Titolo: Caleidoscopio
Fandom: Axis Powers Hetalia
Personaggi: GerIta (LudwigxFeliciano), Spamano (AntonioxLovino); RoChu; PruCan; altri personaggi e altre coppie compariranno nei capitoli a seguire.
Rating: Arancione
Parte: 20/?
Avvertimenti: AU (Alternative Universe); Tematiche Delicate; Yaoi e Lemon (nei capitoli successivi)
Riassunto: L’equilibrio della Confederazione Siderale era garantito da tempi immemori dall’Asse, il primogenito della famiglia Vaticana Vargas; l’Asse era il cardine su cui ruotava tutto l’universo conosciuto.
Per questo quando nacquero i gemelli del signor Vargas vi fu grande timore: era risaputo che i gemelli erano uno spirito diviso in due corpi, e un ragazzo con lo spirito a metà non avrebbe mai potuto reggere il destino della Confederazione. E, per un bene maggiore, occorreva affrontare dei sacrifici: il più turbolento dei gemelli venne abbandonato a morire su un pianeta desertico.
Ma nessuno aveva considerato il legame profondo che incatenava i due fratelli.
Entrambi avrebbero fatto precipitare anche il cielo, pur di ricongiungersi con il consanguineo.
Dal ventesimo capitolo: «E per quale motivo dovrei arrendermi? Oh, siete degli ottimi avversari, nulla da eccepire... ma siete pieni di ombre[…] E io mi nutro di ombre.»
Note: I banner della storia sono opera di Calu-tan<3
Capitolo Venti: il Demone
Kiku era straordinariamente taciturno, quel giorno.
Non era mai particolarmente ciarliero, ma quella mattina una cappa di oscurità orbitava nei suoi occhi neri.
«Tutto bene?» domandò Alfred, con il suo sorriso che spazzava via le nuvole.
Non fu sufficiente per le nubi sul volto di Kiku: il Samurai rimase chiuso nel suo tetro grigiore. Annuì a malapena alla sua domanda.
«Precedimi» sancì infine. «Devo vedere il Portavoce del Sole.»
«Ti accompagno…»
«No. Qualcuno deve finire il giro di pattuglia.»
Kiku gli voltò le spalle senza nemmeno attendere una risposta.
Alfred si grattò la nuca e scosse la testa.
Avrebbe potuto dire che Kiku era villano, certe volte, se solo non fosse stato costantemente avvolto da quell’aura carismatica e nobile. Non poteva definirlo “maleducato”; al massimo “altero”.
«Quante cose dobbiamo sopportare noi eroi…» sospirò melodrammatico.
La katana sferragliò contro la pistola. Alfred era uno dei pochi, se non l’unico, a portare armi da fuoco: in quel paese esotico, preferivano affidarsi alle lame e agli incantesimi che li avevano resi celebri in tutta la Confederazione. Tuttavia, l’Aquila era stata addestrata tra le file di Britannia: non si sentiva a suo agio, senza una pistola. Una volta un suo collega gli aveva chiesto perché dovesse sempre portarsi in giro quel ferro vecchio, e Alfred gli aveva risposto che, senza, si sentiva indifeso come se lo avessero fatto girare in mutande. Si era guadagnato uno sguardo molto perplesso e una scrollata di spalle.
Quasi inciampò in una profusione di seta colorata stesa al suolo. Gli occhi di Alfred risalirono quelle pieghe elegantemente raccolte attorno a un corpo di donna, finché non incontrarono il viso più delicato che avessero mai visto, nonché il più simile a quello del loro sovrano.
Grazie a Kiku e al suo incarico all’interno della Stella Polare, aveva avuto qualche occasione di incontrare il Figlio del Cielo, ed era rimasto sorpreso dalla sua bellezza eterea. La stessa che aveva plasmato i lineamenti della donna, elegantemente seduta davanti al cancello di entrata.
Pareva adagiata su un trono, e non su un volgare sasso: la schiena dritta, il collo steso, lo sguardo fiero e la posa elegante delle mani, poggiate sulle ginocchia per trattenere le pieghe troppo lunghe che avrebbero altrimenti toccato il suolo. Non aveva bisogno di accessori appariscenti per imporre la sua presenza: la nobiltà le scorreva nel sangue.
