Titolo: Serenissima
Fandom: Axis Powers Hetalia
Personaggi: Feliciano (N.Italia), la Serenissima (Oc di Venezia), Istria (Oc dell'Istria) + comparsa di Francis Bonnefoy (Francia).
Parte: 2.a/4
Rating: PG
Conteggio Parole: 1262
Riassunto: é Venezia, ma è la stessa Venezia?
Note: - La storia non è ancora stata betata.
- Questo è solo la prima parte del secondo capitolo, ma è talmente lungo che se aspetto di finirlo mi passa la voglia XDD
Note storiche: - La fic è ambientata intorno al 1500, prima delle guerre della Lega di Cambrai. Per ulteriori particolari note in fondo al capitolo.
La Serenissima
(II capitolo. Prima parte)
“Buongiorno signora maschera”
Saluto veneziano durante il carnevale.
Oltre le bianche bifore, che si stagliavano sulle pareti colorate del palazzo, Feliciano poteva vedere centinai di ombre che danzavano al suono di una musica che lui, traballante su una gondola con il rumore dei festeggiamenti nelle orecchie, non poteva sentire, mentre nei canali scuri, su cui la luce delle lanterne si divertiva a fare complessi arabeschi, innumerevoli barconi pieni di gente, ora decorati in oro ora vecchie bagnarole appena galleggianti, festeggiavano con urla e risa il Carnevale.
Quando aveva ricevuto l’invito, su quella bellissima pergamena di cui aveva fissato per giorni le decorazioni, si era subito rallegrato all’idea di poter mangiare tante cose buone accompagnato dalla musica che sapeva sarebbe stata bellissima - Austria-san ogni tanto bofonchiava, tra un tentativo di conquista e l’altro, che anche se la Serenissima era un covo di mercanti e ladri, non erano malvagi come compositori -. La sua felicità, però, non era legata solo alla prospettiva di fare un lauto pasto, ma soprattutto al fatto che qualcuno si fosse ricordato di lui senza doppi fini, senza che la sua proposta nascondesse chissà quali piani di dominio.
Ora però non era più tanto sicuro che la sua fosse stata una buona idea: nella stanza ci sarebbe stata di sicuro tanta gente e tra di questi ci sarebbero stati di sicuro anche Francia oppure Spagna che, da quando aveva preso il suo fratellone, non faceva che guardarlo in modo strano.
Forse era meglio se tornava a casa. Però tutto quel buon cibo...
Alla fine era entrato, ma era stato più per costrizione per altro: il gondoliere già infastidito per il tempo speso a far niente davanti alla porta del palazzo, aveva finito per urlare quando aveva scoperto che Feliciano non aveva con se neanche una monetina per pagarlo del disturbo. Lui, invece, era scoppiato in lacrime.
Il suo piangere insieme alle grida dell’uomo aveva richiamato, anche in mezzo ai rumori del Carnevale, la servitù del palazzo che una volta scoperta la sua identità aveva pagato il gondoliere senza dire una parola e lo aveva portato dentro tra quelle cucine vaporose che profumavano di mille odori.
Si ero trovato, poi, in braccio ad una donna nerboruta, ma dal faccione gentile, che gli aveva dato un biscotto1 e che gli aveva sorriso borbottando strane parole fino a quando il silenzio del ribollire delle pentole era stato interrotto da una voce bassa e cantilenante.
“ Feliciano!”
La veste ampia ricoperta di perle e minuscoli specchi che riflettevano la calda luce dei focolari, il frusciare di panneggi di seta cobalto e la maschera bianca come il latte ricoperta di sottilissimi ricami turchesi e da merletti che, come liquida acqua, scendevano lungo tutta l’abito era un qualcosa di bellissimo, ma ai suoi occhi, invece, tutto ciò appariva come una di quelle gelida pupe2 d’avorio che Roma-jiji gli aveva mostrato in passato.
Feliciano iniziò a singhiozzare, pronto a scoppiare in un pianto dirotto quando sentì il profumo del mare e della salsedine. No, non era una bambola che gli avrebbe mangiato il cuore, i mostri assassini non possedevano occhi tanto blu e fieri dietro alle maschere e soprattutto non si scusavano frenetici come stava facendo lei.
“Oh, scusami. Non pensavo che non mi riconoscessi con il travestimento. Oh, ma hai ragione tu, è passato così tanto tempo…”
Le dita della bambola/mostro andarono veloci a sciogliere il nastro della maschera che cadde, scivolandole lungo il viso, fino a quando uno dei servitori, preoccupato forse per i possibili danni, non la prese al volo riponendola su uno dei tavoli.
Di quella creatura d’avorio che l’aveva spaventato non rimaneva nulla, se non la pettinatura complessa e rigida, da cui però sfuggivano mille piccoli riccioli ribelli.
“Ora ti ricordi di me, Feliciano?”
Era lei, quella che il nonnino chiamava la piccola ninfa, la ragazza che aveva urlato al cielo e la città che sarebbe diventata magnifica. Ah, ed era anche l’organizzatrice della feste e colei che lo aveva invitato.
