Aug 21, 2007 20:49
Speravo che questo potesse essere l'ultimo post dedicato a Chi ha detto che, ma a quanto pare l'ultimo capitolo è troppo lungo anche se diviso in due... quindi vi beccherete una terza parte (detesto questo espediente - se avessi pensato la storia divisa in undici parti, avrei scritto undici capitoli, no?! >_<* Così si rovina lo scorrere della storia! Grr).
Buona lettura comunque.
§
Presa la decisione, il circuito della macchinazione abbassò il freno a mano e partì in quinta.
La combriccola sedette in cerchio ancora una volta, discorrendo animatamente. Si trattava di indovinare dove fossero alloggiate le tre amabili presidentesse, ed era compito ingrato per lo sfortunato che si fosse trovato a doverlo fare, dal momento che, senza contare i garages, la villa si articolava in quattro ali su quattromilacinquecento metri quadri.
Quando Olivier diede loro questo pezzo d’informazione, alcuni mandarono di traverso il succo di frutta.
‹‹Quattr…››
‹‹Quattromilacinquecento?! E’ l’estensione del nostro villaggio!›› esclamò Rei. Mao ammutolì, sentendosi insignificante.
‹‹Beh, che cosa vi aspettavate?›› chiese Gianni. ‹‹Tutte le nostre abitazioni avite sono molto grandi. Se pensate alla fortezza di Ralf, persino questa villa rimpicciolisce un po’.››
‹‹Ralf è quello con la casa più grande›› informò Andrew, mentre la sua notoria spocchia tornava a farsi sentire. ‹‹Abbiamo controllato sui documenti. Novemila metri quadrati. Precisi precisi.››
‹‹Porc…›› fece Takao. ‹‹E a me che il dojo del nonno sembrava enorme!››
‹‹It’s incredible›› mormorò Max.
‹‹No no no no, ragazzi, credo che qui si stia perdendo il filo del discorso›› interruppe il Professor Kappa, sventolando una mano. Lo considerarono. Si limitò ad indicare la pendola.
Le lancette segnavano sette e tre quarti.
Gianni e Olivier deglutirono.
‹‹Ci restano solo quindici minuti.››
‹‹Beh, c’è poco da perder tempo, allora›› affermò Sabine. ‹‹Vier, possiamo tranquillamente escludere l’ala ovest. E’ il museo.››
‹‹Avete un museo in casa?!››
‹‹E’ chiuso da cinquant’anni. I nonni vollero interdirlo al pubblico quando ereditarono la villa. Neanche mamma e papà hanno voglia di trovarsi estranei per casa, così è un po’ il nostro museo personale.››
‹‹Ed è lì che Olivier ha sviluppato la sua mania per i luoghi d’arte deserti›› canzonò Andrew, guadagnandosi un’occhiataccia.
Gli altri risero.
‹‹Poi c’è l’ala nord, che è tutta di mamma e papà. Non credo che le abbiano alloggiate in quelle camere: come non vogliono turisti in casa, non vogliono ospiti nella loro ala privata. E questa, l’ala sud, dà sui garages. Ce li vedi a metterle là, con i nasi fini che hanno? Morirebbero per l’odore dell’olio e della benzina!››
‹‹Già›› sorrise suo fratello.
‹‹Quindi rimane solo…››
‹‹L’ala est.››
Tutti balzarono in piedi, stringendo i pugni.
‹‹…Andiamo.››
‹‹Una volta arrivati nell’ala est non dovrebbe esser difficile localizzarle›› spiegò Olivier, mentre li guidava per i corridoi. Gianni, che camminava in testa con lui, annuì. Aveva un’aria particolarmente battagliera. Seguivano Max, Sabine, Andrew, Mao e Rei in blocco (‹‹Staccate quei due polipi, vi prego››) e poi il Professor Kappa.
Takao, il solito piagnone, veniva per ultimo, strascicando i piedi.
‹‹Cosa c’è, Takao?›› chiese il Professore, perplesso.
