[Glee] Countdown [PG13 - OneShot]

Jul 09, 2011 17:53

IL GIORNO PRIMA

Stava fissando il cellulare da sei minuti. Sei minuti che avrebbero potuto diventare sette e poi otto, nove, dieci. Interminabili, forse. Perché forse stava aspettando una risposta - una qualsiasi. Una qualsiasi sarebbe andata bene, sarebbe stata qualcosa e qualcosa era tutto ciò che desiderava in quel momento. Qualcosa era diverso dal niente - che non sarebbe mai arrivata.

Il cellulare non era mai stato così pesante nella sua mano, ma non aveva intenzione di lasciarlo. O di smettere di fissarlo e di pensare e sperare e ripetere nella sua mente quell’unico nome, una cantilena senza fine.

Ti prego. Ti prego, rispondi.

Fissava quello schermo e nella sua testa non facevano che affollarsi e rincorrersi ricordi di quei giorni e di quelle settimane e di quei mesi. Un’infinità e un’inezia, a seconda delle prospettive.

Per Kurt era stato tutto e niente. E il tutto e il niente si stavano ripercuotendo su quel momento, su quei sei minuti interminabili e brevissimi.

Allo scoccare dei sette minuti, Kurt trattenne il respiro, ma lo schermo del cellulare rimase immobile.

DUE GIORNI PRIMA

Non stava guardando qualcosa di preciso. Da dietro le lenti scure degli occhiali da sole, muoveva gli occhi verso qualsiasi cosa che riuscisse a catturare la sua attenzione. Una bambina che cadeva per terra. Un ragazzo che faceva jogging, con le cuffiette dell’iPod nelle orecchie. Una coppia di amiche che ridevano a poca distanza da lui.

Li guardava, protetto dalle lenti scure. Li osservava e tutto ciò che riusciva a percepire era quella fitta continua nel petto, quel qualcosa che non faceva che ricordargli quanto tutto andasse avanti come se nulla fosse successo. Quanto tutto fosse normale.

Di normale, ormai, Kurt non sentiva più niente.

Kurt osservava tutto, seduto su quella stessa panchina su cui spesso si era rifugiato a leggere quando aveva voglia di stare da solo, quando la lontananza da Blaine diventava insopportabile e aveva bisogno di parlare con lui per delle ore e non aveva voglia di sorbirsi le occhiate tra il divertito e il seccato dei suoi compagni.

Erano mesi che quella panchina non ascoltava telefonate del genere.

QUATTRO GIORNI PRIMA

Non era andato a lezione e sapeva che era una cosa stupida - così tanto stupida e patetica e quanto poteva sentirsi idiota?

Non c’era andato perché si era alzato dal letto, si era guardato allo specchio e il riflesso gli aveva restituito solo una lontana - e pallida. Pallidissima. Dio, quanto poteva diventare bianca la sua pelle? - imitazione di quello che era un tempo.

Erano settimane - erano mesi - che Kurt non si ritrovava in quel riflesso, ma non sapeva dove fosse rimasto. O forse sì, forse lo sapeva, ma non l’aveva mai ammesso perché non sarebbe stato giusto e comunque non sarebbe cambiato niente e…

Kurt era tornato a letto, si era stretto le coperte addosso e aveva cercato di riaddormentarsi.

Non c’era riuscito.

CINQUE GIORNI PRIMA

Tyler, che sapeva essere tanto adorabile quanto fastidioso, l’aveva costretto ad alzarsi dal letto e pranzare con lui.

Fastidioso e preoccupato, come solo un compagno di stanza sapeva essere.

Kurt l’aveva seguito per il campus rifiutandosi di togliersi gli occhiali scuri e Tyler aveva lasciato correre, facendo finta che la cosa non gli interessasse.

E poi aveva detto quella frase. E Kurt l’aveva fissato a lungo, con la consapevolezza che i suoi occhi erano coperti e che nello stato in cui si trovava non avrebbe intimorito nessuno, ma l’altro aveva abbassato la testa ed era arrossito e sì, forse aveva funzionato ugualmente.

“Neppure quando ti sei lasciato con Blaine sei stato così male”

Kurt aveva afferrato la sua borsa e si era diretto nuovamente nella loro camera.

Dicevano sempre che ti accorgi dell’importanza di qualcosa - di qualcuno - quando non ce l’hai più. Il punto, in realtà, non era il non averlo, il punto era rendersi conto di quella mancanza. Il punto era sentirlo comunque proprio, perché il cervello si rifiutava di lasciarlo andare e di staccarsi e di andare avanti.

Il punto non era il non avere più Blaine. Il punto era allungare una mano e non trovarlo e accorgersi che non ci sarebbe più stato perché era finita e anche se nella sua testa era un pensiero martellante e fisso, la realtà era diversa.

Quando si erano lasciati, quando le parole erano rimbombate attraverso il telefono e si erano schiantate contro il suo petto e tutto era sembrato irreale - perché, sul serio? Sul serio era finita? - non era stato così male.

Ma due giorni prima aveva allungato la mano.

E al posto di Blaine, sotto le dita, aveva trovato Ian e si era chiesto cosa fosse successo.

SEI GIORNI PRIMA

Era stato a tanto così dal premere il tasto per la chiamata.

