[Soccerdom] ~ See it in the new sun rise and see it break on your horizon.

Apr 10, 2010 13:34


Titolo: See it in the new sun rise and see it break on your horizon. (Oh come on love, stay with me.)
Beta: Domani, sì.
Fandom: RPF - ACF Fiorentina.
Personaggi e pairing: Stevan Jovetić, Alberto Gilardino.
Rating: PG16.
Warning: Angst, Slash.
Word count: 3497.
Disclaimer: Palesemente non sono miei o almeno, così credono.
Note: Scritta per il F3.U.C.K.S. Fest @ fanfic_italia, ringraziando 1frase - in ritardo, lo so, lo so. Dico solo una cosa: Abbiate. pietà. di me. *Rimanda alle note perché è esausta*



See it in the new sun rise and
see it break on your horizon.

(Oh come on love, stay with me.)

#1 - Terra.

Gli capitava, a volte, di sentire la mancanza della sua terra; pensava all'idea di completezza che non poteva avere, alla sua lingua che non poteva servirgli lì dov'era, ai pezzi di luoghi che si portava dietro più per rispetto che per vera e propria mancanza - e prima di addormentarsi sul petto di Alberto gli capitava di vergognarsi, anche, perché nonostante la sentisse, quella mancanza, proprio non riusciva a soffrirne.

#2 - Orgoglio.

Sentiva sempre parlare di orgoglio, ultimamente, tutti sembravano essersi impuntati su quel principio; lui non sapeva cosa fosse, l'orgoglio, era una parola che assieme a tante altre non si era mai potuto permettere e il cui significato per lui era stato quasi nullo fino al pomeriggio prima, quando Alberto l'aveva abbracciato e stretto a sé, in mezzo al campo, sussurrandogli un “Sono orgoglioso di te.” che l'aveva agitato, commosso e un po' spaventato - ed era ancora lì a pensarci nonostante fosse passato un giorno e nonostante l'avessero persino persa, la partita, perché sentiva ancora le braccia di Alberto intorno alla sua schiena e quelle quattro parole pronunciate all'infinito, una dopo l'altra quasi come una preghiera.

#3 - Spirito.

Erano quelli i momenti in cui si sentiva totalmente integrato a quel tutto così compatto e fiero che era la Fiorentina; c'era qualcosa negli occhi di tutti loro - che non era stanchezza, nonostante fosse prima mattina - capace di rasserenarlo, c'erano pacche sulla schiena - che non erano a caso e non erano generali - capaci di svegliarlo e attivarlo, e poi c'era quel sorriso di Alberto tutto per lui, quasi sfacciato - che non conteneva affetto, non solo.

#4 - Storia.

Non dice niente a Stevan appena lo vede, si limita a sorridergli e ad andargli incontro con la solita disinvoltura - nella mente ancora le parole al contempo risentite e tristi di Alice che gli aveva chiesto dove stesse andando e perché, la sua risposta vaga e l'accenno al suo compagno di squadra che ultimamente era giù di corda, poi quella risata amara e lei che ripeteva tra sé e sé quanto fosse ridicola quella storia, quanto le cose stessero cambiando - e continua a sorridere fino a quando non l'abbraccia, poi smette, lo sguardo fisso innanzi a sé, chiedendosi dove lo porterà tutto questo e quanto di quei momenti sarà abbastanza leggero da poterlo risollevare quando ogni cosa sprofonderà.

#5 - Tempo.

Non c'è modo di aggrapparsi ai minuti impedendo che essi scorrano e ribaltino ogni cosa o la lascino esattamente così com'era: Alberto fissa insistentemente le lancette senza muoversi, senza quasi respirare - ormai Stevan se n'è andato e a lui non resta che scandire il tempo, illudendosi di schivarne le amarezze e dando le spalle a chi ha dato le spalle per primo a lui, come un bambino che insulta per non piangere.

#6 - Guerra.

È una guerra fredda, la loro, si stanno fissando da interi minuti senza dirsi nulla perché non c'è nulla da dire, nulla da aggiungere a quel silenzio gelido, ostinato; Alberto scuote piano il capo, sta per dire qualcosa ma Stevan lo precede e quando le sue parole - pungenti, risentite - sferzano l'aria a lui non resta che tacere e acconsentire mutamente, arrendendosi alla fermezza della sua affermazione: “Quella dannatissima ultima croissant è mia.”

