Titolo: Le parole che non riesco a pronunciare
Fandom: Hey!Say!Jump
Pairing: Yabu Kota x Nakajima Yuto
Rating: G
Avvertenze: Slash, Violence
Disclaimer: I personaggi non sono miei, tutti i diritti riservati e i fatti narrati sono frutto della mia fantasia. La storia non è scritta con scopo di lucro.
Riassunto: Gli faceva male una spalla e come tutte le mattine, quando si alzava con qualche parte del corpo che gli bruciava e gli doleva tanto da farlo impazzire, tentò di dirsi che era solo a causa di una brutta posizione che aveva assunto per dormire.
Note: Scritta per la
corte-miracoli con il prompt “Tutto l’universo non vale il suo amore immenso”, per la
500themes-ita con il promp “16. Sole morente”, per il COW-T3 di
maridichallenge con il prompt “Piccolo” e per la Notte Bianca VIII di
maridichallenge con il prompt “E per quanto vorrei, non riesco a dirti addio” di
naripolpettaWordCount: 2034
fiumidiparole **
Yuto si alzò stancamente dal letto. Gli faceva male una spalla e come tutte le mattine, quando si alzava con qualche parte del corpo che gli bruciava e gli doleva tanto da farlo impazzire, tentò di dirsi che era solo a causa di una brutta posizione che aveva assunto per dormire.
Strascicò i piedi, guardando intorno. Era solo. Il fidanzato era uscito per andare a lavoro e lui poteva finalmente tornare a respirare, tranquillamente. Andò in cucina, preparandosi velocemente da mangiare, gli occhi che gli bruciavano così tanto che tenerli troppo aperti era una vera e propria impresa.
Tolse dalla vaporiera il riso, mettendone un po’ in una ciotola. Lo condì con un po’ di salsa di soia, mangiucchiandolo insieme ad una frittatina arrotolata e con un po’ di zuppa di miso. Si lasciò ricadere sulla sedia, accendendo un po’ di televisione, giusto per avere qualcosa da ascoltare, qualcosa che riempisse quel silenzio che non riusciva più a sopportare.
Avrebbe fatto di tutti negli ultimi mesi per non rimanere imprigionato in quello stagnante silenzio che lo avvolgeva, che lo spingeva verso il basso, come se fosse stato inghiottito fino al collo dalle sabbie mobili e non riuscisse a trovare nessuna via di uscita.
Sospirò di nuovo e poi posò tutto nella lavastoviglie. Avrebbe tentato di non pensare a nulla facendo le pulizie. Ultimamente funzionava. Passava la giornata chiuso in casa, accompagnato da qualche programma radiofonico mentre puliva, spazzava, sistemava, riordinava, fino a quando non perdeva il conto delle ore passate a non fare praticamente nulla di nuovo, di emozionante.
E dire che fino a pochi mesi prima non avrebbe mai immaginato di ritrovarsi in quella situazione.
Era passata da poco l’ora di pranzo e Yuto non si era ancora fermato per mangiare. A dir la verità non aveva molta fame la maggior parte delle volte si sforzare di fare dei pasti completi, ma senza riuscirci fino in fondo. A distoglierlo dai suoi problemi fu lo squillare del telefono e dalla suoneria, anche senza prenderlo in mano, sapeva che era Keito.
Era una composizione di chitarra elettrica che aveva fatto il più piccolo e sorrise nel ricordarsi quando gli aveva chiesto se gli facesse compagnia mentre la incideva e gli chiedeva se voleva una copia e ricordava anche come il più grande avesse sorriso quando gli aveva detto che l’avrebbe usata come suoneria per il telefono.
Gli piaceva vedere Keito ridere. Era rilassante. In quel momento però, aveva quasi paura di vederlo o sentirlo, ma aprì comunque la chiamata, fingendo un’allegria che non provava da mesi.
« Ciao Kei! » esclamò ridacchiando, chiamandolo con il diminutivo che poco andava a genio al più grande « Come stai? Il fine settimana alle terme con tuo padre come è andato? Mi dispiace non essere potuto venire ma… » Yuto osservò i lividi sulle braccia e finse un po’ di tosse « Non mi sentivo bene. »
« Tranquillo, ci siamo divertiti lo stesso. Ci siamo fatti fare anche i massaggi, quelli con le pietre calde. E’ stato molto rilassante. »
« Meno male, sono contento. »
I due amici rimasero qualche secondo in silenzio. Yuto avrebbe voluto dire qualcosa, ma tutto quello che gli passava per la testa sembrava troppo stupido o troppo scontato, quindi fu l’altro a prendere l’iniziativa.
« Hai già mangiato? Io ho finito ora di suonare con mio padre e sono abbastanza affamato. Perché non andiamo a mangiare un po’ di sushi? »
« Uhm. No, non mi sento molto bene ancora. Preferirei evitare di ammalarmi ancora di più, la settimana prossima devo girare la puntata dello Shounen. » mormorò chiudendosi come avrebbe coperto i lividi sulla faccia.
