Titolo: You know my name
Fandom: 007 - Skyfall
Pairing/Personaggi: Q, 007
Rating: PG
Genere: Commedia, Angst, Introspettivo
Warning: Accenni Slash
Disclaimer: No, chiaramente Skyfall non è mio, e neppure i personaggi. A quest’ora sarei molto ricca se ciò fosse vero.
Riassunto: È come un gioco. O almeno così ipotizza.
YOU KNOW MY NAME
“Daniel.”
È come un gioco. O almeno così ipotizza.
Non ha idea delle regole e dubita che Bond stesso le conosca, ma è divertente, tutto sommato. Avrà fine, ad un certo punto, perché se c’è una cosa che Q ha imparato è che con Bond non si può vincere. Solo la morte potrebbe effettivamente fermarlo e Q è abbastanza sicuro di averlo visto tornare trionfante anche dopo aver affrontato lei.
Q può essere pericoloso, ma sa bene che in quella specie di gioco è già stato assegnato il ruolo del perdente, ed è stato assegnato a lui.
“No,” risponde laconico.
Bond si concede un sorriso. “Ci sono almeno vicino?”
Q sposta lo sguardo dal monitor solo per il tempo necessario a guardare Bond negli occhi. “Il tuo lavoro non è indovinare.”
La frase rimane volutamente in sospeso. Sanno entrambi, Bond per primo, che il caso non è mai un buon alleato quando è là fuori.
“Non sto lavorando. Ed è più divertente così.”
“Divertente,” ripete Q con una mezza smorfia. È come un gioco, sì, ma Q non ha ancora trovato lo scopo di tutto quello.
Bond scuote la testa, prima di iniziare ad allontanarsi. “Dovresti provarlo, ogni tanto, o ti verranno presto le rughe.”
“C’è una sola persona che ha le rughe, tra noi due, e non sono io. Ma grazie per l’interessamento,” ribatte Q guardando con la coda dell’occhio Bond allontanarsi.
“Prevedibile,Q. Questa era prevedibile,” sono le ultime parole che gli concede Bond prima di uscire dalla stanza.
Q sorride senza neppure volerlo. È vero, quella era prevedibile.
*
“Eve mi ha detto che hai qualcosa per me, Jeremy.”
Q solleva gli occhi quando sente la voce di Bond e scuote la testa. “Sul serio? Jeremy?”
“Si adatta ai capelli da adolescente e ai brufoli.” Risponde Bond con un sorriso sfacciato.
“Sempre così interessato al mio aspetto esteriore, noto.”
“Sempre, Q.”
Q sorride, prima di porgere una valigetta a Bond, che la apre immediatamente. “Vedi di riportare tutto indietro. Soprattutto gli occhiali da sole.”
“Sono esplosivi?” e solo il fatto che ha inarcato un sopracciglio suggerisce a Q che lo stia prendendo in giro. Di nuovo.
“No. Fortunatamente per i tuoi occhi.”
Bond scuote la testa. “Sempre così poco divertente, Q.”
Q non risponde, si limita a sbuffare stirando le labbra leggermente, la cosa più vicina ad un sorriso che è disposto a concedergli, e a riprendere a scrivere sulla tastiera. “Buona fortuna, 007,” si concede alla fine e fa giusto in tempo ad alzare gli occhi per vedere Bond sorridere, prima di allontanarsi.
Ogni volta che uno degli agenti esce per una missione, Q si chiede se lo rivedrà. Si rifiuta di pensare che sia una qualche sorta di attaccamento emotivo, ha già imparato con 005 che ciò può essere assolutamente contro produttivo, ma ipotizza che sia naturale e che ad un certo punto il tempo farà il suo dovere e lo renderà più distaccato.
Guardando la schiena di Bond, comunque, si chiede se sentirà di nuovo la sua voce tentare di chiamarlo per il suo vero nome. E pensa che gli dispiacerebbe se ciò non dovesse succedere.