#7 - Tradimento.

Ogni volta che arrivavano sotto casa Stevan sorrideva un poco, lo baciava a fior di labbra e poi lo lasciava tornare a sua moglie, alla sua bambina e a tutti i suoi doveri che prescindevano da lui e dal loro rapporto senza dare segni di dolore o tristezza - ma dentro si sentiva marcio, violato e violento al contempo, perché per qualche assurdo motivo era lui a sentirsi tradito.

#8 - Sentore.

Si era reso conto che c'era qualcosa da intuire fra le righe - qualcosa da capire in anticipo sui tempi e su cui soffermarsi debitamente - ma in quel momento era troppo stanco per indagare sui toni di Alberto e si limitò ad aggrapparsi a lui come faceva sempre, sussurrandogli che voleva se ne restasse lì con lui ancora un poco e tentando di ignorare quell'abbraccio teso, la rigidità della sua schiena, il suo sospiro triste.

#9 - Giovinezza.

“Diventeranno bianchi, prima o poi, lo sai.” Glielo disse con una certa ironia, sentendo le dita di Alberto giocherellare con i suoi riccioli, ma il sorriso che ottenne in risposta fu talmente completo e sincero da farlo immediatamente arrossire - e subito dopo stavano già ridendo di quel momento e di quel pensiero, senza aggiungere altro.

#10 - Orme.

A volte Alberto vorrebbe avere qualcuno su cui riversare le sue insofferenze, qualcuno da seguire, su cui contare - invece deve precedere e deve lasciare che sia qualcun altro a contare su di lui, a seguirlo, e a volte è così stancante, così pesante.

#11 - Preda.

Lacrime, lacrime, lacrime, lacrime, lacrime, - e la vista annebbiata, il respiro affannato come ogni volta - non riesce a smettere e il suo sguardo si fissa sul muro, vitreo, mentre Stevan lo abbraccia con una forza di cui non l'avrebbe mai creduto capace e affonda le dita nei suoi capelli, ripetendo sempre le stesse parole, fermamente, lentamente: “Respira, ci sono qua io. Ora passa, ci sono qua io, ci sono qua io. Ci sono qua io.” e a lui non resta che aspettare che quel momenti passi come sono passati tutti gli altri - gli si è premuto contro con urgenza e disperazione e mentre sente il respiro farsi più regolare ancora non lo vuole lasciare andare, non ancora (non ancora, non... ancora).

#12 - Stirpe.

Guardando i suoi compagni uno per uno, Alberto può quasi vederne i singoli percorsi - i singoli sbagli, le singole crescite, i singoli indugi - ed è curioso, perché in tutta la vita gli è stato insegnato che una famiglia bisogna formarsela con impegno e costanza, ma a lui quasi pare che siano stati loro a formare lui, e senza sforzo alcuno.

#13 - Passi.

Gli piaceva camminare vicino ad Alberto, in generale, - starsene leggermente indietro rispetto a lui, vicino quel tanto da potergli sfiorare una mano senza però intrecciare le dita con le sue - ma ciò che adorava era camminare vicino ad Alberto di sera; non c'era troppa luce, il suo profilo era netto, l'espressione sempre un po' più distesa e sembrava che il buio attorno a loro attutisse i loro passi dirigendoli in direzioni vaghe, verso destinazioni senza una vera importanza.

#14 - Rito.

Poggiò le labbra sulla stoffa e la baciò con delicatezza, gli occhi chiusi e la gola arida - ma era un gesto adulto, non c’era nulla d’infantile, anche se avrebbe voluto vivere quel momento infinite volte per infiniti motivi differenti che probabilmente non avevano spiegazioni logiche, anche se lo faceva quasi di nascosto e con un pudore delicatissimo - prima di ripiegare la maglietta e lasciarla al suo posto, come sempre, ripetendosi a mente quel “Gilardino” e dirigendosi fuori dagli spogliatoi - ancora meno di venti minuti prima dell’inizio della partita.

#15 - Vittoria.

