[Axis Powers Hetalia] Rosario Cuentas - Nunc Dimittis (10/10 - Parte Due)

Dec 05, 2012 00:03





«Così sono andate le cose.»

Arthur appoggiò il lume sul parapetto, meditabondo.

I suoi uomini erano corsi a cambiarsi non appena messo piede sulla nave: si erano ripuliti la tintura dal viso e avevano lanciato le cappe scure per riappropriarsi dei propri abiti, dopodiché avevano ripreso la vita di navigazione come se nulla fosse mai accaduto. Il mare non si limitava ad erodere spiagge e scogli: per vivere secondo le sue regole mutevoli, un uomo doveva adattare il suo cuore ai dettami delle maree, e permettere alle onde di ripulire il suo animo. Non vi era tempo per i compianti, perché l’oceano non permetteva a nessuno di essere più importante di lui, nemmeno ad un compagno caduto.

Antonio era stato il primo ad essere visitato dal medico di bordo, ed era stato sorprendentemente veloce: la cicatrice avrebbe continuato a fargli male per qualche giorno ancora, finché non si fosse totalmente assuefatto al dolore. Il dottore aveva poi controllato Diego, rimproverandolo per aver fatto saltare alcuni punti. Dopo averli ricuciti, si era occupato di Lovino, che si trovava ancora sotto l’occhio clinico del dottore.

Arthur appuntò lo sguardo sulla tomba del cuoco: gli scogli lo fissarono con i loro occhi di roccia, facendo spumeggiare le onde tutto intorno come una maestosa corona biancastra.

«Nicolas… non ti ha detto nulla?»

«Non ha avuto modo. Abbiamo combattuto, quando ci siamo incontrati.»

I due uomini restarono in silenzio qualche secondo, solo il rumore del mare tra di loro.

«Credo che sia stata la conclusione più giusta. Anche se avessimo parlato, non saremmo comunque riusciti a comunicare. È meglio che sia finita in silenzio» sentenziò Antonio.

«Ne sei certo?»

«Sì. Ne sono certo.»

Antonio si girò, in modo da appoggiare i gomiti al parapetto e dare la schiena all’oceano.

«Grazie per il tuo aiuto. Non ce l’avremmo mai fatta, senza di te.»

Arthur si strinse nelle spalle, girando la pipa tra le dita con noncuranza.

«Avevo un debito da estinguere. E credo di esserci riuscito, finalmente.»

I due capitani si fissarono, memori del medesimo episodio ed entrambi soddisfatti della conclusione degli eventi.

«È un onore averti a bordo» annunciò Arthur, battendogli una pacca sulla spalla. «Navigatore» gli ricordò, giusto perché Antonio non dimenticasse che su quel veliero avrebbe dovuto obbedire e non essere obbedito.

L’ex-corsaro sorrise per l’acida amicizia dimostrata dal capitano inglese, e non lo trattenne quando questo si avviò verso la propria cabina. Avevano tutti bisogno di riposare: c’erano rotte commerciali da stabilire, scambi da trattare, merci da sistemare. E, soprattutto, un periodo infernale da dimenticare.

La tasca venne alleggerita del suo piccolo tesoro. Gli anni passati come mozzo sulle navi e ladruncolo nei mercati avevano rivelato di nuovo la loro utilità: era riuscito a sfilare l’anello dal dito dell’Inquisitore senza che nessuno se ne accorgesse.

Scrutò il topazio, immerso nei suoi pensieri.

Aveva capito cosa intendesse Nicolas, quando aveva proteso la mano verso di lui. Era colpa sua, solo sua se l’Inquisitore sarebbe finito all’Inferno, non delle barbarie perpetrate dal cacciatore.

Il locandiere poggiò l’anello sul palmo. Si chiese in quale punto della sua vita, esattamente, avesse perso per sempre il suo amico. Era stato l’episodio del fienile? Se non lo avesse mai invitato a saltare, quel giorno, nulla di tutto ciò sarebbe mai accaduto?

Sospirò, chiudendo il gioiello nello scrigno delle sue mani. Aveva capito il motivo dell’ultimo gesto dell’Inquisitore, così come aveva intuito la vera ragione del suo odio. Aveva compreso, ma non aveva avuto pietà: per la cecità di quell’uomo di fronte ai suoi stessi sentimenti aveva perso i suoi genitori, e aveva rischiato di perdere anche Lovino. Se si fosse dimostrato pentito, o se avesse avuto il coraggio si ammettere che anche lui era un peccatore come tutti loro, forse si sarebbe mostrato più clemente nei suoi confronti, e gli avrebbe rivolto una parola di conforto al momento del suo ultimo respiro. Ma così non era stato, perciò aveva permesso che la sua morte trascorresse come l’Inquisitore aveva deciso di passare la sua vita: solo, arroccato nella torre costruita da lui stesso con le sue folli convinzioni, che certamente non avrebbero riscosso l’approvazione di nessun dio.

