Titolo: Let me be your man
Fandom: Glee
Pairing/Personaggi: Kurt/Blaine
Rating: PG13
Genere: Angst, introspettivo, romantico, 5+1
Warning: Slash, Spoiler fino alla 2x16
Disclaimer: No, chiaramente Glee non è mio e non ci guadagno nulla (purtroppo).
Riassunto: Cinque volte in cui Blaine ha preso per mano Kurt. E una volta in cui è successo il contrario.
LET ME BE YOUR MAN
And if you knew how I wanted someone to come along
And change my life the way you've done
1) Kurt era sicuro che qualcosa, dentro di lui, avesse smesso di funzionare.
Sicuramente il cervello si era scollegato. E le orecchie, beh, sembravano captare qualcosa, ma… era tutto così confuso. Non poteva essere vero perché cose del genere non accadevano.
Non a lui, in ogni caso.
Il cuore era sul punto di cedere. Gli batteva talmente forte che sembrava rimbombargli nelle orecchie, sembrava volesse scoppiargli e dimostrare che sì, tutto stava effettivamente smettendo di funzionare.
Perché cose del genere non accadevano a lui. Non in quella realtà. Al massimo nei suoi sogni, dove ogni tanto si rifugiava e si ritrovava a sorridere come un idiota e a stringersi ad un cuscino, immaginandosi qualcuno che no, non poteva avere.
Blaine, invece, gli stava dicendo il contrario.
Ma cose del genere non accadevano, no?
E sempre Blaine aveva appoggiato la mano sulla sua e Kurt si era reso conto di quanto fosse calda e sudata e… era realmente agitato?
Kurt lo guardava, lo ascoltava parlare di qualcosa che non capiva perché le sue orecchie si rifiutavano di registrare le sue parole, ma sembrava che il cuore stesse sentendo tutto. Forse non c’era bisogno di altro. Forse era abbastanza quello. E quella mano sulla sua, che tremava leggermente ed era completamente sudata e in una situazione normale - in una situazione, cioè, dove quella mano non apparteneva a Blaine - gli avrebbe fatto quasi schifo, ma…
Kurt si ricordava di aver sgranato gli occhi, di aver pensato oddiooddiooddiooddio e di aver chiuso gli occhi. E l’attimo dopo Blaine lo stava baciando, il cervello era tornato a funzionare, il cuore era finito chissà dove e il respiro era rimasto in gola, bloccato lì dall’emozione.
Forse cose del genere potevano accadere.
Forse potevano accadere anche a lui.
*
And I can almost see, through the dark there is light
2) Seppellire Pavarotti non era stato come se l’era immaginato solo qualche giorno prima, quando l’aveva ritrovato morto nella sua gabbietta. Che Blaine sarebbe stato con lui, beh, non l’aveva mai realmente dubitato. Ma il Blaine che aveva accanto, quello che osservava con aria assorta il mucchietto di terra ai loro piedi, non era il Blaine della sua testa.
Era migliore.
Era suo.
Kurt non aveva mai pensato di poter dire qualcosa del genere. Perché i giorni erano passati, la sua cotta si era trasformata in qualcosa di più grande, e di meno irrazionale, e la logica aveva preso il sopravvento. A volte accadeva che un amore rimaneva non corrisposto e basta. A lui sarebbe capitato esattamente quello.
Blaine l’aveva sorpreso, invece, presentandosi davanti a lui nell’esatto momento in cui aveva smesso di crederci, nell’esatto momento in cui aveva iniziato ad accettare - ad accettarlo veramente e non solo a parole - che non sarebbe andata. Non sarebbe andata e basta.
Invece sì.
Blaine gli porse la mano e Kurt gli sorrise e riuscì solo a fare quello e ad afferrare quelle dita e a stringerle perché adesso, in quel momento, erano sue e non avrebbe più dovuto chiedere il permesso.
Ma solo allungarsi un pochino e prenderle.
Nessuno gli avrebbe detto di no, nessuno.
Soprattutto non Blaine.
