La Poupèe IV
L'Égoïsme et l'Imperfection
Terminato il suo racconto Blanche sospirò ed accarezzò il viso di Rien.
«Sembri quasi vera, sei...» abbracciò nuovamente la bambola, che la ricambiò.
Non sentiva un grande moto d'affetto per Blanche, ne era semplicemente attratta, forse perché era sé stessa.
«Sono?» Rien invitò l'altra a proseguire.
«Non sei.» gemette Blanche «Non sei ancora. Io sono l'Essere, tu quello che deve divenire. Oh, ti amo così tanto!» e Rien, le braccia allacciate all'altra, s'irrigidì.
«Uniamoci, diventiamo tutte e due, facciamo vedere a quei folli uomini cosa può la perfezione.» la pregò con un sorriso estatico, appoggiandosi alle spalle di Rien, ma se anche la bambola era inebriata da quelle sensazioni così nuove e quel profumo così giusto...
«No.»
«No cosa?» chiese Blanche, alzando il viso.
«Io sono.» sostenne Rien, ottenendo come risposta «Sarai solo se ci uniremo.»
«Je pense,donc je suis.» ribatté Rien, spiegandole poi il significato.
«Sei perché pensi?» chiese l'altra incredula.
«Esatto, io sono.» Rien sorrise timidamente, l'espressione incerta ma felice «E sono sempre stata, io esisto. Mio padre me lo insegnò tempo fa, e mi raccomandò di ricordarlo sempre, eppure solo ora mi è tornato in mente. Io sono.» e quelle parole le aprirono gli occhi. Era viva, esisteva!
«Ma se non ci uniamo...»
«Se ci unissimo, tu prenderesti il sopravvento.» gli occhi di Rien erano tornati i soliti, malinconici, «Perché tu puoi esistere da sola, sei forte, così come me. Non siamo una, siamo due, e non voglio sparire. Io sono!» ripeté la bambola emozionata.
«Tu non eri che un manichino prima di unirti agli altri artefatti!» Blanche alzò la voce, indispettita, e si allontanò da Rien.
«Sbagliato. Sono sempre stata in grado di pensare.» perché sorrideva? I suoi occhi erano tornati vivi e capiva solo ora la verità, solo ora che un'altra sé stessa voleva smettere di essere un parassita e rubarle tutto.
«Io sono una bambola, ed il mio corpo è meccanico, eppure sono nata da un essere umano. Anche senza il tuo potere sono una creatura.»
«Zitta!» tutta la gentilezza di Blanche era sparita «Non vuoi unirti? Non posso farci nulla, non ti posso costringere. E se anche ti ferissi non proveresti dolore, come...» il suo tono era febbrile, disperato.
«Non riesci a capirmi? Sono un parassita! Questa donna non sono io, non ho diritto ad un corpo, non capisci?» urlava, il viso paonazzo e le mani tremanti.
"Quindi se non puoi soffrire là", s'infiltrò nella mente di Rien, una smorfia crudele che le sfigurava il viso, "Posso farlo qua. vediamo"
"Marcel Eerie?" la mente della bambola fu occupata dalle immagini del padre, agonizzante sul letto del laboratorio "Martin?" e si unirono gli insulti del ragazzo, i suoi stupido manichino, volontà nulla...
"e Niels Jensen. Solo uomini, hai notato?" e anche se Rien provava a concentrarsi su qualcosa, qualsiasi cosa, quel vortice di immagini, suoni ed emozioni le stava turbinando in testa, confondendola.
Niels abbracciato a Martin durante il viaggio, suo padre morente, Martin che vomitava, i due uomini addormentati, Marcel che le dava una carezza, stupido manichino...
«Strega del cavolo!» una voce arrabbiata interruppe il flusso di ricordi e Rien cadde a terra, sbalzata via da una forza misteriosa «Tu non mi fai svenire così! Vigliacca!»
«Che potenza.» commentò ammirata una seconda voce. La bambola fu aiutata a rialzarsi da qualcuno di così familiare il cui viso riusciva a scorgere chiaramente nel buio.
