Un'altra fic per la BDT di
fanfic100_ita, un'altra fic sull'infanzia di Salazar, anche se solo in parte.
Giuro, non ho intenzione di scrivere solo su Salazar bambino! ^^
Prompt: 085. Lei.
Personaggio: Salazar Slytherin
Titolo: L'unica scelta possibile
Rating: PG-13
Personaggi: Salazar, Personaggio originale
Coppie: Salazar/OFC e Salazar/OMC, ma solo accenni
Avvisi: Accenni di slash.
Disclaimer: Hogwarts e il Fondatori sono tutti di JKR. Thea appartiene a me.
Riassunto: Sono cresciuti insieme, e a tutti è sembrata la scelta più logica. Ma le motivazioni sono solo loro.
Un Assaggio: "Era piccolo e di corporatura minuta, scalzo e vestito come un contadino o un pastorello, come molti dei bambini del villaggio, con una tunica troppo grande che arrivava alle ginocchia e lasciava scoperte le gambe sporche e graffiate. Faceva continuamente uno strano gesto, si toccava dietro l'orecchio, come se volesse spostare i capelli per allontanarli dal volto; solo che non aveva capelli, anzi, sembrava che fosse stato malamente rasato con un coltello."
085. Lei.
L'unica scelta possibile
Si erano conosciuti quando avevano circa sei anni, anche se era sembrato un incontro privo di importanza.
-Madre, posso andare a giocare?- chiese Salazar, una mattina d'estate, tirando per la manica della veste i suoi genitori.
La piazza del villaggio era gremita di gente, commercianti e bancarelle sgangherate che vendevano i prodotti più svariati, o che attiravano clienti col profumo di frittelle e pane fresco. Qua e là, ma Salazar era ancora troppo piccolo per notarle, donne in abiti colorati occhieggiavano gli uomini proponendo un altro genere di mercanzia, tranquillamente osservate da un gruppetto di frati che ascoltavano una predica, all'angolo della chiesa.
I bambini del villaggio, lasciati liberi di girovagare tra la folla chiassosa, sembravano essersi riuniti in un unico grande gruppo, nello spiazzo di terra battuta vicino alla bottega del maniscalco, e da come gesticolavano, Salazar era certo che stessero organizzando un qualche gioco. Il bambino in genere preferiva passare il tempo da solo, ma alle volte con il bel tempo scendeva a condividere i passatempi dei ragazzini del villaggio, e conosceva alcuni di quelli che stavano giocando.
Sua madre gli sorrise, come faceva sempre, del resto, ma fu suo padre a rispondergli.
-Vai, ma non allontanarti.-
Salazar non se lo fece ripetere, e scappò via, girandosi appena per salutare suo padre con la mano, grato di aver ricevuto il permesso. Non tutti i bambini riuniti provenivano da famiglie di maghi, e la famiglia di Salazar non lo incoraggiava di certo a mescolarsi con persone al di sotto del suo rango; ma quel giorno, nell'atmosfera di festa, era stato accontentato.
Il gioco che si stava organizzando, Salazar scoprì presto, richiedeva velocità di gambe e forza fisica, qualità che non erano propriamente sue. Così non si stupì poi molto di essere tra i primi ad essere eliminato, e costretto ad andare a sedersi al bordo dello spiazzo. Non gli dispiaceva particolarmente: era già troppo stanco e sudato per i suoi gusti, e comunque il divertimento era stare insieme a qualcuno che non fosse un adulto, almeno per qualche ora.
Poco distante da dove si era seduto per guardare gli altri, accovacciato vicino ad un basso steccato di recinzione, c'era un altro bambino, più piccolo di lui, probabilmente. Stava accosciato a spiare gli altri che giocavano; Salazar non lo aveva visto prima, quando avevano stabilito le regole, e non lo conosceva.
Curioso, gli si avvicinò, osservandolo.
