Ci si rivede U__U
Terminata la scuola e dato l'ultimo esame in questo anno all'estero, mi ritrovo a corto di idee su come impegnare il mio tempo (= FALSO. Sto ancora lavorando, devo preparare milioni di pacchi per il rientro a casa e ci sono millemila eventi a cui voglio/devo partecipare... ma vabbé). Quindi: inizio a postare.
Non so bene come parlarvi di questa fanfiction... prima di tutto inizio col dirvi che non è propriamente attuale, dato che ho iniziato a scriverla parecchio tempo fa (maggio 2011... più di un anno fa °__°), ma è 'nuova' essendo principalmente la saga su cui sto lavorando ultimamente e non essendo ancora finita.
La postavo sul caro vecchio semi-defunto forum AFD, ma per ovvie ragioni per riuscire a continuarla mi tocca per forza ripostarla su siti ancora in uso... eh, capita.
Alcune di voi hanno sicuramente già capito di cosa parlo XD
Titolo: Reach
Genere: AU, fantascientifico, futuro
Gruppi: (per ora solo) Arashi
Pairing: Sakumoto (un po' spoiler, forse)
Rating: un PG-13 generale
Disclaimers: non mi appartengono i personaggi e penso di aver preso elementi da questo e quello un po' a muzzo... per il resto, è tutta colpa mia.
Note: sul forum scrivevo: 'Sono stata ispirata per questa fict dalle dannatissime tutine di Gantz (<--- eheh) e da varie storie incrociate di alieni e esperimenti... metteteci qualche basilare e confusa conoscenza di chimica e fisica e questo è quello che ne sta venendo fuori XD' ...non so se si possa ancora applicare, ma faremo finta di niente XD Ringraziamenti sentiti alla mia editor (
yukari85).
Fin da piccolo, aveva sempre osservato il cielo nelle limpide notti estive.
Aiutato dal buio assoluto della campagna e di camera sua, osservava le stelle una ad una con il proprio telescopio. Il cielo sembrava un’enorme coperta piena di buchetti, piccolini e ancora più piccolini, attraverso i quali passava la luce dell’infinito… del mondo al di là della coperta.
E un giorno, lui lo sapeva… un giorno ci sarebbe stato.
L’istituto di ricerca spaziale di Tokyo era il primo al mondo per prestigio, tecnologia e scoperte.
Da quando era rinato nel 2012, a seguito di straordinarie scoperte spaziali avvenute per errore dopo la dispersione della sonda giapponese Hikari nello spazio, aveva diffuso in tutto il mondo le quotidiane scoperte per quasi tre secoli: le foto dei sistemi solari nella nostra medesima galassia, i viaggi degli esploratori sui pianeti della nebulosa di Andromeda, i messaggi radio inviati e ricevuti dalle forme di vita dei pianeti della vicina galassia NGC 598 (M33).
Per questo la sua famiglia diffuse la notizia che era stato preso a lavorare da loro con un telegramma e indisse una enorme festa nella loro piccola casa di campagna con tutti gli amici ed i parenti: era un evento. Avrebbe potuto lavorare per il bene del suo paese e dell’universo in uno degli istituti più importanti al mondo. Avrebbe potuto esplorare lo spazio con sofisticati mezzi tecnologici che loro appena riuscivano a immaginare.
Dopotutto a parte per grandi città come Tokyo, New York, Londra… il mondo intero non conosceva la tecnologia. O almeno non più. Dall’anno della Grande Guerra Tecnologica i governi di tutto il mondo avevano bandito ogni oggetto tecnologico alla popolazione: tutto era stato trasferito nei centri di ricerca da sfruttare per il progresso, o distrutto.
Il mondo era diventato uno squilibrio di forze fra i pochissimi che utilizzavano sempre più sofisticati macchinari e vivevano nella ricchezza e nel lusso e le masse uniformi di persone che ancora si muovevano a cavallo, usavano i telegrammi e le lettere e cucinavano con vecchi fornelletti che avevano salvato dalla confisca del governo, rubando metano dai serbatoi delle grandi città.
Il suo telescopio era un’altra delle poche cose che la sua famiglia era riuscita a nascondere dalla confisca, quasi un secolo prima, assieme ad una radio che ormai non captava più alcun segnale e una vecchia scatolina nera con uno schermo e dei tasti numerati che il suo bisnonno chiamava “cellulare”, ma di cui nessuno di loro capiva l’utilità. Era un telescopio vecchio, che sarebbe sicuramente funzionato meglio se fosse stata cambiata la lente, ma ne era molto geloso.
Stava quasi pensando di portarselo via, nella sua nuova casa a Tokyo.
La festa di addio lo portò a riflettere su quanto avessero sofferto i suoi genitori per farlo crescere: con così poco per vivere che non fosse il ricavato della terra, con così poco per permettergli di studiare astronomia e UTA (utilizzo di strumenti tecnologici avanzato) nel paese più vicino e nutrire la sua fame di sapere e studiare. Li avrebbe ripagati.