«Posso aiutarla?» si informò Alfred, avvicinandosi di un passo.
La donna girò lentamente il collo da cigno e posò gli occhi di ebano su di lui. Si concesse una lunga analisi prima di decretare:
«Tu devi essere l’Aquila.»
«In carne e ossa, signora» si esibì Alfred, gonfiando il petto con orgoglio.
Le ciglia nere della donna tremarono appena, appuntandosi sul Palazzo.
«Dicono che sei un eroe. Faresti un piccolo miracolo per me?»
«I miracoli sono la mia specialità» si vantò lui.
«Devo vedere mio figlio.»
Il portamento della donna non cedette, ma la voce le tremò impercettibilmente. Alfred ammirava la compostezza dei nobili, anche se riteneva che sarebbe stato molto più salutare per loro essere più onesti con i propri sentimenti.
«So che è malato. Chi non sa del suo coma?» l’agonia di una risata torse le labbra della donna. «Sono mesi che chiedo di essere ammessa, ma pare che nessuno voglia ascoltarmi. Sono le regole: la famiglia precedente del Figlio del Cielo deve abbandonare il Palazzo… ma quale legge è superiore all’affetto di una madre?»
L’Aquila osservò quella donna, annuendo al suo discorso. Cominciava a capire da chi il Figlio del Cielo avesse ereditato il suo carattere deciso e aggraziato al contempo.
«Chiedo solo di vederlo. Se è grave come dicono, se non ci sono speranze per lui…» un minuscolo tremito le percorse le labbra chiare. La donna non riuscì a terminare la frase, quindi ne iniziò un’altra: «Voglio essere al suo fianco. Ho amato mio figlio dal momento in cui ha aperto gli occhi in questo mondo, e ogni giorno in cui sono stata lontana da lui è stato come ricevere una pugnalata in petto. Se questi sono gli ultimi giorni che gli è dato trascorrere insieme a noi…»
«La capisco» Alfred fermò la signora, prima che si addentrasse in un discorso che nessuno dei due voleva affrontare. Nonostante la sua posa impeccabile, gli occhi tremavano di un terrore sotterraneo, lo stesso che scorreva nelle vene di Kiku quando si parlava del futuro incerto del sovrano. E lui era stanco di vedere quella paura infettare l’anima di tutto il popolo di Chugoku.
Era un suo preciso compito sradicare quel panico alla radice. In fondo, gli eroi servivano a quello.
«La scorterò fino alle camere del sovrano» decise d’impulso, offrendo un braccio alla signora.
La nobile lo fissò, titubante. Non era sicura di potersi fidare della flebile speranza che quel giovane straniero le offriva.
«Ne sei sicuro?» domandò.
Alfred era certo che quella cosa fosse contro le regole, che avrebbe avuto un richiamo ufficiale e, nel peggiore dei casi, sarebbe stato bandito dal Palazzo. Ma aveva fatto una promessa a un soldato, tanti anni prima: nessuno gli avrebbe inquinato il cuore. E se avesse lasciato quella donna a languire davanti al cancello, sarebbe stato come dichiararsi sconfitto. Inoltre, Kiku non avrebbe permesso ai consiglieri di cacciarlo, e lui in primo luogo non si sarebbe fatto esiliare tanto facilmente.
«Mi segua» Alfred sfoggiò il sorriso che non aveva avuto effetto su Kiku, e che invece sembrò rasserenare la signora.
La donna si alzò e poggiò la mano delicata sul suo braccio, lasciandosi condurre nelle entrate secondarie e nei corridoi meno frequentati del Palazzo.
«Ho sentito molto parlare di te, Aquila» mormorò la signora, mentre si addentravano nel cuore del Palazzo.
«Scommetto che avete sentito solo storie positive» si inorgoglì Alfred.
«Non proprio» ammise in un bisbiglio ovattato la donna. «Alcuni ti acclamano come un eroe, altri ti additano come pazzo.»