*
If you knew how lonely my life has been
And how long I've been so alone
3) Kurt aveva avuto numerose sorprese dalla vita. Non tutte erano state piacevoli. Alcune erano state così terribili da arrivare a fargliela un po’ odiare, la vita. Da arrivare ad avercela con lei perché certe cose erano ingiuste e sbagliate e…
Con le sue proteste o le sue imprecazioni mascherate da sarcasmo non aveva mai risolto veramente nulla. Quindi era arrivato ad accettare le conseguenze. Sempre. Anche quando, a denti (non troppo) stretti, se ne lamentava.
Alcune sorprese, però, gli avevano fatto capire che a volte le cose brutte accadevano per un motivo. Accadevano per ricordarti di sorridere comunque, ogni tanto. Che piangere poteva essere consolatorio, ma doveva anche esserci qualcosa per cui valesse la pena ridere.
Accadevano per ricordarti di apprezzare ancora di più le cose belle. Accadevano per ricordarti di dire grazie.
Kurt non sapeva di preciso chi doveva ringraziare. Dio non c’era e se c’era a lui non interessava. In ogni caso, non l’avrebbe di certo ringraziato. Ogni tanto ringraziava suo padre. Ogni tanto i suoi amici.
Abbassò lo sguardo e fissò ardentemente la sua mano, stretta a quella di Blaine.
La musica nelle orecchie - una musica terribile, che non lo invogliava proprio per nulla a buttarsi nella mischia e ballare. Ma erano al McKinley e non c’era una singola persona, oltre a lui (e a Blaine. Ogni tanto) ad avere buon gusto, lì dentro -, le luci basse e quella enorme palla gigante da discoteca anni ’80 in mezzo alla pista non erano i suoi ideali di divertimento.
Ma quello, quel ballo, quello a cui aveva desiderato partecipare con Finn, un tempo - e a ripensarci gli veniva da ridere perché, quanto poteva essere stupido? -, aveva anche un po’ il sapore della rivincita. Ed era un sapore che stava iniziando ad adorare.
Blaine l’aveva preso per mano quando erano entrati e lui si era limitato a guardarlo, ad osservarlo in quello smoking e a trattenere un sorriso soddisfatto perché, cavolo, quello era il suo ragazzo ed era uno schianto.
E quando Blaine lo trascinò in mezzo alla pista per ballare con lui, Kurt si oppose solo per finta, perché la realtà era che non vedeva l’ora di farsi vedere stretto a lui, a discapito delle occhiate e dei bisbigli.
Gli piaceva pensare che la gente fosse solo invidiosa, perché, tutti avrebbero dovuto ammetterlo, quella sera erano la coppia più bella. Kurt ne era convinto.
Chiuse gli occhi e si strinse a Blaine, mormorando tra le labbra “Grazie”. A volte si ritrovava col non sapere chi ringraziare, ma non era quello il caso.
*
There's somethin' in your voice, makes my heart beat fast
Hope this feeling lasts, the rest of my life
4) New York non era come se l’era immaginata da bambino. Era diversa, più sbagliata, forse, e più reale. Era ancora più perfetta di com’era sempre stata nella sua mente: qualche pennellata di oscurità su uno sfondo di luci.
New York aveva il sapore di una vittoria per una partita che non si era mai reso conto di star giocando. Era un sogno che aveva assunto una consistenza materiale e che si era ritrovato tra le mani sottoforma di due biglietti aerei. Uno per lui e uno per Blaine.
New York era, soprattutto, un regalo. Una busta bianca con su scritto il suo nome con quella grafia che aveva imparato a conoscere e distinguere dopo gli anni passati a scuola. Era uno sguardo confuso contrapposto ad un sorriso raggiante di Blaine.
New York era veramente piena di luci e di persone. Ce n’erano così tante, per strada, nei negozi, nelle macchine, ovunque, che Kurt ne era rimasto affascinato e spaventato allo stesso tempo. Lì chiunque poteva essere il tutto e tutti erano chiunque.