‹‹Uffaa›› brontolò il ragazzo, ‹‹Ci arriviamo così? Facendo una passeggiata?››
‹‹Come volevi arrivarci?››
Lui ficcò le mani in tasca, ignorando spudoratamente le bellezze artistiche del corridoio. Tipico Takao. Se non è commestibile o lanciabile, non interessa.
‹‹Ma non lo so. Io mi aspettavo inseguimenti, battaglie, azione! E invece, tutto quello che facciamo è marciare come dei maratoneti. Questo non è divertente. E’ faticoso!››
Il Professor Kappa rise, scuotendo la testa insieme a pochi altri.
Olivier accelerò. Ormai praticamente correvano.
‹‹Tieni duro, Monsieur Takao›› fu la divertita risposta. ‹‹Ormai siamo alla fine dell’ala sud.››
Infatti il corridoio, illuminato da splendidi lampadari di cristallo, terminava nell’immenso salone circolare usato per feste e ricevimenti. Era una cupola. Fortunatamente, per qualche strano segno del destino, stavolta l’annuncio dei fidanzamenti e la relativa baldoria si sarebbero consumati nel parco. Comunque nessuno della combriccola badò alla delicata bellezza albicocca delle pareti. Andavano come razzi.
Dall’esterno si vide soltanto una macchia di colori attraversare il salone. Tutte le antenne dei camerieri, elevati per quella sera anche a custodi, mandarono segnali d’allarme.
Con una derapata, Olivier curvò a destra.
Nove minuti.
‹‹Eccola.››
Era un altro elegante arco, cornice dell’ala più bella del palazzo - dopo gli appartamenti dei Boringer e dei loro rampolli, naturalmente: Olivier e Sabine.
‹‹Tutta questa bellezza sprecata›› commentò Gianni.
‹‹Stai pensando a Palla di Lardo?›› sorrise il francese. C’erano quasi. E anche se l’umiliazione cui stava per sottoporsi avrebbe abbassato notevolmente il suo ego per i mesi seguenti, mandar giù un boccone amaro è meglio che mangiar male per tutta la vita.
Gianni annuì.
‹‹Non siate troppo duri con loro›› intervenne Rei. ‹‹In fondo, vi hanno inconsapevolmente dato l’arma per sfuggire alle loro sgrinfie.››
‹‹Non dire gatto finché non ce l’hai nel sacco.››
‹‹Già. Dobbiamo ancora verificare l’effettiva utilità di quest’arma.››
Gli amici annuirono. Ormai erano a un passo dall’entrata, quando…
‹‹Signorini! Fermi dove siete!››
Inchiodarono con una frenata da paura, che fece loro fumar le suole. Tutto per non andare a sbattere contro il muro d’inservienti, cameriere, cuochi, giardinieri, animatori, sommeliers e freelances attruppatisi davanti all’ala est. Mancava solo il maggiordomo. Lo cercarono.
E lo trovarono, naturalmente.
‹‹Avrei dovuto saperlo che eri tu a capo della sorveglianza›› disse Olivier, impassibile. Incrociò le braccia.
‹‹Signorini. Siamo spiacenti di dovervi interdire l’accesso all’ala est.››
Il padroncino inarcò le sopracciglia, mentre gli amici interpretavano per lui il ruolo di bravi: accigliati, puri, duri.
‹‹Per quale motivo? Vogliamo soltanto vedere le nostre fidanzate.››
Gianni prese un colorito verdognolo.
‹‹Tieni duro›› gli bisbigliò Sabine, strizzandogli il braccio.
‹‹Siamo desolati, signorino Olivier… i… vostri genitori… hanno al momento… signorino?››
Tutte le persone che facevano muro si chiesero il motivo dell’improvvisa, inedita esitazione. Il maggiordomo era un uomo che non aveva balbettato una volta nella vita. Allungarono il collo… e videro Olivier sogghignare nel modo più cattivo possibile.