Riaprì le mani, e il topazio catturò la luce di una stella.

Aveva odiato l’Inquisitore, e aveva permesso che morisse senza alcuna assistenza. Ma per Nicolas, per il suo amico con cui da bambini avevano condiviso i racconti dei viaggi dei suoi genitori, per il ragazzo il cui sorriso non era ancora stato spento dal peso soffocante di una tonaca, aveva ritenuto giusto quell’ultimo rituale.

Portò il monile davanti alla fronte, e dichiarò agli astri notturni:

«In memoria del mio amico Nicolas de Torquemada, morto diciotto anni fa all’età di venti anni.»

La luna regalò un riflesso argenteo all’anello quando questo venne lasciato libero di tuffarsi nelle onde. I flutti si appropriarono del gioiello, ingoiandolo nelle loro profondità buie.

Gli occhi verdi dell’uomo seguirono il monile nel suo inabissamento e si risollevarono poi ad osservare il mausoleo di scogli in cui riposava il suo fedele cuoco.

I suoi occhi erano un deserto di malinconia, asciutti ma roventi di dolore. Batté le ciglia, per scacciare le lacrime che aveva disimparato a versare.

Salutò i defunti con un inchino e mormorò, prima di dileguarsi nella sua cabina:

«Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola.»

Erano anni che le sue labbra pagane non pronunciavano un inno. Ma quello era uno dei momenti in cui perfino un miscredente come lui aveva voglia di pregare, anche solo per rendere omaggio ai morti.

«Che il prossimo mondo sia più indulgente.»

***

La porta della camera cigolò, e Antonio non ebbe nemmeno bisogno di accendere la candela per capire chi fosse entrato.

Tese una mano nel buio, ed una più piccola si appoggiò sul suo palmo, lasciandosi guidare fino al letto.

Antonio rimase fermo mentre il giovane si issava malamente sul giaciglio e su di lui: la stretta fasciatura ed il dolore sordo della ferita sottostante impedivano al ragazzo di muoversi con scioltezza. Furono quelle bende ad essere lambite dal palmo dell’uomo, con delicatezza per non risvegliare la lesione ancora fresca.

«Ti fa male?»

«No» mentì spudoratamente Lovino, afferrandogli il polso per spostargli la mano. Non voleva che Antonio toccasse troppo la fasciatura, oppure si sarebbe accorto dei punti che il medico gli aveva imposto per tenere ferma la ferita. E non voleva che il suo compagno si preoccupasse di nuovo per lui.

Antonio non polemizzò affatto, anzi, spostò rapidamente la mano sul fianco dell’amante, il punto che sfiorava così spesso quando erano in intimità.

«Non avresti dovuto correre un simile rischio» lo rimproverò senza cattiveria.

«Nemmeno tu» reagì Lovino. Batté una potente testata sul petto dell’uomo e brontolò sul suo sterno: «Idiota.»

Il viso del ragazzo si rialzò per scrutarlo in volto, e le iridi ramate assunsero quella loro aria indagatrice e perentoria nel chiedere:

«Ti hanno torturato?»

Antonio fu tentato di mentire, ma una bugia simile non sarebbe mai stata creduta: conoscevano tutti fin troppo bene le procedure dell’Inquisizione.

«Sì» replicò sterilmente.

Il pagliericcio scricchiolò vistosamente a causa delle goffe manovre del ragazzo nel fare leva sulle mani per toccargli con barbara gentilezza la crosta sullo zigomo.

«Tipo questo?» insistette il pescatore.

«No. Questo è… ho fatto arrabbiare l’Inquisitore» capitolò Antonio.

«Sei imprigionato e fai arrabbiare il tuo carnefice? Ma allora sei un cretino integrale!» per vendetta, Lovino picchiettò con la nocca la crosta, ottenendo un mugugno sofferente dal suo amante.

Il peso dell’italiano si scaricò di nuovo contro il suo petto, e Antonio carezzò con affetto la testa imbronciata sprofondata nella sua spalla.

Poi il pescatore formulò la domanda che aleggiava tra di loro da quando si erano separati.

«Perché hai fatto una cosa così stupida?»

L’ex-corsaro non rispose subito. Gli occorse del tempo per abbracciare il suo Lovino, per tranquillizzarlo con il calore del suo corpo e della sua presenza; erano lontani dalla terra dei cacciatori: il mare gli avrebbe protetti e, se non ci fosse riuscito, avrebbero provveduto da soli alla propria sicurezza, come avevano fatto in quella notte. Lo strinse finché non fu sicuro che il fantasma dell’Inquisizione non fosse stato esorcizzato, e finalmente rispose:

«Era la cosa giusta da fare.»