«Martin?»
«La devi fare fuori, chiaro? Non parlarci! E' ovvio che ti vuole ingannare, zio Marcel non ti ha fatto leggere l'ultimo libro che aveva comprato?» la sgridò lui, le spalle coperte da Niels, la pistola ad aria compressa in mano.
«Scusami, ma belle petite Rien, ma so che tu non provi dolore.» le sorrise mentre Blanche era sdraiata a terra, stordita.
«Uscite, o prenderà possesso dei vostri corpi.» li avvertì.
«Cosa? E che lo dici ora?» polemizzò Martin correndo verso l'uscita e trascinando Niels per il braccio «Stai attenta a quella che dice!»
Quando dopo una manciata di secondi la Dea riprese conoscenza, Rien ripeté di nuovo quella frase.
Penso, quindi sono.
«Tu...» la Dea tentò di risollevarsi, finendo seduta a terra, i lunghi capelli scarlatti che le coprivano il viso «Non hai idea di cosa voglia dire essere un parassita, essere rinchiusi in un castello ed adorati come divinità, temuti ed isolati. Questo castello sta morendo, e io con lui...»
Rien fu distratta da un’ombra sulle finestre: vapore. Nuvolette di vapore oscuravano il cielo.
«Io sono uno stupido manichino.» le rispose Rien. Aveva riconosciuto il frullio dei Volopiani fuori dal castello «Certo, le tue condizioni sono peggiori rispetto alle mie, ma... se io mi unissi a te, dopo tutto quello che mi hai promesso e negato, cesserei di esistere. E io voglio essere.»
Perché pur lamentandosi Martin era venuto a salvarla, e Niels l'aveva seguito. Perché era stata creata come essere fin dal principio, perché stava vivendo.
«Vuoi essere per quel ragazzino odioso e il suo amichetto?» domandò sprezzante la Dea.
«Ti sento, foutriquet!» gridò Martin da fuori «Vengo lì e ti faccio pentire di essere nata!»
«Spazzatura.» tradusse automaticamente Rien.
«Come osi?» strillò la Dea «Io sono l'Essere! Io sono la vita! Io sono...»
«Un parassita che succhia l'esistenza alle persone.» notò Niels ad alta voce con il suo accento.
Rien udì a malapena il borbottio che seguì quelle parole «Tu non vai da nessuna parte e resti qui con me.»
«Hai bisogno del tocco per trasmetterti.» Rien ottenne un'occhiata colma d'astio «Ecco perché non sono influenzati da te. Che strano Essere che sei. Impotente.»
«Non potete uccidermi.» li avvertì lei, la voce impastata dalle lacrime «Tre contro uno, ma non mi ucciderete, non potete farlo.»
Era bastato davvero così poco a trasformare l'amorevole creatura di prima in quella folle caricatura di sé stessa? Era così instabile la Dea?
L'attenzione di Rien fu catturata da diversi borbottii fuori dal salone; capì che Martin e Niels non erano più soli, così decise di prendere tempo.
Fece per aprire bocca, cercando un argomento che avrebbe distratto la Dea, ma
«Taci!» le intimò questa «Non vedi anche tu quanto sei cambiata da quando ti ho toccata? Mi hai prosciugata, mi hai già uccisa!»
Era cambiata? Non le sembrava.
«Quinto artefatto, Essere, Dea, o come hai voluto chiamarti, Blanche.» una voce potente e sconosciuta echeggiò nel salone «Ti creammo per prima, peccando di superbia, e ti rendemmo imperfetta.»
Una delle finestre si frantumò, producendo una cascata di schegge di vetro, sotto gli strilli della Dea. La voce si rivelò appartenere ad un uomo anziano su un Volpiano, che galleggiava sopra le loro teste.
«Non ti uccideremo.» le assicurò.
Blanche ghignò. I tratti deformati del suo viso apparvero a Rien, per la prima volta, davvero brutti.