Un atteggiamento inedito quanto il balbettio del maggiordomo, e molto, molto più inquietante.
Mao rabbrividì.
‹‹Mi sembra di vedere Kiki.››
Rei fece un sorriso irregolare.
Olivier cacciò la mano in tasca. Gli amici lo imitarono, intuendo le sue intenzioni.
‹‹Siamo spiacenti… siamo desolati… è tutto quello che sai dire? Bene, te la dirò io una cosa, venduto al nemico: siete fritti!›› e in un turbinare di stoffa lanciò Unicol, presto seguito da Driger, Galux, Amphisphena, Salaman e Dragoon.
L’esercito avversario, conoscendo le capacità di un beyblade e vedendosene arrivare contro un battaglione, squittì.
‹‹State ai vostri posti!›› si affannò il maggiordomo, saltando qua e là per trattenerli. ‹‹Fermi! State a vostri… aaah!››
Amphisphena gli aveva fatto lo sgambetto. Atterrò sui cinque oggetti rotanti, che, invece di fermarsi, aumentarono la loro velocità di rotazione e lo trasportarono via, pelandogli già che c’erano la schiena.
‹‹Grazie infinite!›› gridò Olivier.
Tutti gli furono addosso, ridendo come matti. Sabine riuscì a calciare via gli altri per averlo alla propria mercé. Lo soffocò in un abbraccio, rotolando con lui sul pavimento di marmo. Vederli così dava un’idea di quanto doveva esser stata bella la loro infanzia.
‹‹Ahh, sei stato magnifico fratellino! Magnifique!››
Lui annaspò.
‹‹Cosa mi fate il segno di OK se poi non mi soccorrete da questa ninfomane?›› esclamò, sfiatato ma divertito.
Alla fine, Sabine mollò la presa. E una pendola suonò le otto.
Gianni sbiancò.
‹‹Non ce l’abbiamo fatta! Ora daranno l’annuncio!››
Nel gruppetto si diffuse un agitato brusio.
‹‹No, calmatevi›› fece Olivier. ‹‹E’ quella del terzo corridoio. E’ molto vecchia, zoppica e va sempre avanti di cinque minuti.››
‹‹Ne sei sicuro?››
‹‹Sicurissimo.››
‹‹Ah›› sospirarono gli altri.
Restava il fatto che cinque minuti per controllare venti stanze erano un tempo proibitivo. Decisero perciò di dividersi. Erano in nove. Ad ognuno, due, tre stanze - tranne i principali interessati, che non potevano dividersi per tema di perder l’altro per strada.
‹‹Se vi dividete e uno di noi trova le Racchie, ci vorrà il doppio del tempo per trovarvi. E tenete conto che non possiamo urlare›› spiegò Andrew, ideatore della cosa. ‹‹E ora, muoviamoci!››
‹‹Sì!››
Lui, Sabine e Max cominciarono a cercare in quel corridoio, mentre gli altri correvano avanti, disperdendosi alle varie diramazioni. Gianni e Olivier puntarono all’ultimo andito, il più lontano, dalla vista più bella e dove, più probabilmente, avrebbero trovato le von Fuchs.
Mao aguzzò le orecchie, facendo ricorso a tutti gli anni d’allenamento passati al villaggio. Quella casa non le piaceva. Un po’ come il maniero di Ralf, anche se le ragioni erano differenti: quello era lugubre e medioevale, la villa rococò invece aveva lo stesso odore d’una tana di serpenti.
Non certo per Olivier né tanto meno per Sabine, bensì per coloro che li circondavano (ed erano tanti).
Deglutì. Le era capitato un corridoio poco illuminato. Strinse Galux, desiderando che fosse la mano di Rei. Le sue sopracciglia s’incrociarono.
Ah, andiamo. Sembro una fanciulla in difficoltà? No. La sono? Anche meno. Bene, e allora devo piantarla di appiccicarmi a Rei ogni volta che posso. Pure se, a dire la verità, non è poi tanto male…
Prese un bel respiro, accostò la prima porta e ascoltò. Dall’interno non proveniva alcun rumore.
