Titolo: La vita che avremo dovuto vivere insieme.
Fandom: Hey!Say!Jump
Pairing: Yabu Kota x Inoo Kei ; Takaki Yuya x Chinen Yuri ;
Rating: NC17
Avvertenze: Slash, Death!Fic, Violence, AU!, Under!Age
Disclaimer: I personaggi non sono miei, tutti i diritti riservati e i fatti narrati sono frutto della mia fantasia. La storia non è scritta con scopo di lucro.
Riassunto: Kei non ha mai desiderato una vita migliore perché non sa che cosa significa essere felici. Ma l’incontro con quelli che lo salveranno dal baratro in cui vive da ormai troppi anni gli farà scoprire quello che si è perso fino a quel momento.
Note 1: Scritta per la
500themes_ita con il prompt "051. Rabbia incontrollabile"
WordCount: 3728
fiumidiparole **
Sbuffo, pedalando fino a scuola. Oggi sarà una di quelle giornate che odierò di più in tutta la mia vita. Ci sono gli ultimi testa e poi, finalmente, da domani saremo in vacanza, ma non potrò divertirmi o rilassarmi più di tanto.
Devo approfittare del mese di agosto per mettermi in pare in molte materie, per riuscire a fronteggiare così gli esami di ammissione al nuovo anno a febbraio. Non posso permettermi di ripetere l’anno. Sarebbe una delusione e io sono stanco di deludere le persone che credono in me.
Mentre pedalo però, sento le gambe pesanti e gli occhi mi si chiudono.
Forse ieri avrei dovuto ascoltare Yabu e andare a letto ad orari consoni e dormire qualcosa di più di tre ore.
Chinen mi aspetta al cancello, come ogni mattina, accanto ai posteggi per le biciclette.
« Sei in ritardo. » mi rimprovera sbuffando e incrociando le braccia al petto.
Roteo gli occhi, quasi divertito.
« Sì, buongiorno anche a te Chinen - kun. »
Lui abbozza un sorriso.
« Oggi ci sono i test. Avresti dovuto dormire di più. »
Annuisco, chiudendo il lucchetto della bicicletta con un gesto secco. Prendo la cartella dal cestino e ci avviamo verso la classe.
« Stasera vado a cena con i miei amici. Yabu - sensei mi ha chiesto se ti andava di venire. Così potevate conoscervi. »
« Deve essere un tipo strano questo Yabu - sensei. » replica perso nei suoi pensieri.
Annuisco, poi scrollo le spalle.
Entriamo nell’aula. Il chiacchiericcio è il solito, ma a me non fa altro che aumentare il mal di testa.
Decisamente, ieri avrei dovuto andare a letto prima. Mi faccio scrocchiare lentamente una spalla. Il dolore alla schiena non accenna a passare.
Mi siedo al mio banco e guardo fuori dalla finestra. Chinen alla fine non mi ha detto se verrà o meno.
Arriva il professore. Distribuisce i fogli dei test.
Sbatto un paio di volte gli occhi, stropicciandoli. Prendo la penna in mano e inizio a rispondere ai test sperando di riuscire a passarli tutti.
All’uscita, dopo il club di arte, trovo Chinen che mi aspetta.
Lui frequenta il club di giornalismo, anche se non spesso. Date le sue precarie condizioni di salute, spesso salta scuola.
Non ho mai chiesto per quale malattia è in cura. Lui non hai mai voluto parlarne e io non ho indagato.
Quando vorrà parlarmene, lo farà.
Yuri sta mangiando un panino. Senza dirmi nulla, lo allunga verso di me, offrendomene un morso.
Alla sola vista, lo stomaco mi si chiude. Scuoto la testa.
« No grazie. » rispondo. « Allora, vieni a cena? »
« Volentieri. A forza di parlare di quei ragazzi, mi hai incuriosito. »
Rido, prendendo la bicicletta. Poggio la mia cartella nel cestino della bici. Matsumoto mi imita e sale sul portapacchi. Monto in sella e, traballando per i primi metri, lascio il cortile della scuola.
Mi dirigo velocemente a casa. Arrivati davanti al cancello in legno della casa di Yabu, scendo dalla bicicletta. Frugo nella cartella per cercare le chiavi e poi, a mano, la spingo dentro, appoggiandola ad un muro portante, in legno massiccio.
Mi guardo intorno, cercando tracce di pneumatici recenti. Non ci sono.
