[FanFic] You Got Troubles, I Got Them Too

Mar 23, 2012 02:13

Summary: Con il foglio della verifica stretto in mano, il sorriso largo da un orecchio all’altro, l’adrenalina a mille, Robert pensò bene di fare uno scatto per il miglio scarso che lo separava da casa sua, una piccola villetta a due piani nel quartiere alla moda nato da poco in quella cittadina poco fuori Boston che si espandeva ogni anno di più.
Words: 1.878
Genre: Introspective, Slice Of Life
Pairing: Jude Law/Robert Downey Jr.
Rating: PG
Warnings: AU, Pre-Slash, One-Shot
Notes: Scritta sul prompt "bambini" per la sesta RDJude Week. Non c'è molto altro da dire se non che è evidente che non sto bene xD, se non che potrebbe, potrebbe, avere un seguito. Oh, è ambientata negli anni '60, per chi non lo riesca a capire dagli indizi. Socia, tutta per te! <3
Enjoy!


Robert trotterellava a passo sostenuto verso casa, schivando le pozzanghere d’acqua che di tanto in tanto incontrava sul suo percorso invece di saltarci su come faceva abitualmente. Era molto soddisfatto di sé stesso quel giorno, per avere ottenuto una bella B piena nel suo compito di matematica di una settimana prima. Di solito non prendeva mai oltre C -, quando gli andava bene, e non perché non fosse intelligente, anzi, probabilmente era tra i più svegli della sua classe e forse anche della sua età. Ma era irrimediabilmente svogliato, e se nessuno lo controllava invece di fare i compiti cominciava a fissare tutto ciò che succedeva fuori dalla finestra, fino a quando non arrivavano le cinque e faceva merenda.
Tuttavia quella volta le cose erano andate un po’ diversamente, soprattutto perché sua madre, esasperata e forse anche un po’ imbarazzata per via del suo andamento scolastico - nonché stanca di sentirsi sempre ripetere che suo figlio aveva del potenziale, e che era davvero un peccato che non lo sfruttasse appieno - aveva chiamato in causa suo marito, e lui era prontamente intervenuto, senza indugiare oltre. Aveva chiamato suo figlio in disparte e gli aveva messo un braccio intorno alle spalle, sorridendogli teneramente e fissandolo negli occhi. “Figliolo” aveva cominciato, “ti devi impegnare di più a scuola. La tua maestra dice che sei intelligente, ma che non ti impegni abbastanza. Dimmi, è vero?”. E lui, che a suo padre non sapeva né voleva proprio mentire, si era ritrovato ad annuire, abbassando lo sguardo. “Sì, papà...” aveva risposto, per poi aggiungere subito, sempre in tono sommesso, “ma non è colpa mia. Ci sono così tante cose belle fuori dalla finestra...” Quella affermazione aveva divertito suo padre, che aveva annuito e si era concesso una piccola risata prima di ritornare serio. “Hai ragione... Allora ecco come faremo: qualche giorno fa mi hai raccontato del nuovo giocat- ” “L’astronauta, papà, l’astronauta!” lo aveva interrotto Robert, balzando in piedi tutto eccitato ed afferrandogli il braccio. Da quando tre anni prima aveva cominciato a guardare quella serie fantascientifica chiamata Star Trek gli era presa una vera e propria passione per tutto ciò che riguardava lo spazio, e ultimamente, dopo l’annuncio che l’uomo sarebbe presto atterrato sulla Luna, era anche peggiorata, al punto che diceva di voler diventare un pilota di navicelle spaziali, da grande. Adesso stavano pubblicizzando un nuovo giocattolo, un astronauta appunto, e lui lo voleva a tutti i costi. Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di averlo. Il padre conosceva bene suo figlio e sapeva che lo aveva in pugno adesso. “Ecco. La mamma mi ha detto che avrai un compito di matematica tra qualche giorno. Prendi un buon voto e avrai il tuo bellissimo astronauta.” Robert aveva accettato la scommessa all’istante, e nella settimana seguente aveva studiato per davvero e a lungo, senza perdersi d’animo. Quel bel voto ne era la dimostrazione.