Aprì. Sì. Come pensava, era una perfetta, negletta stanza per gli ospiti. Richiuse e passò alla seconda.
Continuò così fino all’ultima, una porta strana - sinceramente non sembrava neanche vera; finché non l’ebbe toccata la credette un affresco. Mah. Ormai entrata in un circolo di routine, girò la maniglia senza timore.
Non avrebbe dovuto farlo.
Una strana folata d’aria le scompigliò i capelli. Si fissò i piedi, lentamente. E quando l’ebbe fatto, s’accorse di esser sospesa sul vuoto.
Una botola.
‹‹Uaah!›› strillò, scomparendo.
Subito risuonarono dei passi in corsa.
‹‹…Mao! Cos’è successo?!›› gridò Rei.
Max comparve poco dopo alle sue spalle, arrossato e ansimante.
‹‹Qui non c’è nessuno.››
‹‹Proviamo alle porte!››
E, pirla com’erano, andarono ad aprire proprio l’ultima.
Furono risucchiati in men che non si dica.
‹‹….uaaaah!!›› STHUD.
Furono sputati fuori dopo una corsa da brivido. Atterrarono in blocco, a velocità supersonica, urtando un mucchio di stoviglie. Rei prese una testata micidiale; strisciò via, gemendo, la fronte tra le mani.
E non guardava dove stata andando. Prevedibilmente incappò in qualcosa - morbido, per fortuna. Aprì gli occhi lacrimanti. Un sorriso felino lo accolse.
‹‹Ciao Rei. E’ bello rivederti.››
‹‹…Mao!››
‹‹Mao, stai bene? Rei?›› chiese Max, spolverandosi e guardando intorno.
‹‹Benone.››
‹‹Meglio così. Ma dove siamo finiti? Sembrerebbero…››
‹‹Le cucine›› completò la ragazza. Un ambiente non molto ampio, contro ogni aspettativa, pieno zeppo di stoviglie. Spostò un coccio. ‹‹E pare che abbiate demolito un servizio di gala Wedgwood con filo d’oro.››
Una voce spasimò.
‹‹No! Non è possibile!››
‹‹Chi è?!››
Max, l’unico in piedi, scavalcò i resti del servizio e sollevò il lembo di una tovaglia a fiori, posta su un carrello portavivande. E… sorpresa!
‹‹Andrew! Cosa ci fai lì sotto?››
‹‹E voi cos’avete fatto al servizio che-››
‹‹Shht!›› esclamò una seconda voce, allarmata. ‹‹State tutti giù! Infilatevi in quei carrelli!››
Rei, Max e Mao fecero come la voce aveva ordinato, strisciando nel vano dei portavivande. Sapeva un po’ di film già visto - ma non c’era tempo per sottilizzare.
Un passo elefantino scrollò fornelli, lampade, pavimento, tutto insomma. Max si aggrappò ai lembi della tovaglia, strizzando gli occhi per la fifa.
‹‹Noo, il terremoto noo!›› frignò.
La porta a due ante si aprì, cigolando.
‹‹…tous les jours io sono qui a piegarmi la schiena sugli antipasti, sur les plâtes prelibati, e loro niente, neanche un piccolo, misero riconosciiiiiiieh!››
Non è difficile immaginare cosa avesse causato lo shock del povero cuoco. Rei sollevò un millimetro della tovaglietta, ben attento a non farsi notare. Non si trattava di un’operazione troppo ostica: poche calamità naturali avrebbero distolto l’omaccione dal servizio incidentato.
‹‹Buhuhuuu et maintenant qu’est-ce que je dois faire?! Qu’est-ce que je dois faire?! Ils me tueront, ils me tueront sans pitié!››
Gli infiltrati si guardarono, sentendosi un po’ in colpa. Cioè, Max e Mao si sentirono in colpa, perché non avevano il bernoccolo di Rei. Il cinese si massaggiò il punto dolorante, dispiaciuto di non poter incontrare anche il servizio da the (non sapendo che a quello ci aveva già pensato Gianni tempo prima).