Avrebbe spedito a casa parte dei soldi che avrebbe guadagnato con le sue ricerche e pian piano avrebbe regalato ai suoi genitori una vita migliore ed un futuro al suo fianco, nella grande e caotica Tokyo.
Era l’estate del 2502, aveva appena 20 inverni. E si aspettava un grande futuro nello spazio.
Gli anni erano passati e si era ritrovato a svolgere ricerche d’ufficio all’IRST.
Non riceveva notizie dai propri genitori dallo scorso Natale e sperava stessero bene.
Viveva in un appartamento in una delle nuove case fluttuanti di Roppongi, pagato ovviamente per metà dall’istituto, e si lamentava per non aver mai trovato il tempo di arredarlo.
Ormai era un disilluso uomo di 25 inverni appena compiuti che ogni giorno si sedeva davanti ad uno dei computer dell’istituto e inviava messaggi radio alle galassie più vicine, sfruttando il velocizzatore Takeda (dal nome dell’inventore) per superare l’ostacolo della distanza: il velocizzatore faceva percorrere al messaggio 400, 500, 600 anni luce in 0,02 secondi. Il suo studio si raggiungeva comodamente in autobus fluttuante nel giro di un quarto d’ora ed era situato nel lato sud-est dell’IRST occidentale, stanza N435. Piuttosto importante, pur essendo un semplice lavoro da impiegato.
I suoi colleghi erano altri due ragazzi della campagna circostante Tokyo… uno dei due veniva dal distretto di Chiba e si chiamava Aiba Masaki. Era un tipo spensierato e chiacchierone e amava fare giochi e invitarli fuori a bere dopo il lavoro. Per loro ricercatori l’alcol si poteva bere in ogni bar, bastava mostrare il cartellino. Nonostante l’indole spensierata, sapeva che Masaki aveva vissuto un’infanzia terribile: separato dai genitori fin da neonato era stato venduto per ripagare dei debiti e aveva vissuto in orfanotrofio finché non aveva sviluppato una curiosità eccezionale per le stelle. Da allora aveva studiato coi soldi di un’adozione a distanza e, diventato adulto, si era trasferito a Tokyo per lavorare come ricercatore. Non aveva mai saputo chi era stato il gentile concessore dell’adozione a distanza e ancora adesso, dopo cinque anni, lo stava cercando. Per ringraziarlo.
L’altro collega si chiamava Ohno Satoshi, un tipo piuttosto silenzioso e pacifico. Infondeva tranquillità solo a guardarlo e si infervorava solo quando parlava di pesca: a quanto pareva era l’unico con un permesso speciale per far visita ai genitori ogni due mesi e quando andava ne approfittava per pescare.
Lui era il sognatore che da bambino guardava il cielo con un vecchio telescopio rotto. Sakurai Sho. Ancora in cerca di un futuro nello spazio pur lavorando ogni giorno in un minuscolo ufficio dell’IRST.
Quella mattina al lavoro non aveva avuto quasi nulla da fare.
Se n’era rimasto tutto il tempo a fare la punta alle matite o a controllare ogni due secondi il monitor per vedere se l’istituto avesse bisogno del suo aiuto per comunicare qualche messaggio.
Aiba e Ohno, invece, sembravano molto impegnati.
Sospirò e fece un giro completo sulla sedia fluttuante, annoiato.
In quell’istante, mentre Aiba apriva la bocca per dirgli qualcosa, un messaggio comparve sul suo schermo:
“Richiesta di accesso: pianeta di M33”. Era la galassia del Triangolo, una delle più esplorate e conosciute.
Acconsentì alla richiesta.
Lo schermo si fece totalmente nero e apparve una scritta: “Pianeta Myrthas richiede assistenza”.
Conosceva bene il programma usato, poteva rispondere istantaneamente quasi fosse una chat.
“Chi desidera?”
“Siamo gli abitanti del posto, le sto parlando dal centro di ricerche spaziali” scrisse in fretta l’alieno. Perché di alieni si trattava: esseri che lui non aveva mai visto ma con cui comunicava ogni giorno. Se li immaginava ogni volta in modo diverso: verdi, con le antenne, con una strana testolina allungata… era assurdo parlarci quasi fossero umani senza sapere neanche che aspetto avessero.
“In cosa possiamo esserLe utile?” domandò.
“Richiesta di atterraggio di una nostra sonda di ricerca. Equipaggio: due esemplari. Permanenza richiesta: una settimana. Motivo del viaggio: richiesta di soccorso” apparve sullo schermo.
Sollevò il ricevitore e comunicò tutto all’ufficio immigrazione dell’IRST.
Poi scrisse: “Permesso accordato, atterraggio previsto per le prossime due ore. Cordiali saluti”.
L’alieno salutò cordialmente a sua volta e la comunicazione si concluse, mentre lo schermo tornava desolatamente colorato con il desktop che Masaki aveva inserito: una foto di loro tre fuori a bere con altri colleghi.