Si era morsicato le labbra fino a farle sanguinare e aveva fatto scorrere la rubrica fino al nome di Mercedes.

Solo a quel punto aveva rilasciato un sospiro e un singhiozzo.

SETTE GIORNI PRIMA

Aveva riso. E aveva flirtato con lui in maniera spudorata.

Se l’era imposto. Prima di uscire, prima di mettere un piede fuor dalla sua camera da letto, si era guardato allo specchio e si era parlato. Si era anche sentito uno stupido - perché era qualcosa che si vedeva nei film. Sul serio, chi parlava con se stesso allo specchio? Lui, evidentemente -, ma l’aveva fatto perché non aveva avuto alternative.

Doveva andare bene.

E così, guardando fisso i suoi stessi occhi, si era ripetuto di lasciarsi andare. Di ridere. Di divertirsi. Di guardare Ian da sotto le ciglia e di non vergognarsi perché non c’era nulla di male e non stava tradendo nessuno. Di flirtare e giocherellare con la lingua con la cannuccia della Coca Cola e di sorridere imbarazzato a qualche complimento che sarebbe arrivato.

Di stare al gioco, perché magari, giocando, sarebbe diventato tutto vero.

E l’aveva fatto.

Si era morso un labbro e aveva sorriso, quando Ian aveva sgranato gli occhi e gli aveva detto “Sei uno schianto”.

Si era premurato di toccargli la spalla e il braccio e di appoggiarsi a lui per parlargli nell’orecchio, mentre nello schermo davanti a loro scorrevano le immagini di un film a cui non aveva prestato attenzione.

Aveva riso alle sue battute, mentre infilzava una forchettata di insalata di pollo, e aveva cercato di divertirsi.

Era stato bene. Sul serio. Non per qualche meccanismo che aveva cercato di mettere in moto convincendosi che sarebbe dovuta andare bene. No. Era andata bene veramente.

E adesso Ian era lì e gli stava sorridendo e  Kurt non era stupido, non lo era per niente. Sapeva cos’avrebbe dovuto fare. E apprezzava abbastanza Ian per non essersi avventato su di lui come forse in troppi avrebbero fatto.

Non stai tradendo nessuno. Sei libero. Puoi farlo. Puoi flirtare con lui e divertirti e baciarlo.

Kurt si sporse verso di lui e lo fece. Inclinò la testa verso destra perché Blaine iniziava sempre a baciarlo dall’angolo sinistro della bocca. E chiuse subito gli occhi e inspirò, perché adorava perdersi in quella sensazione. L’odore di Blaine nelle narici e la pelle ruvida della sua guancia sotto le dita e quella morbida della sua bocca contro le labbra. E socchiuse la bocca, perché Blaine adorava far scorrere la lingua contro i suoi denti, prima di approfondire veramente il bacio.

E poi aprì veramente le labbra e inspirò forte e si strinse a lui, perché Blaine aveva sempre questo modo di baciarlo che lo faceva impazzire, sembrava sempre volere di più e che non fosse mai abbastanza, anche se le sue mani non si spostavano mai dalla sua nuca o dalle sue spalle, perché era un gentiluomo anche in quel caso.

E permise alla sua lingua di scivolare tra le labbra dell’altro, perché Blaine adorava quando lo faceva, e lui adorava il sapore di Blaine, perché Blaine sapeva sempre di fragola e…

Inspirò e aprì gli occhi. E quella non era fragola, era menta. Ed era impossibile che fosse menta, perché Blaine la odiava e Kurt si divertiva sempre a prenderlo in giro, perché sembrava un bambino a lavarsi i denti solo con dentifrici rosa che sapevano di caramelle, per non parlare di quando gli offriva una gomma da masticare e Kurt finiva sempre per ridere e…

… quella non era fragola. Era menta. E Blaine odiava la menta.

Ed era tutto sbagliato, perché Kurt aveva imparato ad amare Blaine anche per quelle cose assurde che lo rendevano unico e gli veniva un po’ da piangere. E forse lo stava facendo. Perché sentiva le guance umide e un nodo in gola ed era tutto così sbagliato, che…

“Kurt?”

Kurt sbatté le palpebre un paio di volte e guardò Ian negli occhi.

Ian non era Blaine.

Scosse la testa, districando le braccia dal collo dell’altro e allontanandosi da lui di un passo. Scosse di nuovo la testa.

“Kurt, perché stai piangendo?”

Kurt non gli rispose. E le parole erano lì, sulla punta della lingua, pronte ad uscire, ma non rispose. “Scusami” e sperò che Ian avesse sentito, perché l’attimo dopo era già lontano.

Perché non sei Blaine, ecco perché. Perché non lo sarai mai. Perché non puoi esserlo.

NOVE GIORNI PRIMA

“No, dico, è possibile che io sia dovuta venire a sapere di tutto questo da Rachel Berry?”

Kurt aveva riso, scuotendo la testa quando Lauren, dall’altra parte del tavolo, l’aveva guardato sollevando le sopracciglia. “Mercedes, ipotizzo che tu stia parlando-“

“-del tuo nuovo affaire, sì, ipotizzi bene, ragazzino!”

Kurt aveva continuato a sorridere, non riuscendo però ad impedirsi di roteare gli occhi. “Non ho nessun… affaire, ‘cedes”

“Beh, potresti averlo!”