Pazzo. Doveva immaginare che la sua tendenza a scavalcare le norme gli avrebbe procurato qualche nomignolo indesiderato. Ma non era certo colpa sua se le regole a volte erano così assurde: era come se chiedessero di essere infrante. Le uniche cui si era sempre attenuto scrupolosamente erano quelle che Kiku gli aveva chiesto di non dimenticare mai, per nessun motivo. Come la normativa sull’uso delle armi a Chugoku, e il fastidioso obbligo di portare sempre con sé quel fogliaccio che lo autorizzava ad avere una pistola.
«E lei cosa ne pensa?» domandò, incurvando un angolo della bocca in un sorriso amichevole.
La donna socchiuse appena gli occhi, scandagliando i dati in suo possesso.
«Sei una persona bizzarra, Aquila. Ma non sempre la diversità è un difetto. Se non ci fossi stato tu, sarei ancora davanti a quel cancello» sentenziò infine, con un tono morbido.
«Lei è molto acuta, signora» si complimentò Alfred.
La loro conversazione fu interrotta da un tremendo boato. Il pavimento trasalì sotto i loro piedi, e le travi del soffitto scricchiolarono sulle loro teste. Un’immobilità spettrale si stese su di loro come un sudario subito dopo.
Le dita della donna si strinsero sul suo braccio, e i suoi occhi si spalancarono per lo spavento.
«Cosa è stato?» chiese, atterrita.
Un secondo boato, seguito da schianti ripetuti; quella strana melodia crebbe di intensità, e acquistò un sottofondo di tonfi e colpi attutiti.
Una goccia di sudore scese sulla sua tempia quando Alfred realizzò la fonte di quei suoni. La stanza del Portavoce del Sole. Dove si trovava Kiku. Il Samurai stava affrontando da solo qualunque minaccia si fosse presentata in quella camera simile a un obitorio.
Alfred fece strada alla donna, conducendola sotto uno degli stipiti portanti dell’edificio: se anche le mura fossero crollate, quel pezzo di legno sarebbe rimasto in piedi.
«Attenda qui» le consigliò velocemente Alfred. «Chiamerò una guardia, verranno subito a prenderla e la porteranno al sicuro.»
«E tu?»
Alfred portò una mano all’elsa della spada, sfiorando anche l’impugnatura della pistola.
«Io mi occuperò della sicurezza di Chugoku» si incollò sulla faccia l’espressione più rassicurante del suo repertorio. «Sono un eroe, ricorda?»
La donna annuì, e congiunse le mani davanti al viso.
«Ti prego, fai in modo che non accada nulla di male a mio figlio. Eroe.»
Per la prima volta, sentì quell’appellativo pronunciato senza derisione. Il tono serio con cui la donna aveva formulato la richiesta lo fece sentire come se la nobile lo avesse appena nominato cavaliere. Alfred sorrise, inchinandosi alla donna: non era male avere un riconoscimento ufficiale, qualche volta.
«Questo è il compito degli eroi, signora.»
E poi corse, come non aveva mai fatto in vita sua.
Incrociò una guardia sul suo cammino, e gli indicò la posizione della donna, ignorando gli sberci del soldato su quanto fosse illegale quello che aveva appena fatto. Gli ordinò di andare a mettere al sicuro quella signora, se non voleva la sua vita sulla coscienza, e riprese la sua corsa.
Gli schianti si facevano più vicini a ogni passo.
L’eroe sta arrivando, Kiku. Tieni duro.
***
Arthur e Gilbert furono sorpresi dalla facilità con cui riuscirono a introdursi nel Palazzo.
«Credevo che la corte imperiale fosse difesa un tantino meglio» commentò l’Hellsing, mentre scivolavano senza difficoltà in un corridoio laterale.
«È difesa in modo ineccepibile» contestò in un sussurro garbato Yao. «Ma, ovviamente, le sue protezioni non funzionano sul regnante. E questo beneficio si estende a quanti lo accompagnano.»
Entrambi riconobbero che il Figlio del Cielo non aveva del tutto torto.