*
Avrebbe voluto sbagliarsi, ma a quanto pare la sorte a volte gioca brutti scherzi.
“Non è il momento di prendersi una pausa.”
Bond, dall’altra parte del mondo, respira affannosamente. “La prenderesti anche tu se ti avessero sparato.”
Q ipotizza che sia vero, ma il punto non cambia. “Alla tua destra. Posso bloccare le porte automatiche per qualche secondo, muoviti a scendere, 007.”
Q lavora velocemente sui codici, osservando con la coda dell’occhio le immagini riprese dalle telecamere di sicurezza dell’hotel, e vede Bond appoggiarsi al muro per un istante, prima di riprendere a scendere per le scale. Forza forza forza, ensa ininterrottamente. Non servirebbe a nulla a dirlo, solo ad irritare maggiormente Bond, e non è quello il lavoro di Q.
Il lavoro di Q è riportarlo in Inghilterra più o meno vivo. E più o meno intero.
“Apri la porta a sinistra e segui il corridoio. In fondo, vai di nuovo a sinistra. È una delle uscite laterali. Ti troverai nella zona est, davanti a te ci sono i giardini, e oltre ad essi, i parcheggi. Una volta che sarai in mezzo agli alberi non potrò più controllarti, dovrai dirmi tu cosa vedi, ok?”
Q non dà il tempo a Bond di rispondere. Tra poco lo perderà di vista e potrà seguirlo solo attraverso la voce. Dato il numero di battiti cardiaci che il cuore gli rimanda dal petto, nota che la lezione imparata con 005 non è servita a nulla. Si chiede quando il tempo gli concederà il famoso distacco tanto agognato.
Non tanto presto a giudicare da-
“007, ti sono quasi addosso, vai tra gli alberi. Adesso.” Q è orgoglioso di sentire la sua voce molto più ferma di come suonava nella sua testa.
Osserva in uno dei monitor Bond portarsi una mano sul fianco, prima di sparire dal raggio di ripresa della telecamera. Fino a quando non raggiungerà i parcheggi, Q non potrà più osservarlo. E senza vista a guidarlo, Q si deve fidare di Bond.
Non è difficile, fidarsi di lui. Se c’è qualcuno che sa fare il proprio lavoro, quello è Bond.
Ma Bond sa anche morirci, là fuori. E il fatto che Q l’abbia visto resuscitare più volte di quante avrebbe voluto non vuol dire che continuerà a farlo.
Anche 005 era bravo, eppure-
“Ti piace da morire dare ordini, vero Steven?” ansima Bond e Q ipotizza stia correndo, perché la sua voce sembra ancora più affaticata di pochi istanti prima.
“Non penso sia questo il momento, 007,” risponde secco, gli occhi fissi sui monitor con le riprese immobili del parcheggio. Avanti, Bond, avanti.
“Perché no? Non è che al momento hai altro da fare, no?”
Non è come se M stesse ascoltando la conversazione, vero Bond?
“Io forse no, a parte fissare un parcheggio in cui non sei ancora arrivato perché ti è sembrato il momento giusto per fare conversazione. Più veloce, 007, stai perdendo colpi.”
Bond sbuffa una risata, ma non ribatte e Q ne è felice. Quando si è chiesto se l’avrebbe sentito di nuovo cercare di indovinare il suo vero nome, si è immaginato tutt’altro scenario.
Bond ricompare in uno dei suoi schermi, ma Q non fa in tempo a tirare un sospiro di sollievo. L’attimo dopo, vede dietro di lui almeno tre persone. Ha giusto la prontezza di mormorargli “007-“ prima di vedere Bond cadere a terra.
*
Q non ha idea se quello sia accettabile o meno, la sua unica esperienza veramente negativa è stata con 005 e, beh, lì non ha dovuto andare a trovare nessuno. Quando l’hanno riportato indietro dal Marocco era già morto. Q l’ha visto accasciarsi a terra davanti ai suoi occhi, decidendo che osservarlo in quello stato una volta sarebbe stato più che sufficiente.