Ed era stanco ed era deluso, c’erano momenti in cui il pensiero di lasciare ogni cosa lo rendeva leggero, sollevato, e quasi lo convinceva a voltare le spalle a quella città e a quel campo - a quelle singole persone - ma poi c’era quell’abbraccio che lo riportava a terra - talvolta brutalmente, talvolta con dolcezza - e gli faceva sentire in cuor proprio una vittoria intangibile ma profonda, unicamente sua.

#16 - Languore.

Alberto si ripete mentalmente di uccidere Stevan alla prima occasione; quella ragazzina non può - perché non si può, cazzo - guardarlo in quel modo durante gli allenamenti, nemmeno fossero loro due soli in una stanza e magari a due passi da un letto matrimoniale con arzille molle che non attendono altro se non essere debitamente testate - sì beh, magari lo uccide dopo averlo trascinato in un angolo remoto dello spogliatoio, ecco.

#17 - Mortale.

Lo bacia ancora una volta, chiedendosi se nel corso della serata avesse per caso fatto altro oltre che baciarlo e, ogni tanto, respirare, prima di sorridergli vicino all’orecchio e tra i riccioli; “Tu mi farai morire.”

#18 - Favorito.

“Ah, è così?” Alberto fa una smorfia sentendo Ginevra scoppiare a ridere dopo aver indicato un volto preciso in una fotografia, poi le dà un pizzicotto a una guancia, piccato; “Beh, se Stevan è il tuo favorito tra tutti i giocatori della squadra del tuo papà allora che te la dia lui, la pappa.”

#19 - Giardino.

Non l’aveva mai visto il giardino della casa di Alberto - in realtà era stato pochissime volte a casa sua e quelle poche volte si era sentito così a disagio da non prestare la minima attenzione a certi particolari - così si disse che quell’invito a pranzo per lui e una manciata di altri compagni fosse una buona occasione per darci un’occhiata; il sorriso gli si gelò sulle labbra dopo aver scorto i capelli biondi di Alice dietro a una siepe, tra di essi dita che conosceva fino all’esasperazione - e pochi istanti dopo era già tornato dentro, nauseato, risparmiandosi il resto.

#20 - Eros.

Era forse il suo più grande dramma da quando stavano assieme: sapeva di risultare timido in quasi ogni circostanza e aveva imparato a convivere con questo fatto, ma l’idea di poter apparire agli occhi di Alberto, certe volte, come un ragazzo che a letto si scatena, proprio non riusciva a digerirlo - eppure anche quando sapeva di eccitarlo in modi che non avevano nulla a che fare con la dolcezza o l’ingenuità, Stevan sapeva che Alberto lo custodiva, si prendeva cura di lui al di là di ogni cosa o situazione.

#21 - Canto.

Aveva scoperto che Alberto era bravo a cantare, ma non solo, sembrava allegro e sereno nel farlo davanti a lui, magari tra un bacio a fior di labbra e un altro - ed era strano perché davanti agli altri non gli riusciva, proprio non gli veniva fuori la voce, persino Alice aveva sempre riso di lui alzando gli occhi al cielo e borbottando che dopotutto ognuno aveva le proprie qualità e di certo non si poteva pretendere di averle tutte.

#22 - Tocco.

I suoi respiri si fanno più affannati e irregolari sotto il tocco di Stevan, poggia le mani sulle sue rovesciando il capo all’indietro e gli mostra il giusto ritmo senza smettere di cercare la sua bocca ancora e ancora, è talmente invaso dal piacere che non ci vede - no, seriamente, non ci vede - e il suo unico appiglio è una fronte madida di sudore contro cui poggiare la propria, estenuato e completamente felice, prima di sussurrargli che lo ama e che è suo, come ogni volta.

#23 - Silenzi.

Sono macchie d’inchiostro nero su panni troppo bianchi, quei silenzi, Alberto vorrebbe poterli lavare e sfregare via a forza perché gli si stanno impregnando addosso e lui non vuole, vorrebbe parlare ma non ha parole e comincia a pensare che i panni stiano diventando neri a poco a poco - e quel bianco sempre più debole, sempre più debole, sempre più debole.

#24 - Movenze.