Era piccolo e di corporatura minuta, scalzo e vestito come un contadino o un pastorello, come molti dei bambini del villaggio, con una tunica troppo grande che arrivava alle ginocchia e lasciava scoperte le gambe sporche e graffiate. Faceva continuamente uno strano gesto, si toccava dietro l'orecchio, come se volesse spostare i capelli per allontanarli dal volto; solo che non aveva capelli, anzi, sembrava che fosse stato malamente rasato con un coltello.
-Ciao.- gli disse Salazar, incerto.
Il bambino sussultò: non lo aveva sentito avvicinarsi. Quando girò la testa verso di lui, Salazar si accorse che forse aveva pianto, prima. Aveva delle strisce bianche sulle guance, e delle macchie di fango, come se si fosse strofinato il viso con le mani sporche.
-Che ti è successo alla testa?- gli chiese, curioso. Non si preoccupò di essere scortese: la gentilezza era qualcosa che serviva solo con gli adulti, tra bambini non ce n'era bisogno.
-Pidocchi.- sbuffò il ragazzino, e sembrava arrabbiato. Salazar non aveva mai avuto i pidocchi, ma non sapeva cosa ci fosse da prendersela tanto per una domanda.
-Io mi chiamo Salazar.- provò a dire, non più del tutto sicuro di voler perdere tempo con quel moccioso.
Il bambino annuì, senza l'ombra di un sorriso sul visetto corrucciato. -Sei scarso.-
-Cosa?- fece Salazar, incredulo.
Lui scrollò le spalle. -Io potevo scappare due volte a quel grassone che ti ha eliminato.- disse, con aria di superiorità.
Salazar strinse i pugni, arrabbiato.
-Ah, sì? Se sei così bravo, allora perché non vai a giocare?-
-Non mi fanno mai giocare, perché sono una femmina.- rispose lui. O lei.
Salazar rise. -Non è vero! Le femmine hanno i capelli lunghi e non vanno in giro scalze.-
Il bambino si alzò, spolverandosi le ginocchia in un gesto che ad essere onesti sembrava femminile, e cercò, benché fosse più basso, di guardare Salazar con alterigia.
-Io ho i pidocchi, e mia madre mi sta comprando scarpe nuove perché quelle vecchie sono piccole.-
Salazar non era abituato a non aver ragione, quando parlava con altri bambini, e così si impuntò.
-E allora? Se sei una femmina, provamelo.- lo sfidò.
-Mi chiamo Thea. Ti sembra un nome da maschio?-
-Può essere una bugia, no?- rispose Salazar.
Il bambino arrossì e abbassò gli occhi, offeso, e Salazar cominciò a pensare che forse poteva davvero essere una bambina, con quel modo di fare. Ma non aveva intenzione di dargliela vinta.
Lei sembrò capire che non l'avrebbe spuntata con le parole. Così, dopo essersi guardata intorno per accertarsi che nessuno li vedesse, sollevò con le mani l'orlo della tunica, come un qualunque bambino che dovesse liberarsi la vescica contro un albero. Solo che, realizzò Salazar, non somigliava agli altri bambini, sotto i vestiti.
Rimase a guardarla, stupito, fino a che lei non riabbassò la tunica e sbuffò, sorridendo appena dell'espressione stravolta di lui.
-Allora, ci credi adesso? E scommetto che ti posso battere nella lotta.-
Salazar si riscosse e le sorrise.
-Provamelo.-
Quando tornò a casa quel pomeriggio, insieme ai suoi genitori, Salazar aveva i pidocchi, qualche livido, e parecchie domande da fare a sua madre.
Erano diventati amici da bambini. Lui non amava i giochi turbolenti degli altri ragazzi, e lei non sapeva intrecciare ghirlande di fiori come le sue sorelle.
I pascoli verdi sul versante della collina brulicavano di quella vita che strisciava sotto i sassi, d'estate, anche se nessuno tranne loro, per quanto ne sapesse Salazar, era interessato ad osservare gli animali che si scaldavano al sole. Thea a sette anni aveva orrore dei serpenti, come quasi tutte le bambine, e molti dei bambini, che Salazar aveva conosciuto. Ma giocando insieme ne avevano incontrati spesso, e adesso che aveva otto anni e che sapeva cosa lui poteva fare, i piccoli rettili che infestavano i pascoli erano diventati i loro amici.