Yabu, grazie al cielo, non è ancora tornato a casa.
Avrei semplicemente potuto aprire il garage, ma è troppo lontano e la saracinesca in metallo tropo pesante.
Chinen mi raggiunge, guardandosi intorno e poi tossisce un paio di volte.
Sembra incredibilmente pallido.
« E’ davvero vicino a scuola. » commenta, sempre perso nel suo mondo.
« Vieni. » gli dico ripercorrendo il vialetto.
Lui annuisce e si chiude il cancello del giardino alle spalle. Mi segue lentamente, salendo i due gradini che ci separano dal portone di casa.
La apro e mi tolgo le scarpe. Chine appoggia le sue scarpe vicino alle mie e gli indico le ciabatte per gli ospiti.
Gli mostro la cucina, il salotto, la mia camera da letto. Si siede sulla sedia alla scrivania.
« Quando torni sei sempre da solo? » mi chiede.
« Sì, Yabu - sensei lavora fino all’ora di cena. » getto uno sguardo veloce all’orologio sopra i due scaffali « Dovrebbe tornare fra un’ora. Si fa una doccia e poi andiamo al ristorante. »
Lui annuisce.
« Intanto direi che possiamo iniziare a fare i compiti per domani. » propone Chinen indicando il salotto « Ci possiamo mettere di là? »
Annuisco.
Ci sistemiamo seduti intorno al kotatsu spento. Rimaniamo in silenzio per la maggior parte del tempo, chiacchierando ogni tanto mentre la televisione accesa ci fa un po’ di compagnia.
Dopo un po’ la porta si apre.
« Sono a casa. » esclama a voce alta Yabu. Alzo la testa dal libro che sto tentando di studiare.
« Bentornato. » rispondo e il tono che mi esce è più emozionato di quello che vorrei, ma mi alzo in piedi.
« Yabu - sensei, questo è il mio compagno di scuola, Chinen Yuri. »
Lui gli sorride e si stringono la mano, inchinando l’uno di fronte all’altro. Torno seduto, lasciandoli ai loro convenevoli.
« Mi faccio una doccia veloce e poi raggiungiamo i ragazzi. » dice Yabu dirigendosi verso la sua stanza.
Annuisco, senza nemmeno alzare la testa dal libro. Anche se oggi i test sono finiti, so già in anticipo che sarò andato male in molte materie, quindi mi devo mettere decisamente in pari.
Ieri sera mi ha presentato un programma di studi intensivo per le vacanze estive.
Ha detto che se riuscirò a seguirlo, dovrei essere in pari almeno con l’istruzione di un ragazzo delle scuole medie.
Poi starà a me impegnarmi di più per riuscire a passare con voti decenti i test d’ingresso del secondo anno.
Chinen torna seduto e mi sorride.
« E’ molto alla mano. » commenta.
« Anche troppo. » replico sovrappensiero « A volte è veramente assillante. Sembra una mamma. » sbuffo, lasciandomi ricadere sdraiato all’indietro fissando il soffitto.
Lui accenna un sorriso e torna a studiare, io invece mi perdo per qualche attimo nei miei pensieri.
Non mi ricordo bene il volto di mia madre.
E’ morta quando io ero piccolo forse avrà avuto si e no sei anni. Mi ricordo che per qualche anno, quando io frequentavo ancora le scuole elementari, ho abitato con mio padre.
Stava fuori tutto il giorno. Lui diceva che lavorava, ma degli strozzini della yakuza venivano frequentemente a chiedergli dei soldi. Lui si nascondeva sempre e m’intima di non rispondere e di non fiatare.
Una sera sono entrati sfondando la porta. Hanno trovato me che leggevo un libro, in un angolo.
Quei due non mi hanno degnato di uno sguardo e si sono messi a rivoltare casa.
Io li guardavo. Loro, sempre in silenzio, hanno frugato in ogni angolo.
Sapevo che erano venuti per mio padre. Sapevo che lui si drogava, anche se non avrei dovuto saperlo.
Sapevo che probabilmente aveva accumulato un debito considerevole con la yakuza.
Ad un certo punto, quando stavano per andarsene, dei rumori provenienti dal telaio del soffitto li fecero fermare. Tirarono giù mio padre, sporco di polvere, che tremava dalla paura e che piangeva, implorandoli di non ucciderlo.