No. Non credo.

Kurt aveva sorriso, ma non aveva risposto. Aveva fatto segno a Lauren che si sarebbe allontanato, e aveva preso a raccontare a Mercedes com’era successo.

Il nome di Blaine era rimasto sulle sue labbra per tutto il tempo, ma non l’aveva pronunciato neppure una volta.

UNDICI GIORNI PRIMA

From: Ian Quindi… quello di ieri era un sì? I.

To: Ian … poteva essere interpretato diversamente? Kurt.

From: Ian Forse. Volevo esserne sicuro… sabato alle sette? I.

To: Ian Sabato alle sette. Kurt.

From: Ian Non vedo l’ora. I.

Kurt non aveva saputo cosa rispondere a quello.

DODICI GIORNI PRIMA

Kurt sapeva che quel momento sarebbe arrivato. Non era stupido. E Lauren lo tormentava da settimane riguardo quella storia.

E comunque non era stupido.

Solo che davanti a quella domanda non sapeva cosa dire. Sì. No. Forse. Sai, c’è un problema…

Ma il problema non c’era. Non c’era nessun problema, proprio nessuno. Kurt lo sapeva, ma non voleva crederci. E ogni tanto si aggrappava ai ricordi, si aggrappava ad un’illusione che in realtà le cose non stessero andando proprio così.

Invece, le cose stavano andando esattamente così.

“Esci con me sabato?”

La domanda rimaneva lì e Kurt sorrideva e guardava Ian negli occhi e pensava a qualcosa da dirgli che fosse vero e che non fosse scortese e che fosse comunque un sì. Sì, perché non aveva motivo per dire di no.

E Lauren doveva piantarla di ammiccare da dietro le spalle di Ian.

La odiava.

“Come un appuntamento?” chiese infine, inclinando la testa di lato e sorridendo, flirtando spudoratamente. Era diventato bravo, nel tempo, a farlo. Blaine glielo diceva di continuo.

“Come un appuntamento.”

Kurt annuì, abbassando lo sguardo per un solo istante, prima di tornare a guardare Ian negli occhi. “Vedrò di cancellare i miei impegni…”

Ian gli sorrise e lui si sentì bene, perché, Dio, Ian era così felice. E a Kurt un po’ piaceva, perché era gentile con lui, e gli sorrideva di continuo, e si impegnava veramente per farlo ridere. Si impegnava sul serio.

“Perfetto.”

Kurt gli restituì un sorriso appena accennato.

Perfetto.

QUINDICI GIORNI PRIMA

A volte gli mancava senza motivo.

A volte accendeva la radio e c’era una canzone che avevano cantato insieme e quasi senza accorgersene Kurt si immaginava di avere ancora diciott’anni e di essere nella sala prove con Blaine, davanti al Glee Club e…

A volte erano cose ancora più piccole. Come quando un paio di giorni prima Lauren gli aveva proposto di andare a vedere RENT - RENT che aveva cercato di tenere lontano dalla sua mente, perché la tentazione di rivederlo c’era, era lì - con lei e lui non aveva saputo cosa rispondere perché gli era tornata in mente quella sera, con Blaine, passata a vedere uno dei suoi musical preferiti e a canticchiare sottovoce tutte le canzoni, facendosi odiare da tutte le persone attorno a loro e…

A volte non era niente del genere.

A volte si svegliava e nelle orecchie aveva il respiro di Blaine e sotto la pelle la sensazione del suo corpo ed era semplicemente troppo e troppo poco. E comunque, mai abbastanza.

A volte andava meglio.

Tante altre, no.

DICIASSETTE GIORNI PRIMA

Kurt a volte non capiva cosa succedeva nella sua testa. Ed era qualcosa di terrificante, perché se c’era una cosa di cui era sempre stato certo, era se stesso. Chi era. Cosa voleva. Come avrebbe fatto per ottenerlo.

Kurt si era perso, però. Quindi forse anche la sua testa aveva smarrito la strada e non sapeva più come rimettersi in carreggiata.

Così, quando si era ritrovato a sorridere e a salutare con una mano Ian, dall’altra parte del cortile, si era rifiutato di farsi troppe domande.

Di chiedersi perché non sentisse nulla di ciò che avrebbe dovuto sentire. Perché per quanto fosse piacevole essere… corteggiato, non fosse comunque abbastanza.

E dov’erano, dove si erano cacciate, le farfalle nello stomaco?

Le farfalle sono morte. È ora di elaborare il lutto, Kurt.

Kurt aveva seguito Ian con lo sguardo, prima di riprendere a camminare.

Era piacevole, ma non sapeva se fosse abbastanza.

VENTUNO GIORNI PRIMA

“Ci credi all’anima gemella?”

Lauren, sdraiata sull’erba accanto a lui, alzò lo sguardo dal libro. “In che senso?”

Kurt scosse le spalle. “Se ci credi. Se credi che sia vero che ognuno di noi ha un’anima gemella, da qualche parte…”

Lauren aveva aspettato a rispondere. Guardando davanti a lei, Kurt riusciva ad immaginare che stesse ponderando le sue parole. Per non ferirlo. Per non buttargli addosso del sale lì, su quella ferita che ancora faceva male.

“Penso di sì. Penso che potrebbe esistere. È bello crederci, almeno, no?”