«Cosa mi farai, vecchio?» chiese con superbia.
L’anziano rimase in aria, la posa dritta e composta. Poggiò gli occhi su Rien.
Voleva che lei facesse qualcosa? Ma cosa?
Lentamente, lei estrasse la pistola dal corsetto. Se l’era appena ricordata.
Poteva allontanare Blanche, con quella. Poteva chiedere al vecchio cosa volesse da lei.
Si girò verso l’altra, sollevando il braccio.
La piccola pistola sembrò adattarsi alla sua mano. Il grilletto invitava Rien a colpire, ma lei doveva aspettare.
«Ancora con quei giochetti.» Blanche si flesse sulle ginocchia, pronta a scartare.
Rien fu distratta da un suono curioso, passi di marcia che si avvicinavano da dietro le sue spalle.
Ma certo, le guardie del palazzo. Solo ora la situazione per Blanche era seria?
Solo ora temeva di non farcela?
Rien aspettò. Anche l’anziano aveva estratto una pistola -la fattura era diversa: la canna più lunga, il manico più grande.
Era una vera pistola.
«Andate, tesorini. Portatemela viva.» sibilò la Dea.
Rien si girò di scatto, il braccio teso. Una ventina di persone erano davanti a lei, armate.
Le canne dei fucili rilucevano piano, illuminate dalla luna.
Non concesse loro un istante: sparò. Una, due, tre volte -i proiettili di aria compressa fecero indietreggiare gli uomini. Quelli in prima fila, i più leggeri, volarono a terra con un grido.
«Sparate!» ordinò loro Blanche.
Rien si tuffò di lato, schivando proiettili che non vennero sparati.
Gli uomini erano immobili. Poi, fulminei, puntarono il fucile nella sua direzione. Ma certo. Non potevano sparare frontalmente, avrebbero rischiato di colpire la Dea.
Rien rotolò a terra, nascondendosi dietro una colonna.
«Signore!» chiamò l’uomo. Doveva fare qualcosa, qualsiasi cosa.
Fronteggiò la colonna, togliendosi la benda. Ecco, riusciva a vedere attraverso il marmo. L’uomo era impegnato a sparare alle guardie della Dea, senza produrre alcun suono.
Perché?
«Unisciti a me, Rien. Ti do un’ultima possibilità.» Blanche si stava avvicinando a lei con passi aggraziati. La veste bianca ed i capelli scarlatti ondeggiavano, rendendola simile ad una Venere.
Il portone tremò.
«Rien!» era la voce di Martin.
«Ancora lui.» sibilò Blanche.
«Arrivano i rinforzi! Fai fuori quella vigliacca!» gridò il ragazzo.
Rien sorrise. Sì, l’avrebbe fatto.
«Ma belle Rien, la Dea è tutta tua.» aggiunse Niels a voce alta «Tu sei. Abbi consapevolezza di te.»
Il portone venne sfondato. Una decina di uomini dalle brillanti tute dorate invase il salone, i fucili puntati sulle guardie della Dea.
«Carica!» ordinò loro l’anziano.
Rien tornò a guardare Blanche; incatenò lo sguardo con quello dell’altra, pronta a premere il grilletto.
«Sarebbe vile.» le disse l’altra «Non saresti tu a sconfiggermi, ma un oggetto estraneo. E’ quello che vuoi?»
«Non m’importa.» ribatté Rien. Aveva ragione, però. Se era stata creata per abbattere la Dea, utilizzare una pistola… no.
“E’ solo un trucco. Sta cercando di confondermi.”
Sparò. Scorse nitidamente il proiettile toccare il petto di Blanche, prima di esplodere.
La Dea venne sbalzata in aria. Sbatté contro una colonna, sputando sangue.
«Non puoi uccidermi.» rosso, rosso come i suoi capelli al chiaro di luna «Vedi? Ferirmi, ma non uccidermi.»
«E’ quello che voglio fare.» replicò Rien «Ferirti, non ucciderti.»
