Chi ha detto che mi voglio sposare?! - cap. IV, parte prima

Aug 20, 2007 20:21



IV

“Accordi e decisioni”

L’alba era tersa. Grandi nuvole scivolavano lungo i fianchi delle montagne, brumose, innevate, mentre in lontananza echeggiavano i campanacci delle mucche. Un vento gelido tirava dai ghiacciai, increspando le acque di un laghetto artificiale.

Una lancia bianca entrò in quelle acque, abbandonando il fiume emissario.

‹‹Che freddo›› lamentò un ragazzo, stringendosi nel piumino grigio perla.

‹‹E’ naturale che faccia freddo, Vier. Siamo quasi a duemila metri di altitudine. Qui di notte si ghiaccia.››

‹‹A me sembra che si ghiacci anche adesso›› commentò un altro.

‹‹Gianni, tu geleresti in collina.››

Il biondo corrugò la fronte.

‹‹Adesso non ricominciate›› s’affrettò a dire Olivier. ‹‹Abbiamo altro cui pensare. Dobbiamo raggiungere il ritiro di Ralf.››

‹‹Chissà dov’è›› mormorò Andrew, scrutando i dintorni. ‹‹Io vedo soltanto scoscendimenti, rocce e neve. Non sarà mica un igloo?››

‹‹Spiritoso. Piuttosto, sarà dentro una montagna. Sai che quando si tratta di queste cose Ralf non bada a spese.››

‹‹Anche quando si tratta di beyblade-stadi.››

‹‹Per fortuna!››

E risero.

La piccola nave accostava la riva col delicato fluttuare di una colomba; appostato sul molo, un pastore vestito di pelli aspettava la corda. Un marinaio gliela gettò e lui l’annodò ad una logora trave di legno.

Gianni impallidì.

‹‹Sono l’unico ad aver l’impressione che stiamo per uscire dal mondo civilizzato?››

Olivier si strinse maggiormente nel piumino, mentre due uomini attrezzati per il trekking conducevano tre muli.

‹‹Sob… Parigi!››

‹‹Quanto mi manca la civilisation française in questo momento›› gemette più tardi. Strinse i denti, poiché il mulo, sotto il lui, aveva preso un’altra sbandata.

Salivano una mulattiera, abbarbicata sulle pareti di una gola, e cadere sarebbe stato davvero spiacevole. Dietro di lui Gianni abbracciava il povero mulo, rifiutando di muoversi, di guardare, di respirare.

‹‹A me manca una civiltà qualunque›› rispose Andrew, passando due o tre volte le briglie intorno alle nocche. ‹‹Mi chiedo cosa abbia pensato Ralf quando ci ha mandato qui.››

‹‹Lo stesso che ha pensato mandandoci in giro per le sue segrete.››

‹‹Probabilmente hai ragione.››

Proseguirono, oltrepassando curve tortuose. Erano molto in alto, adesso. L’aria rarefatta bruciava i loro polmoni, ma dava al contempo un’euforica sensazione di purezza. E il panorama era mozzafiato.

‹‹Guardate›› mormorò Olivier. ‹‹Quella è la Svizzera.››

I muli rallentarono.

Ai piedi del sentiero, ora regolare, si stendeva una terra di monti le cui cime bucavano la bruma del mattino. Non videro città, neanche in lontananza. Quello era il regno della natura; selvaggia come le lussureggianti foreste pluviali, anche se l’esatto opposto, la montagna presentava loro il pianeta come doveva esser apparso agli occhi dei primi uomini che avevano calcato la terra.

Trattennero il fiato. Lì, anche il silenzio prendeva vita.

Un’aquila lanciò il suo grido orgoglioso, sorvolando il territorio per poi perdersi fra le nuvole.

‹‹E’ magnifica›› sussurrò Gianni.

E la era. Avrebbero potuto perdersi all’orizzonte, senza mai stancarsi, coprendo qualunque distanza con lo sguardo.

Ma era questo che aveva smarrito tanti scalatori, tanti avventurieri incauti. La natura può essere bella quanto letale. Una delle guide lo trattenne appena in tempo - Gianni abbassò lo sguardo per trovare il proprio piede sospeso sul vuoto.

‹‹Cavolo›› deglutì.

Era sceso dal mulo senza neanche accorgersene. Vide che Olivier era nelle sue stesse condizioni. Andrew, il meno sensibile dei tre alla bellezza, scese per comodità.

‹‹Continuiamo a piedi. Sono stufo di farmi venire il mal di schiena su una sella. Tanto vale che me lo faccia venire sgranchendomi le gambe.››

Gli amici annuirono e, mentre attendevano che le guide proseguissero, diedero al pastore la briglia dei tre muli.