Le otto suonarono e passarono come un lampo, mentre il cuoco seguitava a lagnarsi e loro potevano solo sperare che Gianni e Olivier ce l’avessero fatta da soli. Quando si dice lupus in fabula. Non appena l’uomo fu uscito per riesumare il vecchio servizio, una seconda botola si spalancò nel soffitto.
Gianni e Olivier precipitarono da quella botola, sfondando il carrello dell’avvertimento.
Takao uscì urlando.
‹‹La schienaaaa!››
Arrancò via, piegato. I due fecero tanto d’occhi, alzandosi immediatamente. Poi il secondo si accigliò.
‹‹Oh-oh.››
‹‹Te l’avevo detto di non toccare niente! Parbleu! C’eravamo! E ora? Le otto sono già suonate! Non riusciremo mai ad avere un colloquio con loro, e i nostri genitori annunceranno quel che tutti ormai si aspettano!››
‹‹E cioè il vostro fidanzamento›› completò Mao, sollevando la tovaglia che copriva il suo carrello. Dagli altri fecero capolino Andrew, Max e Rei, che si limitò a rollare avanti.
‹‹Certainement!›› rispose Olivier pestando i piedi. ‹‹C’eravamo. C’eravamo! Sabine le aveva trovate! E per colpa di quest’italien… grr… Merde. Merde, à tout le monde!›› e giù sproloqui.
Chi capiva - e anche chi non capiva - spalancò tanto d’occhi. Olivier si era trasformato in una piccola furia.
Gianni si sbatté una mano in faccia.
‹‹Sapevo che prima o poi l’avrebbe detto.››
‹‹Detto cosa?››
‹‹Quella parola. Merde. E’ un modo d’intercalare, in francese. Da piccolo lo usava almeno una volta per frase.››
‹‹Davvero?›› sghignazzò Andrew. ‹‹…hey, sentite. Ho un’idea.››
L’italiano gliela lesse in faccia, e sorrise.
‹‹Giusto! Possiamo ancora farcela!››
Olivier smise di bestemmiare per guardarli.
‹‹Fare cosa?›› domandò, tirando su col naso. ‹‹Ormai è tutto inutile. Saranno già accomodate a tavola. Non possiamo strapparle al…››
‹‹Conoscendo Sabine, starà tentando di tutto per trattenerle in camera. Riuscendoci. E noi abbiamo un asso nella manica.››
Tutti lo fissarono. La scena era un po’ comica, visto che i tre quarti dei presenti, lui compreso, erano raggrinziti nei carrelli. Il ragazzo guardò su.
‹‹Proprio questi carrelli.››
‹‹Eh?››
‹‹Usciremo dalla cucina su questi carrelli e, quando passeremo nel salone principale…››
‹‹Zack! Infileremo l’ala est!›› esclamò Gianni, gesticolando per dare più forza al discorso.
‹‹Ma non ci sono abbastanza carrelli›› intervenne Mao.
Rei scivolò fuori del nascondiglio con agilità.
‹‹Rei, che fai?››
‹‹Non c’è bisogno che andiamo tutti. Quel che conta è che siano Gianni e Olivier ad arrivarci. Uno di noi potrà seguirli per fare da diversivo, qualora ce ne fosse bisogno; ma uno soltanto.››
‹‹It’s true›› concordò Max, imitandolo. ‹‹Noi non siamo cercati. O meglio, non lo eravamo, adesso non so. Ad ogni modo non abbiamo fatto niente d’illegale aiutandovi, possiamo agire indisturbati.››
Olivier si morse un labbro.