Kurt annuì, mordendosi il labbro e aggrottando le sopracciglia. “E come fai a sapere se la incontri? Come fai a sapere che è proprio lei?”

“Perché non la vuoi lasciare andare, immagino…”

Una fitta.

Kurt si chiese se avrebbe sempre fatto così male.

“E se invece non te ne accorgi e… e se ne va? Se esiste solo un’anima gemella per ognuno di noi, vuol dire che rimarrai da solo, se l’hai lasciata andare via…”

Lauren si mise a sedere, spostandosi dal viso una ciocca di capelli biondi. “No. Non importa cosa succede, non importa se ad un certo punto ci si deve separare… credo che due anime gemelle trovino sempre il modo per incontrarsi di nuovo”

Kurt annuì e chiuse gli occhi. E si chiese quando avesse iniziato a prendere consigli da una ragazza alta la metà di lui e con i capelli rosa e biondi. Un insulto al senso estetico.

Quando avvertì le braccia di Lauren stringersi addosso a lui e la sua testa contro la spalla, Kurt si concesse di sorridere. Il senso estetico a volte passava in secondo piano, ecco la verità.

A volte non aveva proprio importanza.

VENTIQUATTRO GIORNI PRIMA

“Lascia, pago io!”

Kurt aveva sollevato lo sguardo e si era ritrovato davanti il sorriso di Ian.

“Ian, non-“

“Certo che sì!”

Ian gli porse il suo caffè e Kurt si ritrovò a sorridere, incapace di dire altro. “Grazie,” sussurrò abbassando lo sguardo.

“Hey, non fare quel faccino triste, è solo un caffè. Vorrà dire che la prossima volta paghi tu!”

Ian gli fece un occhiolino e Kurt riuscì solo a pensare Sul serio?!, perché era una tecnica così banale per flirtare che chiunque avrebbe saputo fare di meglio.

E non era vero e Kurt sapeva di essere ingiusto e che Ian non si meritava pensieri del genere, perché era solo gentile e lui era sempre il solito stronzo e, sul serio, perché Ian perdeva tempo con lui?

Kurt osservò il suo caffè, come se potesse dargli tutte le risposte. E forse era così, forse quel caffè gli stava dicendo veramente qualcosa, qualcosa che parlava di ricordi e dell’Ohio e di una divisa blu e rossa e di amici e di primi appuntamenti.

Sollevò lo sguardo e sorrise a Ian. E sperò di essere abbastanza convincente da mascherare ciò che stava gridando nella sua testa.

VENTOTTO GIORNI PRIMA

Kurt non aveva mai veramente capito il fascino del campus. Era lì perché era la soluzione più comoda ed economica, non di certo per un vero interesse.

Delle feste se n’era sempre fregato, per dire, ma Lauren l’aveva praticamente obbligato ad infilarsi “qualcosa per far morire Ian” e quando le aveva risposto che, primo, non aveva nessun interesse in quella festa e secondo, soprattutto, non aveva nessun interesse nel far morire Ian, lei si era limitata a ridere e a scrollare le spalle.

Comunque, alla fine, alla festa c’era andato. E si era pure concesso una particolare cura per sistemarsi i capelli. Perché ogni occasione era buona per brillare.

Di far morire Ian, comunque, non gliene importava proprio. Non gli importava neppure essere lì. C’erano troppe persone. Troppo rumore. Troppi corpi che ballavano in uno spazio troppo ristretto. Troppo alcool e troppo sudore e Kurt stava iniziando a pentirsi nonostante fosse lì da solo dieci minuti.

Lauren gli mise un bicchiere in mano e gli sorrise. Kurt non chiese cosa gli stesse facendo bere. Poteva concederselo. Poteva concedersi anche qualche bicchiere in più.

Non aveva nessuno da impressionare. Nessuno per cui rimanere sobrio e cercare di fare colpo. Nessuno a cui aggrapparsi, nel caso. Nessuno da stringere a sé.

“Vieni a ballare!”

Kurt non fece tempo a rispondere, e a malapena ebbe la prontezza di appoggiare il bicchiere sul tavolo dietro di lui, prima di essere trascinato da Lauren in mezzo a quell’ammasso di corpi. Kurt si stava ancora chiedendo perché fosse lì, in quella stanza. Perché fosse lì, a tentare di ballare, fallendo miseramente, dato lo spazio ridotto.

Lauren saltava e rideva davanti a lui e Kurt preferì non chiedersi se fosse veramente così felice o se l’alcool la stesse aiutando. Ondeggiò i fianchi, seguendo il ritmo della musica, e provò a chiudere gli occhi, perché tutta quella gente era disturbante e in realtà non voleva essere lì, voleva tornare nella sua camera o che almeno gli versassero un altro bicchiere perché era troppo sobrio per potersi divertire a quel tipo di festa.

Era troppo sobrio per potersi divertire e basta, forse.

Con gli occhi chiusi, all’inizio pensò fosse Lauren. Ma la stretta era troppo salda e Lauren era davanti a lui, mentre quelle mani lo stavano spingendo all’indietro e…

… oh. Beh. Quello era decisamente un ragazzo.

Kurt aprì gli occhi e vide Lauren ballare con un ragazzo che non aveva mai visto, prima di girare il viso e capire chi fosse ad avere le mani sui suoi fianchi.

