[fic] [teen wolf] [r] Seconde occasioni

Apr 23, 2013 16:36

fandom: Teen Wolf (2011)
rating: R
pg/pair: Derek/Stiles, Lydia/Stiles, Peter Hale
spoiler: seconda stagione
disclaimer: not mine never mine
note: DJINN!FIC - with a twist
teaser:Era stato più semplice, quando ancora non sapeva quello che voleva davvero.



Seconde occasioni

Stiles è ai fornelli a cucinare uova e pancetta con un grembiule dai fronzoli rosa stretto attorno alla vita. Dietro di lui, suo padre alterna tra leggere la pagina dello sport e affondare coltello e forchetta in una composizione di frittelle.

L’olio sfrigola nella padella bollente. “C’è qualcosa di strano”, pensa Stiles.

Sua madre gli dà un bacio sulla fronte. «Farai tardi a scuola, tesoro», dice, allungandogli zaino e borsa da ginnastica.

Stiles annuisce e spegne il gas.

-

La sensazione che qualcosa sia fuori posto non lo abbandona per un secondo: non durante il test di chimica, non negli spogliatoi di lacrosse. Per la prima volta dall’inizio della stagione, Finstock lo mette in panchina.

Ore più tardi, a pancia in giù sul letto disfatto, Stiles soffoca un urlo nel cuscino. Ha indosso solo un paio di boxer scuri, neri e senza disegni, e il profumo che Lydia gli ha lasciato sulla pelle.

Lydia, tutta intera, è sotto la doccia. Stiles la può spiare attraverso la porta del bagno ancora aperta: i capelli rossi che le aderiscono al collo e definiscono la linea della sua schiena.

Si mette supino a osservare il soffitto, dove fotografie e ritagli di giornale orbitano attorno al lampadario spento. Anche in questo, Stiles crede, c’è qualcosa che non torna.

Scivola nei suoi jeans e nella sua giacca di pelle; poi recupera felpa e scarpe da ginnastica dal pavimento e cammina a piedi nudi fino alla porta d’ingresso.

Siede nel vialetto per quasi mezz’ora prima che la voce di Lydia gli comandi in tono scocciato di tornare al piano di sopra.

Stiles ingrana la marcia e guida verso casa.

-

Nell’incubo, può solo trattenere il respiro.

Una corrente nera e vischiosa lo trascina verso un vuoto fatto di flash bianchi e neri. Un ago emerge dal buio e gli penetra nella pelle, proprio sotto la nuca. Stiles cade al suolo, incapace di muoversi, e due occhi gialli, da rettile, inghiottono ogni cosa nel loro veleno.

Si sveglia di soprassalto, senza fiato, col cuore in gola.

Sua madre gli passa le dita tra i capelli. «È solo un sogno», lo rassicura, accarezzandogli la schiena. «Non è vero niente».

Al mattino, tra pancake e marmellata di fragole, Stiles fiuta qualcos’altro: fiori d’aconito che bruciano contro una ferita aperta.

È una descrizione terribilmente specifica per qualcosa che non ha mai odorato prima.

-

Peter Hale apre la porta col colletto della camicia macchiato di omogeneizzati e una bambina bionda in braccio.

Stiles si gratta la nuca. «Sto cercando, uh,… Derek…?»

Peter inarca un sopracciglio e fa un passo indietro con un cenno verso l’interno dell’abitazione. Un attimo dopo Derek spunta da dietro la porta- e non è per niente come Stiles se l’era immaginato.

Derek è, per mancanza di un termine migliore, impacciato. Ha i capelli scapigliati, una camicia di plaid tanto ampia da nascondere a metà il libro di letteratura che stringe tra le mani, e pantaloni sgualciti sulle cosce e attorno alle ginocchia. Tra lui e l’incarnazione perfetta del nerd sfigato l’unica differenza sta in un paio di occhiali dalla montatura spessa.

Ma se Stiles ha ragione, Derek non ha bisogno di occhiali di nessun tipo.

«Uh», si schiarisce la gola.

«Non ti conosco», dice Derek. «Che cosa vuoi?»

Stiles scuote la testa; non dice nulla finché le sopracciglia di Derek non cominciano a piegarsi in una ‘V’ minacciosa; allora si lecca le labbra e chiede: «Sei davvero un lupo mannaro?»

Derek non gli dà il tempo di reagire: lo afferra per il collo della giacca e lo preme alla parete, una mano inchiodata al centro del suo petto e l’altra pronta a cavagli un occhio con gli artigli estesi.