-Almeno hai avuto qualcosa da fare…- lo rincuorò Masaki, dopo averlo sentito sospirare.
Dopo la pausa pranzo, tornarono al loro ufficio.
La segretaria di quell’ala di istituto aveva lasciato loro un biglietto sui documenti più recenti che li pregava di telefonare urgentemente all’ufficio di sede centrale.
Satoshi, in qualità di caposquadra, telefonò.
-Convocazione urgente, dobbiamo correre là- disse.
Si guardarono a metà fra lo sorpreso ed il vero e proprio sbalordito.
-Yay! Non sono mai stato al quartier generale!- esclamò Masaki.
Sho osservò lo schermo del proprio pc, pensieroso… perché una convocazione… adesso?
Qualcosa gli diceva che aveva a che fare con il permesso di atterraggio che aveva accordato due ore prima, ma ne ebbe la conferma quando vennero indirizzati al porto numero 5. Solitamente loro non venivano mai fatti avvicinare ai porti: erano semplici impiegati, non era loro concesso guardare in faccia tanto gli astronauti quanto visitatori alieni.
Entrarono nel corridoio che dava alla stanza di purificazione, dove il capo li stava attendendo.
Era anche la prima volta che vedevano il capo di persona… fino a qualche secondo prima era solo una faccia sorridente stampata sul muro di ogni ufficio.
-Miei cari dipendenti, ho il piacere di informarvi che siete appena stati elevati di grado- esordì l’uomo.
-CHE?- fecero loro, ancora più sconvolti di poco prima.
-Siete brillanti studiosi, ottimi lavoratori e siete stati reclutati come idonei astronauti per missioni spaziali di soccorso…- elencò tutto pomposo il capo. Il segretario si fece avanti e aggiunse: -E siamo a corto di personale- in tono tagliente.
Trattennero una risata mentre il capo lo guardava male: -Sì, beh… abbiamo ricevuto una richiesta di soccorso da parte di Myrthas, o per meglio dire pianeta N340 della galassia del Triangolo, o per meglio dire M33. La loro richiesta è un equipaggio di tre ricercatori disposti a partire con loro e subire un allenamento nei loro centri di ricerca in previsione di una guerra contro i loro nemici del pianeta N456 della medesima galassia. Siete stati selezionati- spiegò velocemente, manco parlasse di noiosi calcoli statistici.
-Cioè, noi… noi partiremo con gli alieni???- domandò Sho, incredulo. Forse aveva capito male.
-Sì, ovviamente. E sarete i primi a sperimentare un trattamento genetico sul pianeta N340! Ovviamente è pura formalità, ma abbiamo stretto contratti di mutuo soccorso con quella popolazione, ed ora che chiedono un nostro aiuto in caso di guerra non possiamo negare loro la cortesia di fornire dei…-
-Dei topi da laboratorio. Su di noi devono sperimentare… trattamenti genetici?- chiese Sho, iniziando a capire. Altro che eroi, altro che favole… erano esperimenti. Erano tre sfigati dell’ultimo ufficio dell’ultima ancora più sfigata ala dell’istituto, talmente facili da sostituire che venivano mandati in una spedizione suicida a casa di qualche alieno venuto solo per rompere le scatole su una probabile guerra contro chissà chi e reclamare cavie!!!
-Veramente la guerra è una cosa seria, alieno… e non ti uccideremo, tranquillo- fece una voce alle sue spalle.
Si girarono a guardare chi aveva parlato e si accorsero che dalla stanza della purificazione erano usciti due individui… due individui… umani?
-Mi hai letto nel pensiero?- chiese Sho, fissando il più vicino dei due.
Erano in tutto e per tutto degli umani e perfino giapponesi, ma indossavano delle tute nere aderenti di un materiale che non sembrava affatto proveniente dalla terra. E per di più l’avevano chiamato… alieno.
-Sì, è una capacità che la mia gente ha dai tempi più remoti, ma sono stupidaggini- fece quello, sorridendo.
Era eccezionalmente bello.
-Jun, ho come l’impressione che l’alieno ti sta facendo un complimento!- pigolò il secondo dei due, che se ne stava a braccia conserte poco più in là, con un sorrisino furbetto sulla sua faccia da adolescente.
-A cuccia, Nino…- ridacchiò il primo alieno.
-Benvenuti, miei carissimi ospiti! Questi tre sono i ricercatori che avete chiesto. Se venite con me vi mostro le loro idoneità e i documenti necessari… venite, venite…- fece il capo, interrompendo la fittissima rete di sguardi che i tre umani e i due strani alieni-umanoidi si stavano scambiando.
Si salutarono con un mezzo sorriso e gli alieni sparirono con il capo ed il segretario.
Rimasero a fissarsi, increduli.
-Ci spediscono a morire da qualche parte su M33…- sussurrò.
-Cribbio! Io me li immaginavo verdi e con le antenne!-
-Masaki!-.