‹‹E poi›› brontolò Gianni quando ebbero messo tra loro e le bestie una certa distanza, ‹‹non mi andava tanto a genio dover affidare la mia pelle a un mulo.››

Olivier andò avanti.

‹‹Poverini. Sono loro che dovrebbero lamentarsi. E’ una cosa crudele sfruttarli in questo modo.››

Andrew inarcò le sopracciglia.

‹‹Da quando sei animalista?››

‹‹Da sempre.›› Adesso avevano ripreso ad arrampicarsi. ‹‹L’anno scorso ho pure fondato un’associazione contro le crudeltà e lo sfruttamento degli animali. C’eravate anche voi all’inaugurazione.››

‹‹Ah, allora era a favore degli animali?›› saltò su Gianni.

‹‹Come al solito tu vieni solo per mangiare›› brontolò l’altro, scoccandogli un’occhiata. L’italiano e l’inglese aspettarono che fosse salito sul roccione, un bruttissimo punto in cui una frana ostruiva il sentiero, per mettere in parole la loro domanda.

‹‹Toglimi una curiosità, allora. Non sei tu quello che sfrutta Unicol in battaglia?››

Il ragazzino si voltò di scatto, risentito.

‹‹Io e Unicol siamo amici. Lui mi aiuta perché vuole, non perché costretto!››

E se ne andò, a testa alta, senza degnarsi di rispondere ai loro richiami. I due si guardarono, perplessi.

‹‹Ma che gli è preso?››

‹‹Forse gli avrebbe fatto piacere sentire che sapevamo per cos’era il ricevimento dell’anno scorso.››

Gianni cercò un appiglio per salire.

‹‹Sarà. Io però sui bit-beast sentivo un’altra storia da lui, due anni fa.››

Eran rimasti parecchio indietro. Quando raggiunsero il gruppo principale erano ormai al famoso ritiro - solo che non lo sapevano.

Ai piedi dell’ultima salita si presero una pausa.

Il sentiero s’era arrampicato, imperterrito, per centinaia di metri; ora, dopo quella salita, sembrava dover finire in aria. Sì, in aria. La stessa sensazione che avrebbe dato fare uno scivolo al contrario: oltre la sommità di uno scivolo pare esserci soltanto il cielo.

Fiancheggiavano lo stretto passaggio arbusti, muschi e licheni, e un vento gelido rotolava giù da quella cascata asciutta. I ragazzi si domandarono quanto ancora sarebbe durato il viaggio… e dove fosse la meta.

Una volta in cima, levando lo sguardo dalle loro ginocchia, ebbero la risposta.

‹‹Wow…››

Ai loro piedi, la montagna aguzza digradava in un alpeggio, verde, brillante e riparato dalla conformazione rocciosa. Tutto era giovane e fresco. Respirarono due profonde boccate d’aria. Ce n’era bisogno: la vista del “rifugio” infatti fece schizzar fuori delle orbite più d’un paio d’occhi.

‹‹Quello - quello è il ritiro attrezzatissimo di Ralf?!›› gracidò Gianni, rischiando di strozzarsi nel processo.

Andrew non disse nulla. Credeva di essersi spezzato un paio di costole nel tentativo di non ridere. Si godette la reazione dell’amico, mentre Olivier, ormai nel prato, restava immobile come una statua. Il ritiro di Ralf non era altro che una vecchia malga, screpolata dalla neve, dal vento e dal ghiaccio; i tronchi pieni di fiori non riuscivano a nascondere la decadenza generale.

‹‹Ma è una catapecchia!›› gemette il francese.

‹‹Beh, una cosa è sicura: nessuno verrà mai a cercarci qui›› osservò Andrew.

‹‹Come fai a essere così calmo?›› intervenne Gianni, scendendo con lui. ‹‹Metti che frani qualcosa o… o più probabilmente che il tetto ci crolli in testa mentre dormiamo!››

Il ragazzo si coprì le tempie.

‹‹Shh, shh, shht. Quanto siete rumorosi. Via, calmatevi. Non avevo mai notato il grado di fastidio che potete rappresentare quando siete agitati. Che cavolo, datevi un pronto!››

Gianni e Olivier, già abbastanza seccati dalla sorpresa, presero quella frase come una dichiarazione di guerra.

‹‹Ah sì?! Beh, senti un po’ qui. C’è una notizia importante: Andrew McGregor non è a capo del gruppo. Nessuno è il capo! Qui si gioca alla parità di diritti!››

‹‹Vogliamo solo lamentarci in santa pace. Dannazione, io odio questa vita. Voglio tornare nella mia villa, con le mie comodità e le mie belle ragazze!››

‹‹Uh, ma come siete pitigni›› commentò una voce, strappandoli al diverbio. ‹‹Andrew ha ragione, siete fastidiosi. Però anche lui lo è!››

Una ragazza era uscita dalla malga, e adesso rideva. Tutti la fissarono, sorpresi. Non molto alta, lasciava indovinare sotto il cappotto un corpo slanciato, e i suoi capelli erano fulvi, mentre le guance tempestate di lentiggini. Una satira delle montagne.