«Era la cosa più stupida da fare! Ti sei consegnato! E ti avevano già catturato una volta!» si alterò Lovino, battendo un pugno irato sulla clavicola del compagno.

«Tu sei più importante.»

«Non dirlo!» il pescatore quasi saltò sul letto, e si sarebbe probabilmente rialzato come un gatto se l’abbraccio dell’amante non gli avesse reso impossibile spostarsi. «Vuoi preoccuparti un po’ più di te stesso? Sto in ansia dalla mattina alla sera, per colpa tua! Devo sempre preoccuparmi che tu non faccia qualcosa di stupido per un presunto pericolo che potrei correre!»

«L’Inquisizione era un pericolo reale…»

«Stai zitto!»

Per quanto Lovino fosse collerico, non era mai arrivato a tanto, pur di essere ascoltato: imbavagliò la bocca dell’uomo con la propria mano, costringendolo al silenzio durante la sua invettiva.

«Hai mai pensato a come mi sarei sentito io, se mi fossi salvato a scapito della tua vita?» lo investì schiaffeggiandolo con tutta l’ansia, tutta la paura che gli avevano straziato le viscere in quei giorni di preparativi. «Credi che sarei stato capace di vivere felice e contento, sapendo che eri morto per proteggermi? È questa la tua idea di amore? Beh, allora fa schifo! Costringere l’altro ad una vita segnata dal senso di colpa… c’è qualcosa che non va nel tuo cervello!»

La voce suonò attutita dalle dita del ragazzo, ma la frase stupida di Antonio fu ugualmente comprensibile:

«Hai detto “amore”?»

«Non capire solo quello che ti fa comodo! E poi ti ho detto di stare zitto!» sberciò il giovane, sull’orlo di una crisi di nervi.

Una pioggia calda cadde sul volto dell’ex-corsaro quando le lacrime che il suo amante stava tanto faticosamente trattenendo eruppero.

«Smettila di trattarmi… come se fossi un oggetto da custodire. Posso difendermi da solo» brontolò, la voce appesantita dal pianto.

Gli occhi del capitano lo fissarono dal basso, ammorbiditi da una tristezza profonda. Non avrebbe mai voluto che il pescatore diventasse un assassino: lo aveva tutelato in tutti i modi perché le sue mani fossero monde da qualsiasi colpa di sangue. Ma non era stato abbastanza attento nel difenderlo. O meglio, aveva sottovalutato la determinazione del ragazzo. Rimpiangeva amaramente di averlo spinto su quella china, e quel rammarico avrebbe strisciato nei suoi polmoni ad ogni respiro, ma capiva con chiarezza che non avrebbe mai potuto fermare il giovane. Uccidere l’Inquisitore era stata una scelta cui Lovino si era votato, ed aveva dimostrato più volte quanto la sua tenacia fosse ferrea: nemmeno la Queen of Pirates era riuscito a trattenerlo, quando aveva deciso di condividere il destino con l’ex-capitano. Lovino si sarebbe comunque vendicato, in nome suo e del suo innamorato, e avrebbe scavalcato anche Antonio, se lo avesse ostacolato.

Si addolorava per quella scelta del giovane, ma comprendeva la sua fermezza. Antonio si era dimostrato ugualmente saldo nelle sue convinzioni quando si era consegnato all’Inquisizione.

«Non fare mai più… una cosa così azzardata» borbogliò Lovino.

Le braccia dell’uomo lo condussero gentilmente ad adagiarsi di nuovo contro di lui, dove venne cullato e vezzeggiato dalle carezze gentili del compagno.

«Mi dispiace» si scusò Antonio.

Sentì il ragazzo agitarsi appena nella sua stretta, per portare la propria mano davanti al viso e fissarla come se la vedesse per la prima volta.

«L’ho ucciso» soffiò, quasi non credesse alle sue stesse parole. L’Inquisitore che li aveva terrorizzati era morto. Per mano sua. Era stato lui a pugnalarlo al fianco, anche se aveva mirato allo stomaco. Era quasi surreale la facilità con cui un uomo poteva essere eliminato, e forse era proprio quello a dare all’Inquisizione il suo enorme potere: al carnefice bastava poco per uccidere la sua vittima, ma il dolore dei suoi cari non si sarebbe mai spento, e sarebbe diventato un deterrente contro futuri attacchi.

Era la memoria il vero potere del terrore.

