nemara gli stava spiegando.
Stava su quel pianeta da più di un mese e aveva tentato in tutte le maniere, anche quelle meno dignitose, sì, di passare più tempo possibile con Nemara. L’altro, un po’ titubante, aveva perfino accettato di insegnargli la loro lingua, mentre in cambio Kota lo avrebbe informato su come era la vita sulla Terra, per quanto la situazione, nel Sistema Solare accanto, non era di certo delle più rosee.
Aveva imparato molto ovviamente, ed erano tutte cose che non vedeva l’ora di imparare, come ad esempio, il significato del suo nome, le connessioni con il suo popolo e la sua religione e che nella lingua terrestre Nemara poteva essere più o meno tradotto con Kei e Kota non riusciva a pensare a nulla, in quei momento, che non riguardasse la sua bellezza e la disponibilità nei suoi confronti.
In quel momento avrebbe dovuto ascoltare attento le lezioni di Nemara, comprendere l’accento, la grammatica, la sintassi. Invece non riusciva a fare altro se non osservare la forma delle sue labbra, le sue mani e le sue dita, concentrandosi poi sulle clavicole scoperte e immaginarsi scenari che non avrebbe mai dovuto immaginare.
Fu a quel punto che Nemara schioccò due dita davanti ai suoi occhi, facendolo scivolare a terra, perdendo insieme all’equilibrio anche gli occhi.
« Ahia. » mormorò fra sé e sé, cercando a tentoni i suoi occhiali trasparenti.
Nemara si accovacciò davanti a lui, ridacchiano, inforcandogli di nuovo gli occhiali e Kota vide che stava sorridendo.
« Scusa. Ero distratto. »
« L’ho visto, studioso. Da che cosa se posso chiedertelo? »
Kota si concentrò di nuovo sulle sue labbra, così incredibilmente rosse che stonavano il candore della sua pelle e il suo braccio si mosse istintivamente. Passò una mano intorno al collo dell’altro ragazzo, tirandolo lievemente contro di sé e baciandolo. Kota si sentì finalmente bene, come se in quei venticinque anni non avesse fatto altro che trattenere il respiro in un mondo dove non c’era aria, e l’avesse finalmente trovata contro quelle labbra.
Il terrestre si aspettava di essere respinto, o altro. Era solo un piccolo pensiero e Kota desiderava solo che rimanesse tale, ma d’altronde, chi è che rimarrebbe immobile mentre uno sconosciuto lo sta baciando?
Fece per allontanarsi, ma Nemara lo afferrò di nuovo per le spalle, spingendolo a terra e montando sopra di lui. Kota poteva sentire la sua coda sferzare l’aria e si ritrovò un secondo dopo con la lingua del ragazzo dentro la sua bocca, mentre le sue unghie lunghi gli penetravano nella pelle delle spalle.
Lo afferrò quindi per i fianchi, stringendolo contro di sé, desiderando sentire il calore del suo corpo, desiderando assaporarne la pelle, ma entrambi sapevano che non era il momento adatto. Si separarono solo dopo quelli che a Kota erano sembrati pochi minuti, ma in realtà chissà quanto tempo era passato.
« Pensavo che mi avresti ucciso. » sussurrò sempre contro la sua bocca.
« Te lo meriteresti sia perché hai baciato di soppiatto un principe e sia perché non l’hai fatto prima. » sorrise di fronte all’espressione perplessa del ragazzo « Erano giorni che aspettavo che tu facessi qualcosa. » gli spiegò.
« Beh, direi che devo farmi perdonare, no? » mormorò Kota tentando di fare il suadente.
Nemara sorrise più apertamente, alzando un sopracciglio.
« Oh beh, ci sarebbe qualcosa che puoi fare effettivamente. » sussurrò facendo passare un dito contro il suo volto, scivolando poi lungo il collo e il petto.
« Ah-ha? C-Cosa? » domandò Kota mentre l’altro accostava la bocca al suo orecchio.
« Beh, direi che potresti andare a prendermi un frappè alla gelateria, che ne dici? » si alzò per vedere l’espressione di Kota e scoppiò a ridere, cadendo seduto accanto a lui.
Kota arrossì, tirandosi sul naso gli occhiali.
« C-Certo. Vado subito. » balbettò imbarazzato alzandosi in piedi e stava per andarsene quando Nemara lo afferrò per un polso, tirandolo verso di lui.
Lo baciò di nuovo.
« Hai un bacio come premio. Vieni a ritirarlo presto, va bene? » domandò suadente, continuando a mandare in confusione lo studioso.
« Sì. Certo. Vado e torno. Aspettami qua, ok? »
Nemara rimase da solo nell’appartamento di Kota e si disse che forse Athema poteva avere ragione.
In fondo, non tutti i terrestri erano male e se si cercava bene, poteva trovare anche straordinarie eccezioni, un po’ come il suo Kota.

challenge: cow-t3, challenge: 500themes ita, pairing: yabu x inoo, fandom: hey!say!jump, challenge: diecielode {#future}

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