Si girò verso lo specchio, sfiorandosi lo zigomo e ritirando immediatamente la mano, trattenendo un gemito.
Fu a quel punto che Yuto sentì il campanello di casa suonare.
« Scusa Keito. Hanno suonato alla porta. Ciao. » sussurrò frettolosamente, chiudendo la conversazione senza nemmeno attendere risposta.
Lanciò il telefono abbastanza lontano da lui, poi si avvicinò alla porta e prese un profondo respiro. Quando aprì la porta però non c’era il fidanzato, che doveva comunque arrivato nel pomeriggio inoltrato, bensì l’amico.
« Yuto, mi vuoi spiegare che cosa sta succedendo? » domandò Keito rimanendo comunque sulla soglia di casa.
« Uhm, niente! » esclamò Yuto dandogli immediatamente la schiena e camminando velocemente lungo il corridoio « Stavo pulendo. Sono occupato. » gli disse, tentando di rendere il suo tono più irritato, senza riuscirci.
« Yuto, sei cinque mesi che sei impegnato. Sono mesi che non usciamo più insieme, che stiamo tutti insieme solo per lavorare. Io… sono preoccupato per te, davvero. » si avvicinò e il più piccolo si accovacciò a terra, fingendo di sistemare qualcosa sull’aspirapolvere.
« Non è niente. Solo che non è voglia di uscire. Tranquillo, sto benissimo. »
« E allora perché ti comporti così? Perché mi eviti? Se ho fatto qualcosa, io davvero non volevo. Mi dispiace, se l’ho fatto, averti ferito o offeso, credimi. »
Yuto socchiuse gli occhi, sentendosi in colpa per il tono sinceramente dispiaciuto dell’amico, sentendo come l’altro fosse sull’orlo di una crisi di pianto coi fiocchi. Gli tremava la voce e aveva il respiro affannato.
« Non hai fatto nulla. Davvero Keito, tu non c’entri. » esclamò voltandosi verso di lui senza pensare.
E sul momento Yuto non comprese perché quando vide gli occhi del più grande allargarsi e quando lo vide portarsi una mano sulla bocca. Solo dopo una manciata di secondi si portò le mani al volto, tornando a dargli le spalle.
« Yuto, che cosa è successo? » domandò con voce soffocata Keito, accovacciandosi accanto a lui e posandogli una mano sulla spalla.
« Nulla. Ieri sono inciampato e sono finito sul mobile. » indicò il tavolino in salotto di vetro, scheggiato « Mi sono graffiato le braccia e ho sbattuto la faccia a terra. » mormorò.
Non era poi tanto distante dalla verità. L’unica cosa che non voleva che Keito scoprisse, era che c’era stato spinto.
« Sicuro? » osservò le sue braccia e si morse un labbro « Questo è il segno di una mano, io… Yuto, cosa sta succedendo? »
Yuto sentiva il fiato mancargli nel petto e gli occhi gli bruciavano, solo che non sapeva se era a causa della stanchezza, del dolore o del pianto imminente che tentava di trattenere con tutte le sue forze.
Era stanco di mentire, era stanco di fingere di essere felice, era stanco di avere paura e di tornare in quella casa e di chiudersi la porta alle spalle senza sapere se il giorno dopo si sarebbe svegliato.
Keito era il primo ed era stato l’unico, come sempre dopo tutto, ad accorgersi che c’era qualcosa che non andava, che qualcuno stonava in lui perché in fondo lo conosceva troppo bene per credere a due bugie messe in piedi sul momento. Gli stava tendendo la mano e Yuto voleva solo stringerla, stringersi contro di lui, inspirare il suo odore tranquillo, ascoltare la sua voce che lo faceva calmare in ogni situazione e farsi portare via, lontano dalla paura e dal pericolo. Volevo solo alzarsi e per una volta essere lui quello che si chiudeva la porta alle spalle, lasciando steso in salotto il vecchio sé stesso, dolorante, pieno di graffi e lividi e sangue fresco che cola su quello ormai secco.
« Keito, io… voglio andare via. »
« C’entra… Yabu in tutto questo? »
Sentire il nome del fidanzato detto da quella voce sottile e associarlo a quello che gli faceva spezzò il fiato a Yuto e poi annuì, senza chiedersi in realtà da quanto tempo le lacrime stessero macchiando le sue guance. Si sentiva piccolo in quel momento, come un bambino che è caduto al parco e si aggrappa al padre perché ha le ginocchia sbucciate.