Poi ha alzato il suo sguardo su di me e, come se avesse finalmente ottenuto la risposta a tutte le sue domande, mi ha affettato per le braccia, mettendomi davanti a loro.
« Prendete lui. » gli ha detto « E’ piccolo. Potete farci quello che volete. Con il suo corpo, dovreste ottenere indietro tutti i soldi che mi avete dato. »
I due uomini si sono guardati, quasi disgustati. Ma hanno alzato le spalle. Il più grande mi ha preso, guardandomi tutto, facendomi girare e tastandomi un po’.
Poi mi ha preso in braccio e sono usciti.
Da sopra la spalla dell’uomo, vidi per l’ultima volta mio padre, la mia casa, la mia vita.
Da quel giorno, nulla è stato più lo stesso.
Avevo undici anni.
Yabu mi scuote per la spalla. Mi scanso bruscamente, come al solito. Mi volto, fulminandolo.
« Ti ho detto che non mi devi toccare, Yabu - sensei. » sputo arrabbiato.
Non so nemmeno se essere arrabbiato o meno. Quando ripenso alla mia vita precedente all’incontro con Ninomiya, divento improvvisamente irritabile e una rabbia incontrollabile prende il controllo del mio corpo.
Da un lato avrei voglia di raccontargli tutto, dall’altro vorrei solo che smettesse di parlarmi come se fossi un suo paziente in cerca di attenzioni.
Eppure, quando vedo lo sguardo quasi ferito di Ninomiya, il senso di colpa sembra mangiarmi dall’interno.
Sposto lo sguardo e mi alzo in piedi, nervoso.
« Scusa. Vado a mettermi un’altra maglietta. Tu la vuoi Chinen - kun? »
Lui alza lo sguardo, perplesso dal mio comportamento, ma scuote la testa.
Mi chiudo per qualche secondo in camera. Mi getto sul letto, chiudendo gli occhi. Il mal di testa è tornato.
Dovrei smettere di studiare forse. Pensare non fa per me. Probabilmente dovrei mollare tutto e andare a lavoro, così non credo di farcela. Ogni volta che tento di concentrarmi per più di mezz’ora di fila, sento la testa scoppiare dal dolore.
Socchiudo gli occhi e al buio della stanza mi sento un po’ meglio.
Poi bussano alla porta. Borbotto qualcosa e Yabu entra nella mia stanza.
« Siamo pronti. » sussurra piano.
« Sì. Adesso arrivo. »
« Mi dispiace per prima. Io e Chinen - kun abbiamo provato a chiamarti, ma non rispondevi. Iniziavamo a preoccuparci, tutto qua. »
« Lo so. Pensavo. » dico solo.
« Al tuo passato? » mi chiede.
Roteo gli occhi. E’ buio. Ma so che mi ha visto. Abbozzo un sorriso nervoso.
« Non cercare di psicanalizzarmi. »
« Non voglio psicanalizzarti. Vorrei solo che tu… ti aprissi un po’ di più. »
Mi alzo in piedi.
« Non è il momento. C’è Chine - kun in salotto. » lo guardo « Mi dispiace per prima. » ripeto.
Lo sposto ed esco, tentando così di lasciarmi alle spalle anche un passato difficile da dimenticare.
Do una leggera pacca sulla spalla di Yuri. Lui alza lo sguardo. E’ sempre incredibilmente pallido, ma mi sorride.
« Andiamo? » chiedo cercando di sorridere a mia volta « I ragazzi ci stanno aspettando. »
Lui annuisce. Si alza in piedi e andiamo a metterci le scarpe.
I ragazzi sono felici di conoscere il mio unico amico. Lo tempestano di domande, ridendo, bevendo, mangiando come ogni volta che usciamo.
Yuri, all’inizio un po’ a disagio davanti a tutte quelle domande, si è lentamente abituato, rispondendo con aria allegra alle loro domande.
Sembra meno pallido. Forse sono quelle pasticche che prende sempre prima dei pasti e che prima ha ingurgitato in un fiato, quando siamo andati in bagno.
Rimango un po’ in disparte per parte della serata, ma va bene. Continuo ad avere mal di testa e nessun antidolorifico riesce a farlo passare ormai.
Alla fine Yaotome mi guarda e io arrossisco, come una studentessa alla sua prima cotta liceale.