-Fai ballare i serpenti, Salazar!- gli chiese lei, un giorno di maggio, mentre perdevano tempo stesi sul prato.
Salazar guardò per qualche istante i due innocui serpentelli che si crogiolavano al sole tiepido, su un grosso sasso, e si rabbuiò, scuotendo la testa.
Qualche mese prima, istigato allo stesso modo da Thea, aveva pregato un serpente di allontanarsi dal posto dove stavano giocando, e quello, naturalmente, lo aveva fatto. A Salazar sembrava una cosa normale, perché i piccoli rettili che strisciavano nel cortile di casa sua gli obbedivano sempre, ma apparentemente, secondo Thea, non era affatto così.
Lei aveva sentito Salazar sibilare una strana cantilena, aveva visto il serpente fissarlo ed allontanarsi, e ne era stata entusiasta.
Gli altri bambini presenti, nonostante fossero di buona famiglia, avevano visto la stessa cosa e si erano spaventati a morte.
Nel giro di poche ore, come è normale per una piccola comunità, la voce si era sparsa come un incendio in un fienile, e anche gli adulti avevano cominciato a guardarlo stranamente, quando era passato nella piazza, diretto a casa.
E da allora, per tutti, maghi o meno, lui non era più il giovane Salazar, o il piccolo Slytherin, e nemmeno il figliolo di Seth, come lo chiamavano i vecchi. Era "Lingua di Serpente", "Bocca di Serpente" o un qualche soprannome ugualmente pronunciato con paura e disprezzo.
Salazar non giocava più con gli altri bambini. Veniva evitato ancora più che Thea, che era additata per essere una femmina che voleva giocare con i maschi; e non sapeva perché, ma questo lo faceva diventare furente.
Anche in quel momento, sotto il sole, con l'unica amica che gli era rimasta, non poteva far a meno di rabbuiarsi nel sentirsi ricordare quella sorta di anormalità.
-Dai, Salazar! Per favore!-
Sbuffando, Salazar si accovacciò. -Intrecciate per me le vostre spire.- sibilò, perché aveva imparato che i serpenti preferivano un linguaggio mistico, e obbedivano più facilmente agli ordini che alle richieste più gentili.
I due serpentelli sibilarono in risposta, e fecero quanto aveva loro detto il bambino, danzando tra loro e attorcigliandosi come volute di fumo. Thea batté le mani, affascinata.
Salazar non li guardò. Non gli piaceva più farlo, non gli sembrava più una cosa divertente. Parlare ai serpenti lo aveva fatto diventare un reietto.
Ma se gli rimaneva solo Thea, pensò guardandola, era meglio che l'accontentasse in quello che voleva fare. O non sarebbe rimasto più nessuno.
Si erano promessi l'uno all'altra quando Salazar aveva solo tredici anni, perché non c'erano alternative, per loro, e perché lei era l'unica donna che lui potesse avere vicino.
La notte di gennaio in cui se ne andò da casa per la prima volta, Salazar non ebbe alternative che andare da Thea.
Lei abitava in una casupola ai margini del villaggio, con la sua numerosa famiglia, e Salazar fu davvero fortunato che fosse lei ad aprirgli l'uscio, quando bussò. Eppure non poteva essere diversamente. La cosa migliore di Thea era sempre stata la sua capacità di trovarsi nel posto esatto in cui Salazar aveva bisogno di lei.
-Che fai qui a quest'ora?- gli chiese lei, stringendosi nello scialle, perché l'aria era gelida.
-Mio padre mi ha buttato fuori ad arrangiarmi.- rispose lui, come se non importasse, scansandola per entrare nella stanza, appena più calda che fuori. -Incendio.- disse poi, puntando la bacchetta verso il camino.
Alla luce del fuoco creato da Salazar, Thea dovette notare che il suo amico era in abbigliamento da notte, perché sganciò il mantello di suo padre dal mobile a cui era appeso, e glielo diede perché si coprisse.