«Chi sei e che cosa vuoi, umano?», ringhia, gli occhi cerchiati d’ambra.

Stiles deglutisce; almeno ha avuto risposta alla sua domanda.

Peter dà un paio di sniffate fuori la soglia, in direzione degli alberi, e chiude la porta. «Derek, lascia andare il poverino», dice, sistemando la presa sulla bambina. «E sii educato, nipote: offrigli almeno del tè. Il tè va bene, vero?», ghigna, più che sorridere, in direzione di Stiles.

Stiles annuisce in modo frenetico.

Con un verso di disappunto, Derek allenta la pressione contro la sua gabbia toracica.

-

Passano ore nella biblioteca degli Hale. Sfogliano manoscritti e comparano illustrazioni fino a che tutto non sa di muffa, polvere, e inchiostro.

La figlia di Peter colora in silenzio, nell’angolo più vicino alla finestra, e si fa sentire solo quando suo padre o Stiles devono impedirle di disegnare cuoricini tra le pagine di questo o quell’altro libro.

«Credo che potrebbe essere un Djinn», suggerisce Stiles, passando a Peter l’ennesimo, pesante volume.

Peter si gratta la guancia con la punta di uno dei suoi artigli. «Ah, le religioni orientali sono sempre state le mie preferite». Non scarta questa ipotesi così come ha fatto con le 5 o 6 precedenti, e Stiles quasi ne è deluso. Stava cominciando a sperare in una Sirena. Le Sirene sembrano facili da, uh, aggirare.

Peter estrae un libro dallo scaffale delle monografie e tamburella le dita contro una vecchia illustrazione in bianco e nero. Stiles si sporge in avanti. Una creatura incappucciata, cieca e dal volto simile a quello d’una mosca, è intenta a succhiare il sangue di una donna avvolta a testa in giù in una specie di ragnatela.

«I Djinn drogano le loro vittime e le mantengono docili intrappolandole in un mondo dove i loro desideri diventano realtà». Le labbra di Peter si piegano in un sorriso sardonico. «Ne dobbiamo dedurre che tu stia vivendo una vita perfetta?»

D’istinto, Stiles fa per annuire. All’ultimo, però, pensa agli sguardi affrettati che suo padre gli riserva prima di andare al lavoro e alle carezze vuote di Lydia. «No», dice. «No per davvero».

Peter corruccia la fronte. «Be’», mormora, «questo è interessante».

-

È come un’ombra che riesce a osservare con la sola coda dell’occhio. Qualcosa sempre in agguato giusto fuori dal suo campo visivo e che sparisce appena Stiles volta la testa per capire di cosa si tratta con esattezza.

Stiles cammina per ore, fino a che la sua pelle è rossa e madida di sudore. L’ombra invisibile è sempre lì che lo insegue, impossibile da toccare: pesante come una nebbia impenetrabile.

Stiles deglutisce; tenta d’inumidirsi le labbra con la lingua secca. E la voce sussurra, dentro di lui: “Tu non appartieni a questo luogo”.

Stiles crede alla voce; le crede perché, piano piano, comincia a ricordare frammenti di una vita che gli pare più familiare e più complessa della realtà che sta vivendo. Mattinate fatte di pillole di Adderall, di fine settimana trascorsi a osservare una tomba in un cimitero, e di sabato sera passati ad alternare pizza e patatine fritte in compagnia di un migliore amico che qui appena conosce.

È come un sogno da cui non riesce a svegliarsi.

-

«Devo fare che cosa?», Stiles è pallido, nella biblioteca degli Hale. Le mani gli tremano e il suo stomaco è come stretto in una morsa ghiacciata.

«Morire», ripete Peter, annoiato. «Secondo il bestiario l’unico modo per spezzare le illusioni dei Djinn è che la vittima smetta di sognare».

Stiles si morde il pollice. «Ma… morire?», si lamenta ancora.

«Se fosse facile rinunciare a quello che i Djinn hanno da offrire la loro specie si sarebbe estinta molto tempo fa».

«Creature infide», s’intromette Derek che, a quanto pare, indossa occhiali da nerd anche se non ne ha bisogno. Perché l’aiutano a concentrarsi.

Stiles fa cadere le spalle in avanti, sconfitto. «Spero solo che il tuo latino sia fluente, Peter», afferra il pugnale che l’altro ha preparato sul tavolo.

«Tre notti insonni, piegato sui miei dizionari del liceo», dice Peter.

Stiles prende coraggio. Un momento prima che la lama gli penetra nello stomaco, Derek sussurra qualcosa di terribilmente simile a: «…e una sana dose di Google Translator».