Con il foglio della verifica stretto in mano, il sorriso largo da un orecchio all’altro, l’adrenalina a mille, Robert pensò bene di fare uno scatto per il miglio scarso che lo separava da casa sua, una piccola villetta a due piani nel quartiere alla moda nato da poco in quella cittadina poco fuori Boston che si espandeva ogni anno di più. A lui piaceva un sacco, soprattutto per il giardino antistante al portico dove poteva divertirsi a giocare come meglio credeva, senza che sua madre si preoccupasse dei mille pericoli che gli potevano capitare in strada. Era stato infatti proprio quello uno dei motivi per cui la sua famiglia aveva deciso di trasferirsi in un isolato più residenziale, l’anno prima.
Spalancò correndo il cancelletto all’ingresso e saltò a piè pari i tre gradini prima della veranda, stringendo la maniglia e aprendo la porta, affrettandosi dentro.
‹‹ Mamma! ›› cominciò a chiamare a gran voce, mentre gettava lo zainetto per terra e prendeva a correre per tutto il piano terra ‹‹ Mamma, dove sei? Ho una sorpresa per te! Mam-- ››
Ad interrompere sia le sue urla sia il suo girovagare ci pensò un urto inaspettato e duro che lo colpì non appena tentò di girare l’angolo che l’avrebbe condotto al salone. Robert capitolò per terra senza capire contro cosa fosse andato a sbattere esattamente, avvertendo una fitta persistente di dolore all’altezza della guancia sinistra e cominciando a sentire la lacrime inondargli gli occhi.
Ma proprio mentre la prima stava per rigargli il viso, una voce maschile parlò, vicinissima a lui.
‹‹ Scemo, guarda dove vai! ››  
Robert restò interdetto, così tanto che la sorpresa gli fece scordare temporaneamente del dolore provocato dall’urto e lui si sollevò sui gomiti, per capire a chi appartenesse. Non la conosceva, di questo ne era sicuro. Mai sentita prima. Questo rafforzò il suo proposito di trattenere le lacrime: non avrebbe mai pianto di fronte ad un estraneo, sarebbe stato subito preso per un pappamolle. E gli astronauti non sono pappamolle.
‹‹ Scemo sarai tu... ›› blaterò in risposta, mentre scrutava il ragazzino che adesso gli era davanti, più o meno nella sua stessa posizione. Aveva capelli color castano chiaro che gli ricadevano scompigliati sulla fronte, due orecchie un po’ troppo grandi per passare inosservate ed una bocca che, considerò Robert, doveva poter mangiare un’intera pallina di gelato senza che si capisse cosa fosse più morbida. Ma soprattutto, lo colpirono i suoi occhi. Pensava che fossero grigi in un primo momento, però poi quando il bambino inclinò il capo gli parvero essere celeste sporco. Era un vero mistero. Soprattutto perché non aveva nessuna idea su chi potesse essere.
‹‹ Non sono io che correvo come un matto! ›› lo rimbeccò l’altro, scuotendo la testa e rialzandosi da terra. Robert continuò a fissarlo e si accorse che era alto, anche troppo, così si affrettò a rimettersi in piedi a sua volta. Ma anche così, rimaneva più basso. La cosa gli dava fastidio. Soprattutto perché era ancora alla ricerca di una risposta.
‹‹ Be’... ›› cominciò, salvo poi interrompersi e farfugliare qualcosa di confuso.
‹‹ Cosa? ›› gli rispose l’altro ancora una volta, e Robert si vide costretto ad abbassare lo sguardo, imbarazzato. Fortuna volle che nel farlo si posasse sul foglio della verifica.
‹‹ ... Avevo un buon motivo per farlo. ›› sorrise orgoglioso, chinandosi per raccoglierlo e mostrandoglielo. ‹‹ Ho preso una B al compito di matematica. Mio papà mi comprerà Jim Moonlight adesso! ››
L’affermazione avrebbe fatto invidia a qualunque suo compagno di classe, tuttavia il bambino di fronte a lui rimase impassibile, e anzi, alzò anche un sopracciglio, guardandolo come fosse davvero scemo.
‹‹ Un... chi? ››
‹‹ Jim Moonlight! L’astronauta più coraggioso di tutti! ››
‹‹ Un astro cosa? ›› fu il responso stranito, e Robert pensò che quel bambino doveva avere sul serio qualcosa che non andava.
‹‹ Sei forse russo? ›› gli chiese allora, assumendo un’espressione contrita, come aveva visto fare a suo padre ogni qual volta venivano nominate quelle persone lì. In effetti, notò in quel momento, aveva uno strano accento. Straniero.
‹‹ Cosa!? Dì, ma ti ha dato di volta il cervello, forse!? ›› scoppiò a ridere l’altro, scuotendo la testa e appoggiandosi contro il muro.