“Venezia-neesan!”
“Venezia-neesan? Oh, non suona male. Immagino che sia stato Roma-san a dirti di chiamarmi così...”
E per un attimo il suo sguardo saettò per la stanza alla ricerca di qualcuno che entrambi sapevano bene non esserci più.
“Oh, sono così fiera di te, Feliciano. Sai pensavo che non saresti mai venuto per paura di quei maniaci che sono diventati le altre nazioni, ma invece se stato molto coraggioso.”
Feliciano avrebbe voluto contraddirla, non gli piacevano le bugie o le falsità, ma non poteva farlo mentre lei lo guardava a quel modo: era dai tempi in cui stava con Roma-jiji che nessuno gli rivolgeva un sorriso così orgoglioso.
Ancora prima di essersene reso conto si trovò ad essere preso in braccio dalla Serenissima, qualche filo e un paio di perle caddero a terra, ma lei sembrò non farci caso, solo quando il servitore, che servitore poi non era, si abbassò per raccoglierle le notò.
“Oh, su Istria smettila. Non è di certo il momento per perdersi dietro ad un paio di ninnoli, ci sono cose molto più importanti da fare… come trovare un costume per Feliciano.”
“ Credo che si possa usare quello del signorino Cipro, visto che ha deciso di non scendere alla festa.”
“Sempre il solito musone, anche se posso capirlo questa volta: neanche io sarei felice nel trovarmi addosso Sadiq. Oh, vorrà dire che sarà il nostro coraggioso Italia ad indossarlo, no?”
Feliciano avrebbe voluto aggiungere qualcosa, magari dire che non era esattamente così, ma, ancora una volta, non ci riuscì e né fece in tempo. Venne appoggiato a terra frettolosamente e poi l’unica cosa che potè vedere era il lungo strascico cobalto della sua gonna e la mano di Istria che andava ad agguantare la maschera di Venezia per porgergliela.
“Eccoti qui, belle Venise. Ti stavamo cercando, ci mancava la padrona di casa...”
“Oh, vengo subito, Francia. Non vi libererete così facilmente di me...Precedimi pure, Francia, io vi raggiungo subito.”
Quella non era la voce di Venezia, non poteva essere la stessa voce cantilenante e bassa che rideva come la risacca del mare, era un qualcosa di viscido come le interiora dei pesci del Mediterraneo e mellifluo come la pece che ricopriva le navi e lui ne aveva paura. Le lacrime gli pungevano gli occhi come spilli aguzzi.
Un colpetto sulla fronte.
Feliciano alzò il viso, già corrucciato in una smorfia che preannunciava il pianto, trovandosi davanti una mano abbronzata dal sole e dalle unghie mal curate che spuntava da una manica riccamente decorata che gli sfiorava, senza farsi notare, le rare ciocche della frangia.
Si sentirono dei passi che si allontanavano e solo allora la Serenissima si voltò nuovamente verso di lui, rindossando il guanto niveo.
“Oh, sei ancora così ingenuo Feliciano. Sono sempre io, anche quando sono costretta a non essere io.”
Poi si chinò a baciarlo nello stesso punto dove lo aveva colpito poco prima avvolgendolo per qualche secondo in un abbraccio che sapeva di mare e di legno.
La Serenissima si rialzò lanciando un occhiata a Istria che le rispose con un cenno del capo, che assomigliava ad un inchino abbozzato, prima di rimettere la maschera di ricami e merletti e di scivolare via lungo il corridoio da cui era venuta. Feliciano non aveva capito nulla di quegli strani passaggi, ma preferì non dirlo ad alta voce, soprattutto perché quell’uomo, che la sorellona aveva chiamato Istria, gli metteva un po’ paura con quella sua aria corrucciata.
“Tu stai buono qui.”
E anche Istria se ne andò via, mentre lui riceveva un altro biscotto con l’uvetta dalla signora nerboruta che parlava in modo strano.
1 Come verrà specificato dopo si parla di un biscotto con l'uvetta che fa parte della tradizione veneziana e si chiamano biscotti zaeti. (per vederli
qui2 La pupa, nella tradizione romana, era il nome della bambola che ogni bambina possedeva. Il materiale variava dai più umili ai più ricchi (come l'avorio) a seconda del ceto sociale.
Note del personaggio: Ebbene sì, anche Venezia ha il ricciolo che per quanto tenti continua a non rimanere nella pettinatura.
Venezia è forte, astuta, ma è pur sempre sorella (in un qualche modo) di Feliciano e quindi è anche un po' ingenua, ma solo quando non è a rischio nulla di importante.
Ah, e Venezia (non so perchè) usa spessissimo il "oh" all'inizio delle frasi.
Nella seconda parte ci sarà la Serenissima alle prese con i giochi di potere e le battaglie.
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Capitolo ICapitolo III
Capitolo IV
Extra
E San Marco vorrebbe piangere (conquista di Cipro)
Le Galee della Serenissima (post battaglia di Lepanto)
Dialogo (post battaglia di Lepanto)