C’erano così tante persone che Kurt si era sentito sprofondare in un abbraccio indifferente. Nessuno aveva degnato lui e Blaine più di un’occhiata. Erano solo una coppia di ragazzini in mezzo ad un’enormità di gente perennemente di fretta. Erano solo due ragazzini in mezzo ad un caos e ad una frenesia che Kurt aveva amato all’istante.
Si era sentito uguale agli altri, si era sentito autorizzato a sporgersi e a baciare Blaine - un bacio leggero, niente di troppo spinto o fuori luogo - in quello Starbucks di Broadway dove si erano fermati per una pausa dal loro tour dei teatri.
Non ci aveva neppure riflettuto quando, al MOMA, gli aveva sussurrato nell’orecchio, così da non disturbare nessuno, quando si erano ritrovati davanti a “La notte stellata” e Blaine era rimasto a bocca aperta. E Kurt aveva sorriso, osservando il suo profilo, più che il quadro.
Così, quando con un passo svelto riuscì ad accaparrarsi due posti a sedere in quel vagone della metropolitana, non pensò affatto alle sue azioni, allungò una mano, afferrò il polso di Blaine e se lo trascinò giù a sedere con lui.
Blaine si rilassò contro lo schienale e gli sorrise senza dire nulla. E Kurt appoggiò la sua mano, quella che aveva allungato nella sua direzione senza riflettere, sulla coscia di Blaine, sopra quei jeans chiari che avevano comprato insieme solo il mese prima. Quei jeans che Kurt si era ritrovato a studiare con una certa precisione da tutte le angolature, perché doveva essere assolutamente sicuro di come gli stessero addosso.
Tamburellò le dita sul tessuto, lanciando occhiate distratte alle persone intorno a loro - e rabbrividendo disgustato su quell’orribile maglione a rombi arancioni davanti al suo campo visivo. Dio, avrebbe avuto bisogno di una seduta di shopping dopo aver visto l’esistenza di qualcosa del genere. E lui aveva assistito alle più basse cadute di stile di Rachel Berry, era sicuramente temprato.
Blaine si sporse verso di lui e Kurt sorrise nell’avvertire il mento ispido di Blaine contro la sua guancia perfettamente liscia. “L’hai vista?”
Kurt si girò verso di lui, facendo scontrare i loro nasi e continuando a sorridere come uno stupido. “È difficile non notarla. Ho bisogno di un trapianto di cornea”
Blaine ridacchiò, baciandolo di sfuggita sulle labbra prima di tirarsi indietro. “Come sei teatrale”
Kurt roteò gli occhi, scrollando le spalle, pronto a mettere il broncio, quando sentì le dita di Blaine scivolare al di sotto della sua mano e intrecciarla con la propria. Sorrise, incapace di rimanere serio con le dita di Blaine prese a solleticargli il palmo della mano. Girò il viso per guardarlo e lo vide chiudere gli occhi, il viso leggermente reclinato verso il finestrino e l’alone della barba ad evidenziargli la mandibola.
Kurt assottigliò gli occhi prima di avvicinarsi maggiormente a lui. Spalla contro spalla e le gambe che non facevano che sfiorarsi in continuazione. Blaine gli strinse la mano e Kurt pensò che era felice di essere lì, a New York. Che era felice di essere lì con lui. Che era felice di poterlo tenere per mano senza suscitare reazioni da parte della gente, senza essere guardato come un fenomeno da circo, quello strambo, quello che si mette le gonne ma è un ragazzo, quindi non deve avere tutte le rotelle a posto. Quello così gay che, Dio, solo a toccarlo potevi venire contagiato.
Kurt prese quei pensieri e li scacciò con forza dalla sua testa. Li buttò fuori, via, dove non avrebbero potuto ferirlo, dove non avrebbero neppure potuto graffiarlo da lontano, non l’avrebbero raggiunto. Era a New York. Non si sentiva più un perdente di Lima, era a New York. Non c’era posto per sentimenti del genere in quel momento. Intrecciò le dita strette attorno a quelle di Blaine. Non c’era posto proprio per nient’altro.