Stiles sviene.

-

C’è un orsetto di peluche che gli penzola sopra la faccia. Stiles lo prende come un segno che non è morto. Non ancora almeno. Onore e gloria a Google Translator.

Si tira a sedere sul letto, il lato sinistro del corpo come in fiamme.

La figlia di Peter rimbalza sul materasso e gli offre caramelle e cioccolatini. «Per farti sentire meglio, ‘tiles».

Stiles non si sente meglio con tre caramelle alla menta che gli si sciolgono sulla lingua - ma dubita che tutto il cioccolato del mondo riuscirebbe a distrarlo, adesso. C’è il segno di un morso - un morso di lupo mannaro - che si estende per tutto il suo fianco destro. Per contro, la ferita lasciata dal pugnale è completamente scomparsa: al suo posto c’è solo una striscia di pelle bianca e priva di cicatrici.

«No», mormora, la voce strozzata dal panico.

Derek gli mette una mano sulla spalla; subito, i suoi polmoni ritornano a riempirsi d’aria.

«No», ripete, più forte.

«Non ti preoccupare», Derek lascia la mano dov’è e prende posto alla sedia più vicina. «Mio zio ha detto che il Morso non ha attecchito».

Stiles scuote la testa. «Ma se sono guarito…», protesta. A quest’ora dovrebbe essere peloso, zannuto, e scodinzolante. «Com’è possibile?».

Derek fa spallucce; la camicia di plaid gli scivola più in basso, rivelando il lembo di una canottiera grigia. «Forse sei immune».

L’immagine di una Lydia priva di sensi riversa sul campo di lacrosse balena nella mente di Stiles.

«Forse», sussurra, per niente convinto.

«Non essere triste, ‘tiles», la figlia di Peter si lancia in avanti e gli infila un lecca lecca in bocca.

Stiles sorride e comincia a mordicchiare il bastoncino attorno al gusto di fragola e menta. È una combinazione insolita; ma non è poi tanto male.

-

«Non credo di essere io».

Derek solleva gli occhi dal bestiario. «Cosa?», chiede, aggrottando le sopracciglia.

Gambe incrociate sul pavimento, Stiles appoggia la schiena alla libreria. Ci riflette ancora qualche secondo prima di rispondere. «Non credo che questo sia il mio mondo perfetto».

Ha provato di tutto, nei lunghi giorni in cui stava guarendo dal morso. Shock improvvisi. Rituali. Persino incantesimi che gli si erano rivolti contro nei modi più impensati. Aveva ottenuto di capire due cose. Primo: le gonne gli donano. Secondo: nessuno era preoccupato per lui e nessuno sarebbe venuto a cercarlo. Non Lydia; non i suoi genitori.

Quando era tornato a casa, dopo quasi una settimana di assenza, sua madre gli aveva preparto la cena come se niente fosse - come se Stiles fosse stato nascosto tutto il tempo in camera sua a giocare ai videogiochi, invece che accampato nella biblioteca degli Hale.

«Non ha senso». Stiles scuote la testa, quasi per scacciare un cattivo pensiero. «È come se mi stessero offrendo quello che qualcun altro crede che io desideri».

Derek sgrana gli occhi: «Non penserai che…»

«Non sono più l’unico ad avere ricordi di un altro mondo», taglia corto Stiles.

Il giorno dopo l’incidente col pugnale, Derek aveva svegliato l’intera casa urlando qualcosa a proposito di un incendio e di una ragazza di nome Laura. Ora si rifiuta di dormire se non con la piccola forma di sua cugina stretta tra le braccia.

«Forse non si tratta affatto un Djinn», Derek gioca con le stringhe delle sue scarpe da ginnastica. È una delle molte cose ad essere cambiate, in lui, dopo che Stiles l’ha conosciuto: prima, era tutto scarpe lucide e calze di lana. «Il bestiario dice che le illusioni farebbero di tutto pur di tenerti nel sogno, dopo che hai capito di essere intrappolato».

Stiles scuote la testa. «Derek…», inizia, solo per dimenticare quello che intendeva dire. «Questo non è quello che voglio», spiega, abbracciando la stanza con lo sguardo.

Derek scatta in piedi. «E non è nemmeno quello che voglio io, Stiles!» Nel portarsi verso il centro della stanza, dà un calcio al tavolo; quel gesto di rabbia sembra calmarlo all’istante. Quando ricomincia a parlare, la sua voce è meno che un sussurro. «Il mondo dei Djinn è solo una menzogna. Credi che vorrei questo dopo quello che è successo?»