Andrew si raddrizzò.

‹‹Laurie›› disse soltanto.

Lei sorrise.

‹‹Beh? Non mi saluti, vecchio?››

‹‹Certo, ma… che ci fai qui?››

‹‹La conosci?›› fece Olivier.

La bocca di Gianni era piegata in una smorfia.

‹‹Certo che la conosce. E’ la sua unica amica d’infanzia›› rispose, come se averne una sola fosse un crimine.

Andrew sogghignò. Si sarebbe divertito, lo sentiva.

‹‹Gianni ha già avuto modo di conoscerla l’estate scorsa: Laurie Walsingham, discendente diretta del consigliere di Elisabeth I Tudor. Ah, Laurie, loro sono Olivier Boringer - e Gianni, naturalmente.››

‹‹Certo›› ridacchiò lei. ‹‹Piacere.››

‹‹Enchanté›› fece Olivier, inespressivo.

Doveva ancora digerire la sorpresa. Dal canto suo, la nuova arrivata adocchiò l’italiano del gruppo che, contrariamente al suo solito, non tentava avances di sorta.

‹‹Beh? Non si saluta una signorina?››

Lui s’illuminò e corse a baciarle la mano.

‹‹Enchaantee.››

Lei scoppiò in una nuova, chiassosa risata e, tra un eccesso e l’altro, esclamò: ‹‹Chicchiricchii!››

Il ragazzo si ritirò, confuso.

‹‹Voleva dire che sei un galletto spaccone›› spiegò Olivier, accennando un inchino galante. Stavolta Laurie non rise - beh, non più di quello che stava facendo - e gli strinse la mano. Era davvero carina. Un po’ selvaggia, però.

Gianni piantò le mani sui fianchi, contrariato. Quella pollastra riusciva sempre a ridicolizzarlo.

‹‹Va bene, va bene, tutto questo è molto educato›› s’intromise Andrew. ‹‹Ma vuoi spiegarci perché sei qui? Credevo che nessuno dovesse conoscere questo posto.››

‹‹E’ questa la cosa curiosa. Ieri mattina ho ricevuto un espresso di Ralf che mi diceva di prendere l’elicottero - elicottero poi atterrato direttamente nel mio giardino. Non han detto dove volevano portarmi. Poi son salita su un mulo… ed eccomi qui. Ignoro la provincia. Lo stato, forse, è la Svizzera.››

‹‹Sì, lo è.››

‹‹Quindi conosci anche Ralf›› osservò Olivier.

La ragazza annuì.

‹‹E tu l’hai fatto?›› esclamò Gianni, preso contropiede. ‹‹Cioè, spunta questo tizio che ti ordina di seguirlo senza fare domande e potrebbe anche semplicemente sfruttare il nome di un amico… e tu lo segui? Così, bon, basta?››

‹‹Certo che no. Aveva un biglietto col sigillo personale di Ralf. Nessuno potrebbe falsificare una cosa del genere.››

‹‹Ma la ragione? Ti ha detto perché dovevi partire?››

Laurie guardò l’amico d’infanzia.

‹‹Beh… mi ha scritto che Andrew aveva bisogno di consigli›› poi sogghignò. ‹‹Rimanga fra noi, se mi avesse detto che aveva preso una decisione da solo, sarei svenuta sul posto.››

Ah, che linguetta pungente.

Con quel complimento se li tirò in casa, seguita da un Andrew risentito. Una nuova sorpresa attendeva i fuggitivi: la malga, tanto trascurata di fuori, possedeva interni degni del St. Moritz Kulm Hotel. A vederla da quella prospettiva non sembrava più così malferma. Fecero colazione a sorsi di cioccolata, versata dalle abili mani di Laurie in boccali di birra.

‹‹…e questo è l’ultima nostra disavventura›› disse Olivier, concludendo il riassunto dei tre giorni di fuga.

Laurie abbozzò una risata, incredula.

‹‹Mi state prendendo in giro.››

‹‹E’ tutto assolutamente vero invece›› rispose Gianni. ‹‹Anche se, probabilmente, l’horror non finisce qui. Stasera contatteremo le nostre famiglie per stipulare l’accordo.››

‹‹Per scaramanzia diciamo proporlo…››

‹‹Già, già. Se ne vedranno delle belle.››

‹‹Ma allora›› saltò su la ragazza, ‹‹se avete già in mente che cosa fare, perché Ralf mi ha mandata qui?››

La domanda cadde nel silenzio. Poi balzò in piedi e prese la caraffa ormai vuota.