Alberto si ripete per l’ennesima volta che deve concentrarsi, cazzo, non può continuare a guardarlo come non ci fosse un domani; resiste ancora qualche minuto osservando le sue gambe, la sua espressione indecentemente candida e quelle gocce di sudore che accompagnano i suoi movimenti mai troppo repentini, anzi meravigliosamente fluidi, poi si allontana ad ampie falcate dal gruppo e dagli allenamenti, una mano appena sotto il bacino dirigendosi verso le docce.

#25 - Calore.

Faceva freddo, un freddo allucinante che aveva spazzato via chiunque dalle strade tranne loro; Stevan sorrise tra sé e sé continuando a baciare il collo di Alberto e a soffiargli piano contro il cappotto, avvertendo lui stesso il calore dei propri corpi e sospirando piano, rendendosi conto che sotto quel vento impietoso nessuno dei due stava tremando.

#26 - Apparizione.

Era sempre esattamente dove doveva essere e come doveva essere, Alberto, e Stevan proprio non aveva idea di come facesse ad essere così; appariva, sospirava e lo abbracciava, c’era, lui semplicemente c’era, sempre.

#27 - Inebriare.

Forse era quell’erba fresca sotto di loro o il buio, il silenzio, forse il loro abbraccio non stretto come altre volte perché erano entrambi stanchi ed era incredibilmente tardi, ma inspirando Stevan si disse che di quel momento avrebbe portato il ricordo sempre e di quel profumo - tra l’incavo del suo collo e poi più in giù, appena sotto la clavicola - avrebbe potuto respirare per tutta la vita senza necessitare d’altro.

#28 - Dita.

Mancano poco più di dieci minuti e Alberto è calmo come lo è da ormai anni e anni, perché ad agitarsi proprio non ci riesce e non ci tiene; solleva appena lo sguardo e sorride brevemente, prima di sorpassare Juan e Marco per raggiungere Stevan, in silenzio, poi gli prende la mano senza guardarlo e può sentire i suoi muscoli distendersi uno ad uno - ed è incredibile, aveva avvertito tutta la sua tensione solo dal movimento inconsapevole delle sue dita, e a volte si chiede quando ha iniziato a conoscerlo così bene, a percepire ogni suo mutamento d’animo con quella temperata chiarezza.

#29 - Nostalgia.

La nostalgia lo coglie sempre a tradimento in quei dolorosissimi momenti di dormiveglia in cui distende il braccio e lo sente sprofondare nel cuscino freddo al suo fianco, ed è un istante, certo, prima di addormentarsi pesantemente, ma d’improvviso è come avere un’ancora in corpo che viene calata e scende giù all’infinito senza mai toccare il fondo.

#30 - Legame.

Apre gli occhi - è ancor buio, fuori - e si passa una mano in viso, respirando profondamente, prima di voltare il capo alla sua sinistra e sorridere divertito: Stevan ha ancora il polso imbavagliato da quella porzione di coperta che ha avvolto anche attorno al suo, di polso, in modo da tenerli entrambi buffamente legati durante la notte; chiude gli occhi senza smettere di sorridere, e in pochi secondi dorme anche lui.

#31 - Erba.

Il giorno dopo Stevan non aveva saputo fare a meno di arrossire violentemente una volta scesi in campo, aveva poi rivolto un’occhiataccia ad Alberto, il quale invece sembrava perfettamente a suo agio e anzi trovava a dir poco divertente l’idea di allenarsi sulla stessa porzione d’erba sulla quale la notte prima avevano fatto l’amore con una certa diligenza.

#32 - Sembianze.

Stevan aveva ammirato Alberto Gilardino sin dalla prima volta con sguardo rapito, nei brevi istanti che precedevano una rete; era come vederlo trasformarsi e assumere altre sembianze, ogni volta gli pareva di vedere qualcosa distaccarsi da lui per raggiungere confini che il suo corpo non poteva fisicamente varcare, ed era inspiegabile, incredibile.

#33 - Nettare.

A Stevan piaceva pensare che il loro primo bacio fosse stato fondamentalmente dolce; Alberto alzava gli occhi al cielo e non ci badava tanto, ma lui ci ripensava spesso e ripensava a quei biscotti al miele che aveva mangiato prima di poggiare le labbra sulle sue e accarezzandogli la lingua con la propria, ed era vero, era stato un bacio dolce e un po’ vischioso - e a pensarci sì, faceva un po’ ridere anche lui.