« Inoo - kun, tutto ok? Hai mangiato poco. »
« Oggi ho mangiato due bento a pranzo. » mento « Mi sono riempito subito con il ramen questa sera. »
Chinen mi lancia uno sguardo, di sfuggita, quasi interrogativo. In realtà a pranzo ho mangiato solo mezzo bento.
E non capisco perché il mio stomaco si riempia così facilmente. E’ la prima volta che accade e non riesco a capirne il motivo. Questa mattina non ho nemmeno fatto colazione.
Cerco di non guardarlo e lui torna a parlare della scuola con Yabu e Takaki.
Yaotome mi sorride. E io, davvero, potrei avvampare.
Da quando mi fa questo effetto? Da quando ogni volta che lui mi guarda, vorrei essere una persona migliore?
Da quando ho desiderato ardentemente essere una donna, per poter toccare il suo corpo e farmi toccare da quelle mani fottutamente belle?
« Come va a te invece? » mi chiede, quasi sottovoce.
Alzo le spalle.
Vorrei dirgli che va tutto alla perfezione, ma mentirei spudoratamente.
« Oggi ho avuto gli ultimi test semestrali. Non credo siano andati così bene. Giapponese antico è stato un vero disastro. Giapponese moderno credo sia andato abbastanza bene. Dovrei essere riuscito a prendere il minimo. Qualcosa in più forse a musica, arte, educazione tecnica e fisica. Inglese, informatica, economia domestica e matematica… » mi blocco, imbarazzato « Non lo so. » mi limito a dire.
Lui mi dà una pacca sulla spalla.
« Vedrai, andrà tutto bene. Non ascoltare Yabu - sensei. » continua in un bisbiglio divertito « Le classifiche a fine anno sono importanti, ma riuscirai a fare del tuo meglio. L’importante è imparare più cose possibili, no? »
« Ehi. » esclama Yabu « Non gli dire certe cose. Certo che sono importanti le classifiche. Come farà a trovare un buon lavoro se non s’impegna nello studio? »
« Non ho detto che non si deve impegnare. » replica sorridendo Aiba « Ho detto che se avrà dato il meglio di sé, non importa quale posto occupa in graduatoria. Non è quello che dicevano sempre i tuoi genitori? » chiede.
Alzo un sopracciglio.
Non mi sono chiesto chi fossero i genitori di Yabu. Né se li avesse ancora.
Al telefono di casa arrivano solo le telefonate di lavoro o della scuola. Al cellulare riceve solo chiamate dai colleghi o da Takaki e Yaotome.
Lui sembra tentennare un po’, poi annuisce.
« Sì, effettivamente hai ragione. » si volta verso Yuri « Tu che ne pensi Chinen - kun? » gli chiede.
Il ragazzo getta uno sguardo a me, poi torna a guardarlo.
« Per me le graduatorie non sono importanti. Ma credo che per un buon lavoro bisogna impegnarsi molto fin dalle scuole superiori. »
Yabu annuisce, seguito da Takaki. Poi, dopo qualche secondo di silenzio, scoppiano a ridere e tornano a bere la loro birra.
« Tutto nella norma. » dico a Chinen « Fanno sempre così. »
Lui ridacchia, guarda i miei amici e poi sorride, come se tutto quello a lui non fosse concesso.
« Vado a fumare una sigaretta. » dico « Vieni con me? »
« Certo. »
Ci alziamo dal tavolo, lasciando quei tre al loro destino. Prima di uscire dal ristorante, per prendere un po’ d’aria fresca e uscire dal torpore familiare del locale, mi guardo indietro un’ultima volta.
Il sorriso di Yaotome è stupendo, mi piace.
In tutto quello che fa. Con tutto quello che dice.
Mi piace.
Mi piace.
Mi piace.
Chinen mi guarda, come se mi avesse letto dentro e sorride, di nuovo. Poi usciamo.
E parliamo di altre cose.
Chinen sta spesso a casa di Yabu, a studiare con me.
E’ un po’ frustrante vedere lui che studia gli argomenti di un normale sedicenne, mentre io sono costretto a studiare su libri dei ragazzi delle medie.
All’inizio, quando Yaotome e Takaki venivano a darmi ripetizioni, rimaneva un po’ perplesso, ma non ha mai fatto domande.
E’ questo che mi piace di Yuri.
La sua riservatezza.
La pretende e la offre.
Con lui non mi devo mai giustificare su quello che faccio. Accetta quello che gli si dà.
Così come io a lui non ho mai fatto nessuna domande.