Solitamente si tratta di ferite minori. O almeno, ferite che richiedono al massimo un paio di giorni nella sezione medica e un periodo di riposo dall’attività sul campo.
Non quella volta.
Sono quattro giorni che Bond è costretto a letto e Q ipotizza che sia arrivato il momento giusto per andare da lui.
Soprattutto, sono quattro giorni che Q rivede davanti agli occhi il momento in cui Bond cade a terra. È strano, perché sia con 005 che con 007 non è stata colpa sua, solo incidenti di percorso e-
In ogni caso avrebbe potuto cercare di rallentarli di più, avrebbe potuto cercare di far uscire Bond da un’altra porta o-
La verità è che non avrebbe potuto fare nulla di diverso. Non con un agente che perdeva abbastanza sangue da lasciarsi dietro una scia fin troppo chiara.
Avrei comunque potuto fare qualcosa.
Aveva aspettato quattro giorni solo perché non era sicuro che Bond volesse vederlo. Fino a quando Eve non gli aveva ricordato che lei l’aveva spedito direttamente all’altro mondo, mesi prima.
“Vallo a trovare. Gli farà piacere. Si diverte sempre con te,” aveva detto Eve con un mezzo sorriso compiaciuto. Compiaciuto di cosa, Q non ne aveva idea.
Quando si trova finalmente davanti al letto di Bond, Q si rende conto di non sapere bene cosa fare.
Bond è sveglio e nonostante la maschera dell’ossigeno che gli impedisce di parlare e i tubi della flebo che gli escono dal braccio, lo guarda con aria divertita.
E lui rimane lì come uno stupido. Si sente tale, almeno fino a quando non opta per afferrare una sedia e mettersi accanto al suo letto. Quando torna a guardare Bond, nota che si è tolto la maschera dell’ossigeno. Sia mai che esegua un ordine senza metterci del suo.
“A cosa devo l’onore, Rupert?”
Fa fatica a parlare, e l’inflessione della sua voce lo rende come un estraneo alle orecchie di Q. Si chiede chi sia quell’uomo sdraiato in quel letto, e dove sia andato a finire l’agente dell’MI6 che lo fa uscire quotidianamente fuori di testa.
“Non dovresti parlare,” risponde Q con un mezzo sorriso, indugiando forse un po’ troppo con lo sguardo sul viso dell’altro. Ma sono quattro giorni che Bond è inchiodato lì, e Q si riserva il diritto di osservare almeno le sue condizioni. Ed è nelle piccole cose che riconosce l’uomo che non sono riusciti ad uccidere. Non questa volta, almeno. Non ancora.
Bond rotea leggermente gli occhi, prima di ringhiare sottovoce un “Non avrei dovuto farmi sparare due volte,” e rimettersi la maschera dell’ossigeno.
Non avrei dovuto permettere che lo facessero, pensa invece Q. E non riesce a togliersi quell’idea dalla mente. Non riesce non riesce non riesce. Rimane lì, negli angoli della sua testa e per quanto si sforzi di ricordarsi che non è colpa sua e che non avrebbe potuto fare nulla e che è stato molto peggio con 005 perché è morto e-
Dovrebbe sentirsi in colpa per essere più scosso per ciò che è successo a Bond che a 005, ipotizza. Ma non lo è.
*
Rivede Bond cinque giorni dopo. Q ha evitato di tornare a trovarlo nell’area medica, giustificando quella scelta con il troppo lavoro. Non è vero, in realtà. Negli ultimi due giorni è riuscito addirittura a tornare a casa ad un orario umano.
Non è comunque più passato da lui.