Ian.

Oh.

Ian che gli premeva completamente addosso. Ian di cui sentiva il petto contro la propria schiena. Ian che muoveva il bacino contro di lui, contro il suo fondoschiena e…

… oh.

Era piacevole. Era bello. Se chiudeva gli occhi e si abbandonava al corpo dietro di lui, se non pensava a nulla e continuava a muoversi a ritmo della musica e contro i fianchi dell’altro e oh, sì, perché sapeva cosa stava facendo, non era stupido, ecco, se faceva tutto quello… era bello.

Aveva già ballato così, in passato. Con Blaine. Con Blaine stretto dietro di lui. Blaine che era più basso, ma che lo stringeva in un modo che gridava “mio” ad ogni persona attorno. Blaine che appoggiava la fronte contro la sua spalla e gli baciava il collo. Blaine che ogni tanto Kurt si ritrovava tra le braccia. Faccia a faccia. E Blaine, sempre Blaine, quell’idiota, che si divertiva a farlo uscire di testa facendo scontrare il loro bacini, facendoli muovere in maniera oscena per essere in mezzo ad una pista.

Blaine che lo faceva sempre ridere anche quando tentava di sedurlo ballando.

Kurt aprì gli occhi. Aspettò che la canzone finisse, prima di girarsi verso Ian e sorridergli. Gli mise una mano sull’avambraccio e lo strinse.

Poi, senza aspettare l’inizio della nuova canzone, si fece strada tra le varie persone senza nome che erano attorno a lui e se ne andò.

Era troppo sobrio per quello. Decisamente troppo sobrio.

UN MESE E TRE GIORNI PRIMA

Kurt aveva voglia di tirare una gomitata a Lauren. Forse così avrebbe smesso di sorridere come una stupida, lanciandogli false occhiatine casuali.

Kurt guardò Ian, seduto davanti a lui che appuntava qualcosa sul block notes, per accertarsi che fosse concentrato su altro, prima di sporgersi alla sua destra e sussurrare nell’orecchio di Lauren.

“Smettila”

“Di fare cosa?”

“Tutto!”

“Non sto facendo niente, Hummel. Sei paranoico. E rumoroso. Siamo in biblioteca”

“E tu sei asfissiante e fastidiosa e-“

“Tutto bene?”

La voce di ian li fece sobbalzare entrambi. Kurt si costrinse a sorridergli e a non girarsi verso Lauren perché sapeva che quella… quella stupida, stava nuovamente ridacchiando tra sé e sé.

E sì, lo capiva. Non era stupido e sapeva che Ian aveva fatto carte false per riuscire ad essere nel loro gruppo per il progetto, ma Lauren poteva almeno fare finta di essere subdola e sottile.

“Scusaci. Tutto bene. Divergenze… direzionali riguardanti il lavoro. Vedi, io pensavo che l’aggiunta di questo…”

Kurt allungò il proprio quaderno, continuando ad inventarsi una qualche spiegazione possibile. Lauren continuò a sorridere come una stupida.

E Kurt decise che non le avrebbe mai più parlato. Proprio mai più.

UN MESE E DODICI GIORNI PRIMA

“Come va?”

Kurt aveva sorriso a quelle parole. Bene. Va bene. Va tutto bene, papà. E lì? Come stai? Segui la dieta, vero? E Carole? È lì con te adesso? Posso parlare anche con lei?

Le parole gli erano rimaste in bocca e il sorriso si era spento e tutto era diventato come al solito. Una bugia che si metteva davanti e ogni tanto andava bene.

Ogni tanto andava e basta.

Ogni tanto non andava proprio.

“Non lo so…”

“Figliolo…”

Kurt aveva sospirato e si era seduto sul letto e si era chiesto se non fosse strano, parlare così, al telefono, con suo padre, consapevole del fatto che entrambi sapevano perfettamente quale fosse l’argomento tabù e quale fosse il problema e…

Blaine. Blaine che era lì era addosso a lui e nella sua testa e in realtà non c’era.

“Non mi va di parlarne. Parliamo d’altro. Per favore…” l’aveva sussurrato, quasi come un lamento, quasi come se si fosse ritrovato a buttare fuori quelle parole, controvoglia. (Ed era vero. Era proprio così).

Burt aveva esitato, dall’altro capo del telefono.

“…sai che cos’ha fatto ieri Tom in officina? Roba da non crederci, giuro!”

Kurt aveva sorriso e si era disteso sul letto e aveva ascoltato suo padre. E aveva pensato Grazie. Grazie. Grazie. Grazie.

UN MESE E DICIASSETTE GIORNI PRIMA

From: Ian Grazie per avermi passato gli appunti di ieri. Il lavoro mi uccide certe volte. Un caffè per sdebitarmi?

Kurt era rimasto a guardare il telefono per un numero indefinito di secondi, valutando cosa rispondere.

Alla fine aveva sospirato, aveva scritto il messaggio di risposta, e si era rimesso a studiare.

To: Ian Non c’è bisogno :) sono io che mi dovevo sdebitare!

UN MESE E VENTIDUE GIORNI PRIMA

Kurt non sapeva bene perché Ian fosse lì. No, ok, lo sapeva - e il modo in cui Lauren lo guardava dall’altra parte del negozio non c’entrava. Non era così ingenuo.  Non gli servivano i sottotitoli per capire certe cose, anche se spesso faceva finta di niente perché era… era più facile. Ecco tutto.