*
And a siren wails in the night
But I'm alright, 'cause I have you here with me
5) A Kurt non aveva mai sparato nessuno, eppure era sicuro che quello, quello, facesse molto molto più male. Riusciva a sentire quel proiettile farsi largo dentro di lui, lacerargli la carne e strapparla per insediarsi al suo interno. Avvertiva il proiettile spaccarsi e il piombo sparpagliarsi nel suo corpo. Sentiva questi minuscoli pezzetti raschiare a poco a poco ciò che trovavano davanti al loro cammino e proseguire, proseguire ad insediarsi dentro, andando sempre più in profondità, là, dove non avrebbe più potuto riprenderli. Erano dentro di lui. Era un dolore ovunque e lancinante, che gli bloccava il respiro in gola, gli faceva tendere i muscoli in spasmi involontari, gli faceva bagnare le guance dalle lacrime.
A Kurt non aveva mai sparato nessuno, ma era sicuro che non fosse niente del genere. Quel dolore era ovunque. Era al cuore, lì, nel petto, dove conservava ogni attimo, ogni secondo di una vita non facile, ma passata sempre con la sicurezza della protezione di suo padre. Era nel cervello, lì, in testa, dove i ricordi si affollavano, dove suo padre ancora lo guardava con affetto nonostante tutto, dove ancora lo abbracciava con quel suo modo burbero, dove ancora lo proteggeva da un mondo che non lo capiva. Era in ogni parte del suo corpo, perché suo padre, così diverso da lui, così agli antipodi, gli scorreva comunque dentro. Era suo padre.
Gli sfuggì un singhiozzo dalle labbra, mentre l’ennesima lacrima scivolava lungo la sua guancia. Non vedeva nulla di ciò che aveva davanti agli occhi. Le lacrime gli appannavano completamente la vista e quel dolore che attraversava ogni suo muscolo, ogni sua cellula, gli impediva di respirare. Era un disastro. Era un totale disastro e non aveva idea di cosa farsene di se stesso, da che parte lasciarsi andare perché faceva tutto così tanto male che-
Blaine gli avvolse le braccia attorno al collo, premendo le labbra contro la sua tempia. “Kurt,” il fiato caldo contro la pelle gli fece chiudere gli occhi, ma non fu abbastanza. Il dolore era sempre lì, sempre così presente.
Come un proiettile nella carne. Come una pugnalata nello stomaco. Violenta, secca e precisa. Lacerante. E non sarebbe uscito solo il sangue, ma anche una parte di sé. Una parte che possedeva suo padre, che era di Burt perché Kurt non aveva mai voluto nessun altro come genitore, perché le imperfezioni l’avevano reso comunque meraviglioso. E adesso non c’era più.
“Kurt”
La voce di Blaine non era sufficiente per rimetterlo in sesto. Ma le sue braccia lo stringevano abbastanza forte da tenerlo insieme, da non lasciarlo completamente andare. Andare dove, poi, non lo sapeva. Un po’ ovunque, un po’ sul pavimento, un po’ su quelle mura, un po’ su quella sedia. Un po’ con suo padre. Voleva andare un po’ con suo padre. Tenergli la mano per un po’.
Tenergli la mano fino a quando non arrivava da mamma. Non sapeva quanto fosse lungo quel camino, ma doveva essere spaventoso, no?
Mamma, prendigli la mano. Prendigliela, ti prego.
Singhiozzò, premendo il viso nel collo di Blaine e lasciandosi cullare.
Respirò il suo profumo, un profumo che aveva imparato a conoscere e a distinguere e ad amare in quegli anni. Un profumo che non riusciva a stancarlo, continuava a confortarlo come la prima volta.
Blaine gli baciò una tempia, restando con le labbra contro la sua pelle e mormorando qualcosa che Kurt non aveva la forza di ascoltare.
E non si accorse quando Blaine intrecciò le dita della mano con le sue, stringendole forte. Kurt reagì senza rendersene conto, stringendo maggiormente la presa e appoggiando la guancia sulla sua spalla.