Quando se lo ritrova davanti, Q non si sorprende di notare come Bond sembri in forma. Quell’uomo deve avere come minimo almeno sette vite per riuscire ad andarsene in giro così dopo che-
Per terra. Bond è per terra e lui non può fare nulla. Se non osservare il sangue riversarsi sull’asfalto del parcheggio. È solo per qualche istante, prima che altri agenti dell’MI6 arrivino in auto. Ma è abbastanza per aver permesso alla seconda pallottola di raggiungerlo e-
“Sembra che tu abbia visto un fantasma, Simon.”
Q stira le labbra in un sorriso, sforzandosi di non pensare. “Ti trovo in forma,” replica, continuando a camminare verso la sua postazione.
“Non farti sentire dalla sezione medica. Sperano ancora che io ritorni su quel letto.”
“Non ti hanno dimesso.” Non è una domanda. E la scrollata di spalle da parte di Bond gli conferma che non era necessario chiedere.
“Mi sono dimesso da solo, un paio di giorni fa.”
Q si abbandona sulla sua sedia, prima di spingersi gli occhiali sul naso e fissare Bond. Vorrebbe dirgli che non è opportuno fare sempre di testa propria, che dovrebbe stare a letto e che i medici-
Vorrebbe dirgli che gli dispiace. Ma non ha le parole adatte e non ha idea di come poter iniziare.
“Non essere troppo duro con te stesso.”
È l’ultima cosa che gli dice Bond, prima di allontanarsi. Q si chiede perché abbia deciso di fargli visita solo per… solo per cosa, esattamente?
*
Sta modificando la Walther PPK/S, quando sente qualcuno avvicinarsi. Solleva lo sguardo il tempo necessario per accertarsi che si tratta di Bond, prima di tornare a lavoro.
“È per me, Liam?”
Q annuisce, tentando invano di non sorridere. Ma è inutile ed ormai lo sa anche Bond, Q ne è sicuro. Continua a non avere idea dello scopo di quel gioco, ma non importa più. Ha mai avuto importanza, poi? È rassicurante, è un Bond che conosce, quello, a differenza dell’uomo che è andato a trovare nella sezione medica e che-
“Hai deciso che non provi neppure più a contraddirmi quando sbaglio?” borbotta Bond, avvicinandosi maggiormente e cercando di osservare al di sopra delle sue spalle il lavoro che sta operando sulla Walther.
“Potrei decidere di non rispondere più a nessun falso nome,” ribatte lui, sorridendo.
Bond sbuffa una mezza risata e Q non ha bisogno di girarsi per sapere che si è avvicinato ancora di più a lui. “Hai intenzione di mandarmi sul campo completamente scoperto, Q?” mormora Bond sporgendosi in avanti, senza distogliere lo sguardo dal piano di lavoro, “Non penso sia una buona idea.”
“Certo che no. Non metterei mai a repentaglio la vita di uno degli agenti per un motivo tanto futile. Ma potrei non rispondere più a certi nomi, qui in ufficio, si intende.”
Bond si allontana da lui e Q torna a respirare. Strano, non si era neppure accorto di-
“Quindi non mi resta che indovinare. Pensavo di avere più tempo,” Bond ha fatto il giro del tavolo fino ad arrivare davanti a lui, un sorrisetto beffardo ad incurvargli le labbra e gli occhi fissi puntati addosso. Q lo osserva giusto il tempo necessario per ricordarsi di avere tra le mani la Walther. O forse giusto un po’ di più.
“Mi spiace che il tuo passatempo numero uno venga meno in questo modo. Potresti sempre decidere di non sentirmi più parlare, però, se questo ti fa piacere. Dato il livello di disturbo che ciclicamente procuri alla sezione Q, ammetto che non sarei poi così dispiaciuto.”
Bugiardo, pensa.
Bugiardo, dicono gli occhi di Bond fissi addosso a lui.
“E privarmi della possibilità di ascoltare una delle menti inglesi più brillanti attualmente in giro rispondere acidamente come il peggiore degli adolescenti? Dovresti conoscermi, Alistair Moore.”