Solo che era imbarazzante, anche se piacevole, sotto alcuni punti di vista - le attenzioni. Le attenzioni erano piacevoli. Tutti le apprezzavano -, ma sì, rimaneva imbarazzante.

Kurt afferrò l’ennesimo spartito, sorridendo a Ian, prima di mettersi a sfogliarlo e a rifiutarsi di girarsi verso Lauren.

“Un giorno dovrai farmi sentire come canti. Scommetto che sei strepitoso…”

Kurt ridacchiò, chiudendo il libretto e fissando gli occhi in quelli di Ian. “Forse…” rise, superandolo per dirigersi verso la sezione dei CD.

Fece finta di non vedere il cartonato che annunciava l’uscita del nuovo album di Elton John - I've forgotten if they're green or they're blue. Erano ancora nella sua testa, quelle parole. Ci sarebbero state sempre. Sempre - e si diresse verso i CD di Lady Gaga, cercando di non pensare. E di togliersi quelle parole dalla mente.

Quando Ian si riavvicinò a lui, però, Kurt non rispose più al sorriso.

UN MESE E VENTISETTE GIORNI PRIMA

All’inizio non ci aveva neppure fatto caso. Lauren e le sue chiacchiere - e quell’orrendo giubbotto che Kathy si ostinava ad indossare, nonostante le avesse più volte ripetuto che i colori fluo erano passati di moda (ringraziando il cielo) ormai da tempo - lo avevano tenuto occupato.

Poi aveva alzato lo sguardo dai capelli antiestetici di Lauren e i suoi occhi si erano fissati su uno dei tanti volantini che occupavano la bacheca del corridoio. E non era un volantino, era un manifesto, di quelli che venivano preparati a casa, sui proprio Mac, da alcuni studenti particolarmente dotati nella computer grafica.

Era un manifesto per una produzione teatrale studentesca e a Kurt non interessava neppure da dove venissero, perché l’unica cosa su cui era riuscito a concentrarsi era stata quella scritta, RENT, stampata a caratteri cubitali in mezzo al foglio.

Gli si era chiuso lo stomaco e la mente gli aveva giocato un brutto scherzo e riusciva ancora a sentire la voce di Blaine e il modo in cui aveva ripetuto le battute a memoria e il modo in cui avevano cantato insieme, mesi dopo, I’ll cover you e come le loro voci si erano fuse insieme e tutti, al Glee club, avessero iniziato ad applaudirli, senza commentare, neppure Santana.

“Kurt?”

Lauren aveva inclinato la testa e lui aveva sbattuto le palpebre un paio di volte, prima di distogliere lo sguardo da quel manifesto. “Scusami, mi sono distratto”.

Aveva ripreso a camminare, cercando di non pensare.

Non c’era riuscito.

Aveva continuato a ripetere quella canzone nella sua mente e ogni volta era una pugnalata.

Non era vero. Mentivi. Non era vero niente. Mentivo anch’io. Non era vero.

Ogni volta era come lasciarsi di nuovo.

DUE MESI E QUATTRO GIORNI PRIMA

Ian si era girato verso di lui con uno di quei sorrisi per cui Lauren non faceva che tirargli gomitate nello stomaco o ridacchiare. Gli aveva chiesto se non avesse per caso una matita in più per prendere gli appunti sul libro e Kurt si era perso su tutta la valanga di parole sussurrate che erano seguite, cose come “sono uscito di corsa” e “ho dimenticato tutto in camera” e “grazie, sei favoloso” che forse era un po’ troppo - e quella era solo una matita - ma era stato bello.

E quando Ian si era rigirato, dandogli le spalle, Lauren aveva preso a muovere le sopracciglia e a sorridere estasiata. Kurt la odiava un po’.

“Hai cinque anni, per caso?” e il sibilo che gli era uscito aveva fatto ridere Lauren ancora di più.

La ragazza si era avvicinata a lui, lanciando un’occhiata alla prof per essere completamente certa che non la stesse guardando, e aveva mormorato “Kurt, ha un intero astuccio nella borsa!”, puntando un dito verso il basso, lì, dove la cartelletta di Ian se ne stava aperta e appoggiata contro una gamba della sedia.

Kurt aveva scrollato le spalle e Lauren aveva trattenuto l’ennesima risatina divertita.

Quando, con la coda dell’occhio, l’aveva vista concentrarsi nuovamente sul suo libro, si era concesso un mezzo sorriso.

DUE MESI E UNDICI GIORNI PRIMA

Kurt aveva dovuto farsi prestare alcuni appunti a causa del suo…

… momento di defaillance di quasi due settimane prima.

Due settimane. Due settimane, Dio.

Assenza. Giustificata, ma comunque un’assenza. Giustificata per lui, non per i professori.

Kurt aveva dovuto chiedere aiuto anche ad Ian, un ragazzo con cui aveva un paio di corsi e che Lauren era convinta avesse una cotta stratosferica per lui.

Ok. Kurt non era stupido e sapeva che Ian aveva una cotta stratosferica per lui.

Davanti alle fotocopie degli appunti, comunque, Ian aveva attaccato un post-it. E Kurt era rimasto a fissarlo per secondi interminabili.