‹‹Qualcuno vuole altra cioccolata?›› chiese, giuliva.

Gianni e Olivier levarono i boccali in segno affermativo. Andrew, invece, migrò in direzione dell’attrezzatura tecnologica, lasciandola senza risposta. Evidentemente non ne voleva. Laurie prese il suo boccale per lavarlo.

Entrò nella piccola, calda cucina mentre il soggiorno mandava lo scoppiettio del fuoco, stuzzicato dai ragazzi. Li sentì parlottare, ridere e gridare. Sembravano una scolaresca in gita.

Posò il boccale nel lavello. Poi frugò nella credenza e ne estrasse tre pacchetti di cioccolato; dal frigorifero invece uscì un bricco di latte, pieno a metà. Con tutto quello s’apprestò ad allungare il cioccolato, una volta sufficientemente sciolto, per renderlo bevibile.

Aspettò in piedi davanti al fornello, il bricco in mano.

Si ritrovò a pensare.

Perché Ralf l’aveva fatta venire in quel posto? Una volta tanto Andrew non aveva bisogno di consigli. Davvero. Ralf stesso aveva dato quello che intendevano seguire, perciò non poteva usar la scusa di non sapere. I suoi occhi divennero tristi.

In quel momento Andrew si tuffava di schiena sul divano, un bel mobile di legno equipaggiato d’enormi cuscini marroni. Un telefono tra l’orecchio e la spalla, scrutò il soffitto di travi, in attesa che all’altro capo rispondessero. La fronte era corrugata per la concentrazione.

Quando risuonò un click, sorrise.

‹‹Ralf?››

‹‹Andrew? Siete arrivati?››

‹‹Naturalmente. L’hai messo a posto alla grande, il ritiro. Avresti dovuto vedere le loro facce quando siamo arrivati. Volevano mettersi a piangere.››

‹‹E gliel’hai detto che tu c’eri già stato?››

Il ragazzo fece una smorfia.

‹‹No… e preferirei non doverlo fare. L’atmosfera è stata un po’ tesa negli ultimi tempi, tra fughe e arrampicate.››

‹‹Certo.››

‹‹Ralf?››

‹‹Ti ascolto.››

‹‹Perché Laurie è qui?››

All’altro capo ci fu una pausa.

‹‹Ho pensato che potessi volere un supporto morale.››

‹‹Grazie, al mio supporto morale ci penso io.››

‹‹Non sei mai stato capace di mentire.››

‹‹Come fai a dirlo? Ci conosciamo sì e no da due anni!››

‹‹Non c’è bisogno di conoscere una persona da una vita per capirla. E poi, tu sei abbastanza trasparente.››

‹‹Grazie ancora. Ma perché Laurie?››

Un’altra pausa.

‹‹Credo che potrà esserti molto utile. Fidati. Mi ringrazierai. Io ho un sesto senso per queste cose.››

‹‹Hey… hey! Non osare riattaccare con questo criptico commento! Secondo me tu sai qualcosa, e stai cercando di nasconderlo.››

‹‹Mh… sì, può darsi. Ma ora devo proprio riattaccare. Probabilmente vi richiamerò più tardi… Mantenete la parola, d’accordo? Telefonate col satellite ai vostri genitori.››

‹‹Nh…››

‹‹Ciao.››

E la comunicazione s’interruppe, lasciandolo più insoddisfatto e inviperito di prima.

‹‹Chi era?›› domandò Olivier, saltellando fino allo schienale. ‹‹Ralf? Lo immaginavo. Non ha detto granché, vero? Immaginavo anche questo.››

Attraverso la portafinestra videro Gianni parlare con Laurie, che rideva senza freno… chissà se per le sue barzellette o per il semplice fatto di averlo davanti.

‹‹Stai tranquillo, per Gianni è naturale come respirare. Non ha mai intenzioni serie.››

‹‹Uh?›› fece l’altro, staccando gli occhi dalla scena. ‹‹Che stai dicendo? Cosa vuoi che m’importi se le fa la corte? Con Laurie neanche funziona.››

‹‹Beh›› rispose Olivier, cauto ‹‹dal momento che è la tua migliore amica, penso che ognuno si aspetti che ti preoccupi per lei…››

Andrew emise uno sbuffo.

‹‹No, la fase paranoica l’ho superata a nove anni.››

Poi si mise comodo, con tutta l’intenzione di riposare. L’amico capì l’antifona e girò sui tacchi, acchiappando il piumino dall’appendiabiti.

‹‹Noi usciamo a fare una passeggiata›› mormorò, senza aspettare risposta. Non la ottenne infatti.

Ma passò molto tempo prima che Andrew prendesse sonno.

chi ha detto che mi voglio sposare, fanfiction, beyblade

Previous post Next post
Up