#34 - Rossore.

Scoppia a ridere, vicinissimo al suo viso - entrambe le mani sulle guance, quasi come se stesse giocando con sua figlia - e lo guarda arrossire, centimetro per centimetro, amando ogni sfumatura della sua pelle e quella sua espressione un po’ corrucciata che tanto gli piace, poi lo bacia e gli accarezza i capelli, una calma in corpo che solo quei momenti sanno dargli.

#35 - Possesso.

Quando si preme contro di lui schiacciandolo contro il muro sa che non sarà sensibile e attento come le ultime volte, sa che vorrà solo averlo e anche con una certa urgenza, perciò cerca di guardarlo negli occhi il meno possibile - perché guardare negli occhi Stevan in quei momenti è impensabile, ne va del suo orgoglio - e comincia a svestirlo baciandolo con foga, mordendo e ansimando, stringendolo a sé per convincersi di poter decidere di lui e di loro e di quanto li riguarda - ma sente un mugolio soffocato e subito lo accarezza piano e lo accoglie tra le braccia, rendendosi conto che dopotutto è suo anche così.

#36 - Crepuscolo.

Non sa cosa dire e quindi si limita a guardarlo, mentre se ne sta lì in mezzo al parco ad occhi chiusi con dietro quei colori forti, - quel viola splendido, violento - deglutisce e riesce solo a ripetersi che Stevan è bellissimo, è bellissimo, è bellissimo, è bellissimo.

#37 - Fautore.

Col passare del tempo Stevan si era chiesto come diavolo avesse fatto a sopportarlo, Alberto, in tanti momenti; lui che era un sostegno perenne anche se sobrio e sostenuto, lui che lo abbracciava senza farselo chiedere o dormiva al suo fianco anche quando gli diceva di non volerlo con sé; era passato quasi un anno e a volte si chiedeva come fosse possibile essere così vicini anche nella distanza, dopotutto.

#38 - Sfrontatezza.

“Ti amo.” Gliel’aveva detto guardandolo negli occhi e senza arrossire, l’aveva osservato sbattere le ciglia rapidamente e poi aveva lasciato che si avvicinasse a lui poco a poco, incredulo - ma aveva continuato a sostenere il suo sguardo fino a quando non l’aveva visto sorridere, toccato, solo allora si era lasciato abbracciare e aveva sospirato a lungo, mordicchiandosi appena il labbro inferiore.

#39 - Fato.

Il destino, il fato, era qualcosa che ad Alberto non andava decisamente a genio; così, Stevan cercava - riuscendoci - di convincerlo a modo suo in svariate situazioni che in un modo o nell’altro le cose non poteva deciderle Alberto e il suo bel faccino - che poi a deciderle non fosse tanto il fato ma Stevan, visto l’influenza che aveva su di lui, erano particolari.

#40 - Labbra.

Si rende conto di stargli fissando le labbra con un’insistenza più che palese, perciò si schiarisce la gola e riprende ad ascoltare Cesare - più o meno - ignorando il ridacchiare compiaciuto di Stevan e la gomitata di Sébastien, a cui risponde con un calcio negli stinchi che mette immediatamente fine alla questione.

#41 - Pensiero.

L’idea di serbare pensieri su pensieri e di mescolarli tra loro continuamente, eppure di mantenere come unico pensiero di fondo - puro, lenitivo - l’immagine di Stevan, di qualsiasi immagine si tratti, riesce a farlo sentire un uomo migliore.

#42 - Ritorno.

Si ritrova a cantare tra sé e sé il pezzo di una canzone il cui titolo e cantante gli sfugge, ma è un ritornello insistente e non se lo toglie dalla testa, mentre ancora si butta un’occhiata alle spalle e constata di essere realmente solo, solo, senza sorprese dietro l’angolo - e ancora canta sottovoce, piano: “Non escludo il ritorno.”

#43 - Ferita.