E Blaine continuò a tenere stretta la sua mano e ad abbracciarlo, mormorando parole forse di conforto forse di tristezza, cercando di non piangere, perché in quel momento non aveva il diritto di essere quello debole.
Non lasciò la presa sulla sua mano. Kurt poteva non essersene neppure accorto, ma non la lasciò.
Perché Kurt forse non lo avvertiva, perché quel dolore era troppo forte per pensare al resto, ma non era solo.
Blaine appoggiò la guancia sulla sua testa e sospirò, osservando Kurt fare del suo meglio per combattere quel dolore che Blaine poteva solo immaginare.
Ma Kurt non era solo. Non lo era.
*
Well, if you knew how much this moment means to me
And how long I've waited for your touch
1) Blaine inspirò a fondo, lasciando che l’odore di Kurt gli arrivasse fino in profondità, lasciando che si impadronisse di lui, come sempre.
Non era come sempre, però.
Era diverso. Era l’atmosfera che fluttuava nell’aria, era una sensazione che gli faceva pizzicare i polpastrelli delle dita, era un’emozione che gli faceva accelerare il battito cardiaco. Era tutto come al solito e tutto diverso.
Blaine sapeva. Sapeva cosa stava per accadere e non perché ne avessero parlato, non in quei termini almeno, ma perché lo vedeva attorno a sé. Lo vedeva nell’espressione di Kurt, lo vedeva in quelle luci basse, lo vedeva in quel biglietto aereo che lo avrebbe aspettato al varco un paio di giorni dopo. Lo sentiva in quel non-addio che nessuno dei due era disposto a pensare, perché era il college, sì, ma loro due erano… erano loro due. E basta.
Blaine aveva paura, un sacco di paura. Paura di non riuscirci, paura di prendere qualche sbandata, paura che la prendesse Kurt o che qualcuno la prendesse per lui e se Blaine non c’era, chissà cosa poteva accadere. No?
Blaine aveva un sacco di paura, ma poi si ricordava che nella sua testa erano insieme. Erano insieme, in una casa, cinque, sei, dieci, venti anni dopo. Erano insieme, loro due. Perché ce l’avevano fatta. Perché ne sarebbe valsa la pena.
Sospirò, baciando Kurt lungo il collo, mordendolo appena sotto l’orecchio e sorridendo nel sentirlo gemere, nel sentirlo tendersi sotto di lui.
Blaine sapeva cosa stava per succedere. Lo sapeva perché se lo sentiva dentro ed era sicuro che lo stesso valesse per Kurt. Lo vedeva dai suoi occhi, dallo sguardo che gli lanciava da sotto le ciglia, da come si mordeva le labbra, da come arrossiva.
Sapeva cosa stava per succedere e sapeva tutte le motivazioni che c’erano al di sotto. Dalle più stupide, quelle che lo facevano un po’ sorridere, come “Non posso andare al college ed essere vergine, Blaine”. A quelle che gli accendevano qualcosa dentro, come “Voglio che sia tu, devi essere tu, deve essere con te”. A quella, l’unica, che gli faceva chiudere gli occhi e trattenere il fiato in gola. “Ti amo”.
Kurt fece scorrere le mani lungo le sue braccia, fino a passargliele tra i capelli e a costringerlo a baciarlo sulle labbra. Era sempre così, era sempre lui che comandava. E all’inizio era stato strano, perché Kurt era sempre così in imbarazzo quando facevano qualcosa di nuovo, quando esploravano fino a che punto potevano tendere i confini del loro rapporto. Kurt arrossiva sempre, mormorava sciocchezze tra un sospiro e l’altro - diceva sempre di non essere abbastanza. Abbastanza cosa, Blaine, non gliel’aveva mai chiesto. Intelligente? Simpatico? Eccitante? Blaine lo trovava perfetto. Lo trovava perfetto quando era solo Kurt, quando non si sforzava di guardarlo in un modo che non gli apparteneva, quando non si sforzava di sedurlo, ma lo seduceva e basta. Un tempo era stato abbastanza stupido da non vedere tutto quello. Adesso si riteneva abbastanza intelligente da ricordarlo sempre, sempre, a Kurt -, ma quando Blaine riusciva a farlo smettere di pensare, Kurt tirava sempre fuori la sua vena autoritaria.