Spero sia tutto chiaro. Nel caso, basta chiedere ;) Sarei felice di aiutarti, Kurt.

Kurt si ricordava quando quelle parole erano state sulle labbra di qualcun altro.

BlaineBlaineBlaineBlaine.

Si ricordava quando aveva dovuto recuperare i programmi della Dalton e di quanto fosse stato difficile e stressante e di quanto Blaine avesse cercato di rendere il tutto più facile, passandogli gli appunti e gli schemi di quei corsi che avevano insieme e preoccupandosi di chiedere agli altri per quei corsi che aveva solo Kurt.

Si ricordava di come fosse impossibile, per lui, non sorridere come un idiota ogni volta che Blaine gli porgeva un libro o si inclinava verso di lui per spiegargli qualcosa. Qualcosa che avrebbe probabilmente capito senza nessun problema se solo non fosse stato tanto interessato al sorriso di Blaine, invece che alle parole che avrebbe dovuto studiare.

Kurt sorrise al biglietto. Poi lo accartocciò e lo buttò nel cestino, deciso a mettersi a studiare e a non pensare ad altro.

DUE MESI E QUATTORDICI GIORNI PRIMA

Erano passati dieci giorni.

Dieci giorni fatti di Tyler, Lauren, Rosemary, Rachel e le chiamate di Mercedes.

Dieci giorni e lui teneva il conto, perché era l’unica cosa su cui riusciva a concentrarsi quando non era a lezione. I corsi lo tenevano occupato, e al di fuori dalle aule c’erano i suoi amici e non era così terribile, poteva farcela.

Quando era a letto, da solo, di notte, diventava terribile, però. E si metteva a contare quei giorni e si accorgeva di come il tempo stesse passando, contro la sua volontà. Si accorgeva come tutto stesse andando avanti ed era ingiusto.

Non piangeva. Non piangeva mai. Ma teneva gli occhi spalancati, nel buio della sua stanza, il respiro di Tyler a riempire quelle mura e pensava a quanto non riuscisse a sentire niente.

Dieci giorni.

Quando avrebbe iniziato a fare male sul serio?

DUE MESI E DICIANNOVE GIORNI PRIMA

Rachel l’aveva portato in giro a fare shopping - che non potevano permettersi - e a mangiare davanti a Tiffany, come avevano fatto un tempo, anni prima.

Rachel, soprattutto, era entrata nella sua camera, aveva ignorato la presenza di Tyler, aveva afferrato Kurt e l’aveva trascinato fuori da quelle quattro mura. E gli aveva mostrato di nuovo perché si trovava lì. Perché era lì e perché sotto ai suoi piedi c’era New York e perché nonostante le cose non fossero andate come avevano pianificato a diciassette anni, ce l’avessero comunque fatta.

Kurt si era innamorato di nuovo della città come se fosse stato tutto nuovo. Ne aveva respirato l’aria e la frenesia e si era rivisto percorrere quelle strade per la prima volta e poi arrivare lì per il college e iniziare a vivere il suo sogno.

Il suo sogno era tutto diverso, però.

Kurt guardava Rachel e vedeva il suo sorriso e come la rottura con Finn, ormai secoli addietro, non l’avesse scalfita dal suo obiettivo.

Kurt guardava Rachel e vedeva una vincente.

Kurt guardava se stesso riflesso nella vetrina di Tiffany e si chiedeva cosa fosse diventato. Perché non riuscisse a scegliere la carriera. Perché non fossero riusciti a farcela, lui e Blaine. Perché la lontananza - una lontananza che non avrebbe dovuto esserci, perché Blaine avrebbe dovuto essere lì con lui e poi tutto era cambiato e non avrebbe dovuto avere importanza, ma invece sì, l’aveva - fosse diventata un problema insormontabile.

Kurt guardava se stesso e si chiedeva perché non poteva essere abbastanza tutto quello. Perché non poteva essere come Rachel.

“Un giorno ci sposeremo. Non importa se non studieremo insieme a New York. Vivremo lì, insieme, e ci sposeremo, noi due. Ce la faremo, Kurt”

Aveva una risposta, ma faceva troppa paura.

DUE MESI E VENTUNO GIORNI PRIMA

“Stai bene?”

“Sì”

Bugiardo. Bugiardo. Bugiardo.

“Kurt…”

“’cedes, cosa vuoi che ti dica?”

“La verità”

“La verità la sai, non c’è bisogno di chiedermelo”

“Vorrei essere lì con te”

E io ti vorrei qui. Vieni qui, ‘cedes. Vieni qui con me, ti prego.

“Mi manchi”

“Mi manchi anche tu, Kurt”

DUE MESI E VENTIDUE GIORNI PRIMA

“Dovresti uscire”

Kurt odiava Lauren. La odiava e odiava quella sua mano che non faceva che accarezzargli i capelli trattandolo come un ragazzino capriccioso e no, non era un ragazzino capriccioso, vaffanculo.

“Vattene”

Lauren non se ne andò e Kurt la odiò ancora di più. La sentiva, seduta sul letto accanto a lui. Sentiva i suoi occhi addosso. E Kurt aveva voglia di urlare e di piangere e di chiamare Blaine e di dirgli che no, non poteva essere finita, perché, andiamo, scherziamo?