Salazar le sorrise, grato, e si sedette alla tavola che la famiglia usava per i pasti, e dove si era spesso accomodato quando veniva invitato in quella casa, da bambino.
-Vuoi della minestra? Ne è avanzata dalla cena.- gli chiese ancora Thea. Se Salazar notò la curiosità nello sguardo di lei, che probabilmente voleva sapere perché fosse stato cacciato di casa in piena notte, la ignorò completamente, e lei non chiese altro.
-Grazie.- le rispose invece, e prese la scodella che lei gli porgeva, cominciando a mangiare. La minestra era fredda e scialba, ma come molti ragazzi della sua età, Salazar aveva sempre fame.
Thea lo osservò mangiare per qualche istante; poi, invece che sedersi al tavolo e parlare con lui, come era solita fare fino a qualche tempo prima, si avviò verso una delle stanze interne della casa.
Salazar alzò appena gli occhi dal piatto, e scattò, afferrandola per un polso prima che potesse allontanarsi. Non voleva domande, ma se avesse voluto stare solo non sarebbe andato di certo da lei.
-Dove vai?- le chiese.
-A vedere se mia nonna è ancora sveglia. Dorme sempre poco, ultimamente.- rispose Thea, abbassando gli occhi sulla gonna. Era un atteggiamento strano.
-Per quale motivo?- le chiese lui, cercando inutilmente di guardarla negli occhi.
-Perché è vecchia, credo.-
Salazar scosse la testa. -Non prendermi in giro.- le intimò.
Thea alzò gli occhi e lo guardò, per un istante, prima di riabbassarli. Alla luce mutevole del fuoco, la sua espressione era indecifrabile, e le sue gote parevano arrossate.
-Perché non è decente che tu ed io restiamo soli in una stanza. Non siamo più bambini.- disse, come se stesse ripetendo qualcosa di imparato a memoria.
Di nuovo, lui scosse la testa. Le lasciò andare il polso, ma continuò a tenerla d'occhio, per agire se lei avesse voluto allontanarsi.
-Non è mai stato un problema, per te.- affermò. Non era la prima volta che restavano soli da quando erano cresciuti, e Salazar si era sempre comportato onestamente con lei.
Lei alzò di scatto la testa, e il suo viso sembrava arrabbiato. Salazar conosceva quell'espressione, la mascella tesa e le narici dilatate, e anche se non ne aveva paura, presagiva guai. Thea aveva sempre avuto un caratteraccio e, nei momenti migliori, lui le prediceva che sarebbe rimasta zitella, per questo. In genere, lei rispondeva con una linguaccia, e poi ne ridevano.
Ma, quella notte, sembrava un commento fuori luogo, e Salazar tacque, aspettando che lei replicasse.
-Puzzi, Salazar.- soffiò lei, e lui rimase sbigottito ed interdetto. Lei proseguì. -Puzzi di sesso e di cuoio vecchio. Sei stato con il garzone del sellaio, vero?-
Salazar era senza parole. Come aveva potuto, lei, notare qualcosa del genere? Come poteva essere così evidente? Come poteva essersi aperto al punto che lei lo conoscesse così bene da immaginare quello?
La risposta era semplice. L'aveva conosciuta prima di avere qualcosa da nascondere, quando era ancora un bambino che non sapeva fosse sbagliato parlare ai serpenti, e quando ancora non sapeva cosa significasse provare desiderio per un altro uomo. Non le aveva nascosto nulla, perché quando erano diventati amici non c'era nulla che dovesse nascondere, ancora. E con gli anni, non aveva mai pensato di doversi proteggere da lei.
Le aveva messo in mano una spada puntata verso di lui. Lei non l'aveva mai affondata per affetto.
Thea dovette scorgere l'espressione allarmata sul suo viso, perché gli sorrise, addolcita.