Athur svolse il fiore di cristallo dal suo panno, e una sottile scia azzurra si dipanò lungo i corridoi.
Una pennellata di delizia si dipinse sul volto del nobile quando vide dove quella scia fosse diretta.
«Che tipo era, il Marauder?» domandò in un mormorio, prima di guidarli lungo un altro dedalo di corridoi scarlatti.
«Sorrideva sempre» tratteggiò Gilbert. «E trovava sempre il modo di inquadrare un problema per poi trovare la soluzione.»
«Il suo ottimismo era snervante» precisò Arthur.
«Credo di aver capito perché ha scelto il Portavoce del Sole come tramite, allora» Yao non riuscì a reprimere un sorriso: erano quasi arrivati alle stanze di Young Soo, indicate dalla luce del non ti scordar di me. Non poteva più aspettare: voleva salutare suo fratello, abbracciarlo e rassicurarlo, e dirgli che tutto sarebbe andato bene, come Young Soo aveva sempre fatto con lui. Aprì velocemente la porta bisbigliando un incantesimo quando raggiunsero il legno intarsiato.
Yao si stupì di trovare la camera immersa nella penombra: Young Soo dormiva con le tende spalancate perché la stanza potesse essere inondata dai primi raggi dell’alba fino agli ultimi barbigli di tramonto. Dovettero aspettare che gli occhi si abituassero a quella lieve oscurità per individuare il giovane, afflosciato sul trono con una strana angolazione sbilenca.
Arthur batté le palpebre, perplesso: non si era aspettato di trovare un ragazzino immobile. Immaginava che la persona scelta da Francis fosse vivace, irrefrenabile e insopportabile come lui.
Gilbert deglutì, mentre un orribile presagio gli strisciava lungo la colonna vertebrale, accapponandogli la pelle. Aveva già visto quell’irrigidimento, prima.
Yao fu il primo ad accostarsi al trono, e si inginocchiò davanti ad esso. Il cuore gli martellò nelle orecchie tanta fu la gioia di rivedere il fratello; dopo tanto tempo, finalmente poteva riabbracciarlo.
«Young Soo, sono tornato, come promesso...» si era preparato un lungo discorso di benvenuto, ma la voce si affievolì di fronte all’immobilità del fratello. Il Portavoce del Sole non stava semplicemente riposando: aveva gli occhi spalancati e fissi, i lineamenti congelati come se qualcuno avesse sostituito il suo sangue con del cemento, i suoi muscoli e la sua pelle con della pietra.
«Young Soo…» lo chiamò flebilmente Yao, sollevando una mano per toccargli una guancia. La gota si rivelò ghiacciata come quella di un cadavere.
Il Figlio del Cielo non si rese conto che l’Hellsing lo aveva raggiunto; se ne accorse solo quando l’uomo emanò il suo verdetto:
«La Maledizione di Medusa.»
«Cosa significa?» domandò Yao, con il tono sonnolento di una persona sotto ipnosi. Non poteva essere vero, non dopo tutto quello che avevano passato…
«È una tecnica usata dai demoni di alto livello» spiegò l’Hellsing in un ringhio rabbioso. «Non uccide direttamente la vittima. La paralizza, lasciando la sua coscienza viva in modo che possa…» il Mago dell’Ovest gli lanciò uno sguardo ammonitore, e Gilbert alleggerì il peso della frase: «In sostanza, la vittima è pietrificata e muore di inedie.»
«Quindi Young Soo…»
«No. È ancora vivo» lo tranquillizzò aspramente l’Hellsing. «Credo che sia la sua magia a tenerlo in vita.»
Gilbert si morse le labbra per evitare un eccesso di improperi. Era stato imprigionato a Caina, ne era uscito, aveva combattuto contro il suo padre adottivo, aveva raggiunto Chugoku… e quell’idiota di Francis aveva deciso di incarnarsi in un corpo pietrificato. Il motivo della scelta del Marauder era da imputare al fatto che era più facile inserirsi in un corpo solo parzialmente cosciente rispetto a un soggetto pienamente in forze… ma come contava di aiutarli, con le membra di calce?