Lauren si sdraiò dietro di lui, appoggiando la fronte contro il suo collo e stringendolo forte a sé. Lauren era minuscola, eppure Kurt ebbe la sensazione di poter sprofondare in quell’abbraccio, di poter essere risucchiato e di scomparire.

Non aveva pianto. Ne aveva voglia, ne aveva una voglia matta, ma non l’aveva fatto. E non aveva neppure gridato o lanciato oggetti contro il muro o insultato gente a caso.

Non aveva fatto nulla. Letteralmente.

Lauren gli aveva detto che sarebbe passata presto. Che un giorno non avrebbe fatto così male e che sarebbe andato avanti.

Kurt in realtà voleva bene a Lauren, ma il punto era che Lauren non sapeva proprio niente. Che non poteva capire.

Non poteva proprio.

DUE MESI E VENTIQUATTRO GIORNI PRIMA

Stava fissando il cellulare da sei minuti. Sei minuti che avrebbero potuto diventare sette e poi otto, nove, dieci. Interminabili, forse.

Il cellulare non era mai stato così pesante nella sua mano, ma non aveva intenzione di lasciarlo. O di smettere di fissarlo e di pensare e sperare e ripetere nella sua mente quell’unico nome, una cantilena senza fine.

E continuava a ripetersi nella testa quelle parole, come se non avessero né un inizio né una fine, come se fosse un’unica lunghissima parola. Un lamento.

È finita.

Fissava quello schermo e nella sua testa non facevano che affollarsi e rincorrersi ricordi di loro due e del loro mondo e del loro insieme che era diventato niente in un pugno di minuti. E non era vero, perché l’avevano visto arrivare entrambi, l’avevano sentito, l’avevano quasi aspettato. Ma era devastante trovarselo davanti, era devastante vederlo passare oltre. Era devastante constatare quanto il tempo passato insieme potesse essere cancellato con qualche parola e una telefonata. Era devastante sapere che non si sarebbe cancellato nulla.

Allo scoccare dei sette minuti, Kurt trattenne il respiro, ma lo schermo del cellulare rimase immobile.

È finita.

OGGI

Kurt sta dormendo. È andato a letto talmente tardi la notte prima, in attesa di qualcosa - di qualcuno - che forse era già giorno. Ma Kurt se ne vergogna, si vergogna di essere ancora così, intrappolato nella morsa di… intrappolato nella sua morsa, dopo tutto quel tempo. Quindi è semplicemente andato a letto tardi, ecco tutto.

Kurt si vergogna anche di quel messaggio, ma ormai l’ha mandato, e lui l’ha ricevuto e letto e cestinato. Non gli ha risposto. Va bene così.

To: Blaine Mi manchi.

Non va bene così, ma Kurt non può farci niente. Quindi un giorno forse la smetterà di crogiolarsi in quel ricordo, di ripensare alle sue labbra, alle sue mani, alla sua risata e anche alle lacrime che gli ha provocato. Un giorno non farà più così male, glielo ripetono tutti.

Lui non ci crede, comunque.

E adesso sta dormendo, perché può fare solo quello. Perché almeno quello non fa male (fa male quando si sveglia. Quando si ricorda che non può prendere il telefono e sentire la sua voce, che non è più lì ad aspettarlo, che è solo).

Il telefono vibra, dal comodino, ma Kurt non si sveglia. Lo farà tra poco più di un’ora e solo in quel momento si accorgerà del messaggio che gli è arrivato.

From: Blaine Anche tu. Ogni giorno.

E Kurt smetterà di contare il tempo, allora. Smetterà di contare perché è arrivato a due mesi e ventiquattro giorni senza Blaine ed è troppo ed è assurdo ed è ingiusto. E fa male.

Ma adesso il tempo si è fermato e Kurt può tornare a respirare. Si era dimenticato come fare, aveva lasciato il suo respiro sulla bocca di Blaine, lì, proprio su quelle labbra su cui ha abbandonato tutto quanto.

Ma adesso può tornare a riprendersi tutto. E ridare a Blaine ciò che è sempre stato suo.

The tears dry, without you. Life goes on, but I’m gone. Cause I die, without you.

(Without You - RENT)

****

NOTE: Ed eccola finalmente qui ;_; Sono SECOLI che la sto scrivendo e boh, sul serio, pensavo che non avrebbe mai visto la luce ;_; Allora. Prima di tutto grazie a Robi, perché ho letto una specifica frase nella sua storia, ho avuto una sorta di illuminazione divina che mi ha costretto a mettere per iscritto tutto questo. Avevo il bisogno di dare a quella frase (una singola frase di numero) una voce. E io spero solo di averle reso giustizia e che ti piaccia <3 Poi grazie a Mirai, perché erano giorni che vagavo senza meta nei meandri del mio cervello alla ricerca della scena perduta, o meglio, alla ricerca di una scena da piazzare lì in mezzo alla storia, perché c’era un buco temporale troppo grande. Grazie a lei, adesso questa storia è finalmente conclusa <3 E grazie a chi la leggerà e avrà voglia di dirmi cosa ne pensa <3 Perché sono orgogliosa di questa storia e sono felice di averla scritta e sono contenta di com’è venuta fuori.

anno: 2011, !one shot, fandom: glee, !warning: slash, rating: pg13

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