‹‹Sì, ma…››
‹‹Non c’è tempo.››
‹‹Shht! Arriva qualcuno›› avvertì Mao. Tutti corsero a nascondersi dove potevano (cioè nel forno e nella cella frigorifera) scivolando e prendendo storte. Gianni sbirciò fuori.
‹‹Sono i camerieri.››
‹‹Benone.››
‹‹Chi va con loro?››
‹‹Vado io›› fece Andrew, ficcandosi sotto un carrello.
Poi la cucina fu invasa dal più perfetto silenzio. I camerieri entrarono e presero a caricare le vivande. Sentirono anche la voce - e i passi - del cuoco, che sproloquiava; dovevano avergli fatto una lavata di testa coi fiocchi.
Poi i carrelli furono condotti fuori e il cuoco fece fiammate pazze ai fornelli, terrorizzando Takao. Per fortuna sua non lo vide uscire dal forno, perché altrimenti chissà che altro sarebbe successo. Si ritrovarono tutti fuori, ansimanti.
Rei, Mao e Max sembravano delle cozze.
‹‹Non fatemi mai più venire in Francia!›› sibilò Takao, furioso. ‹‹Guai a chi le prossime vacanze nomina la Francia!››
‹‹O l’Europa.››
‹‹Sp-speriamo soltant-t-to che c-ce la f-facciano›› rispose Rei battendo i denti.
Max gemette, due lacrime congelate sulla faccia.
‹‹Mammina.››
Intanto sui carrelli, o meglio, sotto i carrelli, tre nostre conoscenze stavano facendo due rapidi calcoli.
Dunque, se aspettiamo due curve a destra e poi una a sinistra…
Quando si arriva al salone i suoni sono molto più…
Andando a passo da Olivier, il percorso salone-cucina è di cinque minuti, ma a passo di cameriere sarà…
Tuttavia i cinque minuti passarono, le curve si succedettero tutte uguali e, per quanto tendessero le orecchie, i suoni parevano privi di una qualunque caratteristica. Finalmente Gianni azzardò una sbirciata.
‹‹Che cavolo di posto è questo?!›› esclamò, facendo uso del linguaggio muto.
Andrew inarcò le sopracciglia, perso. Olivier invece digrignò i denti.
‹‹Lo sapevo. Lo sapevo.››
‹‹Che cosa?›› gesticolarono loro, annoiati.
‹‹Usano un percorso differente! La festa è in giardino, non gli conviene passare dal salone!››
Andrew parve particolarmente sarcastico nella sua risposta.
‹‹Senti un po’, ma com’è che tu sai sempre tutto solo alla fine?›› accennò, esagerando volgarmente i gesti. Il francese non lo considerò neanche di striscio. La sua memoria già lavorava.
Prendendoli alla sprovvista, mentre il suo cameriere aspettava di potersi immettere in un passaggio più stretto, scivolò via dal nascondiglio. Lo imitarono subito. Andrew fu tirato nell’ombra appena in tempo.
‹‹Grazie, Gianni.››
‹‹Non c’è di che. Dillo piuttosto a Monsieur Je-Sais-Tout.››
Olivier si passò una manina nei capelli, sudato.
‹‹Senti, Gianni, non volevo offenderti prima. Siamo solo tutti un po’ tesi, ok? Perciò ti prego, non farmi il verso nella mia lingua. Lo sai che lo detesto. E poi non abbiamo tempo per bisticciare.››
L’altro annuì seccamente.
Il ragazzino li condusse giù per delle scale, buie e fresche. Forse stavano scendendo in cantina.
Come aveva immaginato, ecco la cantina. Olivier premette un antiquato interruttore e una lampadina s’illuminò. Era una zona diversa da quella che avevano visto uscendo dal passaggio di due settimane prima. Sembrava molto vecchia. Forse risaliva al secolo di costruzione. C’erano trofei, grandi involucri misteriosi e persino qualche moschetto arrugginito.
Attraversando quella porta sul passato giunsero ad un’altra.
La varcarono.
‹‹Ah, ecco. Questa è la cantina che conosco›› esclamò Gianni, un po’ sarcastico.