Antonio trasse un respiro più profondo del solito, che Lovino individuò subito come il fiato che il compagno prendeva sempre prima di cominciare un discorso serio, per cui lo prevenne sul tempo:

«Ha detto che finirò all’Inferno, per questo. Ma non ci credo.»

O meglio, non credeva che sarebbe stato scagliato nel regno di Lucifero per l’uccisione dell’Inquisitore. Ci sarebbe finito perché era un sodomita, come i preti amavano additare le persone che, come lui, preferivano amare un uomo che fecondare una donna. Trasgredivano a ben due ordini celestiali, quello di non commettere atti impuri e quello di moltiplicarsi.

Aveva chiesto l’aiuto degli dei e dei santi quando si era ritrovato senza famiglia, lo aveva invocato quando suo fratello era stato trovato sulla nave, lo aveva supplicato quando il suo primo padrone lo percuoteva. Ma era stato un uomo a rispondere al suo appello, non una creatura alata e angelica. Quello stesso uomo che non aveva esitato a buttarsi nelle braccia del suo peggior nemico per proteggerlo. Se doveva finire all’Inferno per lui, lo avrebbe accettato. Quando si era unito al suo capitano dopo essersi gettato dalla Queen of Pirates, aveva giurato a se stesso che lo avrebbe amato fino all’ultima fibra della sua anima. Non avrebbe rinnegato quel giuramento solo perché persone che non avrebbero mai mosso un dito per aiutarlo pensavano che fosse un legame sconveniente.

Antonio gli circondò il volto con una mano, attirandolo vicino alle sue labbra.

«Se dovessi finire all’Inferno, almeno avresti una buona compagnia» bisbigliò, prima di baciarlo come avrebbe voluto fare nel Palazzo, quando lo aveva visto arrivare travestito da donna.

Lovino non aveva voglia di ribellarsi, quella sera: era stato diviso dal suo compagno, e aveva temuto che fosse una separazione definitiva, l’ennesima della sua vita. Aveva lottato, corso, perfino ucciso: le sue forze erano evaporate, e non ne aveva più disponibili per opporsi.

Le sue gambe scivolarono ad intrecciarsi a quelle dell’amante, mentre con le braccia gli circondava il viso; Antonio lo abbracciò con vigore, facendo scorrere una mano su tutto il profilo del giovane, dalla nuca alla natica, riscoprendo il corpo del suo innamorato.

Si baciarono a lungo, trasmettendo direttamente alle labbra del compagno le loro sensazioni: la prigionia e la lontananza, la preoccupazione e lo spavento, il sollievo di ritrovarsi e la gioia di essere insieme. Era tutto nelle labbra che cercavano quelle del compagno, nelle lingue che si incontravano.

«Resta qui» la voce arrochita dell’amante gli sfiorò le guance, e Lovino bofonchiò:

«Non ho altro posto in cui dormire.»

Si accasciarono esausti sul materasso, ma con ancora la forza di tenersi abbracciati nel sonno e la voglia di restare insieme per tutto il tempo possibile.

Lovino restò sveglio più a lungo del capitano: Antonio era più avvezzo di lui a simili spettacoli, per cui faticò di meno a trovare il sonno.

Il ragazzo si strinse a lui, poggiando la fasciatura sulla cicatrice del compagno.

Quando aveva scelto Antonio al posto del mare, gli aveva chiesto di non lasciarlo mai andare. Lo aveva fatto mentre il compagno dormiva troppo profondamente, e non aveva potuto né udirlo né rispondergli.

Anche in quell’occasione aveva qualcosa da dirgli, qualcosa che avrebbe potuto rivelare solo alla notte silenziosa e al segreto del sonno. Incuneò il viso nel collo dell’amante e vi soffiò sopra due parole. Poi sollevò il volto su quello dormiente dell’amante, lambì appena la sua bocca con la propria e mormorò:

«Questa è la pronuncia corretta. Hai capito?»

Ovviamente, Antonio non gli rispose, e Lovino si accoccolò contro di lui per poter finalmente riposare.

C’erano tante cose da fare, e tante da dimenticare. Ma avrebbero aspettato almeno una nottata, prima di essere affrontate.

In quel momento, voleva concentrarsi solo sulla persona che lo stava abbracciando nel sonno.

Con lui c’era Antonio.

Non aveva bisogno di altro.

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Capitoli precedenti:
Capitolo Uno: Anima di Cristo
Capitolo Due: Ave Maria
Capitolo Tre: Angelo di Dio
Capitolo Quattro: Padre Nostro
Capitolo Cinque: Atto di Carità
Capitolo Sei: Atto di Dolore
Capitolo Sette: Confesso
Capitolo Otto: Stabat Mater
Capitolo Nove: Dies Irae

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Epilogo

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