Lanciò un’occhiata al resto della stanza: le guardie della Dea erano state sconfitte, gli uomini dorati le stavano legando.
Ora toccava a lei.
Gettò la pistola a terra.
«Vieni qua da me.» soffiò Blanche, sollevandosi in piedi «Fatti toccare.»
Rien chiuse gli occhi. Cosa doveva fare?
Fu allora che lo vide. Attraverso la palpebra artificiale, riuscì a vedere l’interno del proprio corpo.
Le vene rinforzate, le giunture metalliche, gli strati di pelle e la formaldeide che riempivano le sue interiora.
Eppure era viva.
«Vieni qui, bambolina.»
Rien avanzò di un passo, poi di un altro. Sapeva cosa doveva fare.
Blanche l’aspettava, il viso sudato e gli occhi strabuzzati. Rien le porse la mano.
L’altra l’afferrò, trasferendole lontano.
Né luce, né ombra.
Blanche iniziò a graffiarla senza pietà, strappandole brandelli di luce.
Luce, Rien era diventata luce. E Blanche cos’era? Non ombra.
Era una fiamma sporca, di colore scuro -cupa come la sua anima.
Rien rispose, scivolando di lato e aprendo le fauci. Non era più una bambola. Era essenza.
Erano le due parti dell’Essere che lottavano. E non aveva intenzione di perdere.
Avvolse le spire attorno a Blanche, che si dimenava. Ogni volta che i loro due corpi entravano in contatto, brani di luce si staccavano da loro.
«Moriremo entrambe, così!» ruggì l’altra.
“Io sono” questo pensiero attraversò la mente di Rien, poi fu tutto più chiaro.
Blanche si muoveva per sfuggirle, ma era così lenta, così lenta in confronto a lei.
Rien avvicinò le fauci aperte al corpo dell’altra, senza sfiorarla.
Un attimo dopo, calò le zanne su Blanche.
Il mondo girava, quella strana dimensione girava.
Quando riaprì gli occhi era in piedi, mano nella mano con Blanche.
L’altra era a terra, priva di sensi.
Aveva vinto.
*
«Non catturerete anche Rien, vero?» Martin si piantò davanti ai due uomini dell'organizzazione, pronto ad uno scontro verbale con i fiocchi.
«Perché dovremmo farlo?» chiese il vecchio passandogli davanti, la voce stanca.
Era lui il coordinatore dell’operazione. Martin credeva di poter fare meglio anche ad occhi bendati.
Era entrato solo per vedere Rien e la Dea combattere, non aveva mosso un dito per aiutare Rien. Che razza di capo era?
«Ignoralo, Angell, mon petit Martin ha la lingua lunga.» Niels allontanò l'altro con un sorriso, avvicinandosi al proprio capo.
«Da quando sono diventato tuo?» Martin lanciò uno sguardo piccato al danese.
«Grazie.» Rien gli si avvicinò.
«Sì, lo so, senza di me non ce l'avresti fatta.» la rabbonì lui stringendosi nel cappotto.
«Non mi odi più?» chiese lei.
«Diciamo che ho sentito un po' di cose. Non è che ti abbia odiato. E' che...» si stava arrampicando sugli specchi?
Sì. La sua opinione era cambiata. Ammetterlo non era una passeggiata, le aveva detto alcune cattiverie davvero riprovevoli.
«Un po' superflua. Ti avevo sottovalutata, ecco. Com'è che adesso sei più vivace? Hai davvero assorbito la strega?» Martin era davvero interessato a lei.
«Non lo so, ho solo scoperto di essere.» constatò lei con semplicità.
«Rien è davvero un nome degno di te: nulla ti può fermare.» Martin si stava davvero sforzando di farsi perdonare. Meditò davvero quelle parole, lo sguardo fisso davanti a sé.
«Ora puoi portarmi le borse, torniamo a casa.» ed accennò alle sacche per terra.
Rien lo fissò negli occhi per un istante, «Per favore.» aggiunse Martin.