Andrew scrutò il soffitto, il pavimento piastrellato e la grande lavatrice circondata di canestri.
‹‹Sì, ma che ci siamo venuti a fare fin qui?››
‹‹Questa è la lavanderia.››
‹‹E ben? Vuoi affogarci?››
Olivier corrugò la fronte.
‹‹Spiritoso. Se pensassi prima di parlare, capiresti che in ogni lavanderia che si rispetti c’è una cosa che ci tornerà ora molto utile.››
‹‹Il montacarichi.››
‹‹Vedi che lo sapevi?››
L’italiano ficcò le mani nelle tasche posteriori, fissando con ostilità il montacarichi.
‹‹Speravo non fosse vero.››
‹‹Già, tu soffri di claustrofobia›› ricordò Andrew.
‹‹Un pugno al primo che ride.››
‹‹Io non ho affatto riso!››
‹‹Ma hai la coda di quaglia.››
‹‹Di che?››
‹‹Di paglia, imbecille!››
Andrew incrociò le braccia sul petto, contrariato.
‹‹Non dar dell’imbecille a me, se sei dislessico.››
Olivier intanto sospirando aveva richiamato il piccolo ascensore. Piccolo. Un po’ più grande e sarebbe stato un ascensore per persone.
‹‹Non temere. E’ velocissimo.››
Gianni emise un gemito.
‹‹E io ho già la nausea.››
‹‹Oh, ma che pitigno! Quando avrà finito di lamentarsi, Andrew, ficcalo qua dentro›› rimbeccò il francese, già accomodato sul montacarichi. Era un vano quadrato grigio ferro. ‹‹Ci vediamo di sopra!››
E sparì.
Gianni diede un calcio ad un canestro.
‹‹Già, facile per lui, che ha ancora dimensioni e cervello di un bambino.››
‹‹Dai, non esagerare.››
Si guardarono e sorrisero come due gatti.
‹‹Mica può crescere!›› recitarono, sghignazzando.
Quando furono su e Gianni ebbe riacquistato l’uso degli arti inferiori, Olivier li incalzò per qualche dove, schizzando con la velocità di un folletto. Le pendole, ben udibili anche dalla loro posizione, battevano le otto e mezza.
Andrew scrutò questo nuovo scenario e attirò l’attenzione dell’amico, galoppando al suo fianco.
‹‹Non mi sembra che abbiamo migliorato di molto la nostra situazione›› ansimò, schivando una ragnatela a baldacchino, ‹‹Se quella di prima era la cantina, questa cos’è?››
‹‹La soffitta›› rispose Gianni. ‹‹La riconosco dalle finestre. Rimangono sempre chiuse perché su questo lato non servono, e poi sono tutte scrostate.››
Visto che Olivier era concentrato, l’inglese martellò lui di domande.
Deus gratias, ringraziò il francese.
‹‹Ci sei già stato allora?››
‹‹Sì. Ci giocavamo spesso da bambini, io, Vier e Sabine.››
‹‹E qual era l’attrazione principale?››
Il ragazzo aprì la bocca, ma non ne uscì suono. Improvvisamente era diventato pallido.
‹‹Oh noo…››
Andrew parve in apprensione.
‹‹Non dirmi che c’è un altro scivolo.››
‹‹Buuu…››
L’inglese deglutì, cercando di mantenere intatte le apparenze. Una gocciolina di sudore gli colò per la guancia.
‹‹Comunque non capisco a cosa serva un montacarichi qua sopra. Il posto sembra inutilizzato da anni.››
‹‹Sembra›› affermò Olivier. ‹‹Molte stanze sono ancora vuote. Il montacarichi lo utilizzano per portar su roba vecchia che si vuole tenere.››
‹‹Capisco.››
Scrutarono intorno. Solo allora capirono di essersi fermati. Erano nel bel mezzo di un corridoio polveroso, scuro e annerito dagli anni, con le pareti di mattoni granitici.