Q alza il viso di scatto e il sorrisetto di Bond è esattamente ciò che si aspettava di trovare sul volto dell’altro. “Sai-“
“Il tuo nome, quando sei nato, la tua vita prima di arrivare all’MI6. Anche se potresti aver facilmente modificato i file sulla tua infanzia e adolescenza, sono certo almeno del tuo nome e della tua data di nascita. Il resto è diventato più difficile da verificare, dopo che hai deciso di rimanere a casa da scuola per alcuni mesi, quando avevi quattordici anni. O potresti aver cambiato anche quello, in effetti.”
Q non distoglie lo sguardo. Non ha idea di come dovrebbe sentirsi - e quella sembra quasi una costante nelle sue relazioni con Bond. Ipotizza possa essere effettivamente così, forse. Muoversi nell’incertezza e aspettare-
Qualcosa.
“Quell’avvenimento non è falso. Ma non posso dire lo stesso per il resto…”
Bond sorride, compiaciuto. “Lo sospettavo.”
“Quindi l’hai sempre saputo.” Non è una domanda, Q sa già la risposta - e d’altra parte non può dire di esserne sorpreso. Ha fatto la stessa ricerca approfondita su ogni agente dell’MI6 quando è diventato Quatermaster. Le gioie del mestiere.
Bond continua a sorridere, ma non gli risponde. E Q si chiede se esista al mondo un modo per farlo crollare, quell’uomo.
Lo rivede a terra, lo rivede ferito, lo rivede inchiodato ad un letto. Tutto sommato lo preferisce fintamente invincibile.
“Avresti potuto zittirmi per sempre,” borbotta Q, prima di abbassare lo sguardo e tornare a lavorare. Ha già perso troppo tempo e non può permettersi di-
“E rinunciare alla tua compagnia?”
Q non batte ciglio, e se la presa sulla Walther si irrigidisce è solo perché Bond continua a distrarlo non certo per… per cosa? “Credo tu possa facilmente trovare compagnie ben più interessanti che qualcuno con cui giocare a Indovina Chi?, no?”.
“Non sottovalutarti, Q. Di persone più interessanti ce ne sono molto poche, giusto perché tu lo sappia.”
Quando Q alza lo sguardo, Bond si sta già allontanando. Se fosse veramente una persona interessante, qualcuno cioè che non passa metà - facciamo anche tre quarti. O la totalità - della sua vita dietro ad un computer, se ne sarebbe uscito con una battuta quantomeno vagamente adatta al momento.
Non pensa di essere interessante, non nel senso comune del termine almeno, ma è vero che anche in Bond c’è molto poco di comune.
Q sorride, rifiutandosi di pensare, e torna a concentrarsi sul suo lavoro. E se si ritrova a dover fare una pausa dopo appena dieci minuti è solo dovuto al fatto che la precisione richiesta per questa modifica deve essere massima. Nulla di più.
FINE
Non doveva esserci l’angst, non doveva essere così lunga, non doveva essere così piena di nulla. Yay me per aver azzeccato tutte le previsioni, proprio XD
Non mi dispiace, tutto sommato, anche se, appunto, non racconta NULLA e boh. Ci trovo un po’ troppo di non detto, ma va beh. Giochiamo di sottointesi e amen XD
Tutto è nato, comunque, perché ho deciso che dovevo dare un nome a Q. E dopo averlo battezzato Alistair Moore, ho deciso che anche Bond era interessato al suo nome. Una storia pregna di significato fin dalle sue origini, come si può notare XD
Prima incursione nel fandom di Skyfall ed è stato strano, perché è da parecchio che non scrivo qualcosa di vagamente d’azione (sono mesi che non scrivo su Inception… e sono anni che non scrivo scene d’azione come le scrivevo in Harry Potter), quindi boh. Vediamo se ci sarà altro :)
Il titolo viene dall’omonima canzone di Chris Cornell, colonna sonora di Casino Royale.
Grazie per aver letto <3