‹‹ Be’... ›› obiettò Robert, che proprio non ci teneva a passare per fesso ‹‹ se non sei russo, allora devi essere un buono a nulla, che non va a scuola e non sa le cose. Perché tutti sanno chi è Jim Moonlight. ››
‹‹ Be’, io non lo so, e non vado a scuola, ma solo perché siamo appena arrivati in America. ››
‹‹ Quindi sei russo! ››
‹‹ T’ho già detto di no! Sono inglese, se proprio lo vuoi sapere. ›› esclamò allora, e dall’espressione che il suo viso assunse si vedeva che ne era fiero.
Ma quell’affermazione ebbe il solo esito di far ridere Robert, e di cuore.
‹‹ Oh, adesso capisco. Perdente. ››
‹‹ ... Come, scusa? ››
‹‹ Mi hai sentito. Perdente. Devi scusarmi ora, ho una cosa importante da mostrare alla mia mamma. ››
Si rassettò brevemente i vestiti e stava per lasciarsi l’altro alle spalle quando lui lo afferrò e lo bloccò, la presa così forte che Robert dovette per forza assecondarlo.
‹‹ Dove vai? Spiegami perché sarei un perdente, secondo te. ››
‹‹ Non lo dico io, lo dice il mondo. ››
‹‹ Cosa? ››
‹‹ Voi inglesi non valete più a niente. Almeno i russi ci provano e falliscono, a competere con noi. Ma voi state ancora lì a cercare di riprendervi dalla guerra... Siete dei perdenti. ››
Quello che avvenne dopo Robert non lo capì affatto sul momento. Tutto ciò che seppe era che nel giro di tre secondi era finito di nuovo per terra, e che dal naso gli doveva star colando del sangue, perché ne avvertiva il sapore sulle labbra.
‹‹ Non lo dire più, hai capito!? Più! ›› gridò l’altro bambino, puntandogli contro un dito minaccioso. E lui stava ancora cercando di realizzare cosa diavolo fosse successo quando la porta del salone - che, lo notava solo in quel momento, era stata chiusa fino ad allora, stranamente - si spalancò, e due donne ne uscirono, il sorriso su entrambi i loro visi che si inclinò leggermente non appena i loro occhi si posarono sulla scena che era lì davanti.
‹‹ Robert! Cos’è successo? ›› esclamò sua madre, un po’ confusa vedendolo lì sul pavimento, una piccola striscia di sangue che gli colava dal naso. Il bambino alzò gli occhi su di lei e non riuscì più a trattenere le lacrime a quel punto, così sgattaiolò da lei e nascose la faccia contro le sue gambe, il foglio con la B scritta grande e in rosso ancora stretto in mano.
‹‹ Quel bambino mi ha dato un pugno! ›› si lamentò lui in risposta, continuando a singhiozzare suo malgrado. Poi sentì un’altra voce femminile parlare, e capì che apparteneva all’altra donna.
‹‹ Jude! Che cosa ti è saltato in mente? ››
‹‹ Ma mamma, ha in-- ›› cominciò l’altro bambino, come chiamato in causa, ma lei già non lo ascoltava più, proliferandosi in mille scuse.
‹‹ Oddio, signora Downey, sono così mortificata, le assicuro che non capiterà mai più, non so cosa gli possa esser preso, di solito è un bambino così tranquillo e a modo, la prego, non mi l-- ››
‹‹ Oh, non si preoccupi, non si preoccupi, Maggie, sono bambini, sono dell’opinione che gli adulti non si debbano immischiare nelle loro faccende. ››
‹‹ Grazie, grazie di cuore, allora, grazie davvero. ››
‹‹ Non mi deve ringraziare mica, è una mia convinzione. Adesso vada, immagino avrà mille cose di cui occuparsi. La aspetto domattina alle 9. Robert, lascia che accompagni la signora Law alla porta, da bravo... ››
Il bambino si scostò dalle gambe della madre obbediente, andandosi ad appoggiare contro il muro. Rimase lì a guardare mentre loro tre percorrevano tutto il corridoio, per poi scomparire dal suo campo visivo.
Robert posò il foglio tanto caro per terra e si passò il dorso della mano contro le narici, per pulirsi un po’ del sangue che continuava a fuoriuscire, seppur a malapena.
Così quel bambino si chiamava Jude. Un nome da femminuccia. Non c’era da stupirsi che fosse inglese.
‹‹ Te la farò pagare, Jude Law. Nessuno dà un pugno sul naso al famoso astronauta Robert Downey e la fa liscia. ››

genre: introspective, sub-type: one shot, tag: slice of life, tag: slash, rating: pg/general, fandom: rpf, tag: alternate universe, pairing: robert downey jr./jude law, tag: pre-slash, type: fanfic, sub-fandom: rdjude

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