Né sulle sue medicine, né sulle sue assenze da scuola, né sulla sua malattia.
C’è un tacito patto fra di noi.
Quando avremo voglia di parlarne, quando avremo finalmente superato i nostro traumi, ci confideremo a vicenda.
Anche in questo afoso pomeriggio di agosto, Yaotome è seduto in salotto a bere birra. Mi sta spiegando giapponese antico, mentre Takaki corregge i compiti che mi ha lasciato ieri di matematica.
Ogni tanto scuote la testa, altre volte sorride.
Yuri sta in disparte, accanto a Yuya a studiare. A volte lo guarda, a volte arrossisce senza motivo.
A volte gli parla, di sua spontanea iniziativa.
Takaki è sempre gentile con lui. Gli sorride, gli risponde, lo abbraccia e lo tratta come se fosse un fratellino minore.
Yabu intanto continua con il suo lavoro. Esce la mattina e torna la sera, con fascicoli su fascicoli da riempire.
Mi passo una mano sulla fronte, madida di sudore.
Sono più pallido del normale e i dolori alle ossa non sono passati dall’ultima volta che sono andato a dormire tardi.
Mi getto sulla schiena a terra, interrompendo Yaotome che sta parlando.
Socchiudo gli occhi, con il fiato corto. Mi manca il respiro e mi sento accaldato, come se avessi la febbre.
Eppure in questi giorni non ci sono stati enormi sbalzi di temperatura e non sono quasi mai uscito di casa.
« Inoo - kun, ti senti bene? » mi chiede subito Aiba, preoccupato.
Mi alzo di nuovo a sedere, con la testa che gira.
Ansimo, di nuovo.
Non riesco a fare dei respiri profondi. Il petto mi fa male. Sento i battiti del mio cuore, veloci come un treno impazzito sulle rotaie.
« Inoo - kun, Inoo - kun. » la voce di Hikaru mi giunge debole alle orecchie e lo sento che mi afferra per le braccia, come a tenermi eretto.
Apro a fatica gli occhi, continuando a non riuscire a respirare bene.
« Inoo - kun, dimmi qualcosa. »
Mi scuote, per un paio di secondi.
Poi gli scivolo fra le braccia svenuto.
Quando riprendo conoscenza sono in ospedale. Di nuovo.
Socchiudo gli occhi.
Mi fa male l’incavo del gomito. Con fatica sposto la testa, osservando un tubo con della sostanza trasparente all’interno che entra direttamente nella mia vena.
Cerco di prendere di nuovo un profondo respiro. Mi gira la testa, è pesante, come quando sono svenuto.
Tossisco leggermente.
La figura che mi dava le spalle si volta improvvisamente e si avvicina al letto.
E’ Yabu.
« Come ti senti? » mi chiede.
Anche se la sua voce è bassa, mi rimbomba nell’orecchio come se avesse urlato ad un megafono a due centimetri dal mio orecchio.
Serro gli occhi e nello scuotere la testa, il mondo intorno a me inizia a girare ancora più vorticosamente.
Gemo dal dolore.
« Non sforzarti. » sussurra « Il dottore ti ha attaccato da poco la flebo con i nutrienti. Dovresti rimetterti in sesto in poco tempo. »
Tento di annuire.
Il senso di nausea e il dolore alla milza mi impediscono di ragionare. Mi sembra di fluttuare in un perenne stato di confusione, quello che ti prende quando sei ancora addormentato ma allo stesso tempo sei sveglio.
Potrei quasi fluttuare se non mi sentissi come dei pesi attaccati ad ogni estremità del corpo.
« Ci hai fatto preoccupare tantissimo. Devi aver trascurato un po’ l’alimentazione a causa dello studio e il caldo ha fatto il resto. Dovevo accorgermene che ti stavi sforzando troppo. » aggiunge fra sé, come se io non fossi presente.
Allungo faticosamente la mano, afferrando la sua e stringendola. La sua pelle calda riscalda la mia, incredibilmente fredda.
Sussulta.
Socchiudo gli occhi.
« Per un secondo… zitto Yabu - sensei. » borbotto.
Lo vedo accennare un sorriso titubante, nonostante gli occhi lucidi.
« Scusami. » si limita a dire.
Cerco di ricambiare il sorriso. Mi addormento nuovamente.
Quando mi sveglio cerco di aprire gli occhi il più lentamente possibile.
E’ notte. Fonda probabilmente.