L’unica soluzione, a quel punto, era uccidere il figlioccio del sovrano; senza l’aiuto di Francis per individuare i fili da tagliare, non potevano fare altro. La cosa avrebbe devastato il Figlio del Cielo.
Non avrebbe nemmeno ottenuto risposta alla sua domanda: con la bocca immobilizzata, il Marauder non avrebbe potuto dirgli dove trovare Matthew. E non avrebbe potuto scherzare, e ridere con loro. Non avrebbe potuto vedere Francis, imprigionato com’era in un corpo cementificato. Uno dei motivi che con più forza lo aveva spinto ad arrivare fin lì era la prospettiva di poter parlare di nuovo con l’amico, e sentirgli snocciolare ottimismi di bassa lega con quel suo accento arrotondato… anche quella consolazione era andata in frantumi.
Sollevò lo sguardo sul Mago dell’Ovest, e vide le sue stesse emozioni riflesse su quel viso: rabbia per l’impossibilità di parlare con il Marauder, e sofferenza per aver perso Francis una seconda volta.
Il Figlio del Cielo non si rese conto del tumulto silenzioso alle sue spalle, ma alcuni di quei pensieri attraversarono anche la sua mente: senza il Marauder, Kiku era condannato. E se anche fossero riusciti a riscuotere Young Soo dal suo torpore, non sarebbe mai riuscito a sopravvivere: l’inedia gli aveva corroso i muscoli fino a lasciare le ossa quasi scoperte, le labbra erano parzialmente rientrate all’interno della bocca, e gli occhi erano infossati nelle orbite e cerchiati di nero.
Aveva perso il fratello e il figlio prima ancora di cominciare a combattere.
Lacrime arroventate gli bruciarono gli occhi, e il Figlio del Cielo riuscì a contenerle solo con enorme sforzo. Era tornato solo per Young Soo e Kiku, e stava per perderli entrambi.
Sollevò le mani tremanti e circondò dolcemente il viso screpolato del Portavoce del Sole. Riusciva a vedere ancora il sorriso del fratello su quelle labbra secche, poteva scorgere lo sguardo furfantesco nei pozzi vuoti dei suoi occhi. Il ricordo di Young Soo si sovrappose all’immagine presente, e il contrasto fu tale che Yao avvertì il cuore andare in pezzi. Il suo fratellino scoppiettante, ridotto a una statua di cenere.
«Mi dispiace…» accostò il viso a quello del giovane per mormorarlo direttamente sulla sua guancia. «Non avrei mai dovuto lasciarti indietro… mi dispiace così tanto…»
«Il demone è ancora in circolazione» gli ricordò Gilbert, incurante dei gesti ammonitori del Mago dell’Ovest.
Yao annuì, deglutendo le sue lacrime. Si alzò, ma riuscì appena a muovere un passo prima che la manica lo strattonasse indietro. Il braccio e il polso di Young Soo giacevano mollemente sul suo fianco, ma le dita avevano trovato la forza di stringersi attorno al vestito del sovrano.
Yao fissò frastornato il viso del fratello, in guerra contro quella prigionia: le guance fremettero e la mascella vibrò, mentre le labbra si increspavano impercettibilmente.
«… e… o’e…»
Uno spillo di luce fece capolino dall’angolo dell’occhio destro del giovane.
«… te… one…»
La lacrima appena nata rotolò sulla guancia scavata del giovane, per poi lanciarsi sul suo gilet blu.
Fu troppo per Yao: le ginocchia cedettero, così come gli argini in cui aveva confinato la propria tristezza. La tunica di Yong Soo si spiegazzò sotto le sue dita mentre lo abbracciava con foga, e la stoffa candida sulle spalle si infradiciò con il suo pianto. Young Soo… il suo vivace, prezioso, insostituibile fratellino…
«Sono qui, Young Soo» il sole nel suo petto ruggì, riscaldando il corpo di pietra tra le sue braccia. «Sono qui con te. Perdonami se non ci sono stato prima.»
Parte Due