C’è silenzio tra loro due. Le risate di Peter che gioca con sua figlia nel prato davanti casa rimbalzano tra le pareti di legno della biblioteca.

Stiles si morde il labbro inferiore. «Non lo so, Derek. Cosa è successo di preciso?», chiede.

Derek lo fissa a lungo. I suoi occhi si muovono senza sosta per ogni angolo della biblioteca prima di coprirsi di un velo lucido. Alla fine, Derek cade sulla sedia, la testa bassa e le mani affondate nei capelli. «Non lo so».

Derek, come Stiles, non è più se stesso da molto, molto tempo.

-

«Forse ci ha catturati tutti e due».

Stiles fa una smorfia. «Non spiega comunque il perché non ci siamo ancora svegliati».

«Se questo mondo è legato a entrambi, forse abbiamo bisogno di fare qualcosa assieme».

«Qualcosa tipo? Morire nello stesso momento?», suggerisce, sardonico. «No, mi sembra tutto troppo poetico per un Djinn… e troppo complicato». Si libera della giacca di pelle. «In genere non sono così intelligenti».

Derek ride: una risata secca e piatta. «Come se quello che sta succedendo sia normale. L’hai detto anche tu: dovremmo già essere svegli da un pezzo».

«A meno che le cose nel mondo reale siano messe così male che non vogliamo svegliarci».

Derek ringhia, per niente felice che Stiles abbia sollevato di nuovo l’argomento. «Il Djinn ci sta uccidendo, Stiles».

«Lo so».

Silenzio.

«E comunque», riprende Derek, «c’è qualcosa è diverso, in questo Djinn».

«Che intendi?»

Derek fa un cenno in direzione del bestiario. «Anche dopo aver capito cosa sta accadendo, le vittime dei Djinn non dovrebbero notare alcuno scarto tra realtà e illusione. Una sorta d’incentivo per non svegliarsi», aggiunge. «Uno dovrebbe essere un pazzo per continuare a voler restare nel mondo del Djinn una volta che comincia a non riconosce più sé stesso in quello che fa. L’illusione non avrebbe ragione di esistere a quel punto».

La figlia di Peter passa di corsa davanti alla finestra, una corona di margherite in testa. Peter la rincorre con gli occhi che brillano di azzurro. D’un tratto, Stiles è preso dalla vertigini.

«Stiles?...», lo chiama Derek. «Stiles».

Stiles ricorda il peso della molotov nella sua mano, l’espressione di Peter alla vista delle fiamme… e quella con cui era affogato nel suo stesso sangue, dopo che Derek gli aveva squarciato la gola. Tutto era avvenuto in quello stesso punto dove adesso Peter sta intrecciando collane di margherite per sua figlia.

Stiles si volta. «Ti sbagli», dice. «Non c’è un gran ché di diverso, in questo Djinn».

-

Peter siede a gambe incrociate nel prato, la bambina addormentata in grembo. «Mi stavo chiedendo quanto ancora ci avreste messo».

Stiles arriccia il naso; fatica a capire come abbia potuto dimenticare che quando succede qualcosa in un modo o nell’altro Peter è sempre in mezzo. «Da quanto sai che il Djinn ci ha catturati?»

«Catturati?», Peter ride. «Pensate di c’entrare qualcosa…? No. Voi avete cominciato a diventare consapevoli dell’illusione quando io l’ho fatto», dice. «Questo è il mio mondo, Stiles. Tu e Derek siete solo… be’, potremmo chiamarle ombre. Impressioni di quanto io ricordo di voi».

Stiles comincia a tremare. Questo… questo non è quello che si aspettava.

Al suo fianco, Derek si è fatto pallido. «Devi svegliarti, Peter».

Peter lo ignora. «Se mi svegliassi, voi due cessereste di esistere all’istante. Vi odiate tanto da voler morire? Questa volta sul serio?», chiede, spostando lo sguardo su Stiles, che assume la sua migliore espressione oltraggiata.

«Perché lo stai facendo?»

Peter fa per rispondere, ma la bambina comincia a svegliarsi. Derek e Stiles rimangono muti mentre Peter le sistema i capelli biondi e la osserva correre verso gli alberi più vicini.

«È il solo modo in cui posso rimediare ai miei errori», rivela Peter, senza distogliere lo sguardo dalla figlia. «È per questo che siete qui… voi due, Lydia… Scott. Le persone che ho ferito più di tutte. E questo è l’unico luogo in cui io posso davvero essere me stesso… e riavere indietro la mia sanità mentale».