Aveva paura ad ammetterlo a voce alta perché per quanto il suo cervello gli continuasse a ripetere che tutto l’universo non valeva il suo amore, non valeva il dolore, la paura, la libertà negata, una parte di lui, forse quella stupida e sentimentale del suo cuore non riusciva a trovare il coraggio per andarsene, non riusciva a dirgli addio, perché Kota faceva paura quando era arrabbiato, ma aveva il sospetto che una volta scoperto che se ne era andato di casa sarebbe stato molto peggio.
Per mesi Kota era stato il suo Sole, era felice di poter stare con lui, finalmente, perché lo amava così tanto da sentire il fiato spezzarsi dentro i polmoni e non riusciva a smettere di sorridere per quanto era felice. Poi le cose erano cambiate, forse troppo lentamente perché lui se ne accorgesse sul serio e con il passare dei mesi il suo Sole luminoso si era trasformato in un Sole morente, pronto ad esplodere in qualunque momento.
« Lui non era così. Poi è cambiato. » scosse le spalle « Mi porti via? Prometti che non farà più nulla. »
« Te lo giuro su cosa ho di più caro al mondo. » mormorò piano Keito stringendogli piano le mani sulle spalle per aiutarlo poi ad alzarsi in piedi.
E fu in quell’esatto momento che Keito sentì un pugno colpirlo sul volto, probabilmente spezzandogli l’osso del naso o dello zigomo. Il ragazzo non avrebbe saputo dirlo con esattezza considerando che il dolore si espandeva a velocità pazzesca lungo tutto il volto.
Yuto sussultò, voltandosi verso Kota, in piedi dietro di loro.
« Yuto, cosa stavi facendo? » il più grande lo afferrò per la maglietta, sbattendolo contro il muro e il più piccolo contrasse il viso in una smorfia di dolore.
« Nulla. Lui è passato per un caffè, è un po’ che non ci vediamo e… ma se stava andando, vero Keito? » sussurrò senza voltarsi verso l’amico, continuando a guardare il fidanzato negli occhi, tentando di non farsi trascinare dalla paura.
« Vi ho sentiti. » ringhiò il più grande stringendo una mano contro la sua gola e Yuto portò le mani alla sua, tentando di infilare le dita nella sua presa « Dove volevi andare? Stava cercando di portarti via? »
« N-No. » sussurrò « N-No, lui… stai sbagliando. E’ stata colpa mia. Te lo giuro, lui non c’entra nulla. »
La presa intorno al suo collo si allentò leggermente e Yuto vide solo con la coda dell’occhio l’amico lanciarsi contro Kota, cadendo così entrambi a terra. Keito montò sopra al più grande, iniziando a dargli un primo pugno e poi un secondo e poi un terzo, fino a quando Yuto non fece passare le proprie braccia sotto le sue, allontanandolo da Kota.
Yuto non aveva mai visto Keito perdere la pazienza e di certo non avrebbe mai detto che un giorno di quelli lo avrebbe visto prendere a pugno qualcuno, tanto meno il suo fidanzato perché lo picchiava sistematicamente tutte le sere.
Yuto ricacciò indietro le lacrime, distogliendo lo sguardo da Kota che si alzava faticosamente su un gomito, pulendosi il volto e accertandosi di avere il naso rotto. Anche Keito sanguinava da uno zigomo e sembrava che non riuscisse a respirare.
« Andiamo via. » sussurrò piano stringendo la presa sulle sue spalla « Per favore, andiamo via, non voglio più stare qua. »
Keito lo afferrò per un polso e lo trascinò via e Yuto gettò un’ultima occhiata a Kota, che sembrava essere tornato quello di un tempo e lo guardava con quello sguardo colpevole con cui lo guardava ogni sera dopo averlo picchiato fino quasi a fargli perdere i sensi e Yuto sentì le lacrime scivolargli lungo le guance, il cuore esplodergli dalla rabbia e dal dolore e poi voltarsi verso l’uscita.
« Addio Ko. » sussurrò solo prima di stringere con forza la mano sulla maniglia di casa, chiudendosi finalmente la porta alle spalle, lasciando tutto il proprio passato dietro di lui, rinchiuso ormai in quell’appartamento.
Adesso davanti a lui c’è una via di fuga, una soluzione. E non avrebbe mai ringraziato abbastanza Keito per avergli offerto quella mano di salvezza, per averlo difeso, per averle presa per lui, solo perché era suo amico.
Strinse la propria mano nella sua e tentò di sorridergli. All’improvviso sembrò che Keito fosse tornato quello di un tempo e si sentì un meglio.
« Grazie. » sussurrò solo « Di tutto. »
« Avresti dovuto dirmelo prima io… avrei fatto qualcosa. »
« Lo so. Grazie. »
Il futuro, negli ultimi mesi, non gli era mai parso così luminoso e sapeva che non avrebbe mai dimenticato quello che l’amico aveva fatto per lui.
« Grazie. » sussurrò di nuovo.