Non so quanto ho dormito, ma le ossa continuano a farmi male e i dolori addominali non sono ancora passati.
Yabu è seduto accanto a me, come prima. Legge un libro, come sempre. Quando vede che mi sono svegliato, mi sorride. Si avvicina a me.
« Il tuo sorriso è irritante. » sono le prime cose che dico.
Lui ridacchia, tirandomi indietro i capelli. Se anche volessi scostarmi, non ne avrei le forze, ma la verità è che adesso, a differenza di prima, la mano fredda di Yabu sulla mia fronte attutisce un po’ il calore che ho in tutto il corpo.
Ho caldissimo.
E non è normale, perché anche è agosto sento il mio corpo andare letteralmente a fuoco.
« Mi devo fare una doccia. Mi sembra di andare a fuoco. »
Lui mi guarda, perplesso e sistema meglio la mano sulla mia fronte.
« Sembra che tu abbia la febbre. » commenta « Vado a chiamare l’infermiera, così te la misura. »
Annuisco, lentamente. Vorrei dirgli di non lasciarmi da solo, ma non ho alcun motivo per essere spaventato.
Probabilmente è solo un po’ di febbre causata dallo sforzo dello studio e lo svenimento è stato causato dal caldo.
Mi mordo un labbro e lui mi sorride ancora.
Rimango da solo in camera, illuminata solo dalla luce sul comodino che lui usa per leggere il suo libro.
Torna dopo pochi minuti, seguito da un’infermiera. Lei mi guarda e mi sorride.
Chissà quante persone ha visto nella sua carriera. Persone andare e venire.
Persone uscire sane e persone morire qua dentro, in solitudine o in compagnia.
Mi porge un termometro e lo metto sotto il braccio. Lei e Yabu discutono del più e del meno. Di quanto faccia effettivamente male il caldo, di come bisognerebbe stare più attenti a quello che si mangia.
Il termometro suona. Lo tolgo.
38.3°C
E’ febbre?
« Le daremo qualcosa per abbassare la febbre. Intanto lei si deve riposare. » dice dolce la ragazza. Dal comodino prende un’altra coperta e l’appoggia ai miei piedi.
Annuisco. Lei va via e noi rimaniamo da soli.
« E’ strano avere la febbre in estate. » dico piano.
« Nemmeno così tanto. Una volta Takaki - san si è preso la bronchite ad agosto. E’ rimasto per tutte le vacanze estive a casa a curarsi. » ridacchia, fra sé e sé, quasi con nervosismo.
L’infermiera torna con dell’aspirina. L’appoggia su un tavolo, con un bicchiere d’acqua.
M’inchino per ringraziarla e quando va via mi passo una mano sulla fronte.
Sono madido di sudore.
« Questa febbre è veramente snervante. » mormoro prendendo immediatamente le medicine.
Non vedo l’ora di tornare a casa. Ai miei libri di scuola, ai miei disegni, al ristorante con i ragazzi, a giocare ai videogiochi con Chinen.
Non vedo l’ora di tornare alla vita che faticosamente mi stavo costruendo.
« Passerà presto. Vedrai che domani o dopo domani starai di nuovo a casa. » mi dà una pacca sulla spalla « I libri di scuola ti aspettano. »
Ridacchio anche io.
« Lo so. » mi limito a dire.
La febbre persiste.
Sono chiuso in questa stanza da quasi una settimana. Le infermiere e i dottori vanno e vengono.
Mi prelevano il sangue continuamente. Mi imbottiscono di medicine, dicendo che la febbre passerà presto.
Che passeranno presto anche i dolori muscolari e alle ossa. Che passeranno presto anche i dolori addominali.
Che se continuo a mangiare quello che mi danno loro, la sensazione di svenimento passerà presto.
Invece nulla.
Fisso fuori dalla finestra.
E’ passata quasi una settimana da quando sono svenuto a casa.
Yaotome, Takaki e Chinen vengono quasi ogni giorno a trovarmi. Mi diverte stare con loro, ma ogni volta che vanno via, il terrore mi assale, impedendomi di dormire.
Non passa giornata che io non perda sangue. Un momento è dal naso, un altro dalle gengive e la sensazione di poter svenire da un momento all’altro non diminuisce.
Mi sento continuamente debole, incapace di alzarmi dal letto anche solo per andare in bagno con le mie gambe.
Cosa sta succedendo a questo corpo marcio?