«Non tutta la tua sanità mentale», scatta Stiles.

Peter sorride. «No. Non tutta. Derek», chiama, dopo una pausa, «hai mai notato quanto sia strano che ci siamo solo noi quattro qui?... Eppure ti assicuro che la nostra famiglia era ben più numerosa una volta. Una mamma, un papà… una sorella maggiore...».

Derek trasalisce; si guarda attorno, alla ricerca di qualche inizio. «Cosa è successo?»

«Non riesco a ricordarli», spiega Peter. «Non nel modo che vorrei… senza le grida e l’odore di carne bruciata. Persino la piccola non ha più un nome».

Come richiamata da quelle parole, la bambina riemerge dalla foresta. Stiles si rende conto per la prima volta che non ha mai saputo come si chiama, né ha mai sentito la necessità di chiamarla altro che ‘la bambina’. Si morde l’interno della guancia.

«Nella realtà vi tradirei, se lo ritenessi necessario. Ma qui posso cercare di tornare a essere chi ero prima dell’incendio». Peter si solleva da terra. «Le prime due volte che sono morto è stato qualcun altro ad uccidermi. Questa volta sono io a scegliere come andarmene».

Derek si getta in avanti, pronto a colpire, ma Stiles gli mette una mano attorno al bicipite e lo trattiene dallo scagliare il pugno. Peter ha ragione: senza di lui, loro non sarebbero nulla.

«Non fate quelle facce lunghe. Vi sto dando delle scelte, no? State già cambiando le vite che avevo immaginato per voi».

Stiles muove le dita, improvvisamente consapevole di star accarezzando la manica di una giacca di pelle. La sua giacca, sulle spalle di Derek. Deglutisce.

-

«Quanto credi ci metteranno a trovarlo?»

Derek posa la testa sulla spalliera del divano. «Tre, quattro giorni?», indovina. «Credo dipenda da come sono andate le cose. Conosci Peter; forse non era nemmeno con il resto del Branco».

Stiles annuisce e torna a fare qualche conto. Un’ora nel mondo reale equivale a settimane - a volte mesi - in quello dei Djinn. Probabilmente Peter non è stato catturato che da pochi minuti.

Derek corruccia la fronte. «Però non sono sicuro che lo libereranno».

Stiles scatta a sedere. «Perché?»

«Perché sto cominciando a ricordare cose che l’altro Derek provava. Anche se sono solo… impressioni che Peter ha di lui».

«Peter è l’unico parente che gli è rimasto. Credo che Derek abbia rinunciato a vendicarsi di lui».

«No. Non sarebbe per vendetta che lo lascerebbe vivere nel mondo del Djinn. Non solo, almeno».

Una pausa. «Mio zio… Peter ha sempre avuto troppa voglia di vivere. Non solo rimanere in vita. Ma vivere».

«Anche una mezza vita?», domanda Stiles, incerto.

Derek annuisce. «A volte devi accettare quanto ti viene offerto anche se non è del tutto quello che vorresti». Abbassa lo sguardo sul cuscino, dove le dita di Stiles stanno tracciando disegni senza forma nel tessuto ruvido.

«Anche se ti sembra di non essere in te?», chiede Stiles.

Derek non risponde. Invece, concede a Stiles uno dei suoi rari sorrisi e fa scivolare la propria mano nella sua.

Stiles non esita: posa l’orecchio contro il petto di Derek e ascolta il suo respiro fino a che non si convince che c’è qualcosa di vero nell’illusione che sono costretti a vivere.

-

Dopo un po', inizia a funzionare.

-

(Nel mondo reale, Derek e Isaac trovano Peter dopo tre giorni che il Djinn l’ha catturato. Il suo corpo è ancora tiepido quando lo liberano dalla ragnatela nella quale è intrappolato.

In quell’istante, nell’illusione, Stiles e Derek sono seduti sul divano di casa Hale. Derek ha indosso i suoi occhiali dalla montatura spessa e Stiles gli salta in braccio e cerca di distrarlo, mentre ride e prova a rubargli di mano l’ultima patatina fritta. È così che cominciano a svanire, 15 anni 3 mesi e 28 giorni dopo che Peter aveva iniziato a sognare.)

Su AO3.

1. fandom: tv, 4. pairing: derek/stiles, 4. pairing: lydia/stiles, 3. character: peter hale, language: italian, 6. type: oneshot, 0. fic, warning: character death, 2. tv: teen wolf (2011), 3. character: stiles stilinski, 3. character: derek hale, 5. rating: r

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