‹‹Non sapessi altrimenti, direi che siamo da Ralf.››
Olivier sogghignò. Non nascondeva che ci godeva un po’ a ripagar le battute salaci di Gianni ed Andrew con i trabocchetti della sua villa. Raggiunse la parete, la spinse e quella scivolò via, rivelando l’ennesimo buco nero.
Solo che stavolta…
Gianni prese un’aria malata.
‹‹E’… è ripidissimo›› constatò Andrew, ormai pressoché nelle stesse condizioni.
‹‹Già. Ma se ho fatto bene i miei calcoliiiiiiiiiiiiiiih!›› il grido di Olivier si perse nel buio. Gianni ansimò, la mano ancora protesa.
‹‹Gli venissero ai reni, i calcoli›› augurò. ‹‹Quando tutto questo sarà finito, se non sarò finito prima io, ci scommetto la casa che dovrò farmi mettere un pace-maker!››
Andrew sorrise, divertito. Ma da sotto Olivier mandava fulmini e bisognava seguirlo. Gianni impallidì, sedendosi all’entrata dello scivolo.
‹‹Oh beh›› sospirò. ‹‹Via il dente, via il dolore. Se non mi butto non saprò mai come andrà a finire›› poi strinse i denti e si spinse.
‹‹E che vadano tutti all’infernoooooh!›› minacciò l’eco.
Andrew rimase lì con le mani nelle tasche, masticando qualcosa.
‹‹Ma tu guardali.››
Si tolse di bocca il ciuffo ribelle, lo risistemò nella fascia e fece dietrofront, diretto comodamente al montacarichi.
‹‹Un vero peccato che non abbiano bisogno di me.››
…
……
‹‹…››
‹‹…anni… anni!››
Anni? Che voleva dire? Ah, sì. Adesso aveva capito: era morto da anni e ora sarebbe tornato indietro sulla terra, come succedeva nei film - dove il protagonista rimaneva asfaltato da un’auto e tornava fra i vivi in forma d’angelo. Ma non gli sembrava di esser stato investito. Non ricordava molto, ma di quello era sicuro.
Cercò di muoversi.
Lentamente i suoni tornarono a martellargli il cervello.
‹‹Gianni! Gianni!››
Adesso c’era qualcuno che lo chiamava. Flap flap. E lo stava sventolando con qualcosa.
Allora era semplicemente svenuto.
‹‹Gianni, per l’amor del cielo, rispondi!››
Mosse un dito, poi la mano. Finalmente sentì che la nebbia abbandonava la sua testa, lasciandola chiara e pronta. Sollevò le palpebre. Le iridi azzurre si contrassero, regolando l’entrata della luce.
Riconobbe i contorni di un viso.
‹‹Chi sei?›› chiese, allungando una mano. Toccò un naso e due guance rotondette.
‹‹Come, chi sono?››
‹‹Vedo… vedo sfocato.››
‹‹Passerà.››
E aveva ragione. Presto la vista tornò normale. Gianni strinse gli occhi per inquadrare un Olivier visibilmente sollevato.
‹‹Meno male. Stavo morendo di preoccupazione. Sembravi stecchito!›› l’italiano fece le corna, ‹‹ma fortunatamente stai benone.››
‹‹Benone proprio non direi. Ma… dove ci troviamo.››
E a quella, il sorriso di Olivier divenne trionfante.
Tre sagome imponenti oscurarono la luce dei lampadari. Una larghissima, l’altra tutta fronzoli, l’ultima piegata. Gli occhi di Gianni schizzarono fuori delle orbite.
‹‹Ma guardali!››
‹‹Non sono teneri?››
‹‹E innocenti, sì! E noi proteggeremo il loro amore!››
Il ragazzo fissò Olivier, che, rosso di vergogna, abbozzò un sorriso di scusa.
Non ci volle molto a capire.
‹‹No… perché questo!›› e svenne di nuovo.
(continua)
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