Blaine ne andava matto.
Così, non ci pensò neppure ad opporsi alle mani di Kurt. Si lasciò trascinare e lo baciò, con la lingua nella sua bocca e la voglia di non staccarsi mai da lui, di rimanere così, perso in quel bacio umido e caldo, per sempre.
Quando si separò da lui per riprendere fiato, si ritrovò a fissare gli occhi di Kurt.
Ti amo.
Blaine non ebbe bisogno di sentirselo dire. Era entrato direttamente in lui attraverso uno sguardo.
Anch’io.
Sperò di essere altrettanto bravo a farsi capire da Kurt. E sperò di essere all’altezza, sperò di non risultare un disastro, perché non aveva mai fatto nulla del genere e il sesso era… era complesso ed elementare, tutto insieme.
E lui aveva paura.
“Kurt…”
Kurt lo baciò di nuovo, brevemente, prima di tornare a guardarlo in un modo che gli mise i brividi. Non sarebbe mai stato all’altezza di qualcuno come Kurt, non sarebbe mai stato abbastanza, forse. Blaine sospirò, chiudendo gli occhi e provando a calmarsi, perché non era il momento di farsi prendere dall’ansia quando aveva desiderato quel momento per così tanto tempo. Quando aveva desiderato Kurt in quel modo praticamente da sempre.
Faceva paura poterlo avere, adesso.
Blaine riaprì gli occhi quando sentì Kurt intrecciare le dita con le sue e stringerle forte. Forse da solo non sarebbe stato all’altezza, ma non era solo. Sarebbero stati insieme e Kurt l’avrebbe guidato, nonostante, probabilmente, sapesse ancora meno di lui.
Blaine gli restituì la stretta alle dita, prima di riprendere a baciarlo e a muoversi sopra di lui, sfregando il bacino contro il suo, fino a quando non fu troppo e troppo poco insieme, e in un misto di sudore ed imbarazzo e di confusione e di un’emozione che Blaine non aveva mai provato.
Blaine avrebbe voluto poter dire che fu tutto perfetto, ma non fu così. Ci furono troppi movimenti scoordinati, troppe mezze incertezze e anche qualche lacrima, ma ci furono anche i gemiti che Kurt aveva emesso contro la sua spalla, o quel calore che dal basso ventre gli si era propagato ovunque, o i capelli di Kurt, umidi di sudore, tra le sue dita.
Non fu perfetto, ma la mano di Kurt lo accompagnò fino alla fine. Kurt lo accompagnò fino alla fine, fino a quando non si ritrovò con la testa contro il suo petto, talmente sudato che avrebbe dovuto essere imbarazzato, e invece riusciva a pensare solo a quanto lo amasse.
Prima di chiudere gli occhi, lo baciò sul petto, all’altezza del cuore, e sperò che Kurt riuscisse ancora a sentirlo quando ripeté tiamotiamotiamo fino ad addormentarsi.
*
NOTE: Ed eccola finalmente qui \o/
Allora, questa storia nasce quando iniziarono a circolare in rete gli spoiler sulla 2x16 riguardante la scena del funerale di Pavarotti e del fatto che Kurt e Blaine si sarebbero presi per mano. Ora, io ho un kink per le mani, quindi mi sono detta: scriviamo la scena prima della messa in onda della puntata. Poi quella che doveva essere una breve storia è diventata… questo. E ho deciso di aspettare effettivamente la puntata e vedere se questa benedetta stretta di mano ci fosse o meno. Beh, c’è stato anche di più, in effetti X’’D
Comunque, spero vi sia piaciuta :)
Il titolo viene da “I wanna hold your hand”, mentre la canzone citata in tutta la storia è “Feels like home” di Chantal Kreviazuk, che trovo perfetta per loro. Ascoltatela se non la conoscete :)
Grazie per aver letto <3