-Non ho intenzione di andarlo a dire in giro.-
Lui le era grato, e si fidava di lei. Ugualmente, sapeva che quella faccenda era pericolosa, dal suo punto di vista. Aveva appena iniziato a farsi un nome come uomo e come mago, nei dintorni, che non venisse pronunciato con disprezzo, e aveva faticato per ottenere che la gente smettesse di chiudersi in casa quando passava. Se Thea sapeva che lui guardava gli uomini, e non le donne, con desiderio, doveva essere certo che non avesse motivi per usare quella conoscenza contro di lui.
-Sei innamorata di me, Thea?- le chiese, sinceramente. Era una cosa che si chiedeva da parecchio. Se fosse stato così, chiunque l'avrebbe considerato normale, sapendo come erano strettamente legati fin dall'infanzia. Eppure, se fosse stato così, sarebbe stato triste.
Lei scosse la testa, ridacchiando, improvvisamente più simile alla bambina che era stata fino a poco tempo prima.
-Presuntuoso.- gli rispose, e poi alzò gli occhi, lo guardò per un istante, e gli fece una linguaccia scherzosa che la fece sembrare ancora più giovane.
Salazar le sorrise. Si sentiva sollevato, perché non avrebbe potuto ricambiarla, e non le voleva male. Ma conosceva bene quello sguardo, quel modo infantile di scherzare. Lei era sempre semplicemente Thea, e si poteva fidare. Colto da un impulso improvviso, le prese la mano.
-Sposami.- le disse, sorridendole ancora. Era la soluzione più logica.
-Non fare lo stupido.- gli rispose lei. -Ti ho preso in giro perché sei lento a correre, ti ho attaccato i pidocchi e abbiamo fatto pipì tenendoci per mano quella volta che siamo andati a curiosare nella foresta. Non ti vedo certo come il mio cavaliere ideale!-
Salazar ridacchiò, ma non le lasciò la mano.
-Pensaci, invece.- disse poi, più serio. -Tuo padre vorrà che tu sposi un mago, e il mio certo vorrà che io abbia un sacco di marmocchi stregoni, un giorno. Dovrei sposare una perfetta sconosciuta, solo perché lo vuole mio padre? Tu sai a cosa andresti incontro. Come puoi fare questo ad un'altra donna?- concluse, di nuovo ridacchiando.
Thea rise di gusto, questa volta. -E' la proposta di matrimonio più stupida della storia, Salazar.- commentò.
Attirata dal baccano delle loro risate, la vecchia nonna di Thea si affacciò nella stanza, interrompendo di fatto quella conversazione. A dispetto dell'età, era una vecchina temibile, e quando chiese, autoritaria, -Che sta succedendo, qui?-, Salazar scattò in piedi e lasciò la mano di Thea, intimorito, come se avesse fatto qualcosa di male.
La ragazza invece non si scompose.
-Nulla, Nonna.- rispose. -Salazar è venuto a chiedermi di sposarlo.-
Si erano sposati, alla fine, quando Thea aveva appena compiuto quindici anni, e Salazar ne aveva poco più di sedici. Avevano reso felici le loro famiglie, e negli anni erano rimasti quello che erano sempre stati: amici, confidenti, capaci di ridere insieme, anche se Salazar aveva avuto le sue avventure e i suoi viaggi per mare, e Thea in qualche modo si era lasciata addomesticare dalle convenzioni e aveva perso un po' delle sue stranezze di bambina. Avevano avuto tre splendide figlie, che adesso piangevano stringendosi al loro padre, troppo piccole per capire davvero.
Salazar l'avrebbe ricordata sempre come la sua prima amica.
Addio, mia cara, pensò tra sé, mentre lei veniva seppellita nel piccolo cimitero. Credo che tu sia stata la scelta giusta.
Nota: Il personaggio di Thea, che giuro ha finito di avere manie di protagonismo, nasce chiaramente dall'esigenza di dare a Salazar una discendenza. Con un'ambientazione medioevale, è stato più semplice per me pensare di dargli una moglie "di comodo" che un altro genere di relazione.
Se qualcuno se lo chiede, Thea è morta di malattia poco prima che Salazar e Godric iniziassero ad impegnarsi effetivamente nella creazione di Hogwarts.