Era abituato a vedere sangue, ma quella volta la ferita riportata da Alberto era più profonda e Stevan per un momento si era sentito mancare - oltre ad impallidire notevolmente - ma poi gli si era inginocchiato di fianco e gli aveva baciato quella porzione di pelle appena vicino al taglio, l’aveva sentito rabbrividire ma aveva continuato ancora per un poco, prima di cominciare a bendarlo, in silenzio.

#44 - Confine.

Gli piaceva pensare che le carezze sul volto di Alberto non necessitassero di traduzione, che i loro respiri - affannati, stanchi o regolari - non dovessero andare oltre a quel rumore sommesso, che i loro sguardi fossero la base per tutto il resto e che non ci fossero confini da superare, mete concrete da raggiungere per sentirsi più vicini di quanto già non fossero.

#45 - Furore.

Sentiva la frustrazione di Alberto sul proprio corpo, sapeva che in seguito si sarebbe odiato per quella sua momentanea violenza ma voleva che continuasse, voleva che si sfogasse e non lo avrebbe fermato - che tanto tutto finiva sempre tra carezze e sussurri, carezze e sussurri, forse una lacrima di rabbia ma veniva asciugata rapidamente prima di addormentarsi l’uno ancorato all’altro, perché diversamente non sapevano fare.

#46 - Volto.

Guardare Stevan parlare con qualcuno che non sia lui puntualmente lo diverte; scova espressioni a cui solitamente non fa caso e movimenti che non coglie, nota che incespica dopo alcune parole e dopo altre no, lo osserva annuire appena e poi sorridere timidamente - e potrebbe indovinare il tipo esatto di domanda che gli hanno posto, ma si accontenta della consapevolezza che certi sorrisi è lui l’unico a vederli.

#47 - Candore.

A volte gli capita di trovare più candore in un’espressione di Stevan che in uno sguardo di Ginevra, e non sa mai spiegarsi se la cosa lo addolcisca o piuttosto lo rattristi.

#48 - Vino.

“No.” Alberto glielo sussurra all’orecchio senza farsi sentire dagli altri, mentre con discrezione gli posa una mano sul bicchiere impedendogli di versarsi altro vino; “Quando faremo l’amore, questa notte, voglio che tu sia lì con me, e voglio che tu ci sia del tutto.” E Stevan deglutisce appena, poi annuisce e poggia la bottiglia, sorridendo nervosamente.

#49 - Incisione.

Aveva incrociato lo sguardo di Alberto per la prima volta un anno e mezzo prima, e non era stato esattamente piacevole; si era sentito invaso, segnato, inciso da quei suoi occhi profondi e netti - e tuttora portava le cicatrici, seppur piacevoli, di quegli sguardi.

#50 - Lanterna.

Come quando si torna a casa, la sera tardi, ed è bello vedere le luci ancora accese - perché c’è qualcuno che aspetta, che è rimasto sveglio - allo stesso modo è bello spegnerle allo stesso momento, tra uno sbadiglio e un altro, pur senza farci troppo caso; Alberto si rigira tra le coperte ascoltando il respiro regolare di Stevan - ed un momento, giusto prima di addormentarsi: vede luci in lontananza che lo guidano verso casa e l’istante dopo sta già dormendo.

Note randomiche - e sfattissimissime - dell’Autrice:

…Sì, è l’alba.
Sì, lo so, la prima settimana del F3.u.c.k. terminava a mezzanotte ma non avete idea dell’ambaradan che c’è stato - riassumendo: avevo tutte le frasi su OpenOffice, ma cambiando dimora mi sono ricordata di avere sull’altro pc solo Word, indi ho dovuto riscrivere tutto (sì, perché OO non si è voluto installare, il cagno, o meglio s’è installato ma mi ha mandato in palla il computer ergo si fosse fottuto, ecco) - sicché scusate, scusate davvero, io boh, spero me la passiate - in caso contrario siete belli stronzi, fatevelo dire. *Agita flebilmente pugno*

Venendo ai *YAWN* credits: per il titolo i Coldplay - tanto per variare, giustamente - mentre è citato *YAWN* quell’omazzone di Califano, con “Non escludo il ritorno”, così, a random. *YAWN*
Bon. Ora vado a dormire, via - ma chiccecrede, non avrei dormito lo stesso, tsk.

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